29 Gennaio 2012 – Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Nel calendario liturgico ambrosiano la festa odierna è fissata all’ultima domenica di gennaio. Quest’anno tiene il posto della IV domenica dopo l’Epifania. Il Lezionario riporta le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Isaia 45,14-17; Salmo 83 (84); Epistola: Ebrei 2,11-17; Vangelo: Luca 2,41-52. Nella messa vigiliare del sabato viene letto Giovanni 20,11-18 come Vangelo della Risurrezione.
Lettura del profeta Isaia (45,14-17)
14Così dice il Signore: «Le ricchezze d’Egitto e le merci dell’Etiopia e i Sebei dall’alta statura passeranno a te, saranno tuoi; ti seguiranno in catene, si prostreranno davanti a te, ti diranno supplicanti: “Solo in te è Dio; non c’è n’è altri, non esisteranno altri dei”». 15Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele, salvatore. 16Saranno confusi e svergognati quanti s’infuriano contro di lui; se ne andranno con vergogna quelli che fabbricano idoli. 17Israele sarà salvato dal Signore con salvezza eterna. Non sarete confusi né svergognati nei secoli, per sempre. Il brano fa parte del cosiddetto “libro delle consolazioni”, comprendente i capitoli dal 40 al 55, nei quali viene annunziato il ritorno in patria degli esiliati in Babilonia e la ricostruzione di Gerusalemme, che al v. 14 viene cantata come luogo dove dovranno convenire e radunarsi tutte le nazioni della terra che giungeranno a riconoscere che solo in essa vi è Dio! Di lui, però, il v. 15 confessa la trascendenza che non gli impedisce di intervenire concretamente nella storia per umiliare gli idolatri e salvare il suo popolo Israele (vv. 16-17).
Lettera agli Ebrei (2,11-17)
11Fratelli, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, 12dicendo: «Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi»; 13e ancora: «Io metterò la mia fiducia in lui»; e inoltre: «Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato». 14Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, 15e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. 16Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. 17Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.
Il brano insiste sulla superiorità di Gesù Cristo, uomo-Dio, già sviluppata nel primo capitolo, nei precedenti vv. 1-10 e di cui si afferma la stretta comunione di lui, «che santifica» con coloro che «sono santificati» e che giustamente sono dichiarati «fratelli» (v. 11).
Fratellanza che viene sviluppata ai vv. 12-13 con il commento al salmo 22,23 e il riferimento a Isaia 8,17. Anche i vv. 14 e 15 insistono sulla stretta comunione con i santificati avendo egli assunto «il sangue e la carne» ossia la natura umana in tutta la sua portata in vista della liberazione dell’umanità soggetta al potere diabolico e al terrore della morte.
Lettura del Vangelo secondo Luca (2,41-52)
41In quel tempo i genitori del Signore Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo?Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. 51Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua mare custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Il brano conclude i racconti lucani dell’infanzia di Gesù ed è ambientato nell’annuale viaggio che Maria e Giuseppe compivano a Gerusalemme per le feste di pasqua (v. 41) con la precisazione dell’età di Gesù, dodici anni, con la quale l’adolescente assumeva gli obblighi dell’adulto quanto all’osservanza della Legge (v. 42).
I vv. 43-45 riferiscono della volontaria permanenza di Gesù a Gerusalemme oltre i tre giorni della solennità pasquale, dell’angosciosa ricerca che di lui fanno Maria e Giuseppe, i quali decidono di ritornare a Gerusalemme. Il v. 46 parla del ritrovamento di Gesù che comincia a svolgere la sua missione di insegnare, qui addirittura ai maestri della Legge, suscitando, come precisa il v. 47, lo stupore e l’ammirazione di quanti erano testimoni di quella scena non certo usuale.
