2 dicembre 2012 – III domenica di Avvento


Nel progressivo cammino di preparazione alle solennità natalizie, questa terza domenica di Avvento vuole mettere in luce il fatto che, con la venuta di Gesù, tutte «le profezie si sono adempiute».

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti passi biblici: Lettura: Isaia 45,1-8; Salmo 125 (126); Epistola: Romani 9,1-5; Vangelo: Luca 7,18-28. Alla Messa vigiliare del sabato viene proclamato: Giovanni 20,1-8 quale Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della III domenica di Avvento del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (45,1-8)

 

1Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: / «Io l’ho preso per la destra, / per abbattere davanti a lui le nazioni, / per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, / per aprire davanti a lui i battenti delle porte
e nessun portone rimarrà chiuso. / 2Io marcerò davanti a te; / spianerò le asperità del terreno,
spezzerò le porte di bronzo, / romperò le spranghe di ferro. /

3Ti consegnerò tesori nascosti / e ricchezze ben celate, / perché tu sappia che io sono il Signore, / Dio d’Israele, che ti chiamo per nome. / 4Per amore di Giacobbe, mio servo, / e d’Israele, mio eletto, / io ti ho chiamato per nome, / ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca.
5Io sono il Signore e non c’è alcun altro, / fuori di me non c’è dio; / ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci, / 6perché sappiano dall’oriente e dall’occidente / che non c’è nulla fuori di me ./ Io sono il Signore, non ce n’è altri.

7Io formo la luce e creo le tenebre, / faccio il bene e provoco la sciagura; / io, il Signore, compio tutto questo. / 8Stillate, cieli, dall’alto / e le nubi facciano piovere la giustizia; / si apra la terra e produca la salvezza / e germogli insieme la giustizia. / Io, il Signore, ho creato tutto questo».

 

Il testo profetico vuole mettere in evidenza la grandezza di Dio, quale unico Signore del cosmo e dell’intero creato (vv. 6-8) e, soprattutto, pieno d’amore per il suo popolo Israele (v. 4). Ed è proprio l’amore fedele di Dio per il suo popolo deportato in Babilonia a determinare l’“elezione” di Ciro, re di Persia, il quale perciò agisce dietro l’impulso divino, per l’annientamento del potere tirannico di Babilonia e per la liberazione di Israele (vv. 1-5).

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (9,1-5)

 

Fratelli, 1dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: 2ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. 3Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. 4Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; 5a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.

 

Nei versetti oggi proclamati viene avviata una drammatica riflessione dell’Apostolo, che ingenera in lui «un grande dolore e una sofferenza continua» (vv. 1-2) a motivo del rifiuto da parte di molti Israeliti di accogliere in Cristo Signore la salvezza promessa da Dio al suo popolo. A tale riguardo san Paolo si dichiara disponibile a essere addirittura “separato” da Cristo purché ciò giovi agli Israeliti suoi fratelli (v. 3). I vv. 4-5 riportano i titoli dei discendenti di Giacobbe, al quale Dio diede il nome di Israele (cfr. Genesi 32,29): essi sono «figli adottivi» di Dio (cfr. Esodo 4,22), essi hanno visto la potenza di Dio (= gloria) che li ha liberati dall’Egitto e li ha introdotti nella terra promessa; con essi Dio ha stabilito la sua alleanza (cfr. Esodo 24; Genesi 15; Genesi 32,29); a essi Dio ha dato norme per la vita e per il culto e ha fatto promesse: ad Abramo (Genesi 12,1-3), a Davide (2 Samuele 7) e ai profeti. Infine, ed è questo il titolo di vanto più alto per gli Israeliti: da essi viene il Cristo (= Messia) che Paolo confessa essere «Dio benedetto nei secoli» (v. 5b).

 

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (7,18-28)

 

In quel tempo. 18Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni 19li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 20Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». 21In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. 22Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. 23E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
24Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 25Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. 26Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 27Egli è colui del quale sta scritto:
“Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, / davanti a te egli preparerà la tua via”.
28Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui».

