26 febbraio 2012 – Domenica inizio Quaresima


Nella tradizione liturgica ambrosiana la Quaresima inizia con questa domenica, sesta prima di Pasqua e si conclude al Giovedì Santo. Essa ha il compito di preparare all’annuale solenne celebrazione della Pasqua mediante la memoria del Battesimo e l’esercizio della Penitenza.


Il Lezionario

Le lezioni scritturistiche per il tempo quaresimale sono reperibili nel secondo Libro del Lezionario Ambrosiano intitolato: Mistero della Pasqua del Signore. Caratteristica di questa prima domenica è la proclamazione in ogni anno del Vangelo delle tentazioni del Signore secondo Matteo 4,1-11 mentre, per il corrente anno B, la Lettura è presa da Isaia 57,15-58,4a; il Salmo 50 (51) e l’Epistola da 2 Corinzi 4,16b-5,9. Alla messa vigiliare del sabato si proclama Marco 16,9-16 quale Vangelo della Risurrezione.


Lettura del profeta Isaia (57,15-58,4a)

In quei giorni. Isaia disse: 15«Così parla l’Alto e l’Eccelso, che ha una sede eterna e il cui nome è santo. “In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi. 16Poiché io non voglio contendere sempre né per sempre essere adirato; altrimenti davanti a me verrebbe meno lo spirito e il soffio vitale che ho creato. 17Per l’iniquità della sua avarizia mi sono adirato, l’ho percosso, mi sono nascosto e sdegnato; eppure egli, voltandosi, se n’è andato per le strade del suo cuore. 18Ho visto le sue vie, ma voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni. E ai suoi afflitti 19io pongo sulle labbra: ‘Pace, pace ai lontani e ai vicini – dice il Signore – e io li guarirò’”. 20I malvagi sono come un mare agitato, che non può calmarsi e le cui acque portano su melma e fango. 21“Non c’è pace per i malvagi”, dice il mio Dio. 1Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce come il corno, dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati. 2Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: 3“Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?”. Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affanni, angariate tutti i vostri operai. 4Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi”».
 
L’argomento centrale dei vv. 15-21 riguarda l’atteggiamento amorevole e premuroso di Dio verso gli oppressi e gli umiliati (v. 15), la sua disponibilità a lasciar cadere il giudizio e il castigo sul suo popolo peccatore (vv. 16-17); egli invece vuole sanarlo, guidarlo, consolarlo (vv. 18-19). I primi quattro versetti del cap. 58 avviati dal comando del Signore al Profeta di «dichiarare al mio popolo i suoi delitti» (v. 1), riguardano l’urgenza di dare spessore interiore alle pratiche religiose come quella del digiuno, delle quali si parlerà diffusamente nei vv. 5-7.


Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (4,16b-5,9)

Fratelli, 16bse anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. 17Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: 18noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne. 1Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. 2Perciò in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste 3purché siamo trovati vestiti, non nudi. 4In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. 5E chi ci ha fati proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito. 6Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – 7camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, 8siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. 9Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi.

Il brano riprende la parte conclusiva (vv. 16-18) del cap. IV, nella quale l’Apostolo parla delle speranze e delle tribolazioni che deve affrontare nello svolgimento del suo ministero, che consiste essenzialmente nell’annuncio del Vangelo del Signore Gesù Cristo.

Qui, in particolare, si mette in parallelo il progressivo inarrestabile decadimento della vita fisica (uomo esteriore), motivato anche dalle fatiche apostoliche e, al contrario, il contemporaneo progresso dell’uomo interiore (v. 16), vale a dire dell’uomo che si è rivestito di Cristo e nel quale abita il suo Spirito.

Di conseguenza l’Apostolo è pronto ad affrontare la tribolazione, che sa di breve durata e consistenza se messa in raffronto alla «gloria smisurata ed eterna» (v. 17) che attende ogni fedele ministro del Vangelo che concentra tutta la sua vita sulle realtà invisibili, vale a dire sulla partecipazione al trionfo del Signore crocifisso e risorto (v. 18). Il discorso viene esteso nei vv. 1-9 del cap. V a tutti i credenti, in attesa anch’essi di ricevere «una dimora non costruita da mani d’uomo» (v. 1), ossia un corpo e un’esistenza celeste conforme a quella del Signore Risorto.

Si comprende allora il desiderio di «rivestirci della nostra abitazione celeste» (v. 2) ma senza essere “spogliati” di quella terrena, ossia senza passare attraverso la morte (v. 4). Del resto l’anelito alla vita è stato posto in noi da Dio con il dono dello Spirito al pari di una caparra (v. 5).

