2-10-2011 - V dopo il martirio del Battista


1. La quinta domenica “dopo il martirio” del Precursore

 

Indica nell’amore di Dio e del prossimo la norma suprema che regola la vita della Chiesa e di ogni credente. Il Lezionario offre le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Deuteronomio 6,2-12; Salmo 17; Epistola: Galati 5,1-14; Vangelo: Matteo 22,34-40. Nella Messa vespertina del sabato viene letto Luca 24, 13-35 quale Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXVII domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.

 

2. Vangelo secondo Matteo 22,34-40

 

In quel tempo. 34I farisei, avendo udito che il signore Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual’è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

 


3. Commento liturgico pastorale

 

Il brano evangelico odierno rappresenta l’ultima delle tre controversie riportate in Matteo 22,15-40 e che contrappongono a Gesù i farisei, i membri della classe sacerdotale (sadducei) e i sostenitori del re Erode (erodiani) sulla questione del pagamento del tributo all’imperatore romano (vv. 15-22); sulla risurrezione dei morti (vv. 23-33) e, dunque, sul precetto più grande della Legge (vv. 34-40).


Il testo si apre con la precisazione della riunione dei farisei (v. 34) che sembra preparare quella che decreterà la rovina del Signore Gesù. Si avverte, infatti, un’intonazione malevola e minacciosa alla domanda che uno di essi fa a Gesù «per metterlo alla prova» (v. 35), ossia per ottenere dalla sua risposta argomenti per attaccarlo. La domanda riguarda nientemeno il “grande precetto” imposto dalla Legge data da Dio al suo popolo (v. 36).


Nella sua risposta, a ben guardare, Gesù dice che il precetto, il più grande, è quello dell’amore, che va in due direzioni le quali permettono di parlare di un “primo” e di un “secondo” precetto. Anzitutto l’amore per Dio (v. 37) al quale, con citazione diretta del libro del Deuteronomio 6,5, va riservato un amore «con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». Dio, dunque, al di sopra di tutto e di tutti. A lui nulla e nessuno può essere anteposto. In questo senso è il più grande e il primo nella scala gerarchica di tutti i comandamenti (v. 38).


Speculare a questo è il secondo che, con citazione del libro del Levitico 19,18, riguarda l’amore del prossimo «come te stesso». Si tratta di una disposizione che supera quella riportata in Matteo 7,12, comunemente nota come la “regola d’oro”: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro». L’amore del prossimo è senza dubbio, il secondo nel duplice precetto dell’amore ma, nel suo adempimento, si rispecchia quello più grande dell’amore per Dio.


La solenne conclusione di Gesù chiude la controversia: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (v. 40), ossia tutta la divina prima rivelazione contenuta appunto nella Legge (= i primi cinque libri della Bibbia o Pentateuco) e nei Profeti (comprendente non solo i libri profetici ma anche quelli storici e i Salmi). Tutto dunque sta come appeso a questi due cardini dell’amore per Dio e per il prossimo!


Queste parole del Signore scolpiscono nel cuore dei suoi discepoli, e di tutta la Chiesa, ciò che è essenziale e da ritenere come l’unica cosa indispensabile: l’osservanza sine glossa dell’unico comandamento da lui lasciato: quello dell’amore verso Dio anzitutto, già chiaramente rivelato nella prima alleanza: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Lettura: Deuteronomio 6,4-5) e quello verso il prossimo come ci tramanda da subito la predicazione apostolica: «Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso». (Epistola: Galati 5,14).


È quanto la Chiesa e, in essa, ogni fedele è tenuto a osservare per poter efficacemente rendere al mondo la testimonianza più limpida, trasparente, immediatamente leggibile al suo Signore e a ciò che egli ha compiuto donandosi senza riserve alla volontà del Padre e consegnando la sua stessa vita per ogni uomo a partire da quanti lo hanno tradito, umiliato e messo a morte.


La celebrazione eucaristica mette alla portata di tutti l’Amore con cui il Signore ci ha amati e il cui segno è la sua Croce attualizzata nel mistero. Abbiamo così la possibilità di valutare la reale consistenza della nostra fede e l’autenticità della nostra partecipazione all’Eucaristia nell’osservanza quotidiana del precetto dell’amore predicato e anzitutto vissuto dal Signore Gesù.


Non lo dimentichiamo: la forza attrattiva della Chiesa non consiste in altro se non nella sua graduale trasformazione in una comunità retta e guidata dall’amore senza condizioni o contropartite verso il nostro prossimo, ossia ogni uomo che incontriamo sul nostro cammino.


