3 luglio 2011 – III domenica dopo Pentecoste


1. La terza domenica “dopo Pentecoste”
   

Nella graduale riproposizione della storia della salvezza che ha il suo culmine nella Pasqua del Signore Gesù questa domenica presenta la creazione dell’uomo come segno dell’amore di Dio che avrà la sua piena manifestazione nel dono del suo Figlio unigenito. Il Lezionario, di conseguenza, propone: Lettura: Genesi 2,4b-17; Salmo: 103; Epistola: Romani 5,12-17; Vangelo: Giovanni 3,16-21. Alla Messa vespertina del sabato il Vangelo della risurrezione è preso da Marco 16,1-8a. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XIV domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.    


2. Vangelo secondo Giovanni 3,16-21    

In quel tempo. Il Signore Gesù 16disse a Nicodemo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».    


3. Commento liturgico-pastorale
   

Il brano fa parte del discorso di Gesù a Nicodemo che l’evangelista dice essere uno dei “notabili giudei” (Gv 3,1). In particolare i versetti oggi proclamati, conclusivi del discorso, appaiono in verità come un monologo, un parlare di Gesù tra sé e sé, il quale – dopo aver annunziato ciò che lo attende: il suo “innalzamento” ovvero la sua morte sulla Croce (vv. 13-15), iscritta nel più ampio disegno salvifico di Dio al quale sta molto a cuore il mondo (vv. 16-18) – pone all’ascoltatore la necessità di schierarsi davanti a lui (vv. 19-21).

In particolare il v. 16a dice la motivazione che soggiace all’invio del Figlio da parte di Dio: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». Si tratta di un’affermazione di decisiva importanza perché su di essa poggia l’intero progetto divino di salvezza e ogni suo sviluppo. Una parola quindi da assaporare e da accogliere nella profondità del nostro spirito e sulla quale fondare l’intera nostra esistenza di credenti.

Dio dunque “ama il mondo” ossia l’intera umanità e per questo nutre nel suo cuore un progetto di salvezza e di vita per attuare il quale “manda” il suo Figlio unico. I vv. 16b-17 dicono le finalità essenziali di tale invio. La prima delle quali è il dono della “vita eterna”, da intendere come comunione profonda con Dio che è già qui avviata in colui che “crede” nel Figlio inviato! è questa, perciò, la “salvezza” che il Figlio viene a portare e che ha come conseguenza pratica, per chi crede, di sfuggire al “giudizio” ossia di non andare incontro alla “condanna”.

Come avviene per il dono della “vita eterna” che è fin d’ora accordata a colui che accoglie il Figlio mandato nel mondo, così è del “giudizio” che è già dato da ora come condanna per chi “non crede” ovvero non accoglie Gesù!

In sintesi, chi “crede” ha fin d’ora la “vita eterna”, chi “non crede” va incontro fin da ora al giudizio di condanna che, in ultima analisi, consiste nella privazione della comunione di vita con Dio e, di conseguenza, alla rovina eterna, alla morte!

L’ultima parte, perciò, del nostro brano (vv. 19-21) mette tutti noi che ascoltiamo la parola evangelica davanti a una scelta: “credere o non credere” nel Figlio unico inviato dal Padre e alle conseguenze che da essa concretamente derivano.

Comprendiamo, alla luce delle sublimi parole del Signore, come tutto procede dall’amore assoluto di Dio. Questi manda l’unico suo Figlio per recare all’uomo la “luce”, ovvero la “rivelazione” che reclama la nostra adesione di fede. E nella fede ci fa fin d’ora partecipi della vita divina. D’altra parte la parola del Signore ci fa capire che tutto è lasciato alla libera decisione dell’uomo, il quale è invitato a rifuggire dalle tenebre dell’incredulità e ad aprirsi alla fede nel Figlio unigenito di Dio.

Proclamato nel peculiare contesto liturgico del tempo “dopo Pentecoste”, il brano evangelico vuole soprattutto mettere in luce il mistero di per sé incomprensibile della bontà di Dio e dell’incrollabile sua volontà salvifica nei confronti dell'uomo, per la cui realizzazione non esita a “dare” il suo Figlio, quello unico, quello che lui “ama”.

L’iniziale rivelazione trasmessa nelle Scritture veterotestamentarie documenta come l’amore di Dio per l’uomo  ha la sua prima essenziale manifestazione nel “plasmarlo” come “un essere vivente” mediante il “soffio “ di vita a lui concesso e nel collocarlo in un “meraviglioso giardino” (Cfr: Lettura: Genesi 2,7-8).

Tutto ciò va considerato e compreso come un annunzio rivelatore di quell’amore di Dio testimoniato in modo insuperabile dall’aver “dato” per l’uomo il suo Figlio unico portatore della “vita eterna” che in lui e per mezzo di lui Dio vuole donare al “mondo”.