Di qui la concezione della vita terrena come un esilio che ci tiene separati dal Signore (vv. 6-8); comunque, occorre fare di tutto per essere trovati da lui graditi (v. 9) e stare così per sempre con lui.


Lettura del Vangelo secondo Matteo (4,1-11)

In quel tempo. 1Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». 5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». 7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». 8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». 11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Il presente brano segue immediatamente il racconto del battesimo al Giordano (Mt 3,13-17) e ad esso si riallaccia ponendo in primo piano l’azione dello Spirito nel condurre Gesù nel deserto per andare incontro alla tentazione da parte del diavolo, una parola greca che significa “colui che divide o distoglie” da Dio (v. 1).

Il v. 2, con allusione all’esperienza di Mosè al Sinai (Es 24,18; 34,28) e del profeta Elia nel deserto (1Re 19,8), riferisce che Gesù: «dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame». Su tale constatazione si iscrive la prima tentazione (vv. 3-4), che potremmo chiamare quella del pane.

Essa riguarda il “vero nutrimento” di cui l’uomo ha davvero bisogno per “vivere” e che, stando alla risposta di Gesù al tentatore, presa da Deuteronomio 8,3, consiste in «ogni parola che esce dalla bocca di Dio» e che è contenuta nelle Scritture.

La seconda è la tentazione del punto più alto del tempio (vv. 5-7) di Gerusalemme, dal quale Gesù viene invitato a gettarsi mettendo alla prova Dio stesso che, stando al Salmo 91,11-12 parzialmente citato dal diavolo, dovrebbe intervenire a sua protezione e custodia. La risposta di Gesù, presa da Deuteronomio 6,16, esclude di attendere da Dio un segno prodigioso per credere e obbedirgli.

La terza tentazione è quella del monte altissimo (vv. 8-10), dal quale il satana mostra a Gesù il suo regno, ovvero il mondo intero, e si dichiara disposto a cederlo a lui ad una condizione: che egli volti le spalle a Dio interrompendo così il suo rapporto filiale con lui!

Con la sua decisa risposta, presa da Deuteronomio 6,13, Gesù allontana da sé il tentatore e ribadisce la sua piena e definitiva obbedienza al Padre nella quale consiste l’adorazione e il vero culto a Dio. Il racconto si chiude al v. 11 con il satana che abbandona, sconfitto, il campo e con l’intervento degli angeli che si prendono cura di Gesù fornendogli il cibo.


Commento liturgico-pastorale

La lettura annuale del Vangelo delle tentazioni caratterizza la domenica di avvio della Quaresima e, di conseguenza, illumina l’intero cammino quaresimale verso la Pasqua di morte e risurrezione da compiere tenendo lo sguardo su Gesù, il Figlio obbediente, e vivendo di «ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

È il programma per i giorni quaresimali ed è il programma di vita per quanti desiderano «abitare presso il Signore» (Epistola: 2Corinzi 5,8b), ossia rivestirsi di lui per prendere definitivamente parte della sua gloria di cui abbiamo ricevuto la caparra nella rigenerazione battesimale.

Occorre però aver chiaro in mente che il cammino in vista del traguardo finale che la solenne celebrazione della Pasqua ogni anno ci fa intravedere, è un cammino contrassegnato da tribolazioni e da prove, dalle quali non è facile per noi uscire indenni e vincitori.

Bisogna riconoscere che non pochi soccombono sotto il peso anche momentaneo delle tribolazioni e delle tentazioni, come può essere l’esperienza drammatica della progressiva distruzione della «nostra dimora terrena» ossia della sofferenza, del decadimento fisico e, in ultimo, della morte.

Non pochi inoltre soccombono al male cedendo al fascino perverso del peccato che impedisce la comunione con Dio fonte della nostra vita. La pagina evangelica indica nel Signore Gesù la via per superare tribolazioni e prove. È la via dell’accoglienza autentica e profonda della Parola di Dio come norma del nostro vivere e agire in ogni situazione e in ogni esperienza che la vita ci presenta.

La Quaresima è perciò il tempo “favorevole” perché reimpostiamo l’intera nostra esistenza in base alla “giustizia”, ossia nell’ascolto attento e nell’obbedienza alla Parola. Dio stesso ci incoraggia a fare ciò rivelandosi come un Dio che non vuole «contendere sempre, né sempre essere adirato» (Lettura, Isaia 57,16) ma è deciso a sanarci, a guidarci e a offrirci consolazioni (cfr. Isaia 57,18).