I vv. 48-49 riportano il dialogo di Gesù «con i suoi genitori», in realtà con Maria che gli manifesta tutta l’angoscia provata a causa della sua scomparsa provocando una risposta di non facile interpretazione. In essa, per la prima volta, Gesù afferma di avere Dio come Padre e di intrattenere con lui un rapporto che supera quello che lo lega alla sua famiglia terrena.
Di qui la non comprensione da parte di Maria e Giuseppe di quanto era accaduto e delle parole di Gesù (v. 50), quasi a sottolineare che anche per le persone più vicine egli resta come un enigma che si risolve nel progressivo cammino di fede in lui e nella sua parola. È quanto avviene in Maria che «custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (v. 51).
Il v. 51 ci dice ancora che Gesù dopo ciò fa ritorno a Nazaret e, come ogni bimbo di questo mondo, sta sottomesso ai suoi genitori e compie la sua formazione sotto ogni aspetto: «sapienza, età e grazia» (v. 52). Commento liturgico-pastorale Collocata nel tempo liturgico “Dopo l’Epifania”, la festività odierna illumina ulteriormente il mistero dell’incarnazione del Figlio unico di Dio evidenziandone la realtà e la concretezza. Egli infatti «venendo ad assumere la nostra condizione di uomini, volle far parte di una famiglia per esaltare la bellezza dell’ordine» creato all’inizio da Dio e «riportare la vita famigliare alla dignità alta e pura delle sue origini» (Prefazio).
Della famiglia di Gesù va messa in luce l’unicità e l’esemplarità rispetto alle nostre famiglie. L’unicità è data anzitutto dal fatto che Dio, in essa ha «collocato le arcane primizie della redenzione del mondo» (Prefazio). Essa infatti rientra nei piani divini che contemplano la venuta nel mondo del Figlio Unigenito come realizzatore delle promesse fatte a Davide di stabilire per sempre il suo trono e il suo regno ovvero di portare salvezza all’intera umanità. L’Unigenito di Dio doveva così venire nel mondo come vero uomo nascendo da una donna, la vergine Maria e, per il tramite di Giuseppe, fare parte della stirpe e della casa di Davide!
L’Epistola, assegnando a Gesù l’opera di redenzione e di liberazione degli uomini che Dio ritiene come figli, motiva l’incarnazione dell’Unigenito del Padre con la necessità di «rendersi in tutto simile ai fratelli» (Ebrei 2,17) che doveva liberare. Chiara allusione alla sua Pasqua di morte e di risurrezione e che, a ben guardare, fa da sfondo al brano evangelico oggi proclamato. Da esso risulta che tutti i componenti della famiglia di Nazaret accettano consapevolmente il volere di Dio su di essi.
Gesù in perfetta totale adesione alle “cose del Padre suo” (Luca 2,49), Maria e Giuseppe con un sì e un’obbedienza senza riserve, anche se non sempre e non subito hanno compreso ciò che Gesù «aveva detto loro» (Luca 2,50). Di qui l’esemplarità della Santa Famiglia per tutte le famiglie, così declinata nel Prefazio: «Nella casa di Nazaret regna l’amore coniugale intenso e casto; rifulge la docile obbedienza del Figlio di Dio alla Vergine Madre e a Giuseppe, l’uomo giusto a lei sposo; e la concordia dei reciproci affetti accompagna la vicenda di giorni operosi e sereni».
Potremmo dire che il segreto della Santa Famiglia è, di conseguenza, l’obbedienza alla volontà di Dio. È proprio l’accettazione della volontà di Dio e dei suoi grandiosi progetti sulla famiglia e sui suoi singoli componenti a far sì che tutte le famiglie si regolino al loro interno e nelle più ampie relazioni avendo come norma suprema «la legge dell’amore evangelico» (Orazione Dopo la Comunione).
