31 ottobre 2010 - II Dom dopo la Dedicazione


1. La  partecipazione delle genti alla salvezza


È il titolo assegnato a questa domenica che orienta a cogliere il peculiare messaggio delle odierne Scritture destinate a illuminare il “mistero” della Chiesa di cui tutti siamo membra. Il Lezionario prevede per questo le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Isaia 25,6-10a; Salmo 35; Epistola: Romani 4,18-25; Vangelo: Matteo 22,1-14. Viene proclamato Marco 16,9-16 quale Vangelo della risurrezione nella Messa vigiliare del sabato. Le orazioni e i canti sono presi dalla XXXI domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.


2. Vangelo secondo Matteo 22,1-14
     

In quel tempo. 1Il Signore Gesù riprese a parlare loro  con parabole e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
   


3. Commento liturgico-pastorale      

Il brano evangelico riporta l’ultima delle tre parabole sul rifiuto del regno dei Cieli (21,28-46; 22,1-14) pronunciate da Gesù in polemica con i capi del popolo. La parabola, caratterizzata da subito come parabola del Regno (v 2), si sviluppa in tre momenti narrativi: il primo (vv 2-6) riguarda l’invito del re alla festa nuziale «per suo figlio» e il rifiuto da parte degli invitati potremmo dire “ufficiali”.

    Il secondo momento (vv 7-10) registra la reazione violenta del re e l’estensione dell’invito a gente di per sé estranea la quale accetta volentieri. Il terzo momento (vv 11-13) riporta la scena drammatica dell’ingresso del re nella sala di nozze e l’espulsione di un commensale privo dell’«abito nuziale».

    Il v 14, infine, è rappresentato da una massima che aiuta a capire il senso della parabola. Questa nell’immagine del banchetto di nozze del figlio del re allude a Gesù quale Messia inviato da Dio anzitutto al suo popolo Israele per impiantare il regno dei Cieli.ù

    Negli invitati che rifiutano l’invito loro rivolto dai “servi” del re nei quali possiamo ravvedere i Profeti, sono indicati i capi del popolo anzitutto e, più in generale, l’intero popolo d’Israele che è l’invitato potremmo dire di “diritto” al Regno. La reazione sdegnata e violenta del re rappresenta il “giudizio” pronunziato da Dio sul suo popolo incredulo.   
Al “giudizio” segue la decisione del re di mandare i suoi servi, vale a dire i missionari del Vangelo, a invitare al banchetto nuziale del Figlio: «andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze» (v 9). In essi sono raffigurati i popoli pagani ai quali viene finalmente predicato il Vangelo ed estesa la chiamata al Regno.

    Questa decisione  del re segna una svolta nel racconto della parabola ma, più ancora, ha dato come il via libera decisivo, nella storia della Chiesa delle origini, alla predicazione del Vangelo del Regno a tutti gli uomini indistintamente: ebrei e, ora, i pagani.

    Uno dei “servi” più zelanti nell’andare «ai crocicchi delle strade» è stato senza dubbio l’apostolo Paolo il quale, nella chiamata delle “genti”, vede avverata la promessa di Dio ad Abramo, quella di fare di lui il «padre di molti popoli» forti nella fede al pari di lui (Epistola: Romani 4,17).

    Già il profeta Isaia aveva annunziato la volontà di Dio di fare partecipi tutti i popoli della “salvezza” raffigurata nell’immagine del «banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (Lettura: Isaia 25,6) e concretamente descritta come rimozione del «velo» e della «coltre» funerea «distesa su tutte le nazioni», ossia l’ignoranza della fede, e specialmente come eliminazione della «morte per sempre» asciugando così le «lacrime su ogni volto».

    Questo progetto divino, come sappiamo e crediamo, si è avverato nel banchetto delle nozze dell’Agnello di cui parla il libro dell’Apocalisse, ovvero nell’immolazione  sacrificale del Signore Gesù sulla croce.

    La Chiesa, perciò, lungo i secoli dovrà incessantemente predicare il Vangelo e invitare tutti gli uomini a partecipare al “banchetto nuziale del Signore”, ossia a sperimentare fin da ora la gioia della salvezza. Con una speciale consapevolezza e avvertenza: al “banchetto” si accede con «l’abito nuziale» che è certamente la fede nel Signore Gesù ma specialmente la carità.

