24 giugno 2012 – IV domenica dopo Pentecoste

È dedicata a illuminare il mistero del male e del peccato presente nel mondo e in ogni uomo dal quale Dio, in Cristo Crocifisso e Risorto, ci dona di essere liberati.

 

Il Lezionario

 

Prevede la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Genesi 18,17-21; 19,1.12-13.15.23-29; Salmo 32 (33); Epistola: 1Corinzi 6,9-12; Vangelo: Matteo 22,1-14. Alla Messa vespertina del sabato viene proclamato Luca 24,9-12 quale Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti per la Messa sono quelli della XII domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del libro della Genesi (18,17-21; 19,1.12-13.15.23-29)

 

In quei giorni. 17Il Signore diceva: «Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare, 18mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? 19Infatti io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso». 20Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. 21Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!».

1I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra.

12Quegli uomini dissero allora a Lot: «Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti hai in città, falli uscire da questo luogo. 13Perché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandato a distruggerli».

15Quando apparve l’alba, gli angeli fecero premura a Lot, dicendo: «Su, prendi tua moglie e le tue due figlie che hai qui, per non essere travolto nel castigo della città».

23Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Soar, 24quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco provenienti dal Signore. 25Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. 26Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale.

27Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato alla presenza del Signore; 28contemplò dall’alto Sòdoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace.

29Così, quando distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato.

 

Il brano riporta l’annuncio e quindi l’effettiva distruzione delle città di Sodoma e Gomorra di cui Dio ha constatato tutto il male in esse compiuto (vv. 20-21). Da quella distruzione scampò soltanto Lot nipote di Abramo insieme con la sua famiglia dopo essere stato avvisato da due angeli messaggeri di Dio (vv. 12-13.15). I vv. 23-26 raccontano la distruzione delle due città e il fatto curioso della moglie di Lot che, nonostante l’esplicita proibizione (v. 17), voltatasi a guardare ciò che avveniva in esse, fu trasformata in una statua di sale (v.26). 

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (6,9-12)

 

9Fratelli, non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, 10né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. 11E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio.

12«Tutto mi è lecito!». Sì, ma non tutto giova. «Tutto mi è lecito!». Sì, ma non mi lascerò dominare da nulla.

 

I versetti oggi proclamati concludono l’insegnamento impartito dall’Apostolo alla turbolenta comunità di Corinto sulla questione dei litigi tra fedeli di quella città inclini ad adire ai tribunali civili e, dunque, pagani. Per questo l’Apostolo li esorta a sopportare qualche ingiustizia e, a tale riguardo, fornisce un elenco di vizi che rende, quanti in essi vi cadono, ingiusti agli occhi di Dio e, perciò, incompatibili con il suo Regno (vv. 9-10). Al v. 11, Paolo afferma che i cristiani sono stati lavati da tali vizi nell’immersione battesimale nel nome del Signore Gesù e, di conseguenza, sono in grado di non farsi dominare da essi.

 

Lettura del Vangelo secondo Matteo (22,1-14)

 

In quel tempo.1Il Signore Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse:Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

 

Come le precedenti parabole dei due figli (21,28-32) e dei vignaioli omicidi (21,33-44), anche questa degli invitati a nozze vuole stigmatizzare il rifiuto da parte dei capi del popolo d’Israele di riconoscere Gesù come l’atteso inviato di Dio. La parabola è diretta perciò ad essi (v. 1) e si presenta divisa in due parti: vv. 2-7 e vv. 8-13, con una sentenza conclusiva (v. 14).

La prima parte ambienta la parabola in una festa di nozze organizzata da un re per suo figlio. Segue un primo invio di servi a chiamare gli invitati che, però, rifiutano di partecipare (v. 3) e un secondo invito integrato da istruzioni del re sul banchetto oramai pronto (v. 4). Alcuni invitati si limitano a ignorare l’invito, altri invece giungono a uccidere gli inviati del re che reagisce facendo uccidere a sua volta quegli assassini (v. 7).

La seconda parte si apre con un terzo invio di servi da parte del re con l’ordine di invitare alle nozze chiunque incontrassero per via al fine di riempire la sala di commensali (v. 8-10). I vv. 11-13 riportano l’inattesa ispezione da parte del re dei commensali e l’espulsione dalla sala di uno di essi senza l’abito nuziale.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Questa IV domenica pone in risalto la misteriosa presenza del peccato nel mondo e in ogni uomo. Presenza che, come insegna l’Apostolo, esclude chi lo commette dall’aver parte al regno di Dio (Epistola: 1Corinzi,9-10), ovvero dalla salvezza, anzi su di esso piomba il giudizio di Dio, come è efficacemente detto nel racconto della distruzione di Sodoma e di Gomorra, emblema di perversione e di peccato, sulle quali «fece piovere dal cielo zolfo e fuoco», segni, appunto, dell’irresistibile giudizio divino (Lettura, Genesi 19, 24).