È la legge che evidenzia la speciale vocazione della famiglia e le consente di sperimentare quei «dolci affetti» che sostengono nel non facile cammino della vita e che rendono più agevole da parte dei coniugi compiere «la loro missione di sposi e di educatori» e che inducono i figli a prestare loro quell’obbedienza che, appunto, «nasce dall’amore» (Orazione All’inizio dell’Assemblea liturgica).
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È caratterizzata, nella nostra tradizione liturgica ambrosiana, per la proclamazione evangelica del miracolo della moltiplicazione dei pani inteso come segno epifanico del mistero di Cristo.
Il Lezionario
Prevede: Lettura: Numeri 11,4-7.16a.18-20.31-32a; Salmo 104 (105); Epistola: 1 Corinzi 10,1-11b; Vangelo: Matteo 14,13b-21. Il brano di Marco 16,1-8a viene proclamato nella messa vigiliare del sabato come Vangelo della Risurrezione.
Lettura del libro dei Numeri (11,4-7.16a.18-20.31-32a)
In quei giorni. 4La gente raccogliticcia, in mezzo a loro, fu presa da grande bramosia, e anche gli Israeliti ripresero a piangere e dissero: «Chi ci darà carne da mangiare? 5Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cetrioli, dei cocomeri, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. 6Ora la nostra gola inaridisce; non c’è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna». 7La manna era come il seme di coriandolo e aveva l’aspetto della resina odorosa. 16aIl Signore disse a Mosè: 18«Dirai al popolo: “Santificatevi per domani e mangerete carne, perché avete pianto agli orecchi del Signore, dicendo: Chi ci darà da mangiare carne? Stavamo così bene in Egitto! Ebbene, il Signore vi darà carne e voi ne mangerete. 19Ne mangerete non per un giorno, non per due giorni, non per cinque giorni, non per dieci giorni, non per venti giorni, 20ma per un mese intero, finché vi esca dalle narici e vi venga a nausea, perché avete respinto il Signore che è in mezzo a voi e avete pianto davanti a lui, dicendo: Perché siamo usciti dall’Egitto?». 31Un vento si alzò per volere del Signore e portò quaglie dal mare e le fece cadere sull’accampamento, per la lunghezza di circa una giornata di cammino da un lato e una giornata di cammino dall’altro, intorno all’accampamento, e a un’altezza di circa due cubiti sulla superficie del suolo. 32aIl popolo si alzò e tutto quel giorno e tutta la notte e tutto il giorno dopo raccolse le quaglie.
Il brano si riferisce al dono della manna (Esodo 16,2-31) che ogni notte cadeva sull’accampamento del popolo di Israele in marcia nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto e l’alleanza al Sinai. I vv. 4-7 riportano le lamentele del popolo che brama di avere carne da mangiare al punto da rimpiangere la precedente condizione di schiavitù in terra egiziana.
Nei vv. 18-20 si ode il rammarico di Dio nei riguardi del suo popolo che lo ha respinto e al quale, comunque, promette che mangerà la carne tanto desiderata. I vv. 31-32a infatti descrivono il prodigio dell’arrivo sull’accampamento di un numero incalcolabile di quaglie che il popolo si affrettò a raccogliere con ingordigia «tutto quel giorno e tutta la notte e tutto il giorno dopo», come se diffidasse della prodigalità di Dio più volte sperimentata.
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (10,1-11b)
1Non voglio che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, 2tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, 3tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, 4tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. 5Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto. 6Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono. 7Non diventate idolatri come alcuni di loro, secondo quanto sta scritto: il popolo sedette a mangiare e a bere e poi si alzò per divertirsi. 8Non abbandoniamoci all’impurità, come si abbandonarono alcuni di loro e in un solo giorno ne caddero ventitremila. 9Non mettiamo alla prova il Signore, come lo misero alla prova alcuni di loro, e caddero vittime dei serpenti. 10Non mormorate, come mormorano alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. 11Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento.