Una simile consapevolezza deve mettere in moto nei singoli credenti e nell’intera Comunità ecclesiale la decisione di non camminare più per le strade del nostro cuore malvagio (cfr. Isaia 58), ma di volgere i nostri passi sulla via tracciata e percorsa per primo dal suo Figlio obbediente, così declinata dalla preghiera liturgica: «Prepariamoci con molta pazienza, con molte rinunce, con armi di giustizia,per grazia di Dio. Nessuno si faccia trovare, nel giorno della redenzione, ancora schiavo del vecchio mondo del peccato» ( Canto Dopo il Vangelo).

È la via che propone l’ascolto della Parola come “cibo” in grado di sostenerci fino al momento in cui saremo definitivamente “rivestiti” di Cristo, partecipi cioè della sua Risurrezione. Con l’ascolto della Parola viene inoltre proposto il digiuno, da intendere non tanto come privazione di alimenti materiali, ma come privazione e mortificazione del cuore cattivo chiuso nell’egoistica ricerca di sé e che ci estranea da Dio e ci rende alieni gli uni verso gli altri.

L’itinerario quaresimale contraddistinto dall’ascolto della Parola e dal digiuno in vista della carità, è reso possibile dalla sosta eucaristica domenicale. In essa «ritroviamo il Pane vivo e vero che, quaggiù, ci sostenta nel faticoso cammino del bene e, lassù, ci sazierà della sua sostanza nell’eternità beata del cielo» (Prefazio).

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19/02/12 – Ultima domenica dopo l’Epifania


Ultima Domenica dopo l’Epifania
 
È la domenica detta “del perdono” e precede immediatamente la Quaresima. Essa, pertanto, chiude, con il tempo dopo l’Epifania, il tempo liturgico avviato dall’Avvento e incentrato sul mistero dell’Incarnazione e della Natività del Signore.


Il Lezionario

Prescrive la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 54,5-10; Salmo: 129 (130); Epistola: Romani 14,9-13; Vangelo: Luca 18,9-14. Alla messa vigiliare del sabato viene letto Luca 24,13b.36-48 quale Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della VII domenica del Tempo “per annum” nel Messale Ambrosiano.


Lettura del profeta Isaia (54,5-10)

In quei giorni. Isaia disse: «5Tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo di Israele, è chiamato Dio di tutta la terra. 6Come una donna abbandonata e con l’animo afflitto, ti ha il Signore richiamata. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? Dice il tuo Dio. 7Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore. 8In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il redentore, il Signore. 9Ora è per me come ai giorni di Noè, quando giurai che non avrei più riversato le acque di Noè sulla terra; così ora giuro di non più adirarmi con te e di non farti più minacce. 10Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace; dice il Signore che ti usa misericordia».

Il brano si riferisce alla volontà di Dio di ristabilire Gerusalemme dopo la sua distruzione a opera dei Persiani (597 a.C.) e la deportazione del popolo. Il ristabilimento è qui indicato nella rappresentazione di Dio come Sposo del suo popolo (v. 5) che a causa della sua perversione viene abbandonato per «un breve istante». L’amore di Dio però è più grande e, perciò, torna a mostrarsi e a prendersi cura di esso «con affetto» perenne (vv. 7-8). Un affetto a cui Dio non verrà mai più meno per nessuna ragione (vv. 9-10).


Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (14,9-13)

Fratelli, 9per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi. 10Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci prostreremo al tribunale di Dio, 11poiché sta scritto: «Come è vero che io vivo, dice il Signore, ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio» 12Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso. 13Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non essere causa di inciampo o di scandalo al fratello.

Il contesto dal quale è preso il brano è quello riguardante l’esortazione rivolta dall’Apostolo ai fedeli di Roma ad avere carità gli uni verso gli altri accogliendosi nelle diversità di osservanza di alcune pratiche ascetiche come ad esempio il digiuno o l’astinenza da alcuni alimenti. La regola dunque è la rinuncia al giudizio e al disprezzo dell’altro (v. 10) nella consapevolezza che chi giudica tutti è solo Dio (vv. 11-12, cfr. Is 45,23; 49,18).


Lettura del Vangelo secondo Luca (18,9-14)

In quel tempo. Il Signore Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. 14Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».

Il v. 9 dice la motivazione della parabola con la quale Gesù stigmatizza il modo di pensare di alcuni nei quali, come si vedrà al v. 10, è facile riconoscere i farisei convinti di essere giusti davanti a Dio a motivo della formale e presunta osservanza della Legge. Per questo erano portati a sentirsi superiori e, quindi, al disprezzo degli altri.