Del resto, nel nostro amore brilla qualcosa di quello immenso con il quale Dio, come preghiamo nel Prefazio, ha «tanto amato il mondo e tanta pietà hai provato per noi, da mandare il tuo Unigenito... e così nel tuo Figlio fatto uomo ci hai amato tutti con un amore nuovo e più alto». È questo Amore che rende possibile a noi l’amore!

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25-09-2011 – IV dopo il martirio del Battista


1. La quarta domenica “dopo il martirio” del Precursore
   

Offre la “testimonianza” al Signore Gesù il rivelatore del Padre, inviato e donato al  mondo come “pane di vita eterna”. Registriamo nel Lezionario le seguenti lezioni scritturistiche: Lettura: Isaia 63,19b-64,10; Salmo 76; Epistola: Ebrei 9,1-12; Vangelo: Giovanni 6,24-35. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXVI domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano. Alla Messa vigiliare del sabato viene proclamato: Giovanni 20,11-18 quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Giovanni 6,24-35    

In quel tempo. 24Quando la folla vide che il Signore Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».    
26Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». 29Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».    
30Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».
   


3. Commento liturgico-pastorale    

Il brano oggi proclamato introduce, di fatto, quello che viene comunemente indicato come il discorso sul “pane della vita” (6,35-59) avviato dal grande “segno” compiuto da Gesù nello sfamare oltre cinquemila persone con “cinque pani d’orzo e due piccoli pesci” (v. 9) che un ragazzo, tra la folla, recava con sé.

Si comprende, perciò, come la folla cercasse Gesù inseguendolo al di là del lago di Tiberiade alla volta di Cafarnao (v. 24) e, una volta trovatolo, intesse con lui un dialogo che, secondo lo stile narrativo dell’evangelista Giovanni, è tutto orientato alla domanda conclusiva del v. 34: «Signore, dacci sempre questo pane» che provoca la parola di rivelazione: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (v. 35).

In una prima risposta (vv. 26-27) Gesù invita i suoi interlocutori, che lo seguono al fine di ricevere ancora cibo gratuito e abbondante (v. 26), a darsi da fare (= operate): «non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna» (v. 27).

Parole misteriose che riguardano un “alimento” certamente non materiale e che può essere dato soltanto dal “Figlio dell'uomo”, vale a dire dal Messia consacrato a Dio dal suo “sigillo”, ossia dal suo Santo Spirito (v. 27).

Esse provocano negli interlocutori un’ulteriore domanda riguardante cosa devono compiere per «fare le opere di Dio» e così ricevere il «cibo che rimane per la vita eterna». La risposta di Gesù è lapidaria: «che crediate in colui che egli ha mandato» (v. 29). L’“opera” dunque da fare è accogliere e prestare fede all’inviato di Dio come suo unico rivelatore, ossia allo stesso Gesù.    
E' quanto comprendono gli interlocutori che sono disposti a credere in lui a patto però che faccia  un “segno” che lo accrediti appunto come tale (v. 30). Di qui la citazione scritturistica del “segno” dato da Mosè che nel deserto, fa piovere dal cielo la manna come “cibo”, compresa anche al tempo di Gesù come figura del dono della Legge che è data a Israele come vero nutrimento quotidiano.

Gesù, a questo punto, conduce ancora più in alto il dialogo con la solenne affermazione  introdotta dal duplice “In verità in verità io vi dico”, rivelando quale autore del dono del “pane dal cielo”, non un uomo per quanto grande come Mosè, ma Dio stesso e indicando nel segno del “pane” la persona stessa del suo Inviato (v. 33), incaricato non solo di nutrire Israele ma di “dare la vita” al mondo intero (v. 33).

Di qui la richiesta dei Galilei: «Signore dacci sempre questo pane» (v. 34) alla quale Gesù risponde con la solenne parola di auto-rivelazione: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (v. 35). Gesù pertanto non è solo in grado di ottenere da Dio il pane di vita eterna ma lui, in persona, è  quel “pane”!

È questa la “testimonianza” che accogliamo oggi dalla parola di Dio e che come comunità del Signore, ma anche come singoli credenti, dobbiamo saper trasmettere. Gesù, l’inviato dal Padre, il rivelatore del suo volto, è il pane di vita e di salvezza dato da Dio al mondo. Egli è la concreta risposta che, ieri come oggi, Dio dà all’umanità avvilita e umiliata dal potere del male e che a lui grida: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Lettura: Isaia 63,19b).

