1. La domenica che precede il martirio di S. Giovanni il Precursore
Capitando di domenica, la festa del martirio del Precursore del Signore, destinata a segnare una svolta nel Tempo “dopo Pentecoste”, viene celebrata il 1° settembre. Il Lezionario presenta i seguenti brani biblici: Lettura: 2Maccabei 6,1-2.18-28; Salmo 140; Epistola: 2Corinzi 4,17-5,10; Vangelo: Matteo 18,1-10. Marco 16,1-8a viene proclamato nella Messa vigiliare del sabato come Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti per la Messa vengono presi dal formulario della XXII domenica del Tempo “per annum”.
2. Vangelo secondo Matteo 18,1-10
1In quel tempo. I discepoli si avvicinarono al Signore Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?». 2Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro 3e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. 4Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. 5E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.
6Chi invece scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare. 7Guai al mondo per gli scandali, ma guai all’uomo a causa del quale avviene lo scandalo!
8Se la tua mano o il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, anziché con due mani o due piedi essere gettato nel fuoco eterno. 9E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna del fuoco.
10Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».
3. Commento liturgico-pastorale
Il brano evangelico riporta l’avvio di una serie di “insegnamenti” del Signore che attengono alla vita della sua comunità, la Chiesa, autentico germoglio del regno dei cieli. I vv 1-5 raggruppano alcuni “detti” di Gesù sui “bambini”, vale a dire sui discepoli più umili, semplici e indifesi, affermando che è necessario, per tutti, assumere la semplicità e la piccolezza davanti a Dio e ai fratelli per aver parte al regno dei cieli, ossia alla salvezza definitiva (vv 1-4). In essi, nei “piccoli” si identifica lo stesso Signore Gesù (v 5).
I vv 6-9 ruotano attorno all’esigenza, nella comunità, di evitare, a tutti i costi, lo “scandalo” dei “piccoli” ponendo un ostacolo nel loro cammino di fede e di adesione a Gesù con mentalità e atteggiamenti antievangelici. I vv 8-9, con accenti paradossali, invitano i membri della comunità a sacrificare tutto ciò che è di impedimento e di ostacolo all’ingresso nella “vita”, quella “eterna” s’intende.
Le lezioni bibliche proposte per questa domenica sono segnate, secondo la tradizione propriamente “ambrosiana”, dalla Lettura presa sempre dai due Libri dei Maccabei. Si vuole, così, preparare quella “svolta” nel Tempo dopo Pentecoste rappresentata dall’annuale memoria del “martirio” di san Giovanni Battista, il Precursore del Signore.
Il suo martirio come già quello dei sette fratelli Maccabei, della loro madre, e di Eleazaro «uno degli scribi più stimati» (2Maccabei 6,18), ricorda alla Chiesa la vocazione al martirio, ovvero alla testimonianza che essa è chiamata a dare al Signore Gesù e al suo Vangelo tra le inevitabili prove e persecuzioni, anche violente, che accompagneranno sempre il suo cammino. La Chiesa, per questo, potrà contare sull’assistenza continua dello Spirito Santo dono del Signore risorto.
Stando alla pagina evangelica, la peculiare “testimonianza” che la Chiesa è chiamata a dare riguarda la sequela del Signore nella via dell’umiltà e della piccolezza evangelica. È la via di chi diventa «bambino» per poter «entrare nel regno dei cieli» (Matteo 18,2) ovvero per «entrare nella vita» (v 8-9) quella eterna, nella salvezza! La Chiesa e in essa ogni credente dovrà guardarsi dagli “scandali” vale a dire dagli ingombri che le vengono dalla mentalità mondana consacrata alla ricerca del potere, del dominio, dell’affermazione di sé.