 

Distinguiamo nel testo due parti. La prima, vv. 18-23, riguarda le domande rivolte dal Battista a Gesù tramite due suoi discepoli. La seconda, vv. 24-28, riporta l’“elogio” del Battista da parte del Signore Gesù. In particolare il brano al v. 18 si rifà ai prodigi operati da Gesù («tutte queste cose») e registrati nei precedenti versetti: 1-17. I vv. 19-20 segnalano la domanda del Battista relativa all’identità messianica di Gesù. La risposta del Signore è anzitutto “operativa” (v. 21) e poi esplicativa (vv. 22-23) con il ricorso a riferimenti profetici che, nelle guarigioni dei ciechi, zoppi, lebbrosi, sordi e perfino nella risurrezione dei morti, annunziano l’avverarsi del tempo messianico (cfr. Isaia 26,19; 35,5-6; 42,7; 61,1). Con le guarigioni, viene sottolineata come opera propriamente messianica l’evangelizzazione dei poveri (cfr. Luca 4,18-19). Nella seconda parte, che riporta il giudizio pubblico di Gesù sul Battista (vv. 24-25), spicca il suo riconoscimento come profeta, ma soprattutto come colui che prepara la strada al Messia (vv. 26-27; cfr. Esodo 23,20a; Malachia 3,1a). La conclusione (v. 28), mentre ribadisce la grandezza del Battista, vuole inculcare l’urgenza di divenire discepoli e di far parte del regno di Dio che Gesù viene ad inaugurare.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Questa terza domenica di Avvento, con un’appropriata serie di testi della Scrittura, fa crescere nella Chiesa la consapevolezza che, nella venuta tra noi di Gesù, il Figlio di Dio, le profezie sono adempiute. Esse, sinteticamente osservate, riguardano essenzialmente l’intervento salvifico di Dio a favore del suo popolo Israele e, a partire da esso, di tutte le genti e i popoli della terra.

La Lettura annunzia un’iniziativa divina davvero sorprendente. Dio, infatti, elegge quale strumento di salvezza del suo popolo, nell’umiliante situazione di deportazione e di schiavitù in Babilonia, Ciro, re dei persiani, un pagano! Sarà proprio lui ad annientare la tirannica potenza dei babilonesi e a mandare libero Israele restituendolo alla sua terra.

Nel suo intervento, motivato dal suo amore per Israele, Dio si manifesta come l’unico Signore capace di recare salvezza, di punire la malvagità e di far germogliare dalla terra la salvezza e la giustizia (cfr. Isaia 45,8).

Il brano evangelico testimonia che l’annunzio profetico del germoglio di salvezza e di giustizia si è adempiuto nella venuta in questo mondo del Cristo, ossia del Messia «secondo la carne» (Epistola: Romani 9,5) che è Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio!

Egli ha fornito a chi, ieri come oggi, si interroga su di lui e sulla consistenza della sua missione, le “prove” della sua investitura e della sua elezione a recare salvezza. Queste sono come riassunte nell’annunzio della “buona notizia” da lui insistentemente rivolto anzitutto ai poveri (Vangelo: Luca 7,22), ovvero ai miserabili, a quanti sono privati di ogni considerazione, agli oppressi e agli infermi senza alcuna speranza!

A essi, costretti a vivere giorni amarissimi e senza umane possibilità di riscatto, viene annunciata, per primi, la “bella notizia” dell’effettiva guarigione dai mali, dell’effettiva liberazione dall’umiliazione, dell’effettiva “giustizia”, che li riabilita nel contesto sociale.

In questi poveri sono anche racchiusi, con noi, gli uomini di questo nostro secolo che, in direzione sbagliata, mostrano di cercare giustizia e riscatto da una condizione di solitudine, di incertezza, di totale insoddisfazione, ripiegando in una inconcludente indifferenza e in una pratica incredulità. A tutti la Chiesa in preghiera fa udire la parola divina di speranza: «Dite agli smarriti di cuore: Coraggio, non temete! Ecco: si compie il giusto giudizio di Dio, il nostro Dio viene a salvarci» (Canto Dopo il Vangelo) a spezzare «le porte di bronzo» e a rompere «le spranghe di ferro» che imprigionano il cuore e la vita degli uomini (cfr. Isaia 45,2).

