1. La tredicesima domenica “dopo Pentecoste”
Il ritorno in patria di Israele dall’esilio babilonese è certamente uno dei momenti più alti ed esaltanti della storia della salvezza. Esso annunzia il ritorno a Dio, in Cristo Gesù, dell’intera umanità.
Il Lezionario prescrive le seguenti lezioni scritturistiche: Lettura: Neemia 1,1-4; 2,1-8; Salmo 83; Epistola: Romani 15,25-33; Vangelo: Matteo 21,10-16. Alla Messa vigiliare vespertina del sabato viene proclamato: Marco 16,9-16 quale Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti per la Messa sono quelli della XXI Domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.
2. Vangelo secondo Matteo 21,10-16
In quel tempo. 10Mentre il Signore Gesù entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». 11E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea». 12Gesù entrò nel tempio e scacciò tutti quelli che nel tempio vendevano e compravano; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe 13e disse loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera. Voi invece ne fate un covo di ladri”».
14Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì. 15Ma i capi dei sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che aveva fatto e i fanciulli che acclamavano nel tempio: «Osanna al figlio di Davide!», si sdegnarono, 16e gli dissero: «Non senti quello che dicono costoro?». Gesù rispose loro: «Sì! Non avete mai letto: “Dalla bocca di bambini e di lattanti hai tratto per te una lode”?».
3. Commento liturgico-pastorale
Il brano evangelico riporta, con i vv 10-11 la conclusione del racconto dell’ingresso solenne di Gesù in Gerusalemme (21,1-11) acclamato nel suo avvicinamento alla città dalla folla. Gli abitanti di Gerusalemme, invece, rimangono scossi e si interrogano sull’identità di Gesù (v 10) ricevendo risposta dai suoi festanti accompagnatori che lo riconoscono come “profeta” originario dell’oscura Nazaret di Galilea (v 11).
L’ingresso culmina con l’entrata di Gesù nel Tempio, dove prende di mira i venditori che rifornivano i visitatori dell’occorrente per il culto (v 12). Gesù accompagna il suo gesto violento con la doppia citazione biblica che, mentre riconosce al Tempio la dignità propria della casa di Dio destinata alla preghiera (cfr. Is. 56,7), dall’altra, con la citazione di Ger 7,11, ne anticipa la fine in quanto trasformata in “covo di ladri” (v 13).
I vv 14-16 riferiscono sull’attività di guarigione compiuta da Gesù proprio nel Tempio e della gioia dei bimbi che gridano all’indirizzo di Gesù “Osanna al Figlio di Davide”, con la reazione “indignata” di “sommi sacerdoti e scribi”. A essi Gesù risponde citando il Salmo 8,3 che attribuisce proprio “ai bambini e ai lattanti”, ossia ai “piccoli”: poveri, umili ed emarginati, la capacità di dare lode conveniente a Dio, riconoscendo cioè il suo agire misericordioso e benevolo verso tutti.
Questa penultima domenica dopo Pentecoste evoca, come evento significativo della storia della salvezza, il ritorno dall’esilio babilonese e l’opera di ricostruzione della città di Gerusalemme e specialmente del Tempio già distrutto da Nabucodonosor, re di Persia nel 597 a.C. Alla ricostruzione materiale va di pari passo la ricostruzione della vita religiosa di Israele. La Lettura sottolinea come quel ritorno e quella ricostruzione rientrano nei disegni divini e, per questo, trovano il favore davvero insperato nel re persiano Artaserse.
Questi non solo lascia partire Neemia, con l’intento esplicito di far rinascere Gerusalemme, ma addirittura gli fornisce l’occorrente come «il legname per munire di travi le porte della cittadella del tempio» (Neemia 2,8). Neemia stesso riconosce che tutto ciò si spiega con l’intervento misterioso di Dio: «Il re mi diede le lettere, perché la mano benefica del mio Dio era su di me» (v 8).
Il testo evangelico mette in luce che quella “mano benefica” di Dio si è posata sul suo Figlio Gesù che fa il suo ingresso in Gerusalemme e nel Tempio, ponendo fine alla vita religiosa in esso vissuta come commistione tra culto offerto a Dio mediante offerte e sacrifici di animali inconsapevoli e il vantaggio economico da esso derivante.
Le parole con cui Gesù accompagna i suoi gesti violenti, rovesciando i tavoli e le sedie dei venditori, sono prese dalle Scritture e decretano la fine del Tempio che il peccato ha trasformato da “casa di Dio” in “un covo di ladri”.
Contemporaneamente, Gesù, proprio nel Tempio, opera guarigioni di “ciechi e di storpi” quali rappresentanti di tutti gli uomini emarginati, di tutti gli sfigurati che egli intende far ritornare dalla situazione di degrado e di esclusione, nella casa di Dio, nel nuovo e definitivo Tempio che è la sua stessa persona. In lui si riceve misericordia, perdono, dignità, pace che permettono di rendere a Dio il culto che egli cerca, quello reso da coloro che credono e obbediscono alla sua Parola. Con cuore umile e sincero, con il cuore dei piccoli di cui parla il Salmo citato da Gesù: «Dalla bocca di bambini e di lattanti hai tratto per te una lode».
L’esempio di Gesù che inaugura la nuova casa di Dio, abitata dai piccoli, dai poveri, dagli emarginati, è stato seguito nella Chiesa delle origini. L’Apostolo, infatti, si reca a Gerusalemme per compiere un vero atto di culto: soccorre i “poveri tra i santi” nelle loro “necessità materiali” (Epistola: Romani 15,27).
Nella celebrazione eucaristica il Signore Gesù riceve il riconoscimento e la lode “di bimbi e di lattanti”, vale a dire dal popolo da lui riscattato dalla triste condizione di esilio, di degrado e di emarginazione dovuta all’oppressione della colpa e dei peccati. Un popolo da lui ricostruito come Tempio e casa di Dio, come suo unico “corpo”!
Nella celebrazione, con l’offerta sacrificale che «in tutta la Terra si eleva dalla sparsa moltitudine delle genti» (cfr Prefazio XXI Domenica del Tempo “per annum”), viene reso a Dio il culto perfetto, a lui gradito e, per Cristo, con Cristo e in Cristo, la preghiera e la supplica della Chiesa giunge infallibilmente fino al trono dell’Altissimo.
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