L’esempio dello scriba Eleazaro, pronto a morire, pur di mantenersi fedele alle «sante e venerande leggi» (2Maccabei 6,28), l’esempio del Precursore, spronano ogni discepolo del Signore a perseverare nella fede, a dare con coraggio testimonianza del suo Vangelo, nella consapevolezza che «il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria» (Epistola: 2Corinzi 4,17). Questa consapevolezza in Paolo, come già in Eleazaro e nel Precursore del Signore è sorretta dal fatto che nulla può essere anteposto al Regno, alla prospettiva cioè della definitiva salvezza. Essa non fa temere il giudizio e la condanna degli uomini ma solo il giudizio di Dio, il quale è pronto a donare «un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli» a chi, per la fedeltà a lui ha avuto «distrutta la dimora terrena» (2Corinzi 5,1), vale a dire è andato incontro alla persecuzione e addirittura alla morte!
È quanto avviene ancora in ogni angolo della terra, dove un gran numero di fratelli soffrono persecuzioni senza venir meno alla loro fede nel Signore Gesù. Occorre anche a noi rendere più robusta la nostra fede, cercando ogni giorno il contatto con il Signore che ci parla nelle Divine Scritture e, nel sacramento eucaristico, ci offre la viva testimonianza della sua inesauribile carità e l’anticipo della “vita”.
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1. La tredicesima domenica “dopo Pentecoste”
Il ritorno in patria di Israele dall’esilio babilonese è certamente uno dei momenti più alti ed esaltanti della storia della salvezza. Esso annunzia il ritorno a Dio, in Cristo Gesù, dell’intera umanità.
Il Lezionario prescrive le seguenti lezioni scritturistiche: Lettura: Neemia 1,1-4; 2,1-8; Salmo 83; Epistola: Romani 15,25-33; Vangelo: Matteo 21,10-16. Alla Messa vigiliare vespertina del sabato viene proclamato: Marco 16,9-16 quale Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti per la Messa sono quelli della XXI Domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.
2. Vangelo secondo Matteo 21,10-16
In quel tempo. 10Mentre il Signore Gesù entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». 11E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea». 12Gesù entrò nel tempio e scacciò tutti quelli che nel tempio vendevano e compravano; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe 13e disse loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera. Voi invece ne fate un covo di ladri”».
14Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì. 15Ma i capi dei sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che aveva fatto e i fanciulli che acclamavano nel tempio: «Osanna al figlio di Davide!», si sdegnarono, 16e gli dissero: «Non senti quello che dicono costoro?». Gesù rispose loro: «Sì! Non avete mai letto: “Dalla bocca di bambini e di lattanti hai tratto per te una lode”?».
3. Commento liturgico-pastorale
Il brano evangelico riporta, con i vv 10-11 la conclusione del racconto dell’ingresso solenne di Gesù in Gerusalemme (21,1-11) acclamato nel suo avvicinamento alla città dalla folla. Gli abitanti di Gerusalemme, invece, rimangono scossi e si interrogano sull’identità di Gesù (v 10) ricevendo risposta dai suoi festanti accompagnatori che lo riconoscono come “profeta” originario dell’oscura Nazaret di Galilea (v 11).
L’ingresso culmina con l’entrata di Gesù nel Tempio, dove prende di mira i venditori che rifornivano i visitatori dell’occorrente per il culto (v 12). Gesù accompagna il suo gesto violento con la doppia citazione biblica che, mentre riconosce al Tempio la dignità propria della casa di Dio destinata alla preghiera (cfr. Is. 56,7), dall’altra, con la citazione di Ger 7,11, ne anticipa la fine in quanto trasformata in “covo di ladri” (v 13).
I vv 14-16 riferiscono sull’attività di guarigione compiuta da Gesù proprio nel Tempio e della gioia dei bimbi che gridano all’indirizzo di Gesù “Osanna al Figlio di Davide”, con la reazione “indignata” di “sommi sacerdoti e scribi”. A essi Gesù risponde citando il Salmo 8,3 che attribuisce proprio “ai bambini e ai lattanti”, ossia ai “piccoli”: poveri, umili ed emarginati, la capacità di dare lode conveniente a Dio, riconoscendo cioè il suo agire misericordioso e benevolo verso tutti.