La parabola evangelica, detta dal Signore Gesù in polemica con le autorità del suo tempo, evidenzia come l’incredulità sia il peccato che acceca completamente l’uomo e rende il suo cuore ostinato nel respingere ogni tentativo di Dio di chiamarlo a salvezza.  

È il peccato che ha condotto alla persecuzione dei profeti e che annunzia quella a cui andranno incontro i missionari del Regno di Dio raffigurati nei servi inascoltati, insultati e uccisi della parabola evangelica (Vangelo: Matteo 22,6).

È il peccato che, ieri come oggi, caratterizza quanti si chiudono nella loro presunzione di autosufficienza e rifiutano così di accogliere nell’umile Maestro di Nazaret la manifestazione della volontà di universale salvezza che si concretizza nel ridonare ai  peccatori «la primitiva ricchezza che nella disobbedienza della colpa era andata perduta» (Prefazio), vale a dire la partecipazione alla vita divina che è l’eredità del regno di Dio ( 1Corinzi, 6,10).

È il peccato che può purtroppo continuare a segnare perfino quanti sono «stati lavati, santificati, giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio» (1Corinzi,6,11) ossia tutti noi che, per la fede e i sacramenti, facciamo parte della Chiesa, popolo santo di Dio.

In essa, nel corso dei tempi, Dio tollera che crescano insieme «cattivi e buoni» (Matteo 22,10), ma la definitiva partecipazione alla festa della salvezza eterna, di cui la celebrazione eucaristica è annuncio e anticipazione, è condizionata dall’“abito nuziale” del quale occorre farsi trovare rivestiti (cfr. Matteo 22,11-12). Per i discepoli del Regno l’abito nuziale è la loro stessa vita vissuta all’insegna dell’obbedienza filiale al volere divino che il Signore Gesù ci ha detto essere tutto racchiuso nel precetto della carità fraterna specialmente verso i piccoli e quanti sono considerati ultimi nella considerazione altrui.

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17 giugno 2012 – III domenica dopo Pentecoste


Pone in rilievo la creazione dell’uomo come momento decisivo nel dispiegarsi della rivelazione divina e, dunque, della storia della nostra salvezza nel Signore Gesù , il Crocifisso Risorto, dal quale viene l’effusione dello Spirito .

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti brani della Scrittura: Lettura: Genesi 2,18-25; Salmo 8; Epistola: Efesini 5,21-33;  Vangelo: Marco 10,1-12. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella Messa vespertina del sabato è preso da Marco 5,20-24. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XI domenica del Tempo “per annum” del Messale Ambrosiano.

 

Lettura del libro della Genesi (2,18-25)

 

In quei giorni. 18Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». 19Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. 20Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. 21Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. 22Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.

23Allora  l’uomo disse:
«Questa volta
è osso dalle mie ossa,
carne dalla mia carne.
La si chiamerà donna,
perché dall’uomo è stata tolta».
24Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.
25Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna.

 

Il brano fa parte del secondo racconto della creazione (Genesi 2,4-3,24) e descrive Dio che, avendo notato la solitudine dell’essere umano da lui plasmato (v. 2,18), vuole porvi rimedio con la creazione degli animali che, però, non sono idonei a “corrispondere” alla pari con l’uomo (vv. 18-19). Segue ai vv. 21-22 la descrizione di Dio che, come un chirurgo, opera su Adamo e, da una delle costole, forma una donna nella fiducia che ora, finalmente, la riconosca come quell’aiuto indispensabile in tutto a lui corrispondente e, perciò, in grado di toglierlo dalla solitudine. Cosa che puntualmente viene registrata al v. 23. Il brano si conclude al v. 24 con la destinazione dell’uomo e della donna a essere «un’unica carne» e con la constatazione della loro nudità che non dà origine alla vergogna in quanto essi sono usciti dalle mani di Dio.

 

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (5,21-33)

 

Fratelli, 21nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: 22le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; 23il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. 24E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto.25E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, 26per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, 27e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. 28Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. 29Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, 30poiché siamo membra del suo corpo. 31 Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. 32Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! 33Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito.