    Occorre farsi trovare da Dio degni di entrare nella definitiva salvezza e questa “dignità” è rappresentata dall’obbedienza all’unico precetto a noi dato dal suo Figlio: quello della carità. L’amore infatti e, perciò, la felicità e la gioia sono le caratteristiche del regno dei Cieli che la Chiesa è mandata ad annunciare e ad anticipare in tutta verità.

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24 Ottobre 2010 - I Dom dopo la Dedicazione


1. La  domenica del “mandato missionario”
      
L’annuale solenne memoria della Dedicazione del Duomo, dando l’avvio ad alcune settimane e domeniche a essa collegate, offre ogni anno a noi fedeli della Chiesa ambrosiana, la grazia di guardare al “grande mistero” che è la Chiesa di cui tutti siamo membra: da dove essa trae origine, qual è la sua natura e la sua missione.    
Questa seconda domenica ci dà l’opportunità, nell’ascolto comunitario delle divine Scritture, di tornare su ciò che la Chiesa, per esplicito mandato del Signore risorto, deve essenzialmente fare.

    I testi biblici proposti nel Lezionario sono: Lettura: Atti degli Apostoli 13,1-5a; Salmo 95; Epistola: Romani 15,15-20; Vangelo: Matteo 28,16-20. Nella Messa vigiliare del sabato viene proclamato Giovanni 21,1-14, quale Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXX domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.    
Oggi si celebra, in tutta la Chiesa, la Giornata missionaria.    


2. Vangelo secondo Matteo 28,16-20
     

In quel tempo. 16Gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che il Signore Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato  ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».    


3. Commento liturgico-pastorale
     

Il testo evangelico riporta le ultime parole del Signore risorto agli Undici prima del suo ritorno al Padre. Esse mantengono un valore perenne all’interno della Chiesa.

    Il v 16 è destinato ad ambientare l’incontro del Risorto anzitutto a livello geografico: la “Galilea”, regione aperta ai popoli pagani; quindi a livello locale: un “monte” come luogo tipico della rivelazione; e, infine, i protagonisti: gli Undici, dei quali il v 17 registra l’atteggiamento pieno di fede in alcuni («si prostrarono») e, in altri, una certa esitazione a credere («Essi, però, dubitarono»).

    Al centro della scena, comunque, c’è Gesù che si rivolge per l’ultima volta ai suoi dichiarando anzitutto di possedere, in seguito alla sua croce e risurrezione, il potere universale proprio di Dio (v 18). In base a tale potere egli conferisce un incarico espresso ai vv 19-20a con quattro verbi: “andate”, “fate discepoli”, “battezzate”, “insegnate”.

    L’attività principale è senza dubbio quella di “fare discepoli”, per questo occorre “andare”; mentre il Battesimo nel nome della Trinità e l’“insegnamento” sottolineano il compimento del diventare “discepoli”. Al fine di garantire tale missione e il suo buon esito, Gesù assicura la sua permanente presenza tra i suoi, fino alla consumazione dei tempi (v 20b).

    Proclamato nel peculiare momento liturgico qual è quello delle “Settimane dopo la Dedicazione” del Duomo, il brano evangelico rappresenta un forte richiamo al compito essenziale della Chiesa e di ogni singolo fedele: “la missione”. Questi deve realizzare il mandato del Signore risorto: «fate discepoli  tutti i popoli» (v 19) incorporandoli nella Chiesa dov’è possibile ottenere la “salvezza” da lui procurata nella sua Pasqua.

    La Lettura evidenzia come la comunità delle origini ha, da subito, tradotto il comando del Signore, deputando alla “missione” Barnaba e Saulo, ricolmati dalla potenza del suo Spirito, mediante l’imposizione delle mani (cfr. Atti degli Apostoli 13,3). Missione che essi concepiscono come “universale”, riguardante cioè sia i Giudei (v 5) sia quelli che l’apostolo Paolo ama chiamare “le genti” (Epistola: Romani 15,16-18) ovvero i popoli pagani presso i quali non era conosciuto «il nome di Cristo» (v 20).