I discepoli del Signore, sapendo che le promesse e i tesori da lui riversati su Israele (cfr. v. 3) sono in verità destinati a tutti gli uomini, avvertono il compito di annunciare a tutti la bella notizia che è in Cristo Gesù. In lui, davvero, si trovano salvezza e giustizia e, quel che più conta, la possibilità di essere rigenerati come figli del Padre (cfr. Romani 9,4)!

Un simile annunzio, attende di essere messo alla portata di tutti e, di conseguenza, deve necessariamente tradursi, sull’esempio stesso del Signore Gesù, in gesti concreti e nella nostra vita vissuta, dalla quale deve chiaramente trasparire che Gesù è davvero tutto per noi e che lui solo riconosciamo e attendiamo come salvatore e non ne «aspettiamo un altro» (cfr. Luca 7,19)! È utile perciò domandarci se siamo gioiosamente e umilmente fermi nella nostra adesione al Signore, oppure siamo come «canne sbattute dal vento» (cfr. v. 24), se amiamo stare con gli umili, i poveri, i malati, oppure bramiamo di essere ammessi nelle aule del potere, del successo, dell’apparire (cfr. v. 25).

Il Signore Gesù ponga nel cuore della Chiesa e di ogni discepolo la determinazione dell’Apostolo Paolo che si dichiara disposto a essere separato da Cristo, la sua stessa Vita, pur di recare vantaggio ai suoi fratelli (Romani 9,3).

Il vantaggio consiste nel credere adempiuta in Gesù ogni profezia e promessa divina e, di conseguenza, risolta in lui ogni umana attesa di giustizia e di salvezza. Colui che possiede questa fede viene già da ora introdotto, magari come «il più piccolo», a far parte del regno di Dio (cfr. Luca 7,28), ed «entra con lui nel convito nuziale» (Prefazio) che la celebrazione eucaristica realmente anticipa e prefigura.

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25 novembre 2012 – II domenica di Avvento


La presente domenica, nel Lezionario, reca il significativo titolo I figli del Regno, in quanto i brani biblici intendono mettere in luce la dimensione universale della salvezza che si manifesta nella “prima venuta” del Signore.

 

Il Lezionario

 

Prevede la lettura dei seguenti testi biblici: Lettura: Isaia 19,18-24; Salmo 86 (87); Epistola: Efesini 3,8-13; Vangelo: Marco 1,1-8. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella Messa vigiliare del sabato è preso da Luca 24,1-8. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della II Domenica di Avvento del Messale ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (19,18-24)

 

Così dice il Signore Dio: «18In quel giorno ci saranno cinque città nell’Egitto che parleranno la lingua di Canaan e giureranno per il Signore degli eserciti; una di esse si chiamerà Città del Sole.
19In quel giorno ci sarà un altare dedicato al Signore in mezzo alla terra d’Egitto e una stele in onore del Signore presso la sua frontiera: 20sarà un segno e una testimonianza per il Signore degli eserciti nella terra d’Egitto. Quando, di fronte agli avversari, invocheranno il Signore, allora egli manderà loro un salvatore che li difenderà e li libererà. 21Il Signore si farà conoscere agli Egiziani e gli Egiziani riconosceranno in quel giorno il Signore, lo serviranno con sacrifici e offerte, faranno voti al Signore e li adempiranno. 22Il Signore percuoterà ancora gli Egiziani, ma, una volta colpiti, li risanerà. Essi faranno ritorno al Signore ed egli si placherà e li risanerà.
23In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano in Assiria, e gli Egiziani renderanno culto insieme con gli Assiri.

24In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra».