Nei primi quattro versetti l’Apostolo evoca i prodigi operati da Dio in favore del suo popolo liberato dalla schiavitù d’Egitto: la nube che li accompagnava nella loro marcia nel deserto (Esodo 13,21; 14,24) era il segno della sua presenza protettrice; il passaggio del Mar Rosso (Esodo capitoli 14 e 15); il cibo miracoloso donato da Dio: manna e quaglie (Esodo 16) così come l’acqua dalla roccia (Esodo 17 e Numeri 20) identificata dall’Apostolo nella persona di Cristo.
Il v. 5 mostra come purtroppo il popolo, pur in presenza di prodigi così grandi, non si è mantenuto fedele a Dio meritando giusta punizione. Di qui l’esortazione dell’Apostolo a non cadere negli stessi errori del popolo d’Israele andando così incontro alla punizione divina (vv. 6-11b).
Lettura del Vangelo secondo Matteo (14,13b-21)
In quel tempo. 13bIl Signore Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. 14Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. 15Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». 17Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». 18Ed egli disse: «Portatemeli qui». 19E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. 20Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. 21Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
Il brano si apre al v. 13 con la partenza di Gesù, via lago, verso «un luogo deserto» dopo aver saputo dell’uccisione di Giovanni Battista da parte del re Erode Antipa (vv. 1-12) e dove le folle tuttavia lo raggiungono. Il v. 14 mette in luce la compassione di Gesù verso la gente che lo segue che si concretizza nella guarigione dei loro malati.
Il v. 15 avvia il racconto della prima moltiplicazione dei pani ricordata dall’evangelista Matteo (cfr. 15,32-38) con il dialogo tra i discepoli e Gesù che li invita a sfamare loro stessi la folla (v. 16) e si fa portare i cinque pani e i due pesci (vv. 17-18).
La loro moltiplicazione è scandita da alcuni gesti del Signore che ritroviamo nella preghiera eucaristica: prese i cinque pani e i due pesci; alzò gli occhi al cielo; recitò la benedizione; spezzò i pani e li diede ai suoi discepoli e questi alla folla.
Il racconto si conclude ai vv. 20-21 con la constatazione dell’eccezionale numero della gente sfamata e della sovrabbondanza del gesto di Gesù: «Tutti mangiarono a sazietà»; con i pezzi avanzati vengono riempite «dodici ceste piene», numero, questo, dell’abbondanza, della completezza e della definitività del dono divino.
Commento liturgico-pastorale
La tradizione orante della nostra Chiesa ambrosiana ai “segni” epifanici di Cristo quali la rivelazione ai Magi, il Battesimo al Giordano, l’acqua mutata in vino alle nozze di Cana, aggiunge in modo originale quello della moltiplicazione dei pani. A questi doni sublimi allude il Prefazio quando rivolgendosi a Dio afferma: «Nessun momento mai trascorre senza i doni del tuo amore, ma in questi giorni, dopo che abbiamo rivissuto la venuta tra noi del Signore Gesù e tutti i prodigi della redenzione, si fa più chiara e viva la coscienza delle passate gioie e dei beni presenti».
Quello della moltiplicazione dei pani è un evento cristianamente interpretato come compimento del prodigio della manna fatta piovere da Dio sul suo popolo in marcia nel deserto (vedi Lettura) e ben noto all’Apostolo Paolo che lo cita tra gli eventi dell’Esodo nell’Epistola oggi proclamata. Se nel deserto, attraverso la mediazione di Mosè, Dio viene incontro alle lamentele del suo popolo donando con la manna anche le quaglie, ora è il suo Figlio che si rivela dotato degli stessi poteri di Dio e attento alle necessità anche terrene di quanti lo seguono.
Il testo evangelico parla espressamente dell’intima compassione avvertita da Gesù per la gente che lo cerca e viene loro incontro con la guarigione dei malati e soprattutto con il dono di un cibo prodigioso da lui procurato a partire dai cinque pani e i due pesci recuperati dai discepoli. Ben si addicono perciò a lui le parole riservate a Dio: «Misericordioso e pietoso è il Signore. Egli dà il cibo a chi lo teme, si ricorda sempre la sua alleanza» (Canto Al Vangelo).