A ben guardare la preghiera del fariseo (vv. 11-12) a partire dalla posizione eretta, è in realtà un’autoglorificazione e celebrazione della devota osservanza di alcuni precetti quali il digiuno e il pagamento assai generoso delle decime dovute al Tempio (cfr. Deuteronomio 14,22-29).

La preghiera del pubblicano (v. 13), appartenente a una categoria di gente con la quale il fariseo non aveva nessun contatto perché ritenuti legalmente peccatori, denota a partire dagli atteggiamenti esterni: la distanza che pone tra sé e Dio, la faccia a terra, il percuotersi il petto, la verità delle sue parole con le quali riconosce la sua condizione di peccatore e dunque l’abbandono alla misericordia di Dio.

La conclusione di Gesù al v. 14 ribalta le posizioni iniziali: chi stava eretto viene ora abbassato mentre chi si era posto in tutta umiltà viene esaltato ricevendo la giustificazione, ossia la gratuita certificazione del perdono datagli da Dio.


Commento liturgico-pastorale

Nel mistero del suo Natale il Signore si è manifestato nel mondo come il Figlio unico rivelatore di Dio e portatore del suo disegno di universale salvezza. Ciò che egli ha effettivamente compiuto nell’ora della sua Pasqua nella quale ha rivelato Dio stesso nel cui cuore arde l’amore per tutti gli uomini a lui sottratti dal potere del male che li soggioga.

Nella Lettura il profeta non esita a paragonare Dio a uno sposo che, a motivo dell’infedeltà della sua sposa, ossia Israele suo popolo, «in un impeto di collera» l’ha «abbandonata», le «ha nascosto il suo volto». Per poco, però, per un breve istante (Isaia 54,5-10). Al suo popolo Dio stesso rivela di sentire per lui «un affetto perenne» (v. 8) che lo porta ad avere pietà di lui sempre e comunque. Un affetto così grande che «Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto» (v. 10).

È questo incredibile affetto di Dio per il suo popolo come rappresentante dell’intero genere umano a indurlo a mostrare a tutti visibilmente il suo volto in Cristo suo Figlio: il volto di un Dio che largamente perdona e che a tutti vuole usare misericordia rinunziando a far ricadere, come ai tempi di Noè (Isaia 54,5-10) il meritato castigo.

Misericordia di cui ha bisogno ogni uomo senza eccezione dal momento che nessuno è in grado, con la sua forza, di ristabilire con Dio, tre volte Santo, quell’alleanza e quel rapporto di amore spezzato dall’infedeltà e dal peccato.

È quanto ha esemplarmente compreso il pubblicano protagonista della pagina evangelica che, pienamente consapevole della condizione infelice in cui si trova, non ha appigli, non ha giustificazioni a cui aggrapparsi ma, stando a debita e reverenziale distanza, con la faccia a terra, battendosi il petto si pone nelle mani della Misericordia. «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Vangelo: Luca 18,9-14).

Non così il fariseo che ama ostentare davanti a Dio e agli uomini la sua presunta giustizia, che lo porta addirittura a sostituirsi a Dio stesso in ciò che gli appartiene in esclusiva: il giudizio! Un atteggiamento questo da rifuggire all’interno dei rapporti interpersonali come ci insegna l’Apostolo avvertendoci che «tutti ci presenteremo al tribunale di Dio» davanti al quale «ciascuno di noi renderà conto di sé stesso a Dio» (Epistola: Romani 14,9-13).

Nell’imminenza della Quaresima, il tempo che ci spalanca davanti i divini misteri della nostra salvezza condensati nella Croce e nella Risurrezione del Signore, orientiamo il cuore, la mente e la vita di ogni giorno a lui, rivelatore del Padre che perdona. Impariamo così a riconoscere con tutta verità che al pari di ogni uomo, senza eccezione, siamo bisognosi del suo perdono segno del suo perenne affetto.

Un perdono che ci sorprende per generosità e assoluta gratuità e che mette più facilmente in moto il cammino di conversione e di ritorno a lui al quale ci invita proprio la Quaresima oramai vicina. Un cammino che ci vede al fianco di ogni uomo che, grazie all’autentica nostra testimonianza di fede e alla rinuncia di ogni pretesa di giudizio, si aprirà forse più facilmente alla indicibile meravigliosa certezza dell’amore sempre vivo e bruciante di Dio per tutti noi reso visibile nel Figlio.

