3 ottobre 2010

1. La quinta domenica “dopo il martirio” di S. Giovanni il Precursore

Presenta, nella carità, il cuore dell’insegnamento del Signore, che la Chiesa dovrà trasmettere e testimoniare lungo i secoli. Vengono oggi proclamate le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Isaia 56,1-7; Salmo 118; Epistola: Romani 15,2-7; Vangelo: Luca 6,27-38. Alla Messa vigiliare del sabato viene letto Luca 24,13-35, quale Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti per la Messa sono quelli della XXVII domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.


2. Vangelo secondo Luca 6,27-38

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 27«A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. 29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.    
31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. 32Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. 33E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.     36Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. 37Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati.
38Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».
    


3. Commento liturgico-pastorale      

Il brano evangelico fa parte del discorso di Gesù alle folle e ai suoi discepoli (6,20-49) che riflette quello di Matteo 5-7 detto il “discorso del monte”. Qui sono raccolti alcuni “detti” di Gesù riguardanti temi importanti per la formazione e la vita della sua comunità ovvero della Chiesa.    
I vv 27-35, in particolare, riportano la parte centrale del discorso relativo “all’amore per il nemico”, un amore senza misura e senza calcolo che rivela, in chi così lo vive, la sua realtà di “figlio dell’Altissimo”. I vv 36-38 sembrano invece riguardare l‘amore per i fratelli, ossia all’interno della Chiesa. Anche qui un tale amore trova la sua ispirazione in Dio che è misericordioso e pronto al perdono.    
In questa quinta domenica dopo il martirio del Precursore viene messa in luce l’attività “legislativa” del Signore che, in tal modo, intende formare la comunità dei suoi discepoli, nella quale, lungo i secoli, si raduneranno gli “ascoltatori” della sua Parola disponibili ad accoglierla ossia a osservarla (v 27).    
Questa, nei disegni di Dio progressivamente svelati tramite i Profeti, è destinata a formarsi da tutti i popoli della terra e da gente ritenuta esclusa come l’“eunuco” e lo “straniero” (Lettura: Isaia 56,3), che il Signore vuole invece condurre «sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera» (v 7).    
Al cuore delle disposizioni del Signore c’è la carità, ovvero l’amore del tutto gratuito verso ogni uomo, verso il “nemico”, come verso i “fratelli” nella fede. L’intento di Gesù è quello di dotare la sua Chiesa di una proposta del tutto originale, unica tra tutte le proposte di vita offerte agli uomini in questo mondo. Queste, si sa, sono fondate sulla ricerca e sull’affermazione del proprio “io” da esercitare come potere su tutto e su tutti.    
Al contrario, la comunità del Signore deve saper presentare un’alternativa a tali proposte e mostrare com’è possibile vivere non “per sé stessi”, ma “per” gli altri, nella capacità cioè di “accogliersi gli uni gli altri” (Epistola: Romani 15,7). Un’accoglienza che non è limitata a chi è simpatico, a chi ci è amico o comunque non nemico. Anzi, è proprio l’accoglienza piena e incondizionata verso “chi ci odia, chi ci maledice, chi ci maltratta” (cfr. Luca 6,27-28), senza aspettare da essi il contraccambio, a vanificare il comportamento ostile e oltraggioso dei “nemici”.    
Questa è la “testimonianza” a cui Gesù chiama e destina la sua Chiesa. In tal modo essa renderà immediatamente comprensibile a tutti Dio, così come il suo Figlio Gesù lo ha rivelato con la sua parola e i suoi stessi gesti. Egli ha per primo letteralmente “amato” i suoi nemici; ha fatto del bene a quanti lo odiavano, ha pregato e ha benedetto quanti lo hanno messo a morte! È proprio lui, Gesù, a dare con l’offerta di sé la dimostrazione che già in questo mondo è possibile la presenza del “mondo” o del Regno di Dio.    
Di conseguenza ogni volta che, come suoi discepoli ascoltiamo e mettiamo in pratica queste sue parole, avremo fatto brillare nel mondo l’agire stesso di Dio del quale, a buon ragione, potremo chiamarci “figli”. Dio infatti si comporta così: “è benevolo verso gli ingrati e i malvagi” e mostra la sua onnipotenza nella misericordia e nel perdono.    
È ciò che la preghiera liturgica di continuo proclama rivolgendosi così al Padre: «Tu… tanta pietà ai provato per noi da mandare il tuo Unigenito come redentore» e: «nel tuo Figlio fatto uomo ci hai amato tutti con un amore nuovo e più alto» (Prefazio).    
Un simile messaggio evangelico è ciò che il mondo attende dalla Chiesa del Signore e da ognuno di noi. Il mondo ha già visto e sentito tutto, ma rimane sempre sbalordito e sorpreso quando chi muore perdona chi lo uccide, quando il maltrattato prega per il suo carnefice, quando il calunniato benedice il suo accusatore. Sono cose queste che può fare solo Dio. Sono cose che ha fatto Gesù. Sono cose che la “grazia” dona di fare ai “figli dell’Altissimo”.