Se il gesto compiuto da Gesù si riallaccia agli eventi dell’Esodo, questi risultano ora nettamente superati in quanto il cibo da lui distribuito, a ben guardare, rimanda a un cibo non materiale che egli darà e che noi sappiamo essere il suo Corpo e il suo Sangue, nutrimento di vita eterna.
A tale interpretazione eucaristica ci spingono infatti i gesti di Gesù sottolineati con i verbi: prese i pani; alzò gli occhi al cielo; recitò la benedizione; spezzò i pani e li diede ai discepoli. Sono i gesti e i verbi che accompagnano il momento culminante di quella Cena, l’ultima, nella quale il Signore, prima di consegnarsi alla morte, per tutti noi donò se stesso come cibo e bevanda di salvezza nei segni del pane e del vino.
Con la moltiplicazione dei pani e dei pesci Gesù si rivela pertanto pari del Dio dell’Esodo, il capo e la guida non di un popolo soltanto ma dell’intera umanità. Per amore o compassione di essa, infatti, è venuto a noi dal Padre, si è chinato premuroso a guarire le ferite dell’uomo con la predicazione del Vangelo e ha donato un cibo capace di sostenerlo nel cammino attraverso il deserto di questa vita terrena sino alla vita eterna ovvero alla comunione con lui e con il Padre. Un cibo che egli continua a donare con sovrabbondanza nella sua Parola e nei santo misteri che la sua Chiesa non cessa di annunziare e celebrare.
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Concluso il tempo di Natale con la festa del Battesimo del Signore prende avvio il tempo “dopo l’Epifania” che si prefigge di sviluppare i diversi “misteri” concentrati nella solennità del 6 gennaio e che ci accompagnerà fino alla Quaresima. In questa domenica si legge sempre il Vangelo delle nozze di Cana, che è uno dei momenti “epifanici” sottolineati dalla nostra tradizione liturgica.
Il Lezionario
Riporta i seguenti brani: Lettura: Isaia 25,6-10a; Salmo 71 (72); Epistola: Colossesi 2,1-10a e il Vangelo: Giovanni 2,1-11 comune per il ciclo triennale. Luca 24,1-8 è proclamato quale Vangelo della Risurrezione nella Messa vigiliare del sabato.
Lettura del profeta Isaia (25,6-10a)
In quei giorni. Isaia disse: 6«Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. 7Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. 8Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. 9E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, 10poiché la mano del Signore si poserà su questo monte”».
Il brano segue immediatamente al canto di ringraziamento (vv. 1-5) per le opere di Dio capace di annientare una grande città nemica del suo popolo. Qui invece si espone la grandezza dei disegni di Dio che chiama tutti i popoli della terra ad accorrere a Gerusalemme per godere dei suoi doni descritti nell’immagine del banchetto (v. 6) e che culminano nell’eliminazione della morte e del dolore (v. 8).
Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (2,1-10a)
Fratelli, 1voglio che sappiate quale dura lotta devo sostenere per voi, per quelli di Laodicea e per tutti quelli che non mi hanno mai visto di persona, 2perché i loro cuori vengano consolati. E così, intimamente uniti nell’amore, essi siano arricchiti di una piena intelligenza per conoscere il mistero di Dio, che è Cristo: 3in lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza. 4Dico questo perché nessuno vi inganni con argomenti seducenti: 5infatti, anche se sono lontano con il corpo, sono però tra voi con lo spirito e gioisco vedendo la vostra condotta ordinata e la saldezza della vostra fede in Cristo. 6Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate, 7radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie. 8Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo. 9È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, 10e voi partecipate della pienezza di lui.
