28
mag
Ci sono compositori per i quali la fede cattolica è stata una compagna di vita, e scrivere musica sacra ha rappresentato un’esigenza, ma anche un obbligo morale: Anton Bruckner non avrebbe mai potuto trascurare il genere sacro. Di lui Liszt ebbe a dire che viveva solo "per Dio e per la musica". Legatissimo ai suoi luoghi di provincia (riposa in una cripta sotto il "suo" organo a Sankt Florian), scrisse le prime pagine corali e sacre da ragazzo e le fece coesistere con la composizione di danze popolari per le feste paesane: perché elevazione religiosa e semplicità popolare convivevano in lui.
E tutto questo, unito alle sue straordinarie qualità di sinfonista e contrappuntista, ci fa comprendere lo spirito e l’intensità di una Messa che è la più importante per dimensioni ed esito delle 3 scritte da Bruckner. Una pagina che guarda come modello alla Missa solemnis di Beethoven e che Bruckner ha pensato per la sala da concerto e non per la chiesa. Proprio per far riverberare la sua fede nel quotidiano della gente, nel manifestarsi dell’evento artistico. Dimostrando con le sue opere che il rito mondano del concerto è sempre un momento di arricchimento, un’occasione che può addirittura riflettere il Divino.
Giorgio Vitali
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28 maggio 2013 - Commenti
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21
mag
Immaginiamoci che ogni settimana, per mesi e mesi, nel corso della celebrazione della messa della domenica si abbia l’occasione di ascoltare una sorta di drammatizzazione in musica delle Letture: con l’alternanza di cori, parti solistiche, e pagine dalle melodie a noi già note. Ed immaginiamo che queste drammatizzazioni vengano prodotte dalla mente di uno dei più grandi geni della storia della musica. Cosa possiamo aspettarci? Una gioia per l’orecchio e lo spirito. Una gioia che mai cesserà di esistere e di prodursi e per la quale dobbiamo rivolgere il nostro pensiero riconoscente al più umile e grandioso dei compositori: Johan Sebastian Bach.
Anche se solo una parte delle 300 cantate composte da Bach sono giunte a noi (195), molte di esse, oltre a rimanere nella loro collocazione liturgica, sono divenute delle pagine di repertorio, eseguite in ogni angolo della terra da orchestre specializzate, da compagini da camera e sinfoniche. E questo perché, in aggiunta a tutti i valori delle Cantate, il genio di Bach ha espresso melodie di una bellezza celestiale. Le 3 Cantate presentate dal cd ne sono un esempio. E poche battute bastano a conciliarci con la Musica, col suo Autore e con l’Onnipotente.
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21 maggio 2013 - Commenti
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15
mag
La cattedrale parigina di sant’Eustasche dove risuonarono le note del Te Deum di Berlioz (Scala)
Del compositore francese Hector Berlioz (1803-1869) abbiamo già parlato a proposito della sua Messa solenne il cui manoscritto fu ritrovato nel 1991. Questo secondo appuntamento è dedicato all’ascolto del suo Te Deum Laudamus, l’inno di ringraziamento che viene anche oggi cantato nelle chiese la sera del 31 dicembre come ringraziamento per l’anno che si sta concludendo.
L’inno del Te Deum viene anche eseguito nella cappella Sistina prima del scioglimento del conclave per l’elezione del nuovo Papa.
L’idea che sta dietro all’esecuzione di questa versione del Te Deum scritta da Berlioz con grande libertà compositiva tra il 1848 e il 1849 (sottoponendo fortemente le parole alle esigenze musicali) è fortemente drammatica, secondo il clima culturale del romanticismo che celebrava la grandeur della Francia di Napoleone III e della Restaurazione.
La prima rappresentazione del Te Deum di Berlioz si tenne a Parigi nel 1855 in occasione dell’inaugurazione dell’Esposizione Universale. L’esecuzione avvenne in St. Eustache, la seconda chiesa parigina per dimensioni, dove re Luigi XIV fece la sua prima comunione e vi fu la prima della Grande Messa di Liszt.
Qui, nel cuore dell’antico quartiere di Les Halles, tra le grandiose navate innalzate in stile gotico-rinascimentale tra il XVI e il XVIII secolo, le note del Te Deum risuonarono in tutta la loro potenza e grandezza. Dopo l’esecuzione Berlioz scrisse a Liszt: «È stata una cosa colossale, degna di Babilonia e di Ninive... io Ti assicuro che questa è un’opera gigantesca: il Judex oltrepassa tutte le smisurate proporzioni di cui mi sono già reso colpevole».
Alfredo Tradigo
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15 maggio 2013 - Commenti
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14
mag
Monumentale, titanica, teatrale, romantica, visionaria, mondana. La musica di Hector Berlioz non lascia mai indifferenti: ma gli elementi che per primi colpiscono l’ascoltatore sono lo spessore e la ricchezza sonori e la rutilante fantasia melodica.
Come tutto questo si sia adattato alla musica sacra lo abbiamo già commentato a proposito della sua Messa solenne. Il “gesto” compositivo di Berlioz è un gesto forte, come ben sa chi ama le sue opere profane: come la famosissima Sinfonia fantastica.