 

Dopo l’iniziale requisitoria contro l’Egitto (vv. 1-17), la seconda parte del capitolo 19 ne annuncia, in modo del tutto inatteso, la conversione a Dio (v. 22) propiziata, forse, da una presenza ebraica sul suo territorio (cfr. v. 18). Anche gli Egiziani, pertanto, godranno della protezione divina contro i nemici (v. 20) e Dio gradirà le loro offerte e sacrifici (v. 22). Ancora più sorprendente è l’annuncio della riconciliazione dell’Egitto con l’Assiria (v. 23) e con lo stesso Israele perché i tre popoli, storicamente nemici, diventino «una benedizione in mezzo alla terra» in quanto formeranno un solo popolo, quello di Dio (vv. 24-25).

 

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (3,8-13)

 

Fratelli, 8a me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo 9e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo, 10affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio, 11secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, 12nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui. 13Vi prego quindi di non perdervi d’animo a causa delle mie tribolazioni per voi: sono gloria vostra.

 

Dopo aver parlato della riconciliazione tra Giudei e pagani operata dal Signore Gesù Cristo (2,11-21), l’Apostolo tiene a precisare il compito a lui affidato, che è quello di annunciare a tutti i popoli ciò che è avvenuto in Cristo e, in particolare, il mistero prima nascosto e ora a tutti manifesto, vale a dire la conversione dei pagani e il loro ingresso nel popolo santo di Dio che è la Chiesa (vv. 8-10). Lo svelamento e l’attuazione di così grande mistero, grazie alla predicazione evangelica, fa brillare al mondo intero e anche alle potenze celesti (v. 10) la superiore sapienza di Dio che unisce, nell’unica Chiesa, popoli diversi e nemici quali erano il popolo giudaico e i popoli pagani (vv. 11-14).

 

Lettura del Vangelo secondo Marco (1,1-8)

 

1Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.

2Come sta scritto nel profeta Isaia: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: / egli preparerà la tua via. / 3Voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri». / 4Vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. 7E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

 

In questa domenica leggiamo l’avvio del Vangelo secondo Marco, che fa come da preparazione all’ingresso nel mondo di Gesù. Egli, da subito, è identificato in pienezza quale Cristo (= Messia) e soprattutto quale Figlio di Dio (v. 1). È lui, in realtà, il Vangelo (= la buona notizia) che dovrà essere annunziata a tutti gli uomini. Con una citazione composta da testi del profeta Malachia 3,1 e di Isaia 40,3, viene introdotta la figura e la missione di Giovanni, che è essenzialmente quella dell’araldo, del messaggero che annunzia e prepara, in questo caso la venuta di Gesù (vv. 2-3). Il v. 4 situa nel deserto l’attività di Giovanni, che consiste nel proclamare un battesimo di conversione e al quale accorreva «tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti  di Gerusalemme», come viene detto con evidente espressione iperbolica (v. 5). Il v. 6 con la menzione del vestito e della dieta intende designare il Battista come profeta, mentre i vv. 7-8 contengono il nucleo essenziale della sua predicazione, che riguarda l’imminente venuta di uno che è più forte di lui e che, al contrario di lui, immergerà gli uomini nello Spirito Santo e non semplicemente nell’acqua.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Il raduno eucaristico domenicale, mentre ci immerge a livello sacramentale nel mistero pasquale del Signore, operatore dell’universale salvezza, ci offre la straordinaria opportunità di cogliere la grandezza di tale mistero che si dispiega a partire dalla sua Incarnazione e dalla sua Natività che l’Avvento ci dispone a celebrare e che la preghiera liturgica così ci presenta: «È grazia della tua pietà che ci salva: dalla carne di Adamo il peccato ci aveva dato la morte, dalla carne di Cristo il tuo amore infinito ci ha riplasmato alla vita» (Prefazio).

È quanto ricaviamo dall’ascolto odierno della Parola che, in sostanza, ci rivela che in Cristo Gesù, che viene nel mondo, tutti sono chiamati alla salvezza ovvero, come avverte il titolo assegnato dal Lezionario a questa domenica, tutti sono chiamati a diventare “I figli del Regno”.

