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feb

I figli non nascono liberi

“Sali in macchina che è tardi… veloce!”
P. (5 anni): “Voglio stare davanti!”.
“Non puoi, devi metterti dietro”.
P. “Io voglio stare davanti… papà l’altro giorno ha fatto stare J. (11 anni) davanti”.
“Lui è più grande, tu sei piccolo e devi stare dietro!” Urla e capricci.
“Conto fino a tre, se non sali dietro e non ti metti subito la cintura… non vai alla festa di Luca!”
“Io voglio stare davanti!” lamenti vari.
“Uno…” capricci. “Due…”
P: “Uffa, non è giusto!”
“Tr…”
“E va bene, vado dietro, però J. è stato…”
“Il discorso è chiuso. Non voglio sentire una parola, devi ubbidirmi perché so cosa è giusto fare!”… silenzio
…qualche attimo dopo: “Mamma, davanti è pericoloso perché scoppia l’ice-berg?”
“Eh?...” poi mi si accende la lampadina
“...proprio per quello, vedi che le cose le sai?”.

Potrei citare centinaia di esempi in cui un figlio pretende di fare quello che vuole: a tavola, in bagno, davanti all’armadio dei vestiti, prima di fare i compiti, etc. infinite situazioni nelle quali chi sta crescendo sente un’incontenibile desiderio di affermare se stesso. “Non voglio mettere la sciarpa perché mi da fastidio”. “Voglio cambiare la maglietta perché si è sporcata con una goccia di sugo”. “A colazione voglio solo i biscotti con le gocce di cioccolato perché mi piacciono e tu sei una mamma cattivissima perché non me le vuoi comprare!” Il rischio è quello di sentirsi dire: “Sei una mamma cattiva!” mentre si definiscono le regole e le si fanno rispettare.

Un figlio non nasce libero. È giusto che un bambino fin da piccolo lotti con tutte le sue forze per ottenere quello che vuole ma dall’altra parte deve trovare un genitore capace di discriminare ciò che è adatto a lui da ciò che non lo è. Non è una responsabilità del bambino decidere quello che gli fa bene e quello che gli fa male, attribuire a lui il peso di questa valutazione significa caricarlo di un compito sopra la sua portata. Cosa mangiare, quanta televisione vedere, quando andare a letto, quanto tempo dedicare alle tecnologie… sono tutte dimensioni che devono essere governate dagli adulti.

J. (11 anni) “Mamma, tutti i miei compagni giocano molto di più di me alla WII. Io devo fare prima i compiti e poi gioco solo mezz’ora… non è giusto… tu non mi vuoi fare felice… allora smetto di fare bene i compiti appena tornato da scuola!”.
“Benissimo! Però sappi che fino a che non hai finito i compiti la WII non la tocchi e il tempo massimo è quello stabilito!”.
Alla fine, dopo parecchi sbattimenti di porte e lamentazioni i compiti vengono fatti, i malumori spariscono e la mezz’ora di WII (che poi sfora sempre di un po’) ha il gusto di sempre o forse anche un po’ meglio. Questa visione a me ha cambiato la vita: sono io che devo decidere cosa è meglio per mio figlio, finchè non avrà muscoli e cervello a sufficienza per farmi capire che è pronto, che è forte abbastanza per decidere. Un bambino di due anni non può decidere cosa vuole nel piatto. Pensarsi un genitore forte, con la G maiuscola, che sa e può prendere in mano la situazione mi ha dato il coraggio, con mio marito, di non scoraggiarmi di fronte a capricci, pianti e urla.

C. (3 anni) è capace di mettere in scena show da oscar per fare a modo suo. “Conto fino a tre… “ coi piccoli è la strategia che ci aiuta a non perderci in spiegoni lunghissimi. I miei figli non hanno paura di noi ma sanno che sappiamo farci ubbidire. Manteniamo quello che diciamo. “Grazie papà che ci hai portato a mangiare la pizza in questo posto bellissimo. Sei un genio!” Essere autorevoli non significa umiliare i figli ma valorizzare tutte le loro potenzialità delimitando la pista su cui sono in grado di correre.

Cosa ne pensate di queste affermazioni? Vi sentite genitori forti o deboli? Quali sono le fatiche che sperimentate nella gestione della quotidianità? In che occasioni avete constatato che essere direttivi significa preservare il bene dei propri figli? Aspetto le vostre considerazioni. Un caro saluto a tutti!

Pubblicato il 29 febbraio 2012 - Commenti (2)

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Postato da Andrea Annibale il 05/03/2012 01:09

Non ho figli. Quando ero piccolo mia madre mi lasciava fare tutto ciò che mi passava per la testa (metodo del pediatra dottor Spock). La mia famiglia non era cattolica ma il mio migliore amico, Marco, era di famiglia cattolica e viveva nella stessa casa. A casa del mio amico Marco non poteva volare una mosca perché il padre era molto severo. Sono paralizzato quando devo fare osservare una regola a qualcun altro a casa mia perché a casa mia non c’erano regole ma si poteva ribaltare i divani, tirare oggetti e piantare su un grande casino. Poi ho sviluppato disturbi del comportamento come piromania, depressione e, a 27 anni, mi è stata diagnosticata una schizofrenia. Vorrei sapere se c’è una correlazione tra l’educazione ricevuta da bambino e la mia malattia da adulto. Ciao. Facebook: Andrea Annibale Chiodi; Twitter:@AAnnibale.

Postato da nannapanna il 02/03/2012 15:57

Io mi ritengo una mamma piuttosto forte...mediamente più severa delle mie amiche. Quello che trovo difficile e non cedere alla tentazione di accontentarli solo per farla finita, soprattutto quando sei stanca e non ne puoi più (ho tre figli di età diversa e un lavoro a tempo pieno). Quello che mi rende felice è che i miei figli, anche se a volte mi ritengono cattivissima, mi hanno detto più volte che non mi cambierebbero con nessuna altra mamma...neanche con quelle più permissive.

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Barbara Tamborini

Barbara Tamborini, psicopedagogista, autrice di libri sull'educazione. Ha 4 figli.

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