Un amore questo che non viene meno di fronte alla trasgressione da parte dell’uomo del comando di Dio (Genesi 2,17) e che, stando al commento dell’Apostolo ha sì introdotto «il peccato nel mondo e, con il peccato, la morte» (Epistola: Romani 5,12), ma ha dato modo a Dio di riversare su tutti gli uomini in maniera sovrabbondante il “dono” di grazia   «concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo» (Romani 5,15d).

La preghiera del Prefazio traduce il potente annunzio udito nelle Scritture in una preghiera di ringraziamento e di lode che fa discendere, nel dono eucaristico, quella pienezza di vita e di grazia che Dio ha riversato e non cessa di riversare sul mondo nel suo unico Figlio. Così infatti ci rivolgiamo al Padre che,  “con sapienza mirabile”, ha redento il mondo “nel sangue di Cristo”:  «Amandoci oltre ogni nostro pensiero e ogni attesa, hai inviato al mondo il tuo Figlio unigenito perché nell’umiliazione della morte in croce riconducesse alla gloria l’uomo che dalla tua bontà era stato creato e per la propria superbia si era perduto».

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26 giugno 2011 – II domenica dopo Pentecoste


1. La seconda domenica dopo Pentecoste
   

Con questa domenica si fa evidente la proposta del Lezionario ambrosiano per il presente tempo liturgico, vale a dire quella di ripercorrere l’intera storia della salvezza prevista nel cuore della Trinità, attuata nella Pasqua del Signore, prolungata dalla grazia dello Spirito che riempie di efficacia la predicazione evangelica e l’economia sacramentale con al centro l’Eucaristia. I brani biblici oggi offerti sono: Lettura: Siracide 17,1-4.6-11b.12-14; Salmo: 103; Epistola: Romani 1,22-25.28-32; Vangelo: Matteo 5,2.43-48. Nella Messa vespertina del sabato viene proclamato Luca 24,1-8 come Vangelo della risurrezione.  Le orazioni e i canti sono quelli della XIII Domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.


2. Vangelo secondo Matteo 5,2.43-48   

In quel tempo. 2Il Signore Gesù si mise a parlare e insegnava loro dicendo. 43Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.    


3. Commento liturgico-pastorale    

Il brano evangelico oggi proclamato fa parte del più ampio discorso della montagna avviato dalle beatitudini (Mt 5,1-16) e dalla solenne dichiarazione riguardante ciò che Gesù è venuto a compiere sulla terra: portare a compimento “la legge e i profeti” (v. 17).

Di fatto, nel suo discorso, Gesù chiede ai suoi ascoltatori una “giustizia” superiore a quella di scribi e farisei (v. 20), ossia una obbedienza e una fedeltà al volere di Dio più grande. Di questa “giustizia” si tratta anche nel brano odierno che prende l’avvio dal detto di Gesù sull’amore del prossimo (v. 43).

A tale riguardo Gesù cita un passo della Scrittura (Levitico 18,18) che prescrive di “amare” il proprio amico e di “odiare” il proprio nemico ossia di non interessarsi e di non prendere a cuore le sorti di un avversario.

L’insegnamento di Gesù supera di gran lunga la citata prescrizione vetero-testamentaria e dice con tutta chiarezza che l’amore deve essere esteso fino ad abbracciare anche i “nemici”. Una simile estensione dell’amore denota in chi è in grado di praticarlo la sua somiglianza e la sua origine da Dio stesso, in pratica la condizione filiale che traduce il comportamento stesso di Dio che, unico, è il “misericordioso”, al punto da non avere preferenze di persone, ma di riversare su tutti la grandezza della sua bontà: «egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (v. 45).

I vv. 46-47 dicono in concreto come deve essere intesa la “giustizia più grande” che Gesù esige da coloro che lo seguono e che lui, per primo, ha praticato offrendo tutto di sé non per i buoni o i giusti, ma per i suoi nemici, per chi lo tradisce e lo uccide, per coloro che percorrono la via malvagia del peccato.

Si comprende, così, l’esortazione finale a essere «perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (v. 48), la cui “perfezione” vale a dire l’amore senza misura e senza richiesta di reciprocità in qualche modo si rende evidente nella creazione dell’uomo da lui rivestito «di una forza pari alla sua» e formato a «sua immagine» (Lettura: Siracide 17,3). Perfezione nell’amore che è stata fatta brillare davanti alla storia e al mondo nel suo Figlio crocifisso, dato proprio per la salvezza del mondo.

Va detto e ripetuto con chiarezza e determinazione che l’osservanza di queste parole del Signore è ciò che caratterizza essenzialmente i discepoli di Gesù in ogni tempo. è evidente, d’altra parte, che nessuno è in grado di perseguire con le sole sue forze la pienezza della carità. Si tratta di una “capacità” che possediamo “per grazia” essendo stati rigenerati dallo Spirito come “figli” di quel Padre buono e magnanimo  con tutti che Gesù ci ha rivelato.