Tale prospettiva, a ben guardare, è stata avanzata dal profeta, che annunzia qualcosa di veramente inconcepibile per la mente umana. Popoli da sempre ferocemente nemici, quali gli Egiziani e gli Assiri, a loro volta spietati nemici di Israele, cominceranno a conoscersi, a dialogare, a unirsi in un unico popolo nel rendere culto all’unico vero Dio, il Dio di Israele che farà dei tre popoli «una benedizione in mezzo alla terra» (Lettura: Isaia 19,24). Il Salmo 86(87) allarga ulteriormente la visione profetica affermando: «Iscriverò Raab e Babilonia fra quelli che mi riconoscono; ecco Filistea, Tiro ed Etiopia: là costui è nato». Tutti questi popoli diventeranno cioè un “segnale” collocato da Dio nel cuore della storia umana e che avrà il suo svelamento in Cristo Gesù, il Figlio venuto nel mondo.

L’Apostolo, a tale riguardo, sottolinea come Dio ha attuato «il progetto eterno» annunciato dai Profeti proprio «in Cristo Gesù nostro Signore nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui» (Epistola: Efesini 3, 11-12).

Un accesso, dunque, proposto a tutte le genti senza distinzioni mediante la predicazione del Vangelo. È la missione propria e distintiva dell’Apostolo che lui, una volta ostile ai pagani, chiama una «grazia» (v. 8). Quella cioè di «annunciare alle genti (= tutti i popoli pagani) le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio» (v. 8-9), reso visibile nella Chiesa formata da Ebrei e pagani.

Nel prepararci al Natale apriamo il cuore alla grandezza della nostra fede nel Signore Gesù venuto nel mondo «per ricreare l’uomo perché la morte non deformasse in lui» l’immagine divina (Prefazio) e per unire tutte le genti in un solo popolo, in un solo Corpo, in un solo Regno.

Sull’esempio dell’Apostolo, avvertiamo come grazia la missione di annunciare, a tutti coloro con i quali condividiamo il cammino terreno, il mirabile disegno della sapienza divina: fare di tutti gli uomini i suoi figli, nel suo Figlio Gesù, cittadini, già da ora, del suo Regno. 

Un simile annuncio si compie certamente nella predicazione evangelica che, sull’esempio di quella del Precursore del Signore, chiede di preparare i cuori all’incontro con lui mediante la conversione e l’adesione di fede alla sua Parola (cfr. Vangelo: Marco 1,3).

Ma la predicazione è avvalorata dalla vita, dalle scelte concrete cioè che caratterizzano l’esistenza dei credenti. Tali scelte, esigono, come ci insegna il Precursore, una vita sobria, un atteggiamento di profonda verità su noi stessi, consapevoli di non essere degni di chinarci «a slegare i lacci» dei sandali del Signore (v. 7), di non essere cioè padroni, ma “servi” del Vangelo, araldi di colui che viene per immergere in un battesimo capace di rigenerare a vita nuova, perché dato «in Spirito Santo» (v.8), quanti lo accolgono come Messia e Figlio di Dio (cfr. v.1), nel quale «saranno benedette tutte le genti della terra» (Canto All’Ingresso).

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18 novembre 2012 – Prima domenica di Avvento

Con la prima Domenica di Avvento prende avvio il nuovo Anno Liturgico 2012-2013. Nella tradizione liturgica ambrosiana, l’Avvento, destinato essenzialmente a preparare il Natale, conta sei settimane iniziando, nella domenica immediatamente seguente l’11 novembre, festa di san Martino di Tours, e si conclude prima della celebrazione vespertina del 24 dicembre. 