    Lo stesso «sacro ministero di annunciare il Vangelo di Dio» che ha come “sequestrato” l’intera esistenza dell’Apostolo deve oggi trovare in tutti noi una più piena e convinta disponibilità. Siamo tutti persuasi che l’umanità, oggi come ieri, come domani e «fino alla fine del mondo», ha bisogno del Vangelo di Gesù, ha bisogno di ascoltare le sue parole che invitano a mettersi alla sua scuola, a diventare cioè suoi discepoli.

    Si imparano così le grandi cose preparate da Dio per noi e i cuori si aprono alla fede e soprattutto alla carità, nella quale è sintetizzato l’“insegnamento” del Signore che la Chiesa deve conservare e trasmettere intatto.

    L’immersione battesimale «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» vincola per sempre il discepolo all’amore bruciante di Dio e lo inserisce nel corpo vivo del Signore che è la Chiesa,  per diventare così: «un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo» (Romani 15,16).    
Viene, a questo punto, spontaneo interrogarci sulla nostra disponibilità al “mandato” missionario del Signore, da vivere già all’interno delle nostre stesse comunità ecclesiali, nelle quali è necessario pervenire a una piena professione di fede e a un’osservanza puntuale di tutto ciò che il Signore ci ha comandato (cfr. Matteo 28,20).

     Saranno proprio la riconosciuta fede battesimale e la condotta ispirata al comando del Signore a rendere fruttuoso l’impegno missionario verso “le genti” che oggi abitano i nostri paesi e le nostre città. Ciò che più conta, però, è avvertire la presenza viva del Signore nella sua Chiesa. Presenza che va percepita sommamente nella celebrazione eucaristica.

    È ciò che domanda l’orazione Dopo la Comunione: «O Dio forte ed eterno, che ci hai radunato oggi nel nome di Gesù a celebrare le lodi della tua azione di salvezza, fa’ che possiamo sperimentare nella gioia dell’amore fraterno, secondo la sua promessa, la permanente presenza tra noi del nostro Signore e Maestro».

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17 Ottobre 2010 - Dedicazione Duomo di Milano


1. La  domenica della dedicazione del Duomo
      

Si tratta di una ricorrenza di grande importanza per tutti i fedeli della diocesi di Milano che guardano al Duomo come loro cattedrale, ma anche per quei fedeli che, pur appartenendo ad altre diocesi, seguono il rito ambrosiano e, perciò, riconoscono il Duomo di Milano come loro Chiesa madre. In questa domenica, perciò, mentre si fa “memoria” della dedicazione o consacrazione del Duomo, si celebra, in realtà, il mistero della Chiesa che in esso si raduna. Vengono oggi proclamate le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Isaia 60,11-21 (in alternativa: 1Pietro 2,4-10); Salmo 117; Epistola: Ebrei 13,15-17.20-21; Vangelo: Luca 6,43-48. Il Vangelo della Risurrezione nella Messa vigiliare del sabato, è preso da Giovanni 20,24-29.    


2. Vangelo secondo Luca 6,43-48      

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: 43«Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. 46Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene».    


3. Commento liturgico-pastorale      

Il brano evangelico odierno conclude il cosiddetto “discorso in pianura” di Luca 6,20-49 da leggere in parallelo con il “discorso sul monte” di Matteo 5-7. Esso è rivolto da Gesù ai discepoli e a tutti coloro che intendono seguirlo al fine di indicare le essenziali esigenze che qualificano la sequela.    

    Esigenze che hanno al loro vertice il precetto dell’amore del nemico (6,27-35) e dell’amore fraterno (vv 36-42). Questo è il Vangelo che i suoi devono predicare sempre e ovunque. I versetti odierni sono come l’avvertimento finale di Gesù a mettere in pratica i suoi insegnamenti.

    Egli lo fa paragonando gli uomini ad alberi (vv 43-44a). Guardando i loro frutti si capisce se essi sono buoni o cattivi. Esattamente come gli alberi anche gli uomini producono frutti secondo la natura del loro cuore. Se ha un cuore “buono” dice e fa cose buone (v 45). E il cuore buono si ottiene ascoltando e mettendo in pratica la Parola di Gesù (v 45). Chi fa così pone sé stesso sul fondamento solido che è Cristo e non va incontro a rovina (vv 47-48).