Gesù è disceso dal cielo, è venuto dal Padre per strapparci al potere del male che fa dell’intera umanità, secondo la parola profetica, «una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento» (Isaia 64,5).

Gesù “pane di vita” è ora offerto e donato al mondo nell’attuazione liturgica della sua croce, vale a dire del suo sacrificio pasquale. Con esso egli ha posto fine ai sacrifici materiali dell’antica alleanza entrando «una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri o di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna» (Epistola: Ebrei 9,12).

Il segno perenne del suo sacrificio redentivo è il “pane eucaristico” che viene imbandito sull’altare perché chi crede ne mangi per avere fin da ora la “vita eterna” che è comunione con la vita divina. Si comprende, perciò, come sia decisivo per tutti i membri della Chiesa «restare in comunione con Cristo, nostro capo, nella fede e nelle opere» per poter «ritrovarci tutti partecipi della felicità eterna» (Orazione Dopo la Comunione) già sperimentata nel mistero eucaristico del “ pane di vita”.

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18-09-2011 – III dopo il martirio del Battista


1. La terza domenica “dopo il martirio” del Precursore    

Offre una peculiare “testimonianza” a Gesù, il Messia sofferente riconosciuto come “il Cristo di Dio”. IL Lezionario prevede le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Isaia 11,10-16; Salmo 131; Epistola: 1Timoteo 1,12-17; Vangelo: Luca 9,18-22. Le orazioni e i canti per la Messa sono quelli della XXV domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano. Viene proclamato: Matteo 28,8-10, quale Vangelo della risurrezione, nella Messa vigiliare del sabato.    


2. Vangelo secondo Luca 9,18-22   

In quel tempo. 18Il Signore Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.    
22«Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».     


3. Commento liturgico-pastorale    

Il brano è immediatamente preceduto dal racconto dell’invio missionario dei Dodici e della moltiplicazione dei pani (Luca 9,1-17) ed è seguito dall’insegnamento su cosa significhi essere discepoli del Signore (Luca 9,23-27).

Tutta la sezione intende condurre a una più profonda conoscenza di Gesù a partire proprio dal nostro testo che riporta le parole con cui Pietro riconosce in Gesù il Messia (vv. 18-20) e quelle con cui Gesù annuncia, per la prima volta, la sua passione e morte (vv. 21-22).

Il riconoscimento di Pietro è però preceduto dall’importante precisazione che esso avviene mentre Gesù «si trovava in un luogo solitario a pregare» (v. 18). L’evangelista Luca ama collocare gli avvenimenti più significativi che vedono Gesù come protagonista nel contesto della preghiera, cosa questa, da annotare da parte di coloro che intendono farsi suoi discepoli.

In un primo momento Gesù chiede ai discepoli:  «Le folle, chi dicono che io sia?» ottenendo, in pratica, la stessa risposta che veniva data al re Erode incerto su cosa pensare di Gesù (Luca 9,7). Nell’“opinione” corrente tra il popolo Gesù sarebbe Giovanni il Battista, o Elia, o «uno degli antichi profeti che è risorto» (v. 19).

Ora la domanda è direttamente rivolta ai discepoli che Gesù sta preparando a diventare i futuri capi della sua comunità: «Ma voi, chi dite che io sia?». La risposta è data da Pietro che dovrà assumere un ruolo speciale nel gruppo stesso dei discepoli e dei Dodici: «Il Cristo di Dio» (v. 20) ovvero riconosce in Gesù “l’unto di Dio” e, dunque, il Messia annunziato e promesso da Dio e la cui venuta era particolarmente tenuta desta in Israele al tempo di Gesù.

Luca omette l’ampia replica di Gesù riportata in Matteo 16,17-19 e subito passa a chiarire come dovrà essere riconosciuto Gesù nella sua identità messianica. Un Messia non certo trionfante ma “sofferente”. Di qui la prima predizione della sua passione (v. 22) nella quale Gesù si attribuisce il non immediatamente comprensibile titolo di “Figlio dell’uomo” di origine profetica (cfr. Ezechiele 2,1.3ss. e Daniele 7,13) che contraddistingue proprio il Messia sofferente ma anche il Giudice della fine dei tempi.

