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Siamo tutti profeti

Pentecoste, dal Lezionario del Vangelo e delle Epistole (Lezionario di St. Trond, Belgio), metà del XII secolo. New York, The Pierpont Morgan Library.
Pentecoste, dal Lezionario del Vangelo e delle Epistole (Lezionario di St. Trond, Belgio), metà del XII secolo. New York, The Pierpont Morgan Library.

"Effonderò su ogni persona il mio Spirito:
diverranno profeti i vostri figli e figlie,
i vostri anziani faranno sogni,
i vostri giovani avranno visioni,
su schiavi e schiave effonderò
il mio Spirito".
(Gioele 3,1-2)

Potremmo idealmente appendere questo testo al centro di un filo che ha due estremi. Il primo è retto da un picchetto piantato nel deserto del Sinai e reca questa dichiarazione- auspicio di Mosè: «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!» (Numeri 11,29). Era la reazione della grande guida di Israele all’impulsiva richiesta del giovane Giosuè, il suo futuro successore, che esigeva una censura nei confronti di due ebrei che non erano nella lista dei settanta anziani, il senato costituito da Mosè e investito dallo spirito profetico: anche su quei due, però, «si era posato lo spirito del Signore» (11,26).

L’altro estremo è, invece, legato a Gerusalemme. È il giorno di Pentecoste e l’apostolo Pietro ha davanti a sé la folla che l’ascolta e che è attraversata dallo Spirito Santo, capace di unire tutti nella stessa fede nonostante la diversità delle origini e la differenza delle lingue. Pietro inizia un discorso e spontaneamente applica subito all’evento l’antico oracolo di Gioele (Atti 2,14-21). Di questo profeta si conosce ben poco e la sua collocazione cronologica per la maggior parte degli studiosi è nel periodo successivo all’esilio babilonese, forse nel V secolo a. C. Il suo libretto è nettamente diviso in due quadri, così da diventare un dittico.

La prima scena è occupata da un’invasione di cavallette, simile a un esercito assalitore, flagello endemico dell’agricoltura del Vicino Oriente, presagio di carestia a causa della loro famelica voracità nei confronti delle coltivazioni. Il popolo si affida, allora, al Signore perché, come Sovrano del creato, fermi questa piaga (capitoli 1-2). Il secondo quadro, che occupa i capitoli 3-4, è invece dipinto con colori apocalittici e con lo sguardo puntato verso il «giorno del Signore», il tempo del giudizio finale sul male e sull’iniquità, ma anche aurora di una nuova èra. Sull’umanità, allora, si stenderà lo Spirito divino quasi come un nuovo soffio vitale che attraverserà l’intero popolo, raffigurato in tutte le sue articolazioni generazionali (padri e figli) e sociali (anziani, giovani e schiavi). È una trasfigurazione radicale della comunità che diventa un popolo di profeti, cioè di testimoni della parola di Dio al mondo. È ciò che si proclama anche per i battezzati cristiani nella celebrazione del sacramento che li consacra re, sacerdoti e profeti. È quella trasformazione interiore che aveva cantato il profeta Ezechiele: «Darò loro un cuore nuovo, uno spirito nuovo metterò dentro di loro. Toglierò dal loro petto il cuore di pietra, darò loro un cuore di carne» (11,19)

Un’ultima annotazione. Per descrivere lo spirito profetico Gioele usa due segni per noi forse sorprendenti e passibili di equivoco: «i sogni e le visioni». Ora, questo è un simbolo per indicare un tipo di conoscenza – quello appunto mistico, della profezia e della fede – differente dalla nostra logica puramente razionale, un po’ come accade in sogno. Era stato Dio stesso a dichiarare: «Se ci sarà tra voi un profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò a lui» (Numeri 12,6). Per questo il profeta era chiamato anche «Veggente », perché il suo occhio spirituale penetrava nel mistero divino con uno sguardo nuovo e diverso rispetto alla semplice contemplazione della realtà esteriore.