    Proclamato nell’odierna circostanza il brano evangelico ci aiuta a comprendere come nel segno esterno del Duomo si rende visibile il mistero della Chiesa come casa di Dio posta tra gli uomini. Chi guarda il Duomo e ne ammira la maestà e la bellezza perdurante nei secoli comprende che essa è dovuta al fatto che le sue fondamenta sono state scavate molto in profondità.

    Una simile osservazione rende al vivo la parola di Gesù sulla casa costruita su fondamenta molto profonde fino a incontrare la “roccia”. La “roccia” è lo stesso Signore Gesù e la sua Parola, sicché il fondamento su cui poggia la comunità ecclesiale è incrollabile. Esso, infatti, non è gettato superficialmente sulla “sabbia” che siamo tutto noi con la nostra nativa fragilità e inconsistenza, ma sulla “roccia” che è il Signore Gesù ovvero, come leggiamo nella Lettura alternativa, sulla  «pietra viva… scelta e preziosa davanti a Dio» (1Pietro 2,4).

    Su tale  «pietra d’angolo» la Chiesa, perciò, e tutti noi che la componiamo come “pietre vive” (v 5), deve tenersi poggiata in modo da resistere “alla piena del fiume” (cfr. Luca 5,48) che periodicamente la investe nel passare del tempo, vale a dire le difficoltà interne che l’attraversano e le persecuzioni esterne che la minacciano.

    Celebrare ogni anno la dedicazione della nostra chiesa cattedrale e della nostra chiesa madre, significa anzitutto lodare, benedire e “rendere grazie” al Padre per il mistero della Chiesa, “sua dimora”, “sposa e regina”, “madre di tutti i viventi”, “vita feconda”, “città posta sulla cima dei monti” (cfr. Prefazio).

    Significa, inoltre, assumere sempre più viva coscienza che, avendo creduto e obbedito alla Parola del Signore, su di lui “pietra viva” siamo edificati e uniti al punto da poterci chiamare, in tutta verità,: «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato» (1Pietro 2,9).

    Tale consapevolezza sprona la Chiesa e noi, suoi fedeli, ad “ascoltare” e a “obbedire” alla Parola del Signore traducendola in pratica di vita, evitando così il suo rimprovero: «Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico?» (Luca 6,46).

    Ora la Parola che occorre ascoltare e mettere in pratica è tutta riassunta nel precetto della carità nei confronti di tutti: “amici” e “nemici”. È questa “obbedienza”, infatti, a tenere la Chiesa fondata sulla “roccia” e a donarle l’inesauribile capacità di «trarre fuori il bene» «dal buon tesoro del suo cuore» (v 43) abitato dall’amore del Signore.

    Dal cuore della Chiesa traboccano quei frutti buoni quali l’annunzio del Vangelo destinato a tutti indistintamente: «un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia» (1Pietro 2,10).

    Un Vangelo che la Chiesa quale «vite feconda che in tutta la terra prolunga i suoi tralci» (Prefazio) reca in dono a ogni uomo chiamato a stringersi a Cristo poggiandosi sulla “roccia” del suo amore, vale a dire la sua croce. Così come il nostro Duomo spalanca accogliente le sue porte, la Chiesa «tiene le sue porte sempre aperte, di giorno e di notte» (cfr. Lettura: Isaia 60,11) perché tutti possano entrare attratti dalla “luce eterna” e “dal divino splendore” (v 19) ed essere rivestiti di misericordia e di salvezza perenne.

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10 ottobre 2010


1. La sesta domenica “dopo il martirio” di san Giovanni il Precursore      


Mette in rilievo la continuata presenza del Signore nella sua Chiesa mediante la missione affidata ai suoi “inviati”. Il Lezionario prevede i seguenti brani della Scrittura: Lettura: 1Re 17,6-16; Salmo 14; Epistola: Ebrei 13,1-8; Vangelo: Matteo 10,40-42. Il Vangelo della Risurrezione, da proclamare nella Messa vigiliare del sabato, è preso da Luca 24,13b.36-48. Le orazioni e i canti per la Messa sono quelli della XXVIII domenica del Tempo “per annum” del Messale ambrosiano.    


2. Vangelo secondo Matteo 10,40-42     

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 40«Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42Chi avrà dato da bere anche solo un bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».    