Il brano rientra nella parte esortativa della lettera (capitoli 4,1-6,24) con la quale l’Apostolo trae le conseguenze pratiche da quanto ha detto nella parte dottrinale (capitoli 1,3-3,21) a proposito della Chiesa, quale Corpo di Cristo, nel quale convergono in unità giudei e pagani. Qui le conseguenze riguardano la vita in famiglia dei credenti e perciò si chiede alle mogli di stare sottomesse ai loro mariti sul modello della Chiesa che è sottomessa a Cristo (vv. 21-24). Ai mariti si chiede nei confronti delle mogli di amarle come «Cristo ha amato la Chiesa» non esitando a dare per essa la sua vita sulla Croce (vv. 25-31). Un linguaggio, questo, duro da accettare per la nostra mentalità. Tutto, comunque, per Paolo si fonda e si regge sul «mistero» del rapporto Cristo/Chiesa che lui dice «grande» (v. 32).

 

Lettura del Vangelo secondo Marco (10,1-12)

 

In quel tempo. 1Partito di là, venne  nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. 2Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. 3Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». 4Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». 5Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6Ma dall’inizio della creazione “li fece maschio e femmina; 7per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie 8e i due diventeranno una carne sola”. Così non sono più due, ma una sola carne. 9Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 10A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. 11E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; 12e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

 

Il testo fa parte di una serie di insegnamenti impartiti da Gesù alle folle che accorrevano a lui in viaggio verso Gerusalemme dove l’attende l’ora della Croce (v. 1). L’insegnamento riportato è provocato dalla domanda fattagli, con intento malevolo, da alcuni farisei e riguardante la liceità del divorzio (v. 2). I vv. 3-9 registrano l’iniziale dialogo con i suoi interlocutori e la soluzione magisteriale della questione con il riferimento esplicito alla volontà di Dio creatore dell’uomo «maschio e femmina» destinati da lui a diventare «una carne sola» (cfr. Gen 1,27; 2,24). I vv. 10-12 riportano infine l’insegnamento impartito da Gesù ai soli discepoli a casa, sottolineando la speciale cura nella loro formazione che essi dovranno trasmettere alla sua Casa che è la Chiesa. In esso, con riferimento diretto all’intento di Dio creatore dell’uomo maschio e femmina, è pertanto escluso il divorzio sia da parte del marito sia da parte della donna che, nel mondo pagano, godeva di questo diritto al pari dell’uomo.

 

Commento liturgico-pastorale

 

È importante per noi lasciarci penetrare dalla luce dello Spirito che apre la nostra mente alla comprensione più profonda della progressiva rivelazione che Dio fa di sé e del suo disegno sul mondo e che è testimoniata nelle Scritture. Rivelazione che, come sappiamo e crediamo, ha il suo fondamento e principio e il suo esito pieno nella venuta in questo mondo del Figlio unico di Dio, Crocifisso e Risorto.

L’illuminazione interiore della Spirito ci dà la capacità di risalire dal racconto biblico della creazione dell’uomo, maschio e femmina (Cfr. Lettura), di risalire alla grandezza e alla magnanimità di Dio che si rivela premuroso fino alla tenerezza per le sue creature (Genesi 2,18.21 ss). Ci dà, inoltre, la capacità di penetrare il significato nascosto di quel racconto fino a scorgere in quella creazione e nelle sue caratteristiche, l’anticipazione profetica del “grande mistero”, quello cioè dell’unione di Cristo e della Chiesa e di cui ci parla l’Apostolo (Epistola: Efesini 5,32).

Proprio per questo il Creatore plasma l’uomo e da esso forma la donna che il primo riconosce come quell’«aiuto che gli corrisponde» (Gen 2,18): «Questa volta è osso delle mie ossa...» (Gen  2,23) e, cosa davvero mirabile, i «due» sono destinati ad essere «un’unica carne», a fondersi cioè in unità di spirito e di vita.

È questo volere di Dio impresso fin dall’origine del tempo a far sì che l’unione dell’uomo e della donna abbia la nota essenziale dell’unità: «i due saranno un’unica carne» e, perciò, dell’indissolubilità: essendo impraticabile la divisione dell’unica carne.

A questo volere Gesù si rifà nella sua risposta alla domanda dei farisei fatta «per metterlo alla prova»: «dall’inizio della creazione “li fece maschio e femmina... perché diventino una sola carne», con la conclusione perentoria che egli lascia come norma non solo ai suoi discepoli: «Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto” (Vangelo: Marco 10, 6-9).