È la testimonianza che hanno dato le nostre labbra all’avvio della celebrazione eucaristica domenicale: «Sperate in Dio, popoli di ogni luogo, aprite al suo cospetto il vostro cuore, egli è il nostro rifugio» (Canto All’Ingresso).

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12/02/12 - Penultima domenica dopo l’Epifania


12 febbraio 2012 – Penultima domenica dopo l’Epifania
 
E'  la domenica detta “della divina clemenza” destinata, con la prossima, a fare da ponte tra il mistero dell’Incarnazione e quello della Pasqua avviato dal tempo di Quaresima.
 

Il Lezionario
 
Sono riportati i seguenti brani: Lettura: Osea 6,1-6; Salmo 50 (51); Epistola: Galati 2,19-21 – 3,7; Vangelo: Luca 7,36-50. Nella messa vigiliare del sabato viene letto Luca 24,13-35 come Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti per la messa sono quelli della VI domenica del Tempo “per annum” nel Messale Ambrosiano.
 

Lettura del profeta Osea (6, 1-6)
 
Così dice il Signore: «1Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. 2Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza. 3Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l’aurora. Verrà a noi come la pioggia di autunno, come la pioggia di primavera, che feconda la terra». 4Che dovrò fare per te, Efraim, che dovrò fare per te, Giuda? Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce. 5Per questo li ho colpiti per mezzo dei profeti, li ho uccisi con le parole della mia bocca e il mio giudizio sorge come la luce: 6poichè voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti.
 
Il testo profetico di Osea si apre ai vv. 1-3 con l’esortazione di Dio al suo popolo a ritornare a lui pronto a “guarirlo” e a “fasciarlo” subito dopo averlo castigato. I vv: 4-5 riportano il lamento di Dio che vede l’instabilità del suo popolo, la cui adesione a lui è paragonata alla «nube del mattino» e alla «rugiada che all’alba svanisce» (v. 4). Per questo Dio lo “uccide” non con la spada ma con la sua parola, che rivela un Dio che vuole l’amore del suo popolo.


Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (2,19-21 – 3,7)

Fratelli, 19 mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, 20e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. 21Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano. 1O stolti Gàlati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso! 2Questo solo vorrei sapere da voi: è per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato la parola di fede? 3Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver cominciato nel segno dello Spirito, ora volete finire nel segno della carne? 4Avete tanto sofferto invano? Se almeno fosse invano! 5Colui dunque che vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della Legge o perché avete ascoltato la parola della fede? 6Come Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia, 7riconoscete dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede.
 
I vv. 19-21 concludono la parte della lettera nella quale san Paolo si difende dalle accuse di non essere un vero apostolo in quanto, al contrario di essi, non ha conosciuto e non è stato con Gesù. In particolare ai vv. 19-21 ribadisce che la Legge ha cessato il suo compito dal momento che Cristo, con la sua morte in croce, «ha consegnato sé stesso per me».

Da questo momento chi aderisce con fede al Signore Gesù, vive di lui, ed è dichiarato “giusto” agli occhi di Dio. Con i vv. 1-7 del cap. III l’Apostolo affronta con decisione proprio il problema della “giustificazione” e lo fa con un forte rimprovero ai fedeli della Galazia ai quali ha annunciato con tutta efficacia Gesù Cristo crocifisso, autore della giustificazione.

Com’è dunque possibile che essi, dopo aver ascoltato la parola della fede e aver così ricevuto lo Spirito (v. 2), tornino a confidare nel “segno della carne” ovvero alle prescrizioni della Legge?


Lettura del Vangelo secondo Luca (7,36-50)

In quel tempo. 36Uno dei farisei invitò il Signore Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; 38stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. 39Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!» 40Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». 41«Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. 42Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due: Chi di loro dunque lo amerà di più?» 43Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. 46Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. 47Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». 48Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». 49Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?» 50Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va in pace!».

Il brano può essere così suddiviso: i vv.36-38 ambientano la scena a casa di uno dei farisei dove Gesù è stato invitato a pranzo durante il quale «una donna, una peccatrice di quella città», intollerabile per un fariseo, entra in casa con un vaso di profumo e con esso, compie sui piedi di Gesù, alcuni gesti che dicono con piena evidenza la sua fede e soprattutto il suo amore per lui.

I vv. 39-40 riportano la negativa reazione interiore del fariseo, non certo favorevole nei confronti di Gesù, e le parole dello stesso Signore capace di leggere nel cuore del suo ospite. Segue una breve parabola (vv. 41-43) su due debitori, nei quali è facile scorgere tutti gli uomini in credito davanti a Dio.