Ma Berlioz è anche capace di stupire per la sua vena poetica, come nella stupenda Marcia dei pellegrini dell’Aroldo in Italia:
Il Te Deum somma questi due caratteri della musica di Berlioz. Sa giungere al cuore per certi suoi passaggi che ci invitano all’inno ed al canto.
Ma sa soprattutto trascinarci. Del resto il Te Deum è un canto di lode, di ringraziamento, di vittoria: Berlioz lo ricava da un progetto di sinfonia per celebrare la gloria di Napoleone E qualche anno fa il Tibi omnes venne usato per l’apertura delle Olimpiadi di Sidney.
E’ insomma profondamente vicino alla natura di Berlioz: compositore che sa stupire, ma lascia impressioni indelebili.
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14 maggio 2013 - Commenti
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08
mag
26 anni. Sono bastati a Giovanni Battista Pergolesi per regalare alla musica italiana ed al mondo intero alcune gemme nelle quali si riconosce un genio che guarda negli occhi pochi altri geni: Mozart, Monteverdi, Bach, Beethoven. E la domanda sorge spontanea: cosa ci avrebbe lasciato se fosse vissuto più a lungo?
L’ascolto del suo Stabat Mater non cesserà mai di sconvolgerci e commuoverci. Perché è una delle pagine più toccanti che siano mai state scritte. Ogni battuta musica ci proietta nella sofferenza della Passione:
Sensazioni che si provano anche all’ascolto del suo Salve Regina. In entrambi i casi il termine che è stato più frequentemente usato è “perfezione”. Perché Pergolesi, in quelle che secondo molti storici sono le ultime composizioni della sua breve vita, raggiunge la sintesi alla quale tutti i grandi aspirano: scrive pagine “nuove” per assecondare la sete di musica di committenti e pubblico, riuscendo ad infondere nelle stesse il suo genio, ma soprattutto la sua anima.
E, nel caso dello Stabat o del Salve Regina possiamo parlare di un “miracolo” che si produce in chi ascolta: la percezione di soffrire, sperare, contemplare con gli occhi ed il cuore dell’Autore.
Giorgio Vitali
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08 maggio 2013 - Commenti
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08
mag
Bartolomeo Riccio (1500-1571/3) Crocifissione Siena Coll. Chigi Saracini
L’Addolorata, la Madonna dei sette dolori, la Madonna delle sette spade. Immagini che l’arte ha fatto proprie nei secoli e che richiamano le parole profetiche dell’anziano Simeone rivolta a Maria che nel tempio presentava il Bambino Gesù per la circoncisione: “Anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Luca 2,35).
Prima dell’arte visiva però venne l’arte della parola: il celebre testo Stabat Mater scritto da Jacopone da Todi a esprimere il dolore della Vergine Maria sotto la croce davanti al Figlio morente.
Scriveva Jacopone: “Fammi o Vergine provare i tuoi stessi dolori”. Per il fedele si tratta di immedesimarsi nel dolore di Maria, di riviverlo in sé. Sono parole il cui impatto emotivo viene moltiplicato dalla musica dei grandi compositori che si sono cimentati con lo Stabat mater.
In particolare la versione di Giovanni Battista Pergolesi è tra le più famose e fu realizzata negli ultimi anni di vita del compositore nato a Jesi nel 1710 e morto giovanissimo di tubercolosi nel 1736 all’età di 26 anni. Iniziata a Napoli, l’opera venne completata nel convento dei cappuccini di Pozzuoli dove Pergolesi viveva sotto la protezione del duca di Maddaloni.
Si tratta di un brano per soprano, contralto, archi e basso commissionato dalla Confraternita di San Luigi di Palazzo sotto il titolo della Vergine dei dolori.
In quel periodo Pergolesi musicò anche quattro antifone mariane: il Salve regina, Regina Cieli, Ave Regina Coelorum e Alma Redemptoris Mater. Pergolesi venne sepolto a Pozzuoli nella fossa comune della Cattedrale di San Procolo.
Alfredo Tradigo
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08 maggio 2013 - Commenti
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01
mag
Claudio Monteverdi è una gloria italiana. La sua musica è infatti uno dei monumenti che rendono il nostro patrimonio artistico unico ed insuperabile. Monteverdi è anche un pilastro della storia della musica: e come tutte le figure centrali ha raccolto le eredità del passato, se ne è impossessato, e partendo da quelle ha creato il “nuovo”. La sua passione per il teatro musicale ha regalato al nostro Paese gemme sublimi, come l’Orfeo. Del quale qui sentiamo la famosa Toccata:
Quando il suo genio ha spostato il proprio sguardo dal profano al sacro, si è prodotto lo splendore di opere come il Vespro della Beata Vergine, o del Magnificat. Anche accostandosi ad una selezione della monumentale opera dedicata alla Vergine o ad una delle due versione del Magnificat come nel caso di questo cd, l’emozione d’ascolto ci porta a comprendere che ci troviamo di fronte ad una summa.
Antico (canto gregoriano), e moderno (sotto forma di innovazioni armoniche, melodiche e formali straordinarie) convivono nel fluire di un’opera sulla quale rimangono molti interrogativi dal punto di vista storico, ma nessun dubbio sull’unicità. Perché le vette del Sacro e della Musica sono qui raggiunte ad ogni battuta.
E Monteverdi riesce addirittura a trasformare la Toccata profana in melodia sacra!:
Giorgio Vitali
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01 maggio 2013 - Commenti
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