Nel brano si evidenzia la preoccupazione dell’Apostolo perché i fedeli delle giovani Chiese da lui fondate mantengano integra la fede che si poggia su Gesù Cristo (vv. 2-3). Per questo li mette in guardia da mentalità seducenti (v. 4), sulle quali tornerà al v. 8, capaci di sviare dalla fede in Cristo. Al contrario occorre perseverare nella fede e rimanere “radicati” e costruiti su Cristo Gesù (vv. 6-7).
Lettura del Vangelo secondo Giovanni (2,1-11)
In quel tempo. 1Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù, con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». 6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». 11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Il brano evangelico si premura di collocare il racconto nel terzo giorno che succede ai primi due caratterizzati dalla chiamata dei primi discepoli (vv. 35-51) e di ambientarlo in una festa di nozze nella città di Cana in Galilea senza trascurare di nominare tra gli invitati la madre di Gesù, Gesù stesso e i suoi discepoli (vv. 1-2).
I vv. 3-5 sottolineano il protagonismo della madre di Gesù che sollecita da lui un intervento a motivo dell’improvvisa mancanza di vino. L’apparente risposta negativa di Gesù che si rivolge alla madre con l’appellativo “donna”, da lui ripreso nel momento della sua morte (cfr. Giovanni 19,26), è motivata dal fatto che «non è ancora giunta la mia ora» (v. 4). L’ “ora” di Gesù è quella della sua “glorificazione” sulla Croce con il conseguente ritorno al Padre.
Di fatto Gesù interviene ordinando di riempire di acqua le anfore, di cui viene precisato il numero: sei, e la capienza: «da ottanta a centoventi litri l’una» (v. 6). Segue la constatazione da parte del direttore del banchetto della bontà del vino fatta notare allo sposo (vv. 9-10).
L’evangelista non trascura di sottolineare che colui che dirigeva il banchetto «non sapeva da dove venisse» quel vino: un non sapere, una non conoscenza che dice la necessità di aprire il cuore alla fede di Gesù, il rivelatore unico di Dio.
Il v. 11 precisa che questo «fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù» appunto per rivelare la sua identità e per sollecitare a credere in lui come hanno prontamente fatto i suoi discepoli.
Commento liturgico-pastorale
In questa seconda domenica le divine scritture ci invitano a guardare a Gesù che alle nozze di Cana, mutando l’acqua in vino, dà inizio ai segni rivelatori della sua identità e sollecita l’adesione di fede in lui.
Il segno di Cana vuole espressamente dire che in Gesù, nella sua Persona, sono finalmente arrivati “i tempi messianici”. Questi sono caratterizzati dall’invito rivolto a tutte le genti a prendere parte alla gioiosa comunione di vita con Dio profeticamente significata nel «banchetto di cibi succulenti e di vini raffinati» (Cfr. Lettura) e ora possibile nel suo Unico Figlio.
La partecipazione alla vita divina ha come conseguenza lo strappo del “velo” e della “coltre” che grava sull’umanità. Si tratta del velo dell’ignoranza di Dio a motivo dell’incredulità e della coltre funerea stesa sul mondo a causa del peccato, che impedisce agli uomini di conoscerlo sperimentando il suo amore, capace di eliminare «la morte per sempre», di asciugare «le lacrime su ogni volto» di far scomparire «l’ignominia del suo popolo» (Lettura).
Tutto ciò viene da Dio conseguito con l’invio nel mondo del suo Figlio e, segnatamente, nel mistero della sua morte e risurrezione, le cui conseguenze salvifiche vengono partecipate a quanti credono in lui come hanno fatto Maria e i suoi discepoli alle nozze di Cana (Vangelo).