Con la sua spiegazione (vv. 44-46) Gesù fa capire al fariseo che, a differenza della peccatrice, non si è voluto aprire con fede entrando in rapporto con lui. Per questo le parole di assoluzione (v. 47) riguardano soltanto la donna peccatrice che «ha molto amato» e lei, a cui viene perdonato “molto” è anche capace, al contrario del fariseo, di amare “molto”.

Il v. 48 certifica il perdono dei peccati accordato da Gesù alla donna come salvezza.


Commento liturgico-pastorale

Va anzitutto considerata la sapiente organizzazione delle letture bibliche di questa e della prossima domenica, che ci permettono di cogliere la continuità nel dispiegarsi nel tempo dell’opera della salvezza ideata nel cuore inaccessibile della Trinità, gradualmente realizzata nella preparazione vetero-testamentaria fino al suo compimento nella persona di Gesù di Nazaret, il Figlio Unigenito di Dio.

Si tratta della continuità salvifica tra il mistero dell’Incarnazione e della Natività del Signore e quello centrale della sua Pasqua di morte e di risurrezione. In particolare il tempo dopo l’Epifania ci ha permesso di vedere nella venuta nel mondo del Figlio di Dio il manifestarsi in lui e grazie a lui del progetto divino di salvezza che riguarda non solo Israele, il popolo della prima alleanza, ma anche l’intera umanità.

Veniamo oggi a comprendere, dall’ascolto delle Scritture, come il Signore Gesù ha manifestato la volontà salvifica di Dio verso tutti gli uomini nel suo “stare a mensa” con i farisei osservanti dalla Legge così come con i peccatori di cui è rappresentante la donna peccatrice. Con questo suo atteggiamento, in verità, Gesù ha mostrato il volto autentico di Dio, che è buono, misericordioso, paziente, accogliente, pronto sempre al perdono più largo e generoso.

Un volto di Dio, questo, già rivelato dai Profeti. Un Dio che conosce fino in fondo il cuore del suo popolo e di ogni uomo e sa che esso è instabile e contraddittorio nei suoi confronti. Non a caso per questo si lamenta: «Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce» (Lettura: Osea, 6, 4). L’amore di Dio per il suo popolo invece è stabile e immutabile e si rivela nel sollecitarlo e trafiggerlo con le parole della sua bocca (cfr. v. 5) che proclama: «Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti» (v. 6).

Queste parole di rivelazione si fanno gesto concreto in Gesù che offre il perdono pieno e senza riserve alla donna peccatrice (Vangelo: Luca 7,47-50) e la trasforma in una donna capace di amare molto, ossia di consegnarsi senza riserve a lui come dimostrano le lacrime che bagnano i piedi del Signore; i baci e l’olio profumato profuso in abbondanza sui suoi piedi.

Gesù, dunque, è la “clemenza” di Dio in persona che chiede a tutti gli uomini, rappresentati dal fariseo che lo ha invitato a pranzo e dalla donna peccatrice, di rivolgersi a lui con l’animo desideroso di accogliere l’amore rigenerante di Dio. La pagina evangelica ci dice che la donna peccatrice si è rivolta a Gesù con quell’atteggiamento a tutti suggerito dal ritornello al Salmo 50(51): «Tu gradisci, o Dio, gli umili di cuore» e riconoscendo lui come sorgente di amore che perdona e ridà vita.

Di questi atteggiamenti si fa interprete il canto all’Ingresso: «Dalla mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha ascoltato. Ho gridato dal fondo dell’abisso e tu, o Dio, hai udito la mia voce. So che tu sei un Dio clemente, paziente e misericordioso, e perdoni i nostri peccati». Non così il fariseo, scrupoloso osservante della Legge e dunque chiuso nella convinzione di essere giusto agli occhi di Dio, rendendo così per lui vana la grazia di Dio racchiusa, come avverte l’Apostolo, nel gesto d’amore del Figlio di Dio «che mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me» (Epistola: Gàlati 2,20).

Partecipando con fede all’Eucaristia veniamo totalmente immersi nell’amore del Signore che «ha consegnato sé stesso» per tutti noi perché, dall’accoglienza del perdono che scaturisce proprio dalla sua Croce, anche noi veniamo trasformati in gente capace di un amore non passeggero come la «nuvola del mattino», ma di un amore grande come grande è quello che lui, per primo, ci ha donato.