Lo Spirito Santo, perciò, perennemente attivo nel cuore della Chiesa spinge ogni discepolo del Signore non solo a guardarsi «da ogni ingiustizia» (Siracide 17,14) , ma soprattutto ad accogliere il dono della “giustizia” più grande, quella che assimila al Figlio unigenito, che nel suo amore senza limiti rende accessibili a tutti l’invisibile mistero di Dio che è amore.

È proprio questa l’“adeguata conoscenza” di Dio di cui parla l’Epistola paolina (Romani 1,28) che ci salva dal diventare “stolti” al punto di adorare e servire le creature anziché il Creatore (v. 25) e da quella “intelligenza depravata” che porta inevitabilmente a commettere quelle “azioni indegne” enumerate dall’Apostolo  e significativamente così concluse: ”senza cuore, senza misericordia” (vv. 28-31). Si tratta , a ben guardare, di una perfezione nella malvagità.

La celebrazione eucaristica - che ci permette di “vedere” e di toccare con mano  l’amore senza misura di Dio che è il suo Figlio crocifisso - è il luogo dove ci è dato di crescere nella perfezione della carità e di  esprimere il nostro ammirato stupore: «Ogni epoca tramanda, o Dio, le tue opere e proclama le tue gesta mirabili. Dolce nella memoria resta il ricordo della tua bontà e l’esultanza per la tua giustizia» (Antifona  All’Ingresso).

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23 giugno 2011 – Corpo e Sangue di Cristo


1. Il giovedì successivo alla prima Domenica dopo Pentecoste
   

E' il giorno dedicato fin dal Medioevo alla celebrazione dell’odierna solennità legata alla contemplazione e all’adorazione della presenza vera, reale e sostanziale del Signore Gesù nel sacramento dell’altare. La nostra tradizione liturgica ambrosiana propone per la solennità un proprio ciclo di lezioni bibliche e un formulario completo di orazioni e di antifone nel Messale.      

  • Il Lezionario
Per l’anno A prevede come Lettura: Deuteronomio 8, 2-3.14b-16°, che evoca la cura di Dio per il suo popolo in marcia nel deserto, al quale offre in cibo la “manna” figura profetica del “pane eucaristico”. Il Salmo 147 celebra la grandezza dei doni di Dio al suo popolo, mentre l’Epistola 1Corinzi 10,16-17 mette in luce come il “calice” e il “pane” eucaristici sono fondamento dell’unità dei fedeli in “un solo corpo”.  Il brano evangelico che viene qui riprodotto è preso da Giovanni 6,51-58:      

In quel tempo. 51Il Signore Gesù disse alle folle dei Giudei: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».    
52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la  vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.
57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato  me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
     

Il v. 51 riporta le parole di autorivelazione del Signore che si dichiara il «pane vivo disceso dal cielo» in grado di nutrire per la vita eterna a differenza della “manna” di cui si legge nella Lettura. Segue, a partire dal v. 53, provocata dalla domanda dei Giudei, un’ulteriore chiarificazione dell’affermazione iniziale con la quale Gesù fa dipendere la “vita” eterna, ovvero la vita di comunione con Dio, dal “mangiare” la sua “carne” e dal “bere” il suo sangue. Un simile nutrimento reca in chi lo mangia la garanzia della risurrezione ed è principio di comunione stabile di vita con Gesù espressa con il verbo “dimorare”.

Il brano si conclude al v. 58 con la ripresa della dichiarazione iniziale sul “pane disceso dal cielo” e la conseguente affermazione sull’effetto della sua manducazione: la vita eterna.   Il Messale    

  • Il Messale
Riportiamo qui l’orazione A conclusione della Liturgia della Parola e il canto Alla Comunione, propri della liturgia ambrosiana:  

- A conclusione della Liturgia della Parola    
«Accendi in cuore, o Dio, il desiderio del cielo e dona una sete ardente di vita eterna a  noi che ci siamo radunati a onorare con profonda venerazione il mistero del corpo e del sangue di Cristo Signore, che vive e regna nei secoli dei secoli».  

- Alla  comunione    
«Ti lodiamo, Signore onnipotente,
glorioso re di tutto l’universo.
Ti benedicono gli angeli e gli arcangeli, ti lodano i profeti con gli apostoli.
Noi ti lodiamo, o Cristo, a te prostrati, che venisti a redimere i peccati.
Noi ti invochiamo, o grande Redentore, che il Padre ci mandò come pastore.
Tu sei il Figlio di Dio, tu il Messia che nacque dalla vergine Maria.
Dal tuo prezioso sangue inebriati, fa’ che siamo da ogni colpa liberati».