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26 settembre 2010


IV Domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore.


1. La quarta domenica “dopo il martirio” di S. Giovanni il Precursore


Ci indirizza al Signore Gesù riconosciuto nella fede quale “pane vivo disceso dal Cielo” per donare al mondo la “vita”. Vengono, pertanto, oggi proclamate le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Proverbi 9, 1-6; Salmo 33; Epistola: 1Corinzi 10, 14-21; Vangelo: Giovanni 6, 51-59. Il Vangelo della Risurrezione, da proclamare nella Messa vigiliare del sabato, è preso da: Giovanni 20, 11-18. I canti e le orazioni della Messa sono quelli della XXVI domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.


2. Vangelo secondo Giovanni 6,51-59

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 51«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». 59Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.


3. Commento liturgico pastorale

     Il brano evangelico è desunto da quello che si è soliti indicare come il discorso di Gesù sul mistero del “pane della vita”: Giovanni 6,25-58. In particolare il v 51 riporta le misteriose parole conclusive di autorivelazione come “pane della vita” ovvero come “il pane vivo disceso dal cielo” (vv 48-51). Il v 52 riferisce la reazione assai polemica degli ascoltatori che, in pratica, si rifiutano di accettare che la loro “vita” dipenda da un uomo qual è Gesù!

    I vv 53-58 contengono la risposta all’obiezione incredula dei Giudei con la dettagliata spiegazione delle precedenti parole di “autorivelazione”. Il v 59, infine, che di per sé, conclude l’intero discorso, si incarica di riferire che esso è stato pronunziato da Gesù “insegnando nella sinagoga di Cafarnao”.

    Il raccordo del brano evangelico con la Lettura presa dal libro dei Proverbi e con l’Epistola paolina è offerta dal simbolismo sapienziale del “nutrimento” espresso realisticamente nel Vangelo con il verbo “mangiare”. In questa quarta domenica dopo il martirio del Battista, la liturgia offre la sua specifica “testimonianza” su Gesù che si è rivelato come il “pane vivo disceso dal Cielo” del quale è indispensabile nutrirsi per avere in dono la “vita eterna”.

    Questa va intesa anzitutto come comunione di amore con Dio stesso, resa possibile e stabilita con il «mangiare la carne del Figlio dell’uomo» e con il «bere il suo sangue» (6,53). Nell’invito del Signore a mangiare la sua “carne” e a “bere” il suo “sangue” si compie, in tutta verità, ciò che la Scrittura aveva annunziato come invito della Sapienza a “mangiare il mio pane e a bere il mio vino” (Proverbi 9,5).

    Il “cibo” imbandito dalla Sapienza è in realtà la Legge donata da Dio al suo popolo al fine di preservarlo dalle tristi conseguenze dovute alla sua “inesperienza” e soprattutto per farlo camminare “per la via dell’intelligenza” ovvero dell’accoglienza amorosa e concreta della stessa Legge.

    Eppure, questo “cibo”, così come quello della “manna” fatta piovere da Dio sul suo popolo in marcia nel deserto, pur essendo veri “doni” divini non lo hanno preservato dalla morte! La Legge e la “manna”, pertanto, sono da considerare come annuncio profetico che prepara a ricevere e a mangiare il “pane vivo disceso dal Cielo”, vale a dire la “carne” e il “sangue” di Gesù, compreso nella sua realistica condizione di mortalità così come si è manifestata dall’Incarnazione e, massimamente, nell’ora della croce.