Questa penultima domenica dopo Pentecoste evoca, come evento significativo della storia della salvezza, il ritorno dall’esilio babilonese e l’opera di ricostruzione della città di Gerusalemme e specialmente del Tempio già distrutto da Nabucodonosor, re di Persia nel 597 a.C. Alla ricostruzione materiale va di pari passo la ricostruzione della vita religiosa di Israele. La Lettura sottolinea come quel ritorno e quella ricostruzione rientrano nei disegni divini e, per questo, trovano il favore davvero insperato nel re persiano Artaserse.
Questi non solo lascia partire Neemia, con l’intento esplicito di far rinascere Gerusalemme, ma addirittura gli fornisce l’occorrente come «il legname per munire di travi le porte della cittadella del tempio» (Neemia 2,8). Neemia stesso riconosce che tutto ciò si spiega con l’intervento misterioso di Dio: «Il re mi diede le lettere, perché la mano benefica del mio Dio era su di me» (v 8).
Il testo evangelico mette in luce che quella “mano benefica” di Dio si è posata sul suo Figlio Gesù che fa il suo ingresso in Gerusalemme e nel Tempio, ponendo fine alla vita religiosa in esso vissuta come commistione tra culto offerto a Dio mediante offerte e sacrifici di animali inconsapevoli e il vantaggio economico da esso derivante.
Le parole con cui Gesù accompagna i suoi gesti violenti, rovesciando i tavoli e le sedie dei venditori, sono prese dalle Scritture e decretano la fine del Tempio che il peccato ha trasformato da “casa di Dio” in “un covo di ladri”.
Contemporaneamente, Gesù, proprio nel Tempio, opera guarigioni di “ciechi e di storpi” quali rappresentanti di tutti gli uomini emarginati, di tutti gli sfigurati che egli intende far ritornare dalla situazione di degrado e di esclusione, nella casa di Dio, nel nuovo e definitivo Tempio che è la sua stessa persona. In lui si riceve misericordia, perdono, dignità, pace che permettono di rendere a Dio il culto che egli cerca, quello reso da coloro che credono e obbediscono alla sua Parola. Con cuore umile e sincero, con il cuore dei piccoli di cui parla il Salmo citato da Gesù: «Dalla bocca di bambini e di lattanti hai tratto per te una lode».
L’esempio di Gesù che inaugura la nuova casa di Dio, abitata dai piccoli, dai poveri, dagli emarginati, è stato seguito nella Chiesa delle origini. L’Apostolo, infatti, si reca a Gerusalemme per compiere un vero atto di culto: soccorre i “poveri tra i santi” nelle loro “necessità materiali” (Epistola: Romani 15,27).
Nella celebrazione eucaristica il Signore Gesù riceve il riconoscimento e la lode “di bimbi e di lattanti”, vale a dire dal popolo da lui riscattato dalla triste condizione di esilio, di degrado e di emarginazione dovuta all’oppressione della colpa e dei peccati. Un popolo da lui ricostruito come Tempio e casa di Dio, come suo unico “corpo”!
Nella celebrazione, con l’offerta sacrificale che «in tutta la Terra si eleva dalla sparsa moltitudine delle genti» (cfr Prefazio XXI Domenica del Tempo “per annum”), viene reso a Dio il culto perfetto, a lui gradito e, per Cristo, con Cristo e in Cristo, la preghiera e la supplica della Chiesa giunge infallibilmente fino al trono dell’Altissimo.
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1. La dodicesima domenica “dopo Pentecoste”
La storia della salvezza registra eventi tragici per il popolo di Israele come conseguenza del suo allontanamento da Dio e della sua ostinata resistenza ai richiami dei profeti. Siamo così messi in guardia dal fare altrettanto chiudendoci a Gesù e al suo Vangelo.