Perché non accada che, “per la durezza del nostro cuore” (v. 5) trasgrediamo al comando del Signore, facciamo costante riferimento alla sua unione d’amore per la Chiesa, sua “carne”, sua sposa. Un amore che lo ha spinto a offrirsi per essa fino alla morte, fino alla trafittura del suo fianco da cui, come supremo dono uscì il flusso di sangue e acqua che continua a scorrere per tutti nella realtà sacramentale che ha il suo culmine e la sua fonte nell’Eucaristia.

Impareremo così a non guardare all’unione sponsale dell’uomo e della donna con le sole categorie sociologiche, ma con quelle rivelate dal rapporto Cristo/Chiesa caratterizzato dal dono di sé spinto all’estremo e che fa nascere spontanea l’ubbidienza e la sottomissione amorosa a lui che ha amato e ama per primo.

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10 giugno 2012 – II domenica dopo Pentecoste


Questa domenica, così come quelle che appartengono al tempo liturgico “dopo Pentecoste”, intende rileggere, sotto l’azione dello Spirito e alla luce del mistero pasquale celebrato nell’azione liturgica, le tappe essenziali nello sviluppo della storia della salvezza. In questa domenica l’attenzione è concentrata sull’avvio di questa “storia” con la creazione. 

 

Il Lezionario

 

Presenta le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Siracide 16,24-30; Salmo 148; Epistola: Romani 1,16-21; Vangelo: Luca 12,22-31. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella messa vespertina del sabato è preso da: Luca 24,1-8 (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della X domenica del Tempo “per annum” del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del libro del Siracide (16,24-30)

 

24Ascoltami, figlio, e impara la scienza,
e nel tuo cuore tieni conto delle mie parole.
25[Manifesterò con ponderazione la dottrina,

con cura annuncerò la scienza.]

26Quando il Signore da principio creò le sue opere,

dopo averle fatte ne distinse le parti.

27Ordinò per sempre le sue opere

e il loro dominio per le generazioni future.

Non soffrono né fame né stanchezza

e non interrompono il loro lavoro.

28Nessuna di loro urta la sua vicina,

mai disubbidiranno alla sua parola.

29Dopo ciò il Signore guardò alla terra

e la riempì dei suoi beni.

30Ne coprì la superficie con ogni specie di viventi

e questi ad essa faranno ritorno.

 

Il brano propone una prima riflessione sulla creazione che il presente libro, appartenente al numero dei libri sapienziali della Bibbia, intende offrire a quanti vogliono «imparare la sapienza» (v. 24), mettendoli in guardia dai ragionamenti fuorvianti dei peccatori e degli empi (24,5-23). L’autore ispirato sostiene che Dio non solo ha «creato le sue opere», ma le ha create imprimendo ad esse un ordine preciso e determinando le rispettive funzioni (vv. 26-28). I vv. 29-30 parlano della creazione di «ogni specie di viventi» destinati a popolare la terra e a «fare ritorno ad essa» significando, in tal modo, la loro nativa fragilità.

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (1,16-21)

 

Fratelli,  16io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco. 17In esso infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto: «Il giusto per fede vivrà».

18Infatti l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, 19poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. 20Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa 21perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata.

 

Nell’avvio della sua importante lettera l’Apostolo vuole subito mettere in chiaro che tutta l’umanità ha bisogno della salvezza che Dio donerà in Cristo Gesù. Di conseguenza egli predica a tutti, Giudei e Greci, il Vangelo nel quale viene rivelata, in Cristo, la decisione di dare salvezza a tutti coloro che credono (vv. 16-17). Nei vv. 18-21 smaschera la condizione di empietà e di ingiustizia anzitutto dei popoli pagani. Questi, infatti, a motivo dei «loro vani ragionamenti» e della «loro mente ottusa», di fatto, hanno rifiutato di conoscere, glorificare e ringraziare Dio, realmente conoscibile dalla mente umana attraverso «le opere da lui compiute» nella creazione del mondo.

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (12,22-31)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù 22disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: non preoccupatevi per la vita, di quello che mangerete; né per il corpo, di quello che indosserete. 23La vita infatti vale più del cibo e il corpo più del vestito. 24Guardate i corvi: non séminano e non mietono, non hanno dispensa né granaio, eppure Dio li nutre. Quanto più degli uccelli valete voi! 25Chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 26Se non potete fare neppure così poco, perché vi preoccupate per il resto? 27Guardate come crescono i gigli: non faticano e non filano. Eppure io vi dico: neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 28Se dunque Dio veste così bene l’erba nel campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, quanto più farà per voi, gente di poca fede. 29E voi, non state a domandarvi che cosa mangerete e berrete, e non state in ansia: 30di tutte queste cose vanno in cerca i pagani di questo mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. 31Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in aggiunta».