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19 giugno 2011 – Santissima Trinità


1. La prima Domenica dopo Pentecoste


E' dedicata alla celebrazione della solennità della Santissima Trinità. Le lezioni bibliche, a partire da questa domenica e sino alla conclusione del presente Anno liturgico, sono  reperibili nel III Libro del Lezionario ambrosiano dal titolo Mistero della Pentecoste. Oggi sono previsti i seguenti brani: Lettura: Esodo 3,1-15; Salmo 67: Epistola: Romani 8,14-17; Vangelo: Giovanni 16,12-15. Nella Messa vespertina del sabato viene letto: Marco 16,9-16, quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Giovanni 16,12-15    

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: 12«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da sé stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.    


3. Commento liturgico-pastorale    

Il brano evangelico contiene l’ultimo “insegnamento” sullo Spirito Santo, impartito da Gesù ai suoi discepoli nel discorso di “addio” pronunciato nel Cenacolo di Gerusalemme. Il v. 12 si riferisce all’opera di rivelazione compiuta da Gesù che, stando alle sue parole, non è del tutto completa perché i suoi discepoli non sono ancora in grado di aprirsi totalmente a essa.

Dal v. 13 al v. 15 le parole di Gesù spostano l’attenzione sul Paraclito indicato come “Spirito della verità” e sulla sua venuta nella comunità dei discepoli nell’ora del suo ritorno al Padre. L’azione dello Spirito nella comunità dei discepoli è descritta al v. 13 come un compito di “guidare a tutta la verità”, portare cioè a conoscenza dei discepoli quanto lo Spirito ha udito da Gesù (v. 14) e fare partecipi i discepoli di ciò che appartiene propriamente al solo Gesù (v. 15).

La funzione di “guidare a tutta la verità” consiste perciò nel donare ai  discepoli di comprendere in pieno ciò che Gesù ha detto e ha fatto nella sua vita terrena sino all’ora suprema della sua “glorificazione” sulla croce. Riguarda anche la capacità di guardare a Gesù come al “Figlio glorificato” e al quale il Padre ha dato ogni potere in cielo e in terra.

Con queste parole pronunciate nella sua “ultima cena” Gesù intende, tramite i discepoli, riferirsi a tutti coloro che avrebbero creduto in lui, formando in tal modo la sua Chiesa. Il Signore, pertanto, si riferisce anche a tutti noi e ci assicura che, essendo già in atto il tempo dello Spirito, siamo in grado di “ascoltare”  e di “accogliere” “tutta la verità” ossia l’intera rivelazione che è stata portata nel mondo dal Figlio di Dio e che ha il suo centro nel mistero della sua morte e risurrezione.

Lo Spirito infatti tramite l’ascolto delle divine Scritture di cui è l’autore, ci dona in realtà di udire in esse come viva e attuale la parola stessa di Gesù. Lo Spirito Santo, del resto, non ha un suo “messaggio” personale. Egli ci «dirà tutto ciò che avrà udito» da Gesù, ossia dal Figlio il quale, a sua volta, dice le parole che ha udito dal Padre.

Lo Spirito Santo inoltre comunicherà al cuore dei credenti l’intelligenza delle “cose future” ovvero quanto accade lungo il volgere dei secoli e soprattutto li metterà a contatto di tutta la ricchezza di grazia e di vita divina che il Figlio possiede. Cosa questa che si attua concretamente e sommamente nella celebrazione eucaristica.

In una parola, lo Spirito Santo che fino alla fine dei secoli compirà la sua funzione di guida della comunità dei credenti, renderà viva in essa “tutta la verità”, vale a dire il mistero di Dio rivelato e portato a compimento dal Signore Gesù.

Mistero la cui iniziale rivelazione a Mosè dal fuoco del roveto ardente «e che non si consuma» (cfr. Lettura: Esodo 3,2), ci presenta un Dio che ha a cuore un rapporto concreto con l’uomo, un Dio che si rivela attento e vicino a suo popolo, un Dio che non esita a intervenire di persona a favore del suo popolo (cfr. Esodo 3,7-10).

Mistero che, essendo stato “confidato” al Figlio, è stato da lui annunziato e attuato nella sua Pasqua come mistero di grazia e di salvezza per ogni uomo.

Mistero  dunque dell’amore paterno di Dio che è brillato nel suo Figlio fatto uomo, in Gesù di Nazaret, e che lo Spirito assicura essere il nostro destino al punto di spingerci a gridare: «Abbà! Padre!» (Epistola: Romani 8,15c). Comprendiamo così come nell’inaccessibile mistero della vita di Dio, Trinità Santissima, ha origine il mirabile disegno divino di salvezza, storicamente realizzato nell’incarnazione del Figlio unigenito e sommamente nella sua Pasqua e che consiste nel fare di ogni uomo un “figlio” nel Figlio, grazie all’incessante efficace azione del suo Santo Spirito.