La fede in lui è il presupposto per andare oltre i “segni” e cogliere nel Signore “il mistero di Dio” nel quale, come scrive l’Apostolo, «sono nascosti tutti i tesori della sapienza e delle conoscenza» fino ad arrivare a credere che «È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Epistola). Sicché proprio dalla pienezza di Cristo è possibile attingere i doni divini insperati quali la comunione con Dio stesso e il conseguente superamento del dominio del male, del peccato e della morte. La preghiera liturgica ascrive tutto ciò alla “potenza” e alla “gloria eterna” ovvero al progetto di salvezza concepito da Dio Padre al quale così si rivolge: «Tu per alleviarci le fatiche della vita ci hai confortato con l’esuberanza dei tuoi doni e per richiamarci alla felicità primitiva ci hai mandato dal cielo Gesù Cristo tuo Figlio e Signore nostro» ( Prefazio).
Nella celebrazione eucaristica, mentre alimentiamo la nostra fede nel Signore, veniamo «radicati e costruiti su di lui» (Epistola) e fatti sedere al banchetto del suo corpo e del suo sangue, sperimentiamo l’esuberanza dei doni divini significati dal «Pane di vita» che ci rende «capaci di conseguire i beni eterni offerti alla nostra speranza» (Orazione Dopo la Comunione).
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La prima domenica dopo il 6 gennaio è dedicata alla celebrazione del Battesimo del Signore come “epifania” o manifestazione di Gesù quale Figlio unico di Dio e salvatore del mondo. Con questa festa si conclude il tempo liturgico di Natale e prende quindi avvio quello “Dopo l’Epifania”.
Il Lezionario
La Lettura: Isaia 55,4-7, il Salmo 28 (29) e l’Epistola: Efesini 2,13-22 vengono proclamate ogni anno mentre, per il corrente anno B, il Vangelo è preso da Marco 1,7-11. Alla Messa vigiliare del sabato sera viene letto Marco 16,9-16 come Vangelo della Risurrezione.
Lettura del profeta Isaia (55,4-7)
Così dice il Signore Dio: 4«Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni. 5Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo d’Israele, che ti onora. 6Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. 7L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona».
Il brano conclude la seconda parte del libro di Isaia con un’ultima esortazione ai membri del popolo a prendere parte ai beni della rinnovata alleanza in seguito al ritorno dall’esilio babilonese e ad essere testimone presso tutti i popoli della terra dei doni divini (vv. 4-5). Nei vv. 6-7 spicca l’invito alla conversione della mente e della condotta approfittando della vicinanza benevola di Dio.
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (2,13-22)
Fratelli, 13in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.
14Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. 15Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, 16e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. 17Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. 18Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.
19Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, 20edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. 21In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; 22in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.
Il brano mette in luce la riconciliazione dei giudei e dei pagani fra di loro e con Dio come frutto della salvezza operata in Cristo ovvero, come viene detto al v. 13, «grazie al suo sangue», quello della sua Croce. In particolare nei vv. 14-15 si parla della riconciliazione tra il popolo di Dio, Israele, e i popoli pagani che la Croce del Signore ha fatto «una cosa sola». I vv. 16-18 parlano della riconciliazione degli uni e degli altri con Dio sempre «per mezzo della Croce» con la quale ha eliminato ogni «inimicizia tra Dio e gli uomini». I vv. 19-22 infine indicano le felici conseguenze per gli uomini dell’opera di salvezza compiuta dal Signore: «non più stranieri né ospiti» ma «concittadini dei santi e familiari di Dio» (v. 19), edificati su Cristo come «pietra d’angolo» (v. 20) per diventare «tempio santo del Signore» (v. 21) «abitazione di Dio per mezzo dello Spirito» (v. 22).
Lettura del Vangelo secondo Marco (1,7-11)
In quel tempo, Giovanni 7proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». 9Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. 10E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. 11E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
I vv. 7-8 riferiscono il contenuto essenziale della predicazione del Battista riguardante il Messia, del quale proclama la superiorità parlando di lui come del «più forte», detentore del battesimo «in Spirito Santo». I vv. 9-11 infine riportano l’evento “storico” del battesimo di Gesù “illustrato” dalla visione dei cieli che si aprono (v. 10) permettendo così allo Spirito di scendere e di posarsi su di lui. Alla visione segue «una voce dal cielo» (v. 11), quella di Dio che rivela l’identità di Gesù che è il Figlio, “l’amato”!