Le lezioni bibliche offerte dal Lezionario sono: Lettura: 2 Re 25,1-17; Salmo 77; Epistola: Romani 2,1-10; Vangelo: Matteo 23,37-24,2. Nella Messa vespertina del sabato il Vangelo della Risurrezione è preso da Giovanni 21,1-14. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XX Domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.
2. Vangelo secondo Matteo 23,37-39.24,1-2
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 37«Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! 38Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta! 39Vi dico infatti che non mi vedrete più, fino a quando non direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”».
24,1Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. 2Egli disse loro: «Non vedete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta».
3. Commento liturgico-pastorale
Il brano evangelico si presenta diviso in due parti: la prima, comprendente i vv 37-39, rappresenta la parte finale del discorso polemico contro “scribi e farisei”, ma anche contro Israele e la stessa Gerusalemme, pronunciato da Gesù nel Tempio. La seconda 24,1-2 riporta l’avvio del discorso fatto da Gesù ai suoi discepoli, “fuori” dal Tempio e riguardante gli eventi finali che preparano la “parusia”, la venuta cioè del Signore, alla fine dei tempi, per il giudizio. In particolare, nei vv 37-39, Gesù dopo l’invettiva contro scribi e farisei e, in generale, contro il popolo d’Israele, “uccisori di profeti”, si rivolge direttamente alla città di Gerusalemme. A essa ricorda il suo passato fatto di disobbedienze a Dio e del rifiuto di ascoltare e di accogliere i profeti di continuo mandati da lui come segno della sua premura “paterna”.
La Lettura ci presenta il resoconto della distruzione della città a opera di Nabucodonosor, re di Persia (597 a.C.), come conseguenza del degrado religioso e morale della città, a causa del suo traviamento idolatrico.
Gesù, in linea con il comportamento di Dio stesso, usa l’immagine biblica della chioccia (cfr. Isaia 31,5; Sl 36,8) per dichiarare il suo grande amore per il suo popolo e la città sede del Tempio. Un amore che intende proteggerla e preservarla dagli eventi luttuosi attraverso i suoi richiami, le sue parole. Ma invano. Gesù subisce, come tutti i precedenti inviati di Dio, il rifiuto e come essi, la morte violenta.
Si aggancia, così, con il v 38, l’annunzio come conseguenza del rifiuto del “giudizio” sulla città che “vi sarà lasciata deserta”, predicendo con ciò il definitivo ritiro e abbandono da parte di Dio della sua “casa”, ovvero del Tempio e del suo popolo, lasciando perciò campo libero ai tragici eventi come l’effettiva e definitiva distruzione di Gerusalemme e del Tempio, nel 70 d.C. a opera delle legioni romane.
Al v 39 Gesù parla della sua dipartita, ovvero della sua morte come di una sua momentanea assenza fino alla sua “parusia”, nella quale verrà da tutti riconosciuto come il Messia, il Figlio dell’uomo mandato “nel nome del Signore” (cfr. Salmo 118,6).
I vv 1-2 del cap. 24, come abbiamo già detto, ci trasportano fuori dal Tempio e riportano parole di Gesù dirette ai suoi discepoli e quindi di grande importanza per la sua comunità che viene così informata sugli eventi finali riguardanti la già citata distruzione di Gerusalemme e del Tempio e sulla necessità di farsi trovare preparati.
Nello spiegarsi graduale della salvezza che l’attuale tempo liturgico ci fa ripercorrere alla luce della Pasqua del Signore, ci viene oggi offerta dalla Parola una chiave interpretativa delle vicende della storia nella quale, come un tempo Israele, oggi è immersa la comunità del Signore, ossia la Chiesa. Questa, alla luce delle vicende di Israele, è messa in guardia dal cadere nella stessa triste condizione di chiusura, di indifferenza alla parola di Dio, di rifiuto pratico del suo ultimo e definitivo inviato, ossia il suo Figlio Gesù.