 

Il Lezionario

 

Le letture bibliche per l’Avvento sono reperibili nel libro I del Lezionario: Mistero dell’Incarnazione. Oggi sono proposti: Lettura: Isaia 13,4-11; Salmo: 67 (68); Epistola: Efesini 5,1-11a; Vangelo: Luca, 21,5-28. Il Vangelo della Risurrezione, da proclamare nella Messa vigiliare del sabato, è preso da Marco 16, 9-16. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della I domenica di Avvento del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (13,4-11)

 

In quei giorni. Isaia disse: /«4Frastuono di folla sui monti, / simile a quello di un popolo immenso. / Frastuono fragoroso di regni, / di nazioni radunate. / Il Signore degli eserciti passa in rassegna
un esercito di guerra. / 5Vengono da una terra lontana, / dall’estremo orizzonte, / il Signore e le armi della sua collera, / per devastare tutta la terra. / 6Urlate, perché è vicino il giorno del Signore; / esso viene come una devastazione / da parte dell’Onnipotente. / 7Perciò tutte le mani sono fiacche, / ogni cuore d’uomo viene meno. / 8Sono costernati. Spasimi e dolori li prendono, / si contorcono come una partoriente. / Ognuno osserva sgomento il suo vicino: / i loro volti sono volti di fiamma. / 9Ecco, il giorno del Signore arriva implacabile, / con sdegno, ira e furore, / per fare della terra un deserto, / per sterminarne i peccatori. / 10Poiché le stelle del cielo e le loro costellazioni / non daranno più la loro luce; / il sole si oscurerà al suo sorgere / e la luna non diffonderà la sua luce. / 11Io punirò nel mondo la malvagità / e negli empi la loro iniquità. / Farò cessare la superbia dei protervi / e umilierò l’orgoglio dei tiranni.»
 

 

I versetti oggi proclamati fanno parte del primo oracolo sulle nazioni nemiche di Israele, tra le quali figura Babilonia (vv. 1-22), che venne distrutta nel 485 a.C. ad opera di Serse, re dei Persiani. In esso può sorprendere la rivelazione di un Dio severo, temibile e vendicatore che fa piombare su Babilonia, emblema di un potere antidivino e perciò antiumano, il suo “giorno” di devastazione (vv. 6-9) che coinvolge anche il cosmo (v. 10). Con ciò Dio riafferma la sua sovranità universale contro ogni tracotanza umana (v. 11). 

 

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (5,1-11a)

 

Fratelli, 1Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, 2e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
3Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi – come deve essere tra santi – 4né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! 5Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – cioè nessun idolatra – ha in eredità il regno di Cristo e di Dio.

6Nessuno vi inganni con parole vuote: per queste cose infatti l’ira di Dio viene sopra coloro che gli disobbediscono. 7Non abbiate quindi niente in comune con loro. 8Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; 9ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. 10Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. 11Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto.

 

L’Apostolo, dopo aver parlato della Chiesa quale «corpo di Cristo», indica ai credenti come devono vivere coloro che appartengono a quel corpo. In primo luogo essi vivono, sull’esempio di Cristo, nella carità e nel dono di sé (v. 1-2). Nei vv. 3-7 l’Apostolo fa un elenco di comportamenti disdicevoli dai quali occorre guardarsi così come ci si deve guardare da quanti li praticano e insegnano a praticarli. Nei vv. 8-11 l’Apostolo torna sulla nuova condizione di vita dei credenti che dalle tenebre, ossia dall’incredulità che si esprime nelle opere del male, sono diventati luce a causa della loro fede nel Signore Gesù.   

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (21,5-28)

 

In quel tempo. 5Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, disse: 6«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».

7Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». 8Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! 9Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».

10Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, 11e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.

12Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. 13Avrete allora occasione di dare testimonianza. 14Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. 16Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; 17sarete odiati da tutti a causa del mio nome. 18Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 19Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.

20Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. 21Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; 22quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. 23In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. 24Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.

25Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. 27Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. 28Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

 

Il passo evangelico riporta, quasi integralmente, il discorso escatologico, riguardante cioè gli ultimi tempi, le realtà ultime. L’avvio è dato dalle parole di Gesù sulla prossima distruzione di Gerusalemme e soprattutto del Tempio (vv. 5-11). Con esse il Signore mette in guardia i suoi dai falsi messia (v. 8) e li esorta ad affrontare gli eventi catastrofici che contraddistingueranno quei giorni (vv. 9-11). Nei vv. 12-19 sono raccolti alcuni detti del Signore riguardanti le persecuzioni a cui andranno incontro, prima dei fatti annunciati, i suoi discepoli, compreso il tradimento da parte delle persone ad essi maggiormente legate, con l’esortazione finale a perseverare nella fedele sequela del loro Maestro. Segue ai vv. 20-24 una descrizione dettagliata degli eventi tragici che accompagneranno l’occupazione e la distruzione di Gerusalemme  avvenuta, come è noto, nel 70 d.C. L’ultima parte del brano, vv. 25-28, è incentrata sul vero e proprio evento escatologico che è la venuta del Figlio dell’uomo (cfr. Daniele 7,13). Un evento che va ben oltre il destino di Gerusalemme e della Palestina e che coinvolge il cosmo e l’intera umanità. I credenti, in tutto ciò, sono invitati ad avere coraggio e a sperare nella prossima liberazione recata dal Signore che viene.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Le sei settimane di Avvento che ci dispongono ogni anno alla consapevole e degna celebrazione del Natale del Signore sono inaugurate con il richiamo alla dimensione escatologica nella quale si distende la nostra esistenza terrena.

Dal momento della prima venuta del Signore, consumata nel mistero salvifico della sua Pasqua, hanno preso il via, infatti, gli ultimi tempi, quelli cioè rivolti oramai alla sua seconda e definitiva venuta. Essa riguarda la storia, l’umanità e il cosmo intero, destinati a “passare”, e riguarda ogni uomo che sa che la sua vita su questa terra va verso la sua fine. Tutto ciò ha un indubbio carattere minaccioso ma, nello stesso tempo, sprona i discepoli del Signore ad aver coraggio, ad avere speranza, a risollevarsi e ad alzare il capo per accogliere il Liberatore (cfr. Vangelo: Luca, 21-28).  

La venuta del Signore, che l’evangelista descrive con il linguaggio dell’apocalittica: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria» (v. 27), sta infatti a dire che egli porrà fine in modo definitivo allo strapotere del male e del peccato che si accanisce contro l’intera umanità  e specialmente contro quanti, non volendosi omologare al potere idolatrico che domina sul mondo, si affidano a lui e al suo Vangelo.

Già i profeti avevano annunciato con accenti drammatici la decisione di Dio di intervenire contro la malvagità che è nel mondo e l’iniquità degli empi emblematicamente raffigurate in Babilonia (cfr. Lettura: Isaia, 13,11). La misura delle ingiustizie, delle violenze, delle sopraffazioni è oramai colma e Dio sta per far sorgere il “suo giorno”, che arriva «implacabile, con sdegno, ira e furore… per sterminare i peccatori» (v. 9). Lui solo, infatti, è in grado di far «cessare la superbia dei protervi» e di umiliare «l’orgoglio dei tiranni» (v. 11).

Il testo evangelico, da parte sua, annunzia (Luca 21,20) e quindi descrive, con particolari assai crudi, la distruzione di Gerusalemme (vv. 21-24) e, soprattutto del suo Tempio del quale «non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta» (v. 6).

Questo evento, il più catastrofico per Israele, al punto da porre fine e per sempre all’offerta dei sacrifici, compresa l’immolazione dell’agnello pasquale, parla a noi con estrema chiarezza: niente e nessuno che è immerso nel tempo e nello spazio di questo mondo può sfuggire alla fine! Non vi sono eccezioni. Per niente e per nessuno! Di conseguenza, saremo saggi se non ci appoggeremo sulle cose di questo mondo che svanisce, ma se porremo la nostra speranza in colui che è disceso dal Cielo per la nostra salvezza e per farci cittadini del suo Regno che non passa!

