IV Domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore.
1. La quarta domenica “dopo il martirio” di S. Giovanni il Precursore
Ci indirizza al Signore Gesù riconosciuto nella fede quale “pane vivo disceso dal Cielo” per donare al mondo la “vita”. Vengono, pertanto, oggi proclamate le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Proverbi 9, 1-6; Salmo 33; Epistola: 1Corinzi 10, 14-21; Vangelo: Giovanni 6, 51-59. Il Vangelo della Risurrezione, da proclamare nella Messa vigiliare del sabato, è preso da: Giovanni 20, 11-18. I canti e le orazioni della Messa sono quelli della XXVI domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.
2. Vangelo secondo Giovanni 6,51-59
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 51«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». 59Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.
3. Commento liturgico pastorale
Il brano evangelico è desunto da quello che si è soliti indicare come il discorso di Gesù sul mistero del “pane della vita”: Giovanni 6,25-58. In particolare il v 51 riporta le misteriose parole conclusive di autorivelazione come “pane della vita” ovvero come “il pane vivo disceso dal cielo” (vv 48-51). Il v 52 riferisce la reazione assai polemica degli ascoltatori che, in pratica, si rifiutano di accettare che la loro “vita” dipenda da un uomo qual è Gesù!
I vv 53-58 contengono la risposta all’obiezione incredula dei Giudei con la dettagliata spiegazione delle precedenti parole di “autorivelazione”. Il v 59, infine, che di per sé, conclude l’intero discorso, si incarica di riferire che esso è stato pronunziato da Gesù “insegnando nella sinagoga di Cafarnao”.
Il raccordo del brano evangelico con la Lettura presa dal libro dei Proverbi e con l’Epistola paolina è offerta dal simbolismo sapienziale del “nutrimento” espresso realisticamente nel Vangelo con il verbo “mangiare”. In questa quarta domenica dopo il martirio del Battista, la liturgia offre la sua specifica “testimonianza” su Gesù che si è rivelato come il “pane vivo disceso dal Cielo” del quale è indispensabile nutrirsi per avere in dono la “vita eterna”.
Questa va intesa anzitutto come comunione di amore con Dio stesso, resa possibile e stabilita con il «mangiare la carne del Figlio dell’uomo» e con il «bere il suo sangue» (6,53). Nell’invito del Signore a mangiare la sua “carne” e a “bere” il suo “sangue” si compie, in tutta verità, ciò che la Scrittura aveva annunziato come invito della Sapienza a “mangiare il mio pane e a bere il mio vino” (Proverbi 9,5).
Il “cibo” imbandito dalla Sapienza è in realtà la Legge donata da Dio al suo popolo al fine di preservarlo dalle tristi conseguenze dovute alla sua “inesperienza” e soprattutto per farlo camminare “per la via dell’intelligenza” ovvero dell’accoglienza amorosa e concreta della stessa Legge.
Eppure, questo “cibo”, così come quello della “manna” fatta piovere da Dio sul suo popolo in marcia nel deserto, pur essendo veri “doni” divini non lo hanno preservato dalla morte! La Legge e la “manna”, pertanto, sono da considerare come annuncio profetico che prepara a ricevere e a mangiare il “pane vivo disceso dal Cielo”, vale a dire la “carne” e il “sangue” di Gesù, compreso nella sua realistica condizione di mortalità così come si è manifestata dall’Incarnazione e, massimamente, nell’ora della croce.
È questo il cibo in grado di assicurare la “vita eterna” qui intesa come intima comunione con il Signore. Nel “mangiare la carne e bere il suo sangue”, infatti, si realizza, come Gesù stesso afferma, una sorprendente, reciproca osmosi: «rimane in me e io in lui» (Giovanni 6,56).
Anche l’Apostolo, al riguardo, parla di “comunione” ossia di intima reciproca unione che viene a stabilirsi tra Gesù e i fedeli i quali nel “calice” e nel “pane” della mensa eucaristica (1Corinzi 10,16) partecipano, nel mistero, a ciò che il “pane e il “calice” significano e contengono: il corpo offerto e il sangue del Signore versato per la salvezza e la vita del mondo.
Nel Signore Gesù, nell’atto di dare “la sua carne per la vita del mondo”, si attua così il disegno della Sapienza divina che consiste nel rendere partecipe il credente della sua stessa vita. La celebrazione eucaristica, attraverso la proclamazione della Parola e i santi “segni” dell’altare, è “testimonianza” viva di ciò che il Signore ha detto e ha fatto al fine di donare la sua “carne”, ossia tutto sé stesso come vero “cibo” di vita.
La celebrazione ci esorta, anzitutto, a “credere” nella Parola che viene pronunziata sul pane e sul vino per la loro trasformazione nel “corpo” e nel “sangue” del Signore. La celebrazione ci invita a “mangiare” e a “bere” alla mensa del Signore per avere parte alla sua passione e alla sua morte sofferta perché tutti noi avessimo, da ora, la “vita”, la sua stessa “vita”.
La preghiera liturgica, perciò, “rende grazie” ed “esalta” la divina sapienza del Padre il quale, nel donarci il «pane vivo disceso dal Cielo»: «già in questa fuggevole vita» ci assicura e ci anticipa il possesso della ricchezza eterna (Prefazio).
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