È ciò che chiediamo nell’orazione Dopo la Comunione: «In virtù del sacrificio che abbiamo compiuto, purificaci, o Dio da ogni contaminazione del cuore e donaci desideri giusti perché tu ci possa sempre esaudire».

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5 febbraio 2012 – V domenica dopo l’Epifania

Questa domenica torna a riproporre l’Epifania del Signore come “manifestazione” della volontà di Dio di chiamare in Cristo tutte le genti alla salvezza.
 

Il Lezionario

Prevede le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Isaia 60,13-14; Salmo: 86 (87); Epistola: Romani 9,21-26; Vangelo: Matteo 15,21-28. Alla messa vigiliare del sabato viene letto: Giovanni 28,1-8 come Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti sono quelli della V domenica del Tempo “per annum” del Messale ambrosiano.
 

Lettura del profeta Isaia (60,13-14)
 
In quei giorni Isaia disse: «13La gloria del Libano verrà a te, con i cipressi, olmi e abeti, per abbellire il luogo del mio santuario, per glorificare il luogo dove poggio i miei piedi. 14Verranno a te in atteggiamento umile i figli dei tuoi oppressori; ti si getteranno proni alle piante dei piedi quanti di disprezzavano. Ti chiameranno “Città del Signore”, “Sion del Santo Israele”».

Il brano si riferisce al momento del ritorno in patria degli esiliati in Babilonia a seguito della distruzione di Gerusalemme a opera dei Persiani (597 a.C.). Il profeta si incarica di consolare e incoraggiare il popolo a mettere mano all’opera di ricostruzione della città e del tempio con l’apporto della “gloria del Libano” ossia del legno pregiato proveniente da quel Paese. La città così ricostruita diventa, nei disegni di Dio, un punto di convergenza e di approdo per tutti i popoli a cominciare dagli oppressori di Israele.
 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (9,21-26)
 
Fratelli 21forse il vasaio non è padrone dell’argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare? 22Se pertanto Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande magnanimità gente meritevole di collera, pronta per la perdizione, 23e questo, per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso gente meritevole di misericordia, da lui predisposta alla gloria, 24cioè verso di noi, che egli ha chiamato non solo tra i Giudei ma anche tra i pagani. 25Esattamente come dice Osea: «Chiamerò mio popolo quello che non era mio popolo e mia amata quella che non era l’amata. 26E avverrà che, nel luogo stesso dove fu detto loro: “Voi non siete mio popolo”, là saranno chiamati figli del Dio vivente».

Nel cap. 9 l’Apostolo affronta il delicato argomento della situazione di Israele in ordine alla salvezza, la quale dipende unicamente dalla misericordia di Dio che egli riversa liberamente «verso chi vuole» (v. 18). Di qui il paragone del «vasaio padrone dell’argilla», di cui può disporre a suo piacimento (v. 21).

In realtà Dio manifesta la sua misericordia verso tutti, anche verso gente che di per sé era meritevole «di collera, pronta per la perdizione» (v. 22), come per gente «da lui predisposta alla gloria» (v. 23). Si badi: gli uni e gli altri sono presenti sia «tra i Giudei ma anche tra i pagani» (v. 24). A supporto della sua tesi l’Apostolo cita il profeta Osea (2,25 e 2,1) che annuncia la chiamata dei pagani a far parte dell’unico popolo di Dio (vv. 25-26).


Lettura del Vangelo secondo Matteo (15,21-28)
 
In quel tempo. 21Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. 22Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio». 23Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i discepoli gli si accostarono implorando: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro». 24Ma egli rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele». 25Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!». 26Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini». 27«È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28Allora Gesù le replicò: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Il brano evangelico oggi proclamato fa seguito alla discussione sulle tradizioni farisaiche e in particolare sull’insegnamento di Gesù circa ciò che è da considerarsi puro o impuro secondo la Legge (15,10-20). Risulta ambientato fuori Genèsaret, sulla strada verso Tiro e Sidone, due città in territorio fenicio e, dunque, pagano, così com’è pagana la donna cananèa che va incontro a Gesù, sorprendentemente denominato con l’appellativo messianico “figlio di Davide” (v. 22) e al quale chiede pietà per la propria figlia.

La reazione di Gesù è di completa indifferenza, diversamente dai suoi discepoli che lo invitano a intervenire liberandosi così dal suo fastidioso gridare (v. 23). Nella sua risposta Gesù dichiara l’ambito della sua missione messianica: le «pecore perdute della casa di Israele» (v. 24).

