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La Missa solemnis, unica nella sua grandezza, appartiene al mondo della fede cristiana. E’ preghiera nel senso più profondo della parola. Ci conduce alla preghiera, ci conduce a Dio”. Sono le parole con le quali Benedetto XVI ha spiegato il capolavoro di Beethoven ai partecipanti della XX Giornata mondiale della Gioventù del 2005. Pochi musicologi hanno saputo offrire una sintesi tanto profonda di questo monumento di bellezza, dolore, dolcezza e speranza che, sono sempre le parole dal Papa, “esprime la sofferenza per Dio”, ed il nostro tentativo di afferrarLo. Sin dall’incipit straordinario del Kyrie la Missa ci tocca nel profondo.
Così carica di interrogativi, ma così intensa da farci comprendere la dedica che Beethoven appose sulla partitura: “dal cuore per giungere al cuore”.
Ci volle molto tempo prima che la Missa, scritta per l’amico ed allievo Arciduca Rodolfo ma non completata in tempo, venisse eseguita. Oggi più che mai giunge ancora “al nostro cuore”, con i suoi episodi sublimi: come il Benedictus affidato alla dolcezza del violino: un colpo di genio di un autore ormai prigioniero della sordità:
Giorgio Vitali
Pubblicato il
06 febbraio 2013 - Commenti
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06
feb
Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia,
1818,
Amburgo, Hamburger Kunsthalle (immagine Scala)
Ludwing van Beethoven (1770-1827) iniziò a comporre nel 1818 la Messa solenne che avrebbe dovuto essere eseguita per l’elezione ad arcivescovo di Olmuz del suo carissimo amico, l’arciduca Rodolfo d’Austria. La composizione però si protrasse oltre il previsto e l’opera fu rappresentata per la prima volta a san Pietroburgo nel 1824: Beethoven era presente ma aveva perso gran parte della sua capacità uditiva (tre anni dopo sarebbe venuto a mancare). Lo stile della Missa è quello dell’ultimo periodo in cui Beethoven compose quel capolavoro che è la Nona Sinfonia con l’Inno alla gioia, esplosione di certezza in cui il suo linguaggio artistico si faceva sempre più radicale nel piegare la musica ad esprimere la fede in Dio.
All’impeto solitario ed eroico di Beethoven possiamo accostare l’opera di un pittore romantico Friedrich Caspar David, in cui il senso della natura e la religiosità si esprimono in tutta la sua opera, ma soprattutto nel Viandante sul mare di nebbia, dipinto nel 1818, lo stesso anno in cui Beethoven iniziava a comporre la Missa solemnis. La solitaria figura dell’uomo che in cima alla montagna sta davanti all’infinito è quasi un manifesto del nascente romanticismo tedesco e rappresenta l’immagine più emblematica del pittore di origine danese, ma che lavorò in Sassonia. L’immagine del viandante di spalle potrebbe in qualche modo evocare la figura solitaria del geniale compositore viennese. La sua eroica solitudine si sposa con la montagna, simbolo di elevatezza oltre le passioni umane e luogo di rivelazione del sacro.
Il sentimento dell’uomo davanti all’infinito evoca anche un’altro grande e geniale poeta, questa volta italiano, Giacomo Leopardi che proprio in quegli anni, quando era poco più che ventenne (e siamo nel 1819) nella sua amata Recanati scriveva L’infinito.
Alfredo Tradigo
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06 febbraio 2013 - Commenti
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