    È questo il cibo in grado di assicurare la “vita eterna” qui intesa come intima comunione con il Signore. Nel “mangiare la carne e bere il suo sangue”, infatti, si realizza, come Gesù stesso afferma, una sorprendente, reciproca osmosi: «rimane in me e io in lui» (Giovanni 6,56).

    Anche l’Apostolo, al riguardo, parla di “comunione” ossia di intima reciproca unione che viene a stabilirsi tra Gesù e i fedeli i quali nel “calice” e nel “pane” della mensa eucaristica (1Corinzi 10,16) partecipano, nel mistero, a ciò che il “pane e il “calice” significano e contengono: il corpo offerto e il sangue del Signore versato per la salvezza e la vita del mondo.

    Nel Signore Gesù, nell’atto di dare “la sua carne per la vita del mondo”, si attua così il disegno della Sapienza divina che consiste nel rendere partecipe il credente della sua stessa vita. La celebrazione eucaristica, attraverso la proclamazione della Parola e i santi “segni” dell’altare, è “testimonianza” viva di ciò che il Signore ha detto e ha fatto al fine di donare la sua “carne”, ossia tutto sé stesso come vero “cibo” di vita.

    La celebrazione ci esorta, anzitutto, a “credere” nella Parola che viene pronunziata sul pane e sul vino per la loro trasformazione nel “corpo” e nel “sangue” del Signore. La celebrazione ci invita a “mangiare” e a “bere” alla mensa del Signore per avere parte alla sua passione e alla sua morte sofferta perché tutti noi avessimo, da ora, la “vita”, la sua stessa “vita”.

    La preghiera liturgica, perciò, “rende grazie” ed “esalta” la divina sapienza del Padre il quale, nel donarci il «pane vivo disceso dal Cielo»: «già in questa fuggevole vita» ci assicura e ci anticipa il possesso della ricchezza eterna (Prefazio).

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19 settembre 2010

 
1. La terza domenica “dopo il Martirio” di S. Giovanni Battista il Precursore      

Presenta la “testimonianza” resa da Dio Padre a Gesù, il suo Figlio Unigenito mandato nel mondo a compiere “l’opera” della salvezza. Il Lezionario riporta le seguenti lezioni bibliche:  Lettura: Isaia 43,24c-44,3; Salmo 32; Epistola: Ebrei 11,39-12,4; Vangelo: Giovanni 5,25-36. Nella Messa vigiliare del sabato viene proclamato Matteo 28,8-10, quale Vangelo della Risurrezione. I canti e le orazioni della Messa sono quelli della XXV Domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano    


2. Vangelo secondo Giovanni 5, 25-36     

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 25«In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. 26Come infatti il Padre ha la vita in sé stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in sé stesso, 27e gli ha dato il potere di giudicare, perché è figlio dell’uomo. 28Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce 29e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna.
30Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.    
31Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera.
32C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera. 33Voi avete inviato dei messaggi a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. 34Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. 35Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.    
36Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato».
    


3. Commento liturgico pastorale      

Il brano evangelico, qui riportato, fa parte di un più ampio discorso di autorivelazione di Gesù come Figlio di Dio (5,19-30) e al quale Dio stesso rende “testimonianza” (31-47). In particolare nei vv 25-30 viene messa in luce “l’opera” propria che è affidata a Gesù nei confronti dell’intera umanità dall’inizio alla conclusione della storia contrassegnata dal “giudizio”.

    I vv 31-36, invece, riportano le autorevoli “testimonianze” elencate da Gesù stesso e che riguardano la sua persona e la sua missione: la “testimonianza resa da Giovanni Battista” (vv 32-33) e soprattutto quella del Padre che lo ha “mandato” (v 36).    
In questa domenica è perciò posto in primo piano il mistero di Gesù, il Figlio di Dio inviato nel mondo per attuare la missione salvifica nei riguardi dell’intera umanità. Questa, a causa dell’incredulità e del peccato che la allontana dalla “vita”, da Dio, è come chiusa in un sepolcro dal quale verrà richiamata in vita per ricevere la sentenza della definitiva condanna (cfr. v 29).