Con i due verbi che dicono “sofferenza” e “rifiuto” viene annunziato senza ambiguità di sorta cosa attende il Messia secondo i misteriosi disegni divini di salvezza indicati nel verbo “deve”! Sono anche individuati negli “anziani”, nei “capi dei sacerdoti” e negli “scribi” ovvero nei componenti il Sinedrio che aveva competenza in materia religiosa per tutti i Giudei, gli autori delle molte sofferenze e del doloroso “rifiuto” del Messia da parte del suo popolo.  Il culmine delle sofferenze è raggiunto con la “morte” del Cristo destinato però alla risurrezione “il terzo giorno”.

Il peculiare contesto liturgico nel quale è proclamato porta a evidenziare, nel brano evangelico, il riconoscimento ovvero la “testimonianza” resa da Pietro a Gesù e che deve portarci a fare altrettanto riconoscendo e testimoniando nella nostra vita con la parola e il comportamento che Gesù è “il Cristo” di Dio.

Tutte le divine promesse riguardanti Israele e, in esso, tutti i popoli della terra, si sono avverate nella venuta nel mondo di Gesù, il Figlio, come Messia potente. è lui in verità la “radice di Iesse” che il Profeta dice sarà come «un vessillo per i popoli» e che «le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa» (Lettura: Isaia 11,10).

E' lui la “mano” con la quale Dio riscatterà il suo popolo. è lui, in persona, nell’ora della croce, il “vessillo”  che Dio alzerà «tra le nazioni e raccoglierà gli espulsi d’Israele; radunerà i dispersi di Giuda dai quattro angoli della terra» (v. 12).

Non diversa è la testimonianza che Paolo offre di Cristo «venuto nel mondo per salvare i peccatori» dei quali egli si ritiene “il primo”. In lui, prima «un bestemmiatore, un persecutore, un violento» (Epistola: 1Timoteo 1,13), Gesù ha dimostrato «tutta quanta la sua magnanimità» facendo di Paolo un «esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna» (v.  16).

La celebrazione eucaristica memoriale attuativo della morte e risurrezione del Signore è il luogo dove ci è dato di “riconoscere” Gesù, di professare la nostra fede in lui e di testimoniare che la salvezza e la riconciliazione sono stabilite proprio in colui che ha subito “molte sofferenze”.

Essa è pure il luogo dove impariamo cosa comporti in concreto la sequela del Signore come “discepoli”: accettare di seguirlo nella via della sofferenza, della morte e persino del “rifiuto”. In tal modo la comunità dei discepoli, la Chiesa, diviene quel “vessillo” attorno al quale tutti sono chiamati a radunarsi per ottenere vita e salvezza.

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11/09/11-II dom dopo il Martirio del Battista

1. La seconda domenica “dopo il martirio” di San Giovanni, il Precursore del Signore    

È incentrata sulla rivelazione di Gesù quale “Figlio Unigenito” e sulla conseguente “testimonianza” da dare di lui mediante l’accoglienza della fede. Il Lezionario, pertanto, riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 60,16b-22; Salmo 88; Epistola: 1Corinzi 15,17-28; Vangelo: Giovanni 5,19-24.    
Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXIV domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano. Alla Messa vigiliare del sabato viene proclamato Giovanni 20,1-8 quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Giovanni 5,19-24    

In quel tempo. 19Il Signore Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità  io vi dico: il Figlio da sé stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. 20Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste perché voi ne siate meravigliati. 21Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. 22Il Padre infatti non giudica nessuno , ma ha dato ogni giudizio al Figlio, 23perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.    
24In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. 
       


3. Commento liturgico-pastorale    

Il brano fa seguito al  racconto della guarigione di un paralitico operata da Gesù presso la piscina Bethesda, “in giorno di sabato” (Giovanni 5,1-9) e la conseguente diatriba con i “giudei” a motivo proprio del sabato (5,10-18) legato, come si sa, al “riposo” secondo la prescrizione della Legge.

Sono qui riportati alcuni versetti del più ampio discorso di “rivelazione” sul Figlio (vv. 19-47) considerato come colui che “opera” poiché “il Padre mio opera sempre” (v. 17).

In un primo punto (vv. 19-20) a quanti gli contestano la guarigione del paralitico in giorno di sabato e soprattutto la pretesa di farsi uguale a Dio Gesù risponde (v. 19) con la solenne affermazione riguardante la sua condizione di Figlio, il quale in tutto ciò che dice e fa non lo dice e lo fa da sé stesso ma tenendo costantemente rivolto il suo sguardo al Padre e, dunque, al suo agire.