Commento liturgico-pastorale
La presente festa è da comprendere in continuità con la grande solennità dell’Epifania celebrata il 6 gennaio. Il battesimo di Gesù è, in realtà, l’evento “epifanico” per eccellenza in quanto risultano coinvolte in esso le Tre Divine Persone. La preghiera liturgica ambrosiana ama mettere in luce il ruolo delle singole Persone Divine nel battesimo al Giordano a iniziare dal Padre che in esso ha «manifestato il Salvatore degli uomini» e si è rivelato «padre della luce» (Prefazio I). Il Padre dunque è il protagonista di ciò che avviene sulle rive del Giordano. È Lui, infatti, a «schiudere i cieli» mentre il Figlio si immergeva nelle sue acque che vengono così “consacrate”. È Dio, il Padre che in esse ha «vinto le potenze del male» e ha indicato «il Figlio unigenito, su cui in forma di colomba era apparso lo Spirito Santo» (Prefazio I). Ed è proprio la solenne proclamazione e indicazione di Gesù come il Figlio, quello unico, quello amato, il vertice della rivelazione trinitaria al Giordano.
In lui si adempie la parola profetica relativa al popolo d’Israele costituito da Dio «testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni» (Lettura). Gesù, dunque, è punto di convergenza attorno al quale nei disegni divini i popoli e le nazioni tutte della terra sono destinate a radunarsi. Si tratta di un mirabile progetto ideato nel cuore della Trinità e ora visibile e riscontrabile nettamente nel Figlio unico mandato nel mondo a portare il “compiacimento” ovvero la benevolenza di Dio del quale Egli è detentore e dispensatore.
In lui l’umanità intera che ancora oggi si presenta divisa e lacerata è destinata a diventare una sola cosa! È quanto ha scritto l’Apostolo nell’Epistola oggi proclamata: «Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini». L’Apostolo, è vero, si riferisce al popolo d’Israele , i vicini e ai popoli pagani , i lontani!
In realtà viene aperta una prospettiva di ricomposizione dell’umanità in «un solo uomo nuovo» che è appunto il Signore Gesù, anzi «in un solo corpo» che è quello formato da lui e dall’intera umanità. Di tutto ciò i credenti cominciano a fare reale esperienza nella partecipazione ai sacramenti pasquali del Battesimo e dell’Eucaristia.
L’acqua del Battesimo, da Dio benedetta «mediante la santificazione dello Spirito» offre ai credenti la remissione di ogni peccato e genera figli di Dio, destinati alla vita eterna. Ciò che avviene per quanti con fede si immergono nell’acqua battesimale è davvero straordinario: «Erano nati secondo la carne, camminavano per la colpa verso la morte; ora la vita divina li accoglie e li conduce alla gloria dei cieli» (Prefazio), che consiste esattamente nella rigenerazione a figli di Dio nell’Unico Figlio. Partecipando quindi alla mensa eucaristica del suo Corpo e del suo Sangue, «sacrificio perfetto che ha purificato il mondo da ogni colpa» (Orazione Sui Doni), osiamo domandare al Padre del cielo di renderci «fedeli discepoli del tuo Figlio unigenito perché possiamo dirci con verità ed essere realmente tuoi figli» (Orazione Dopo la Comunione). Saremo allora credibili nell’annunciare il messaggio orante che contiene il significato profondo dell’Epifania al Giordano: «Tutto il mondo è santificato nel battesimo di Cristo e sono rimessi i nostri peccati. Purifichiamoci tutti nell’acqua e nello Spirito» (Canto Alla Comunione).
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