    La Scrittura, con accenti molto simili, descrive la situazione drammatica in cui versa il popolo stesso di Dio a motivo dei suoi peccati e delle sue iniquità (cfr. Lettura: Isaia 43,24s). Ma è sempre la stessa Scrittura a rivelare l’agire buono e misericordioso di Dio “per amore” di sé stesso, in corrispondenza cioè con la sua natura. Egli, con decisione libera e gratuita, “cancella” i misfatti del suo popolo, non “ricorda” i suoi peccati (cfr. v 25) e addirittura riversa su di esso il “suo spirito” e la “sua benedizione” per sempre (44,3). In tal modo Dio rianima e fa rifiorire il suo popolo, come avviene per un “suolo assetato” e un “terreno arido” su cui viene riversata acqua in abbondanza (v 3).

    Questa unica prospettiva salvifica per il mondo e la storia si è definitivamente e concretamente realizzata con la “benedizione” di Dio che è il suo Figlio Gesù, il quale con la predicazione del suo Vangelo richiama “in vita” quanti “ascoltano” la sua voce, ossia lo accolgono e credono in lui (Vangelo: Giovanni 5,25).

    Il Figlio, “che ha la vita in sé stesso” (v 26), viene nel mondo per donare la vita “eterna”. Questo dono, però, esige di essere accolto liberamente, con adesione di fede, sulla base di precise “testimonianze” destinate ad assicurare che lui è il Messia, è l’inviato da Dio. La testimonianza prima e “superiore” è data da Dio stesso al suo Figlio attraverso le “opere”, ossia i miracoli che Gesù compie e che di per sé solo Dio può compiere (v 36): “dare la vista ai ciechi, far parlare i muti, risuscitare i morti”.

    A ben guardare, come afferma la Lettera agli Ebrei una moltitudine di “testimoni”, vale a dire i grandi personaggi biblici quali i Patriarchi, Mosè, i Profeti e, da ultimo, Giovanni il Battista, danno “testimonianza” che la loro opera e la loro missione, pur autentica, è provvisoria e limitata nel tempo e nello spazio e preannunciano perciò la missione e l’opera definitiva di Gesù il Figlio di Dio che ha un valore sovratemporale e universale e, nel quale, “Dio aveva predisposto qualcosa di meglio” (Epistola: Ebrei 11,40) per noi: il “dono” della vita che ha “in sé stesso” e che «ha concesso anche al Figlio di avere in sé stesso» (Giovanni 5,26).

    Mossi da questa moltitudine di “testimoni”, anche noi siamo invitati a tenere «fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Ebrei 12,2). Siamo sollecitati, in una parola, ad accogliere con fede il Figlio, rivelatore del Padre, portatore della “vita” capace di risuscitare i morti, nello spirito come nel corpo.

    Siamo inoltre sollecitati a dare la nostra personale e comunitaria “testimonianza” a Gesù, deponendo concretamente «tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia» (Ebrei 12,1) per chiuderci nel “sepolcro” di morte. Egli, non lo dimentichiamo, «si sottopose alla croce» (v 2), l’“opera” ultima che il Padre gli ha dato da compiere e con la quale ci ha resi partecipi della “vita”.

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12 Settembre 2010–II domenica dopo il martirio


1. La seconda domenica “dopo il martirio” di san Giovanni il Precursore  
    

Presenta Gesù, il Figlio “obbediente” nel quale anche noi siamo chiamati a diventare figli di Dio. Le lezioni bibliche del Lezionario sono: Lettura: Isaia 5,1-7, Salmo 79; Epistola: Galati 2,15-20; Vangelo: Matteo 21,28-32. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella Messa vigiliare del sabato è preso da: Giovanni 20,1-8. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXIV domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.

2. Vangelo secondo Matteo 21, 28-32     

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose. “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».    

3. Commento liturgico pastorale     

Il brano appare chiaramente diviso in due parti. I vv 28-31a riportano la “parabola” dei due fratelli dal comportamento dissimile nei confronti della richiesta del loro padre di andare a lavorare nella vigna di famiglia. Chi dice: «Non ne ho voglia», poi «si pentì e vi andò», mentre chi con slancio dice subito: «Sì, signore», di fatto, «non vi andò». La parabola, è bene ricordarlo, è rivolta ai sommi sacerdoti e agli scribi (v 23).

