Il tre maggio (1808 - 1814), opera di Francisco Goya, Madrid, Prado.
"Non ti vendicherai né coverai rancore contro i figli del tuo popolo. Amerai, invece, il tuo prossimo come te stesso".
(Levitico 19,18)
«Si parla sempre del fuoco dell’inferno.L’inferno è freddo... L’inferno è non amare più». Ho intrecciato due frasi tratte da romanzi diversi dello scrittore cattolico francese Georges Bernanos (1888-1948) per introdurre uno degli appelli biblici più citati. Nella nostra ormai vasta raccolta di frammenti delle Sacre Scritture non poteva, infatti, mancare questo passo che nel suo apice – in ebraico we’ahavtà lere’akà kamôk, «amerai il prossimo tuo come te stesso» – era caro anche a Gesù che lo cita due volte (Matteo 5,48; 22,39), ricordando che è il «secondo comandamento, simile al primo», quello dell’amore per Dio, entrambi fondamento di «tutta la Legge e i Profeti». Su questa scia continuerà san Paolo quando ammonirà che tutti i comandamenti della Legge «si riassumono in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Romani 13,9), dopo aver ribadito ai Galati che «tutta la Legge trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (5,14).
Potremmo continuare a lungo nell’elencare quanti hanno trovato in questo precetto l’anima autentica della morale biblica e la sorgente della vera spiritualità.
Per stare ancora alla Bibbia, ricorderò solo la dichiarazione lapidaria
di san Giacomo: «Se adempite il più importante dei comandamenti secondo
la Scrittura: Amerai il prossimo tuo come te stesso, fate bene» (2,8).
Vorrei, invece, fare solo due note sul versetto del Levitico (ossia dei
sacerdoti, i figli di Levi, il terzo libro della Bibbia). In esso,
innanzitutto, si parla esplicitamente dei «figli del tuo popolo», cioè
di Israele. L’impegno dell’amore è, quindi, circoscritto a un orizzonte
preciso, quello della comunità ebraica.
Sappiamo, però, che già i profeti allargheranno questo spazio, invitando a condividere l’amore di Dio per tutte le sue creature:
«Benedetto sia l’Egiziano mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e
Israele mia eredità» (Isaia 19,25). E i sapienti biblici ricorderanno
che il Signore «ha compassione di tutti… e ama tutte le cose esistenti e
nulla disprezza di quanto ha creato perché, se avesse odiato qualcosa,
non l’avrebbe neppure creata» (Sapienza 11,23-24). Le frontiere saranno abbattute ulteriormente nel cristianesimo
allorché Gesù, commentando proprio il passo del Levitico, presenterà
un’applicazione quasi provocatoria, introducendo anche l’amore per il
nemico e giungendo così alla radice ultima del precetto
anticotestamentario: «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri
persecutori» (Matteo 5,44). Il “prossimo” ora è divenuto veramente
l’altro, chiunque e comunque egli sia, un altro che tu trasformi in un
“io” che è come te stesso.
Una seconda nota sull’appello “levitico”. In apertura esso evoca due
realtà antitetiche all’amore: la vendetta e il rancore. A incarnare
nella sua forma estrema questo antipodo della carità è Lamek, il
discendente di Caino che minaccia così: «Uccido un uomo per una mia
scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato
Caino, ma Lamek settantasette» (Genesi 5,23-24). È il canto selvaggio
della vendetta a spirale, della zampata bestiale che gode del sangue
versato, della logica distruttrice della guerra che ignora ogni prossimo
in un empito insaziabile di odio per il nemico. Risuona, allora, per
contrasto l’ideale nuova applicazione del comandamento del Levitico nelle parole che Cristo rivolge a Pietro
che chiedeva: «Quante volte devo perdonare al mio fratello, se pecca
contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù replica: «Non ti dico fino a
sette, ma fino a settanta volte sette!» (Matteo 18,21-22).
Pubblicato il 17 febbraio 2011 - Commenti (0)