 

Il brano è preso da una serie di insegnamenti impartiti da Gesù, in viaggio verso Gerusalemme, ai suoi discepoli. Questi sono esortati a confidare nella provvidenza divina senza farsi travolgere dall’affanno per le cose ritenute indispensabili per l’esistenza terrena (vv. 22-23). A sostegno della sua esortazione Gesù porta alcuni esempi presi dalla natura. Il primo attira l’attenzione sui corvi, ritenuti dalla legge ebraica animali impuri e per i quali Dio stesso provvede il cibo (vv. 24-26). Il secondo esempio è preso dal mondo agricolo ed esalta l’inarrivabile bellezza dei gigli, così belli che «neanche Salomone, con tutta la sua gloria vestiva come uno di loro» (v. 27). L’insegnamento del Signore si conclude con la constatazione che Dio si prende cura di ogni  sua creatura e, a maggior ragione, dell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza (vv. 24 e 28) e con l’esortazione a impegnarsi, sopra ogni cosa, nel conseguimento del Regno di Dio che è già presente nel mondo proprio nella persona di Gesù.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Le parole del Signore che ascoltiamo nella pagina evangelica sono anzitutto un canto e un’esaltazione della bellezza e della grandezza inesprimibile di Dio che brilla nella creazione a partire dall’umile erba del campo, tra la quale spicca l’incomparabile bellezza del giglio che nemmeno il re Salomone «con tutta la sua gloria» poteva in nessun modo eguagliare (Vangelo: Luca 12,27). Con la bellezza il Signore Gesù esalta la “sapienza organizzativa” e la premura con la quale Dio si prende cura della sua opera: procurando il cibo ai corvi e agli uccelli del cielo! (v. 24).

La stessa sapienza del popolo dell’antica alleanza aveva già guardato all’intera creazione come a opera propria di Dio, con ciò prendendo le distanze dal pensiero dei popoli vicini che attribuivano a essa la consistenza della natura divina.

La stessa sapienza aveva già espresso la più profonda meraviglia per l’ordine impresso da Dio al creato, così che «nessuna di loro urta la sua vicina» (Lettura: Siracide 16,28), in opposizione al pensiero degli empi ancora oggi diffuso che tutto è come dovuto al... caso!

È lecito, pertanto, vedere nella creazione la prima grande rivelazione di Dio, che si presenta come un Dio grande, magnanimo, generoso e soprattutto attento e premuroso verso ogni sua creatura che, a un occhio superficiale, può apparire come insignificante.

Davvero la creazione è una traccia autentica che Dio ha posto e continuamente pone per risalire fino a lui. È ciò che sostiene con forza l’Apostolo Paolo quando afferma che «le perfezioni invisibili (di Dio), ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute» (Epistola: Romani 1,20), dichiarando, perciò, inescusabili davanti a Dio i pagani i quali, «pur avendo conosciuto Dio» attraverso le sue opere, «non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio» (v. 21).

Sotto l’azione dello Spirito, riconosciamo, dunque, che il creato è opera sapiente e intelligente di Dio, respingendo una certa visione di esso che tende alla sua divinizzazione riproponendo, in forme subdole e vane, un nostalgico ritorno al panteismo. Riconosciamo, inoltre, nel creato una possibilità certa di risalire a Dio inteso come provvidenza per tutte le sue creature respingendo quella mentalità negativa, pure oggi diffusa, per la quale l’universo, la terra e in essa l’umanità, sono di fatto lasciati a sé stessi e, quindi, alla deriva.

Per tutto questo nel cuore della celebrazione eucaristica rendiamo grazie a Dio che proclamiamo «Signore, Padre Santo, Onnipotente ed Eterno» essenzialmente «per Cristo nostro Signore». Egli, infatti, nella sua Incarnazione, Morte e Risurrezione ha portato a compimento in modo pieno e definitivo la rivelazione di Dio che ha il suo esordio autentico nella creazione. La preghiera liturgica sintetizza il messaggio oggi trasmesso dalle divine Scritture facendoci così rivolgere a Dio: «Tu hai creato il mondo nella varietà dei suoi elementi, hai disposto l’avvicendarsi dei tempi e delle stagioni e all’uomo, fatto a tua immagine, hai affidato le meraviglie dell’universo perché, fedele interprete dei tuoi disegni, esercitasse il dominio su ogni creatura e nelle tue opere glorificasse te, Creatore e Padre, per Cristo nostro Signore» ( Prefazio).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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