3. Commento liturgico-pastorale
     

Il brano evangelico segna la conclusione del “discorso della missione” (Matteo 10,5-42), incentrata sull’accoglienza degli inviati per la predicazione del Vangelo. In particolare il v 40 riporta un “detto” di Gesù rivolto proprio agli apostoli, suoi inviati, nei quali si fa presente lui stesso e, tramite lui, colui che lo ha “mandato”, Dio!    
Il v 41 contiene il “detto” di Gesù rivolto a quanti accolgono i suoi messaggeri promettendo loro la stessa “ricompensa” data a essi. Il v 42, infine, riferisce la promessa della “ricompensa” a quanti accoglieranno “questi piccoli” ossia poveri, perseguitati, emarginati, proprio perché suoi “discepoli”.    
I testi biblici di questa domenica convergono nell’evidenziare come è Dio stesso e, di conseguenza, il Signore Gesù a farsi presente nel suo popolo e ora, nella Chiesa, attraverso il servizio “missionario” compiuto da qualificati suoi “invitati”.    
I medesimi testi sono inoltre concordi nel sottolineare l’esigenza di “accogliere” tali “inviati”. Essi, in realtà, come i profeti, preparano la venuta di Gesù Cristo, il Figlio “mandato” dal Padre o, come nel caso degli apostoli, sono mandati da Gesù a predicare il suo Vangelo di salvezza a partire dalla comunità stessa del Signore, dalla Chiesa.    
Alla Chiesa Gesù insegna ad “accogliere” i suoi messaggeri, ovvero quanti prolungano la sua presenza, con un’accoglienza che non si limiti alla pura ospitalità, per quanto premurosa, ma con un’accoglienza che dica accettazione del messaggio che essi trasmettono. 
  
La Sacra Scrittura ha in grande onore e pone in grande rilievo l’“ospitalità” accordata specialmente ai servi di Dio. La Lettura, in proposito, propone l’esempio della «vedova di Sarepta di Sidone» che non esita ad accogliere il profeta Elia e a mettere a sua disposizione tutto quanto le era rimasto per sopravvivere con suo figlio (1Re 17,12).     Anche l’Epistola sottolinea, con riferimento all’accoglienza riservata da Abramo ai tre misteriosi personaggi presso le querce di Mamre (Genesi 18,1-4), come alcuni praticando l’ospitalità «senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Ebrei 13,2), ovvero, messaggeri celesti. Nei messaggeri e inviati a portare la Parola i credenti sono perciò esortati da Gesù ad “accogliere” lui stesso e colui che lo ha inviato Dio il Padre.
   
Tale ospitalità verso i suoi messaggeri è a Dio molto gradita. Egli non lascerà senza “ricompensa” anche i più semplici e umili gesti di accoglienza come offrire «anche solo un bicchiere d’acqua fresca» soprattutto ai “piccoli” ossia a quei membri della comunità che trasmettono la sua Parola e rendono al vivo la persona del Signore Gesù non tanto con la predicazione ma con la loro stessa vita contrassegnata da povertà materiale e da marginalità.    
La vedova di Sarepta come “ricompensa” dell’ospitalità data a Elia ottenne che la «farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì» (1Re 17,16). Di lei e di suo figlio si prese cioè cura Dio stesso come fece con il profeta Elia per il quale dispose che “i corvi” gli portassero mattina e sera “pane e carne” (1Re 17,6).  
 
Chi accoglie il messaggero del Vangelo sia esso un “profeta”, un “giusto”, ovvero “uno di questi piccoli” che la lettera agli Ebrei individua nei “carcerati” e nei “maltrattati” (Ebrei 13,3), in quanto “discepoli” e, perciò, immagine di Gesù maltrattato e rifiutato come inviato del Padre, riceverà la “ricompensa”. 
  
Questa consiste nella premurosa vicinanza di Dio da lui stesso assicurata: «Non ti lascerò e non ti abbandonerò» (v 5) e così espressa nel Salmo 4: «Il Signore fa prodigi per il suo fedele; il Signore mi ascolta quando lo invoco», ma specialmente  nella partecipazione alla salvezza e alla vita divina che è la ricompensa spettante ai “profeti”, ai “giusti” e a “questi piccoli”.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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