I vv. 25-28 riportano il dialogo tra la donna cananèa che manifesta la sua fede con l’avvicinarsi e il prostrarsi davanti a Gesù e questi che ribadisce la destinazione della sua opera di salvezza e di vita, significata dal pane, ai soli membri del popolo d’Israele (cioè i figli) con l’esclusione quindi dei pagani (i cagnolini) (v. 26).

La fede della donna è così forte che dice la sua convinzione che la salvezza, paragonata a un banchetto, è così sovrabbondante che chiunque potrà trarre beneficio, fossero soltanto briciole (v. 27). Gesù non può che prendere atto della fede della donna cananèa ed esaudirla.


Commento liturgico-pastorale

A partire dalla solennità del 6 gennaio e per tre domeniche l’ascolto delle Scritture ci ha condotti a penetrare nel grande evento epifanico rappresentato dalla venuta nel mondo di Gesù, il Figlio Unigenito di Dio. Tale ascolto ci ha permesso di comprendere che quella venuta avviene secondo i prestabiliti disegni divini gradualmente rivelati e attuati negli eventi e nei personaggi dell’Antico Testamento.

L’ascolto ci ha dato modo di contemplare in Gesù il Figlio Unico, amato dal Padre, portatore dello Spirito, lo Sposo che unisce a sé la sua Sposa, la Chiesa, alla quale trasmette la sua stessa vita nel banchetto del suo Corpo e del suo Sangue. In questa domenica viene ulteriormente sviluppato il messaggio racchiuso nell’adorazione del Bambino da parte dei Magi, rappresentanti e primizia di tutte le genti che, per la fede, giungono a credere nel Signore Gesù.

L’Epifania apre i nostri cuori a uno scenario davvero esaltante e che fa salire spontanea la lode, l’adorazione e il ringraziamento a Dio che è autore nel Figlio di un disegno mirabile sintetizzato nel ritornello al Salmo 86 (87) oggi proclamato: «Verranno tutti i popoli alla città del Signore». Un simile disegno e progetto è già annunziato dai profeti che parlano dell’accorrere nel Tempio di Gerusalemme, dove Dio «poggia i suoi piedi» (Lettura: Isaia 60, 13-14), di gente prima ostile e nemica.

In ciò è messa in luce l’inesauribile ricchezza e grandezza della salvezza offerta da Dio a tutti indistintamente, sia ai meritevoli della sua ira e della perdizione sia a quelli meritevoli della sua grazia. E questo senza alcuna distinzione di razza, lingua e appartenenza (Epistola: Romani 9, 21-26). Unica condizione richiesta è credere che la salvezza, dono del tutto gratuito della misericordia di Dio, è offerta nella persona di Gesù, il suo Figlio.

La donna cananèa che, pur pagana, dice parole e fa gesti espliciti di chiara fede in Gesù, rappresenta l’avverarsi del volere di Dio che chiama tutti, in Cristo, alla salvezza come partecipazione della sua Vita. Pur non appartenendo al popolo dei “figli”, vale a dire d’Israele, essa riconosce in Gesù il “figlio di Davide”, il Messia portatore di tutti i doni di salvezza e a lui si rivolge con incrollabile fiducia sapendo che, comunque, potrà almeno usufruire di una “briciola” dalla tavola di salvezza da lui imbandita.

Ora questa tavola di salvezza, imbandita per tutte le genti, è efficacemente annunziata nel nostro raduno liturgico e specialmente nel banchetto eucaristico del Corpo e del Sangue del Signore. In esso egli riversa su quanti vi partecipano l’abbondanza senza misura di quei doni salvifici destinati in verità a tutti gli uomini, ai quali Dio ha liberamente deciso di usare misericordia.

Sedendoci alla mensa del banchetto eucaristico teniamo di conseguenza ben viva la consapevolezza che ad esso sono chiamati tutti, a cominciare da quelli che ai nostri occhi possono essere considerati nemici, oppressori (cfr. Lettura, Isaia) o votati alla perdizione (“cani” come la donna cananèa).

Perciò mentre riceviamo la pienezza della salvezza divina domandiamo con umile convinzione che alla verità dello sguardo di Dio «non abbiamo mai ad apparire indegni e ingrati dei benefici» della sua misericordia (cfr. Orazione A Conclusione della Liturgia della Parola) e operiamo concretamente perché la sparsa moltitudine delle genti si raduni per abbellire con la loro presenza il luogo del santuario di Dio che è la Chiesa, Corpo santo del Signore.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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