Radunati per la celebrazione dei divini misteri, veniamo dallo Spirito guidati alla pienezza della verità che tutti ci riguarda e da lui fatti partecipi di ciò che è proprio di Gesù, vale a dire della relazione filiale con il Padre, facciamo salire dal cuore della Chiesa la confessione di fede: «Questa è la fede cattolica: credere in un solo Dio nella Trinità beata e adorare la Trinità nell’unico Dio» (Canto Alla Comunione).

Con la professione di fede sale dal cuore della Chiesa la preghiera di lode e di adorazione: «Sia lode al Padre che regna nei cieli e al Figlio che è sovrano con lui; cantino gloria allo Spirito Santo tutte le creature beate» (Canto Dopo il Vangelo).

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12 giugno 2011 – Domenica di Pentecoste


La solennità di Pentecoste
   

Celebra il mistero dell’effusione dello Spirito Santo che è il “dono” dato da Dio alla Chiesa come frutto della Pasqua del suo Figlio, coronata con il suo “ritorno” al Padre. Con questa solennità si conclude il Tempo Pasquale. Nella tradizione liturgica della nostra Chiesa ambrosiana l’importanza dell’odierna solennità è resa visibile dalla Liturgia vigiliare vespertina e naturalmente dalla Messa “nel giorno”.  

1. Liturgia vigiliare vespertina    
Viene celebrata la sera del sabato ed è organizzata sul modello della Veglia pasquale comprendente un’ampia proclamazione di scelti brani biblici e la celebrazione dell’Eucaristia.      

  • L'ordinamento delle letture bibliche
Sono previste quattro letture prese dall’Antico Testamento: Genesi 11,1-9; Esodo 19,3-8.16-19; Ezechiele 37,1-14; Gioele 3,1-5. Esse rappresentano l’annunzio “profetico” del “dono” dello Spirito Santo frutto della Pasqua del Signore Gesù. Ad esse segue l’Epistola: 1Corinzi 2,9-15a nella quale l’Apostolo afferma che, grazie al dono dello  Spirito noi tutti possiamo arrivare a «conoscere ciò che Dio ci ha donato» nel suo Figlio. Il brano evangelico è preso da Giovanni 16,5-14:      

In quel tempo. 5Il Signore Gesù diceva ai suoi discepoli: «Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. 6Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore. 7Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi. 8E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. 9Riguardo al peccato, perché non credono in me; 10riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; 11riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato.     12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da sé stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.        

Con queste parole Gesù intende preparare i suoi discepoli al distacco da lui, segnato con il suo ritorno “da colui che lo ha mandato”. Essi così come anche noi che con fede seguiamo il Signore non siamo abbandonati a noi stessi, nella nostra incapacità a “portare il peso” della rivelazione del Signore. Al contrario, una volta tornato al Padre, Gesù “manderà” alla sua Chiesa lo Spirito Santo Paràclito, il quale, «conoscendo le profondità di Dio» secondo le parole dell’Apostolo (Epistola: 1Corinzi 2,10) è, lo “Spirito della verità” che le permetterà di comprendere in tutta la sua portata e in tutte le sue conseguenze salvifiche la “verità”, vale a dire la rivelazione recata dal Verbo di Dio fatto uomo, Gesù di Nazaret, crocifisso, risorto e asceso al Cielo.       

  • Il formulario della Messa
Comprende le orazioni, il prefazio e i canti ovvero le antifone che scandiscono la celebrazione eucaristica. Di questo “tesoro” orante riproduciamo l’orazione A conclusione della Liturgia della Parola e il Prefazio.  

A conclusione della Liturgia della Parola  
  
«A chi per la forza della tua grazia e per l’azione trasformante dello Spirito Santo è interiormente rinato nel Battesimo, dona, o Padre, di vivere senza pentimenti e senza stanchezza come figli del regno dei cieli».  

Prefazio    
«E' veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, renderti grazie, Dio onnipotente. A coloro che nella comunione di vita col Signore risorto hai prescelto a diventare tuoi figli, tu concedi, o Padre, con l’effusione dello Spirito Santo i tuoi doni di grazia, portando a compimento il mistero pasquale e anticipando al popolo dei credenti le primizie dell’eredità eterna, che sono chiamati a condividere con Cristo redentore. Così diviene tanto più certa la loro fiducia di incontrarsi con lui nella gloria, quanto più chiara è per essi la coscienza del loro riscatto, e l’esperienza dello Spirito è più inebriante e più viva».    

2. La Messa “nel giorno”    
E' quella che si celebra la domenica e propone un distinto ordinamento delle letture bibliche e di un proprio formulario.      

  • L'ordinamento delle letture bibliche
La Lettura: Atti degli Apostoli 2,1-11 riporta il racconto dell’evento della Pentecoste, culmine della Pasqua. Il Salmo 103 è cantato intercalando il ritornello: «Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra». L’Epistola: 1Corinzi 12,1-11 illustra i “doni” recati dallo Spirito “per il bene comune”. Primo dei doni è quello di poter affermare con piena consapevolezza: «Gesù è il Signore», vale a dire il vincitore della morte, il vero unico salvatore.