    Nella seconda parte: (vv 31b-32) abbiamo l’applicazione della parabola che si apre con la domanda retorica posta da Gesù ai suoi interlocutori seguita dal “detto” riguardante “i pubblicani e le prostitute” evidentemente raffigurati nel primo figlio. Essi, una volta pentiti, accolgono il volere di Dio e, perciò, «passano avanti nel regno di Dio», s’intende, ai sommi sacerdoti e agli scribi.

    Al v 32 viene registrato il “detto” con il quale Gesù stesso pone in relazione la parabola con la predicazione del Battista a cui i capi hanno opposto un rifiuto. Essi, perciò, sono raffigurati nel secondo figlio.

    I brani biblici odierni e il testo evangelico, in particolare, letti nel peculiare momento liturgico che prende avvio dalla memoria del martirio del Battista, ci invitano a guardare al cuore della predicazione e della missione del Precursore del Signore che prepara l’immediata sua venuta.

    Al centro della predicazione del Battista è posto, come sappiamo, l’annunzio del regno di Dio, con il perentorio invito a prendere con urgenza una decisione davanti al Regno stesso. Decisione che comporta la conversione del cuore e della vita significata esteriormente nella successiva immersione battesimale nell’acqua.

    Ciò che sorprende è che i più pronti ad accogliere e a credere alla predicazione di Giovanni sono persone di per sé ritenute perdute e irrimediabilmente irrecuperabili: “pubblicani e prostitute”, appunto, mentre i “capi” del popolo, dediti allo studio delle Scritture, non hanno accolto né “creduto” in Giovanni e nella sua predicazione.

    Lo stesso avviene di fronte alla Parola vivente di Dio, a Gesù e alla sua predicazione. Egli è il Figlio obbediente che il Padre manda a lavorare “nella sua vigna”, nella «casa d’Israele» (Lettura: Isaia 5,7) che è, in verità, l’intera umanità. Egli, diversamente dal Battista, viene nel mondo non solo per “annunziare” che il regno di Dio “è vicino” ma per portare effettivamente, proprio nella sua persona, il regno di Dio e il conseguente estremo appello alla conversione e alla fede per potervi accedere.

    Davanti a Gesù ogni uomo è perciò sollecitato a prendere una decisione che, come avverte la parabola, può risultare del tutto sorprendente e inattesa. C’è chi, al pari del “primo figlio”, trattenuto e come imprigionato dall’attaccamento al peccato, sembra rispondere a Gesù con un rifiuto, un “no” deciso. È il “no” detto da Paolo di Tarso, orgoglioso della “via della giustizia” ovvero dell’osservanza della Legge, finché non si arrende a Gesù il «Figlio di Dio che mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me» (Epistola: Galati 2,20).

    C’è chi, conducendo un’esistenza apparentemente irreprensibile anche dal punto di vista religioso sembra naturalmente candidato a entrare nel “regno”. Di fatto, credendosi a posto e ritenendo di camminare sulla “via della giustizia”, non avverte il bisogno di quella profonda conversione del cuore al volere di Dio indispensabile per cogliere l’urgenza del regno.

    Tutto ciò deve far molto riflettere anche noi, membra della Chiesa, che, a ragione, ci chiamiamo “vigna” del Signore e «sua piantagione preferita» (Isaia 5,7). Non deve capitare che il Signore mentre si aspetta da noi “giustizia”, ossia prontezza nel fare il suo volere, debba ricevere invece “acini acerbi” ovvero presuntuosa chiusura e pratico rifiuto a obbedire e a credere!

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5 Settembre 2010-I Domenica dopo il Martirio


1. La prima domenica “dopo il martirio” di S. Giovanni il Precursore

Ha il compito di “testimoniare” che in Gesù la salvezza brilla per ogni uomo. A lui, al suo Vangelo, perciò, occorre convertirsi. Il Lezionario riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 30,8-15b; Salmo 50; Epistola: Romani 5,1-11; Vangelo: Matteo 4,12-17. Nella Messa vigiliare del sabato viene proclamato: Luca 24,9-12, come Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXIII domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.    