Viene inoltre detto che il motivo profondo di una tale sintonia tra l’agire del Padre e del Figlio risiede nel fatto indicibile dell’“amore” del Padre verso il Figlio: “Il Padre infatti ama il Figlio” (v. 20) e perciò a lui manifesta ogni cosa e tra queste la sua intenzione di operare non solo cose grandi come quella della guarigione del paralitico, bensì “opere ancora più grandi” come subito viene detto al v. 20.

In un secondo punto (vv. 20-23) vengono elencate le “opere ancora più grandi” che consistono essenzialmente nel potere di dare la vita ai morti (v. 21) e nel potere di ”giudicare” (v 22).

Queste stesse “opere più grandi” sono dunque partecipate anche al Figlio, il quale è in grado letteralmente di risuscitare i morti come in effetti avverrà nella risurrezione di Lazzaro, nella quale si fa evidente che in lui agisce il medesimo potere di Dio di dare la vita, di richiamare alla vita, come “segno” della possibilità per l’uomo di avere in sé la “vita”, quella “eterna” che è partecipazione alla comunione con la vita divina.

Una simile risurrezione e il dono della vita Gesù la dona anzitutto a livello fisico ma come annuncio di una risurrezione alla “vita eterna” una volta liberato l’uomo dai lacci funerei dell’incredulità e del peccato.

Se il dono della risurrezione e della vita è detenuto dal Padre e dal Figlio sembra di capire al v. 22 che l’“opera” del “giudizio” è stata invece messa totalmente nelle mani del Figlio. Si comprende così come “avere la vita” equivale ad accogliere con fede il Figlio, mentre chi non lo accoglie va incontro al “giudizio” di condanna e, dunque, di rovina perenne. è necessario perciò “onorare” il Figlio alla pari con il Padre (v. 23) anche perché è il Figlio il rivelatore del Padre e a lui va dunque prestata fede per poter risalire a Dio, il Padre.

Il brano si chiude al v. 24 sintetizzando la precedente rivelazione con la solenne esortazione di Gesù ad “ascoltare” la sua parola. Perciò possiede la vita eterna, non va incontro alla condanna e, di fatto, vive già ora la condizione definitiva contrassegnata dal passaggio “dalla morte alla vita” colui che ascoltando, ossia accogliendo la Parola del Signore Gesù, di fatto pone la sua fede in Dio, il Padre, che ha “inviato” il Figlio nel mondo proprio perché il mondo si salvi.

Proclamato in questa seconda domenica dopo il martirio del Precursore che ha indicato Gesù come il Messia, il Giudice, l’Agnello di Dio, il testo evangelico sottolinea il mistero di Cristo come Figlio Unigenito al quale il Padre ha confidato le opere sue più grandi: richiamare in vita i morti e operare il “giudizio”.

Alla luce di ciò leggiamo la pagina profetica di Isaia, nella quale Dio, rivolgendosi al suo popolo, proclama: «il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore» (Lettura: Isaia 60,19b). In effetti con la venuta nel mondo del Figlio Unigenito è entrata nel mondo la “luce” che ha rivelato il mistero e il volto invisibile del Padre proprio nel Figlio che è lo “splendore” del Padre.

L'apostolo Paolo vede concretamente avverata nella risurrezione del Signore considerato quale “primizia di coloro che risorgono dai morti” (Epistola: 1Corinzi 15,17-28) quanto era stato profeticamente annunziato: «Il tuo popolo sarà tutto di giusti, per sempre avranno in eredità la terra, germogli delle piantagioni del Signore, lavoro delle sue mani per mostrare la sua gloria» (Isaia 60, 21).

La celebrazione eucaristica, dal canto suo, è il momento in cui ci è dato di guardare il “volto” di Dio nel suo Figlio che ripresenta, nel mistero, lo splendore della sua croce, annunzio certo della nostra partecipazione anche alla sua risurrezione. In essa si realizza la beatitudine proclamata nel ritornello al Salmo 88: «Beato il popolo che cammina alla luce del tuo volto» e che esige di condurre nella vita di ogni  giorno l’illuminazione ricevuta nel mistero.

In tutta verità, allora, potremo dire: «Il Pane di vita è spezzato, il Calice è benedetto. Il tuo corpo ci nutre, o Dio nostro, il tuo sangue ci dia vita e ci salvi» (allo Spezzare del Pane).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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