Il brano evangelico è preso da Giovanni 14,15-20 l’evangelista che ci ha accompagnato nella preparazione quaresimale alla Pasqua (dalla II Domenica) fino a oggi.      

In quel tempo. 15Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.

Prima di separarsi dai suoi, Gesù promette loro che una volta tornato al Padre si prenderà a cuore la loro situazione ottenendo l’invio dello Spirito Santo che succederà a lui nell’ufficio di “paràclito” ossia di assistenza e guida “per sempre”.

Anche oggi, perciò, noi che formiamo la Chiesa del Signore, non possiamo e non dobbiamo sentirci “orfani”! Gesù è continuamente vivo e presente tra noi grazie all’azione dello Spirito che rende viva la sua Parola e attiva il dono di sé compiuto dal Signore una volta per tutte sulla croce principio della nostra comunione con lui e, tramite lui, con il Padre.

  • il formulario della Messa
      Vengono qui riportati il Prefazio che esalta la ricomposizione di fede e di amore dell’intera umanità opera della Pasqua del Signore e che lo Spirito Santo estende, dilata e realizza incessantemente fino alla fine dei tempi; e il canto Allo Spezzare del Pane che riporta le sublimi parole del Signore riguardanti l’effetto del dono dello Spirito nei credenti (cfr. Giovanni 7,37-39).  

Prefazio    
«E' veramente cosa buona e giusta renderti grazie, o Dio di infinita potenza, e allietarci in questo giorno solenne, che, nel suo numero sacro e profetico, ricorda arcanamente la raggiunta pienezza del mistero pasquale. Oggi la confusione che la superbia aveva portato agli uomini è ricomposta in unità dallo Spirito Santo. Oggi gli apostoli, al fragore improvviso che viene dal cielo, accolgono la professione di un’unica fede e, con diversi linguaggi, a tutte le genti annunziano la gloria del tuo Vangelo di salvezza. Per questa effusione dello Spirito esulta la Chiesa ardente di riconoscenza e d’amore, e, unendo la sua voce di sposa al coro senza fine del cielo, eleva, a te, o Padre, con tutte le creature felici il suo inno di lode».  

Allo Spezzare del Pane    
«Nell’ultimo giorno della festa Gesù proclamava:
“Dal seno di chi crede in me
scaturiranno fiumi d’acqua viva”.
Questo disse parlando dello Spirito
che avrebbero ricevuto i credenti in lui, alleluia, alleluia».

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5 giugno 2011 – domenica dopo l’Ascensione

1. La settima domenica di Pasqua    

Intende porre in evidenza come, dopo l’Ascensione, la presenza del Signore va essenzialmente ricercata nel raduno eucaristico della Chiesa. Per questo il Lezionario prescrive le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Atti degli Apostoli 1,9a.12-14; Salmo 132; Epistola: 2Corinzi 4,1-6; Vangelo: 24,13-35. Nella Messa vespertina del sabato viene proclamato: Giovanni 20,1-8 quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Luca 24,13-35    

13In quello stesso giorno due discepoli erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Cleopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere  e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui.     28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.      


Commento liturgico-pastorale    

Il brano si riallaccia a ciò che leggiamo al v. 11 riguardante il sostanziale rifiuto da parte degli apostoli e dei discepoli a dare credito a ciò che avevano loro riferito “le donne” a proposito dell’incontro con il Risorto presso il sepolcro.

Anche i due discepoli protagonisti dell’odierno racconto, come è facile riscontrare al v. 21, non danno credito alla testimonianza delle donne. Essi sono presentati mentre, in cammino verso Emmaus, parlano tra di loro degli eventi tragici accaduti in Gerusalemme al loro Maestro, vale a dire la sua morte in croce e la scoperta della sua tomba vuota (v. 14). Senza ulteriori precisazioni viene detto che «Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro» (v. 15), ma, come è facile capire, non erano in grado di riconoscere Gesù (v. 16) a motivo della loro poca fede che li ha gettati nella delusione e nello sconforto.

Alla domanda a essi rivolta dallo sconosciuto compagno di viaggio (v. 17) segue ai vv. 21-24 la risposta di uno dei discepoli che rappresenta un annunzio “evangelico” incentrato sulla condanna a morte di Gesù, che essi sono per ora in grado di definire come «profeta potente in opere  e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo» (v. 19) e a quanto sembra come il Messia atteso quale liberatore potente e restauratore del Regno d'Israele.

Al v. 24 apprendiamo che anche altri “discepoli” pur avendo visto il sepolcro vuoto come avevano detto le donne, vivono la stessa delusione dei due mesti viandanti e rimangono chiusi all’adesione di fede a quanto il Signore aveva pure tante volte detto loro circa l’ineluttabilità della sua “morte” e, dunque, della sua risurrezione, peraltro, annunziata dai Profeti.