2. Vangelo secondo Matteo 4,12-17

In quel tempo. 12Quando il Signore Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13lasciò Nazaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, 14perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: 15«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, / sulla via del mare, oltre il Giordano, / Galilea delle genti! / 16Il popolo che abitava nelle tenebre / vide una grande luce, / per quelli che abitavano in regione e ombra di morte / una luce è sorta». 17Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».


Commento liturgico-pastorale

Il brano concerne l’esordio dell’attività pubblica di Gesù che coincide con l’uscita di scena di Giovanni Battista, fatto imprigionare da Erode (v 12). L’attività di Gesù prende avvio, non a caso, dalla Galilea, una regione con una notevole componente di popolazione pagana. L’evangelista con la citazione di Isaia 8,23-9,1 vuole inquadrarla da subito nel disegno divino di universale salvezza di cui è attuazione e compimento.

    Gesù, infatti, non si limiterà a predicare al suo popolo ma la sua azione missionaria riguarderà tutte le “genti” oppresse, di fatto, dal potere tenebroso del male e sulle quali egli sfolgorerà come “grande luce”, ossia come salvezza. Essa, perciò, è resa accessibile nel Signore Gesù che annunzia e inaugura nella sua persona «il regno dei cieli» destinato a estirpare dall’umanità il regno delle tenebre. Di qui l’imperativo «convertitevi» (v 17).

    Si tratta di distogliersi dal proprio “io” malvagio, dalla condotta cattiva, e rivolgersi con decisione al Signore Gesù. A lui, infatti, il Battista ha indirizzato e diretto il popolo che lo seguiva. Il suo arresto, in seguito alla “testimonianza” resa davanti a Erode, prepara e annuncia la sua morte che lo annovera nel numero dei profeti perseguitati e uccisi proprio a motivo del servizio da essi compiuto a Dio con l’annuncio della sua Parola. In ciò Giovanni viene legato a quello che sarà il destino dello stesso Gesù (cfr. Matteo 17,22; 20,18-19) e di chiunque intende “seguirlo” (cfr. Matteo 10,17-21; 24,9).

    La Lettura evidenzia un dato inquietante presente nel popolo d’Israele e che deve far riflettere anche noi membri del popolo di Dio che è la Chiesa. È l’atteggiamento di chi non vuole ascoltare la Parola capace di smascherare convincimenti profondi e atteggiamenti molto radicati nel cuore dell’uomo chiamandolo a conversione.

    Questi, infatti, non vuole piegarsi ad accogliere sinceramente la Parola, preferendo impostare la vita sulla propria volontà che porta a confidare «nella vessazione dei deboli e nella perfidia» (Isaia 30,12). Di qui il rifiuto dei predicatori della Parola: «Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni. Scostatevi dalla retta via, uscite dal sentiero, toglieteci dalla vista il Santo d’Israele» (Isaia 30,10-11).

    Questa situazione in cui versava Israele è esemplare della situazione in cui versa l’umanità incredula in ogni tempo e che il profeta Isaia, citato nel brano evangelico odierno (Matteo 4,15-16), vede collocata «nelle tenebre e in regione e ombra di morte». Il disegno divino di salvezza che, a partire da Israele riguarda l’intera umanità, è di far sorgere in quell’"ombra di morte”, ossia di perdizione, “una luce” simbolo della divina presenza che salva.

    I profeti, il Battista, sono le “lampade” che Dio ha fatto brillare nell’oscurità di questo mondo come annunzio della «grande luce» capace di mettere in fuga e, per sempre, le tenebre dalla storia e dal cuore dell’uomo. La «grande luce» è Gesù, il Figlio, «Luce da Luce». In lui brilla e risiede concretamente la salvezza destinata a tutti i popoli e che l’Apostolo declina come “giustificazione”, “riconciliazione”, “pacificazione” nel suo sangue (Epistola: Romani 5,1-11), nell’offerta cioè della sua vita.

    La preghiera liturgica, dal canto suo, volge i cuori dei fedeli a colui che oggi e fino alla consumazione dei secoli strappa dal carcere oscuro del male attualizzando  ciò che ha storicamente compiuto quando, «mosso a pietà degli errori umani, è voluto nascere dalla Vergine Maria; con la sua morte volontaria sulla croce ci ha liberato dalla morte eterna e con la sua risurrezione ci ha conquistato a una vita senza fine» (Prefazio).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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