Tale rifiuto espone oggi, come allora, la comunità a eventi davanti ai quali è come disarmata e indifesa, come lo fu Gerusalemme davanti a Nabucodonosor prima e poi all’imperatore romano Vespasiano. La Chiesa, dunque, e tutti noi in essa, siamo esortati ad ascoltare i richiami pieni di amore che il Signore Gesù ci rivolge, come fa la chioccia verso i suoi pulcini indifesi.
Sotto le sue ali, al suo riparo, la Chiesa andrà incontro agli eventi della storia, certa di non essere quella casa “lasciata deserta” dall’abbandono del suo Signore. Istituita da lui saprà valutare, come si conviene, le realtà di questo mondo destinate a “passare” così come le belle pietre del Tempio di Gerusalemme.
In una parola, la Chiesa, certa che il suo Signore, non l’abbandonerà mai, sarà stimolata ad accoglierlo e ad ascoltarlo come l’unico supremo inviato di Dio e a ubbidire a ogni sua parola convertendosi dal “cuore duro e ostinato” (cfr. Romani 2,5). In tal modo non sarà scossa e turbata dagli accadimenti spesso tragici della Storia e, avvertendo la protezione amorosa del Signore, si manterrà fedele alla sua parola attendendo così, con serenità, la sua “parusia”, il suo “giudizio”.
Per questo, mentre chiediamo a Dio di “renderci attenti e docili alla voce interiore dello Spirito” (orazione All’inizio dell’Assemblea Liturgica) che ci porta viva la Parola di Gesù, così supplichiamo: «Donaci, o Dio, la sapienza dell’umiltà; non abbandonarci ai calcoli incerti degli accorgimenti umani, ma serbaci nella protezione della tua provvidenza che non delude» (orazione A conclusione della Liturgia della Parola)
16 agosto 2010 – Assunzione della Beata Vergine Maria
La tradizione liturgica della nostra Chiesa ambrosiana riserva il giorno di domenica alla celebrazione, in modo esclusivo, del mistero di Cristo, segnatamente della sua Pasqua di morte e di risurrezione. Per questo la solennità dell’Assunzione, coincidendo quest’anno con il giorno di domenica, viene posticipata di un giorno.
Il Lezionario prevede le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Apocalisse 11,19; 12,1-6.10; Salmo 44; Epistola: 1Corinzi 15,20-26; Vangelo: Luca 1,39-56. Il Lezionario prevede le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Apocalisse 11,19; 12,1-6.10; Salmo 44; Epistola: 1Corinzi 15,20-26; Vangelo: Luca 1,39-56.
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1. L’undicesima domenica “dopo Pentecoste”
Pone in rilievo la figura di Elia, il più grande dei profeti. Egli annunzia, nella sua predicazione e nell’intera sua vicenda, la persona e la missione di Gesù che porta nel mondo la Parola di salvezza da lui attuata nella sua Pasqua. Il Lezionario fa oggi proclamare: Lettura: 1Re 21,1-19; Salmo 5; Epistola: Romani 12,9-18; Vangelo: Luca 16,19-31. Alla Messa vigiliare del sabato il Vangelo della Risurrezione è preso da Giovanni 20,24-29. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XIX Domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.
2. Vangelo secondo Luca 16,19-31
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 19«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 27E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
3. Commento liturgico-pastorale
Il brano, noto come la parabola “del ricco epulone” e del povero Lazzaro, mostra le conseguenze tragiche prodotte dall’uso perverso delle ricchezze da cui il Signore aveva già messo in guardia con la precedente parabola dell’amministratore infedele (16,1-8) e con il suo insegnamento al riguardo (16,9-13) che addita, nell’elemosina, l’uso buono delle stesse ricchezze.