Proprio questo è il compito assunto dal misterioso compagno di viaggio: ricordare loro, non senza averli rimproverati come «stolti e lenti di cuore a credere» (v. 25) come il Cristo “doveva patire queste cose», quelle che essi avevano richiamate al viandante (v. 20) vale a dire le sofferenze, il ripudio della sua gente e la morte obbrobriosa sulla croce e che, in realtà, sono il passaggio per «entrare nella sua gloria», quella del Signore risorto.    
Con queste parole il Signore apre ai due discepoli di Emmaus l’intelligenza delle Scritture, rivelatrici essenzialmente dei divini disegni di salvezza, che hanno la loro sintesi e il loro compimento nella Pasqua di morte e di risurrezione del Figlio unigenito.

Questo atteggiamento del Signore è stato così consegnato alla Chiesa, la quale specialmente nel suo raduno eucaristico legge e interpreta autorevolmente le Scritture alla luce dell’“insegnamento” ricevuto dallo stesso suo Signore e continuamente reso vivo in essa dal dono dello Spirito Santo.

Una chiara testimonianza in tal senso è oggi data nel Prefazio che rilegge così il mistero della nostra salvezza in Cristo: «Per riscattare la famiglia umana il Signore Gesù si degnò di nascere in mezzo a noi e vinse il mondo con il suo dolore e la sua morte. Risorgendo nella gloria, ci aprì il cammino della vita eterna e nel mistero della sua ascensione ci ridonò la speranza di entrare nel regno dei cieli».

Si comprende così l’ardire dei due viandanti che quasi costringono il loro interlocutore a “restare” con loro, essendo oramai calata la notte (v. 29), nella quale è lecito vedere qualcosa di più della concreta mancanza di luce. è l’intera comunità dei credenti che attraversando i tempi sperimenta l’ora oscura della prova, della persecuzione e, perciò, supplica il Signore: «Resta con noi, perché si fa sera».

L’intero racconto ha il suo culmine nei vv. 30-32 che mostrano Gesù a mensa con i due discepoli nell’atto di compiere quei gesti a essi familiari, quali il prendere il pane nelle sue mani, pronunziare su di esso la preghiera di benedizione, spezzarlo e distribuirlo. Sono questi i gesti che hanno aperto “i loro occhi” e sono i gesti che nel raduno eucaristico aprono i nostri occhi, ovvero ci donano di riconoscere in quel pane spezzato e donato il Signore Gesù che ha “sofferto” e che è “entrato nella sua gloria” mostrando così anche a tutti i suoi discepoli la “via”.

Se la spiegazione delle Scritture apre l’intelligenza della fede, sono le parole e i santi segni eucaristici a permettere di “vedere” il Signore e ad avvertire un fuoco d’amore per lui che, come avviene per i due discepoli, dà le ali al nostro cuore e all’esigenza insopprimibile di annunziare ciò che abbiamo “ascoltato” e “visto” e che ci fa dire: «Davvero il Signore è risorto» (v. 34).

La mensa attorno alla quale siedono Gesù e i due discepoli, pertanto, sta all’origine di ogni adunanza dei credenti. La Lettura infatti mostra la prima comunità formata anzitutto dagli apostoli come perseveranti e concordi nel raduno e nella preghiera insieme «ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (Atti degli Apostoli 1,14).

A questa comunità noi ancora guardiamo e a essa ci ispiriamo quando non anteponiamo alcuna cosa al nostro stare insieme, non solo fisicamente ma uniti nel cuore e nello spirito, perché il Signore continui a far ardere il nostro cuore mentre ascoltiamo le divine Scritture, a stare con noi nell’ora oscura della storia, a offrirci il pane di vita che è il suo corpo offerto sulla croce e che ora vive immortale.

A tale proposito accogliamo il monito dell’apostolo Paolo che, esortandoci a cercare unicamente sul volto di Cristo, il Crocifisso|Risorto, la «conoscenza della gloria di Dio» ci avverte di non farci accecare la mente dal «dio di questo mondo», in modo da poter annunciare con efficacia «lo splendore del glorioso Vangelo di Cristo che è immagine di Dio» (Epistola: 2Corinzi 4,3.6).       

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2 giugno 2011 – Ascensione del Signore


1. La solennità dell’Ascensione

Celebra il compimento della Pasqua con il ritorno del Signore vittorioso al Padre dal quale “era venuto” per la nostra salvezza. La recente riforma del Calendario liturgico della nostra Chiesa ambrosiana (2008) ha sapientemente riportato questa grande solennità nel “quarantesimo giorno” della letizia pasquale, segnata dalla gioia della presenza del Risorto tra i suoi ai quali promette, una volta tornato al Padre, di mandare lo Spirito Santo per tener viva la sua Parola e l’efficacia della sua Pasqua fino alla consumazione dei tempi. L’importanza dell’odierna solennità nella nostra tradizione liturgica è riscontrabile nella proposta di una speciale Lettura vigiliare per la Messa vespertina che inaugura la solennità e nei due formulari completi per questa Messa e per la Messa “nel giorno”.