Pubblicato il 08 dicembre 2011 - Commenti (2)

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Postato da Teresi Giovanni il 08/12/2011 22:54

Forse leggendo i profeti potremmo avere la sensazione di trovarci in un mondo in cui i temi si ripetono e che non cammina mai; Gioele ci aiuta a comprendere questa crescita lenta, ma inesauribile verso la realizzazione della Speranza. La poesia di Gioele è forbita ed elegante ha indotto molti studiosi a proiettare il profeta nell’epoca postesilica, quando gli scritti già raccolti erano oggetto di studio: è l’epoca degli scribi. Il genio poetico di questo scrittore sa come utilizzare i mezzi espressivi in modo da catturare la sensibilità del lettore. Un esempio è dato dalle immagini vivide dei campi devastati, del bestiame che geme, delle cavallette nel loro assalto, degli astri oscurati, del torchio della punizione che, insieme ai quadri dell’abbondanza di una natura tornata generosa, offrono l’impatto emotivo che solo un’autentica poesia sa donare. Tuttavia gli scorci visivi, pur nella loro funzione spesso metaforica, non sono semplici artifizi letterari, ma sono strumenti al servizio di un piano teologico. In qualità di profeta erudito Gioele usa tutti i generi letterari a disposizione. L’esortazione iniziale di tipo didattico-sapienziale («Ascoltate questo … raccontatelo …»: 1,2-3), dispone all’ascolto ed è seguita da altre esortazioni, che si intrecciano con la descrizione del paese desolato, del nemico che avanza (2,3-10). In Gioele il desiderio di Mosè diventa una promessa: "io effonderò il mio spirito su ogni uomo". La storia della salvezza smette di essere affidata esclusivamente a capi carismatici e diventa compito di "ogni uomo", ed ogni uomo può, per il dono dello Spirito, essere protagonista di salvezza; ogni uomo può ricostruire, per quanto gli compete, ciò che è distrutto nelle relazioni che rendono il mondo vivibile. Lo Spirito che è il dono di Cristo nella Pentecoste, entra così nella prospettiva della storia umana. Dal sogno di Mosè, alla promessa di Gioele, al dono di Cristo: una storia che si muove. Giovanni Teresi

Postato da Andrea Annibale il 08/12/2011 18:37

Ho riflettuto molto su questo commento molto bello del Cardinale Ravasi. In prima istanza mi è venuta in mente quella parola del Vangelo quando Gesù stesso dice “senza di me non potete fare niente” e sul fatto che nella parabola della vite noi siamo i tralci (Giovanni 15, 5). Penso che la prima condizione del profeta è quella di essere strettamente legato a Cristo. Mi chiedo ulteriormente: questo legame con Cristo avviene perché il profeta va incontro a Dio o perché Dio lo rincorre, lo rinfranca, lo conduce? Quando Mosè sale sul Sinai, va incontro al Signore per riceverne la potenza. Adamo, dopo aver peccato, invece, si nasconde cioè cerca di allontanarsi da Dio. Tituba Giona, dubitano Giovanni il Battista e Tommaso Apostolo. Eppure il Signore li corregge, li conferma nella fede, li guida. C’è da chiedersi se questa dipendenza dal Signore non sia una cosa che toglie dignità e libertà all’uomo come forse si sono chiesti alcuni atei illuministi. Non siamo tutti finiti sotto un giogo per effetto della fede? Ecco che soggiunge la fede stessa che vede nello spirito profetico qualcosa che rende nobile il plebeo, libero lo schiavo ed il più grande come colui che serve. Sì, lo Spirito Santo è una doccia purificatrice che ci libera dal male e dal peccato, quindi ci rende migliori, più liberi, più consapevoli. Oggi, 8 dicembre 2011 celebriamo l’Immacolata Concezione di Maria. Certamente Maria è uno dei grandi profeti della Bibbia. Ella dimostra più di ogni altro essere umano, dopo Cristo, che l’uomo nobilita sé stesso nell’umiltà e nell’obbedienza. Facebook: Andrea Annibale Chiodi; Twitter: @AAnnibale.

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Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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