La parabola si presenta divisa in due parti. Nella prima, vv 19-25, viene illustrato il totale ribaltamento di situazione che avviene per il ricco e per il povero, nell’ora della morte. Un cambiamento reso drammatico dalla visione del ricco non più vestito di “porpora e di lino finissimo”, ma nell’inferno tra “i tormenti”. Egli, abituato ai sontuosi banchetti quotidiani, ora chiede solo una goccia d’acqua fresca. Il povero, al contrario, ora è “nel seno di Abramo” ovvero partecipa della beatitudine e della felicità eterna. Un simile cambiamento, avverte il v 26, è irreversibile e non è pensabile passare dai “tormenti” al “seno di Abramo” per via del “grande abisso” che divide per sempre le due situazioni.
Nella seconda parte della parabola (vv 27-30) l’attenzione è rivolta ai cinque fratelli del “ricco” i quali, evidentemente, vivendo come lui, sono inesorabilmente destinati alla sua orribile fine. Essi, però, essendo ancora in vita, possono evitare tale fine, decidendo di obbedire a “Mosè e i Profeti” (v 29. v 31).
Nel progressivo dispiegarsi della storia della salvezza che il tempo liturgico “dopo Pentecoste” ci fa rivivere nelle sue grandi tappe considerate nella loro tensione alla Pasqua, un posto di rilievo è occupato dai Profeti rappresentati emblematicamente da Elia. Egli riassume la rivelazione vetero-testamentaria che va sotto il nome, appunto, di “Profeti” e che, insieme a Mosè, che riassume in sé il Pentateuco (la Legge), indica, di fatto, tutta la Scrittura così come viene fatto capire nel testo evangelico oggi proclamato.
I profeti sono mandati da Dio con il compito essenziale di mantenere il popolo a lui appartenente nella fedeltà all’alleanza, additando le mancanze che ledono tale alleanza e che spiegano anche le “prove” che, per questo, si abbattono sul popolo stesso. I profeti, perciò, predicano la necessità di conversione dall’idolatria e dalla condotta malvagia volgendosi con fiducia a Dio e camminando nelle sue vie.
La Lettura ci offre la testimonianza di Elia che non teme di affrontare il perfido re Acab denunciando apertamente il suo crimine – l’uccisione proditoria di Nabat e l’usurpazione della sua vigna – e la conseguente punizione che lo attende (1Re 21,8-19).
Tutta la Scrittura (= Mosè e i Profeti), perciò, è da Dio donata perché sia “ascoltata” e “obbedita”. Essa, in realtà, annuncia e prepara l’invio nel mondo non più di intermediari per quanto grandi come Mosè e i Profeti, ma della stessa “Parola” ossia di Gesù di Nazaret. Egli insegna agli uomini la via per sfuggire al triste destino del “ricco” ossia alla rovina eterna e arrivare così nel “seno di Abramo” ossia alla felicità eterna.
Nel Signore Gesù, nella sua Parola noi abbiamo la possibilità di ascoltare “tutta la Legge e tutti i Profeti” che lui riassume nel comandamento dell’amore di Dio e del prossimo teso a ribaltare totalmente quella mentalità e quello stile di vita emblematicamente espresso nella figura del “ricco epulone”.
Egli divenuto oramai impermeabile ai divini richiami, si ostina a perseguire un’esistenza illusoriamente ritenuta sicura perché al riparo delle “ricchezze” di questo mondo: il denaro, il potere, il piacere. Una tale esistenza è inesorabilmente avviata al “grande abisso” dal quale neanche un “miracolo”, quello invocato dal “ricco” per i suoi fratelli, potrebbe liberare.
Immensamente grati al Padre per il dono del suo Figlio, sua Parola vivente, cogliamo anche noi l’invito delle Scritture a verificare il nostro autentico atteggiamento di fronte a Gesù e al suo Vangelo. “Oggi” è ancora possibile, qualora registrassimo in noi indifferenza e chiusura alla Parola, fermarci dal cadere nel “grande abisso” e operare quella “conversione” del cuore che l’apostolo Paolo traduce in concreto programma di vita (Epistola: Romani 12,9-18) e che il Canto al Vangelo così sintetizza: «Beati coloro che custodiscono la parola di Dio con cuore integro e buono e producono frutto con perseveranza».
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