1. Messa della Vigilia

Presentiamo le letture bibliche e il formulario liturgico.

Le letture bibliche
Sono caratterizzate dalla Lettura vigiliare presa dagli Atti degli Apostoli 1,1-11 . Essa riporta l’“insegnamento” del Signore risorto impartito ai suoi, ai quali «si mostrò vivo... durante quaranta giorni», e riguardante “il regno di Dio” da lui inaugurato con la sua Pasqua e che la Chiesa grazie alla “forza dello Spirito Santo”, dovrà annunciare ed estendere “fino ai confini della terra”. Il brano si conclude con il racconto dell’ascensione e dell’annunzio ai discepoli di “due uomini in bianche vesti” che annunciano il ritorno del Signore dal cielo nel giorno della Parusia, alla fine dei tempi. L’Epistola e il Vangelo sono quelli della Messa “nel giorno”.

Il formulario della Messa
Proponiamo l’orazione All’inizio dell’Assemblea Liturgica e il Prefazio che rende grazie a Dio perché nell’ascensione il suo Figlio porta “a compimento il tuo disegno di grazia”.

All'inizio dell’Assemblea Liturgica
«Concedi a noi, Padre onnipotente, di tendere con tutte le nostre forze alle altezze del cielo, dove il tuo Figlio oggi è entrato glorioso, e donaci di pervenire con l’integrità della vita là dove si dirige il cammino della fede».

Prefazio
«È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, esaltarti, o Padre, sempre e specialmente in questo giorno, in cui Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, portò a compimento il tuo disegno di grazia. Così fu vinto e umiliato il demonio, e fu restituito al genere umano lo splendore dei doni divini».


2. Messa “nel giorno”

Presenta un proprio ordinamento delle Letture bibliche e un proprio formulario liturgico.

Le letture bibliche

La Lettura
:
Atti degli Apostoli 1,6-13a completa ciò che è stato letto nella Lettura vigiliare, dicendo che gli apostoli, testimoni dell’elevazione “in alto” del loro maestro e Signore, una volta tornati a Gerusalemme, «salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi». Si tratta di un particolare di grande importanza perché il loro essere riuniti insieme è immagine della Chiesa, quella del Signore, sulla quale egli ha promesso di far scendere “la forza dello Spirito Santo” che la abilita a “dare testimonianza” a Gesù ovunque e fino al suo ritorno “glorioso” dal cielo.

L’Epistola:
Efesini 4,7-13 sottolinea come il Signore «asceso in alto ha portato con sé prigionieri» ossia l’intera umanità schiava del peccato, di satana, della morte, e da lui liberata nel mistero della sua Pasqua. Contemporaneamente egli ha distribuito doni agli uomini mediante, s’intende, il “dono” dello Spirito Santo.


Il Vangelo, infine, è preso da Luca 24,36b-53:

In quel tempo. 36BIl Signore Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma . 38Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». 40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. 44Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». 45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». 50Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su in cielo. 52Ed essi di prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Il brano segue immediatamente quello dei due discepoli di Emmaus. Esso appare diviso in tre parti: nella prima (vv. 36-43) viene narrata l’apparizione del Signore agli Undici e ai discepoli radunati insieme, nella quale si dà a conoscere nella verità di Crocifisso/Risorto, il Vivente.

Nella seconda parte (vv. 44-49) come già con i discepoli di Emmaus, Gesù «aprì loro la mente per comprendere le Scritture» che concordano nell’annunziare come il Cristo, ossia il Messia, «patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno», secondo l’ineffabile disegno di Dio di universale salvezza.

Nei versetti finali (50-53) l’evangelista riferisce l’evento glorioso dell’Ascensione del Signore che produce nel cuore dei discepoli “grande gioia” e la lode a Dio.


Il formulario della Messa
Riportiamo soltanto l’orazione A Conclusione della Liturgia della Parola e il Prefazio che condividiamo con la tradizione liturgica romana.

A Conclusione della Liturgia della Parola
«Guarda, o Padre, a quale dignità è stato oggi elevato l’uomo che tu creasti; continua a purificarci con la tua grazia e a renderci ogni giorno più degni del mistero del tuo amore infinito».

Prefazio
«È veramente cosa buona e giusta che tutte le creature si uniscano nella tua lode, o Dio di infinita potenza. Gesù tuo Figlio, re dell’universo, vincitore del peccato e della morte, oggi è salito al di sopra dei cieli tra il coro festoso degli angeli. Mediatore tra Dio e gli uomini, giudice del mondo e Signore dell’universo, non ci ha abbandonato nella povertà della nostra condizione umana, ma ci ha preceduto nella dimora eterna per darci la sicura speranza che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria».

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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