La storia in cui siamo immersi, a ben guardare, ci dà segni premonitori della sua inconsistenza, esibendo in ogni tempo il suo doloroso travaglio fatto di guerre e di rivoluzioni (cfr. v. 10), di cataclismi naturali e, per i discepoli del Signore, di persecuzioni anche violente (v. 12), di tradimenti, addirittura da parte delle persone ad essi più care (v.16) e, questo, a motivo della loro fede in lui (v.17). Nel fluire del tempo, così come la Scrittura ha insegnato, mentre viviamo nella consapevolezza della fine e del suo inesorabile travaglio, veniamo esortati anzitutto a perseverare  nella nostra fede, a non lasciarci sedurre da improvvisati messia (v.8), a non terrorizzarci davanti ai rivolgimenti della storia e della nostra stessa vita: «Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (v. 18).

In concreto, le Scritture ci esortano a impostare questi nostri giorni sulla base delle indicazioni apostoliche che ci insegnano anzitutto a rifuggire da «ogni specie di impurità o di cupidigia», ma anche da ogni «volgarità, insulsaggini, trivialità» (Epistola: Efesini 5,3-4) e a «camminare nella carità», che è quella con la quale Cristo ci ha amato dando sé stesso perché noi, che eravamo «tenebra», a causa dell’incredulità e del peccato, diventassimo «luce nel Signore» (v. 8).

È quanto vogliamo chiedere alla bontà misericordiosa del nostro Dio che è il suo Figlio Gesù, insieme alla forza di perseverare tra le prove e le tribolazioni del mondo, imparando a intravedere proprio in esse il prodromo che annuncia la sua venuta «con grande potenza e gloria» per la nostra liberazione e il nostro definitivo riscatto. A tale proposito così preghiamo nel cuore della celebrazione eucaristica: «Quando verrà di nuovo nello splendore della gloria potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare, vigilando nell’attesa» (Prefazio). Un’attesa comunitariamente vissuta proprio nella celebrazione eucaristica nella quale la venuta sacramentale del Signore pone nel cuore dei fedeli il desiderio sempre più vivo di lui che è venuto, che viene incessantemente e che verrà! Desiderio liricamente cantato nell’antifona Alla Comunione: «Gioite, o cieli; esulta, o terra; gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo, con la sua mano radunerà gli agnelli e ha pietà degli infelici».   

 

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11 novembre 2012

11 novembre 2012 – Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

 

È la domenica conclusiva dell’anno liturgico della nostra Chiesa Ambrosiana che, con i Vespri di sabato prossimo, darà inizio, con la prima domenica di Avvento, al nuovo anno liturgico.

 

Il Lezionario

 

Prevede la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 49,1-7; Salmo 21 (22); Epistola: Filippesi 2,5-11; Vangelo: Luca 23,36-43.

Luca 24,1-8 viene letto, quale Vangelo della Risurrezione, alla Messa vigiliare del sabato. (Le orazioni e i canti della Messa sono propri della Solennità del Messale Ambrosiano). Con questa domenica si conclude l’utilizzo del Libro III del Lezionario Ambrosiano intitolato “Mistero della Pentecoste”.

 

Lettura del profeta Isaia (49,1-7)

 

1Ascoltatemi, o isole, / udite attentamente, nazioni lontane; / il Signore dal seno materno mi ha chiamato, / fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome. / 2Ha reso la mia bocca come spada affilata, / mi ha nascosto all’ombra della sua mano, / mi ha reso freccia appuntita, / mi ha riposto nella sua faretra. / 3Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, / sul quale manifesterò la mia gloria». / 4Io ho risposto: «Invano ho faticato, / per nulla e invano ho consumato le mie forze. / Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, / la mia ricompensa presso il mio Dio». / 5Ora ha parlato il Signore, / che mi ha plasmato suo servo dal seno materno / per ricondurre a lui Giacobbe / e a lui riunire Israele / – poiché ero stato onorato dal Signore / e Dio era stato la mia forza – / 6e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo / per restaurare le tribù di Giacobbe / e ricondurre i superstiti d’Israele. / Io ti renderò luce delle nazioni, / perché porti la mia salvezza / fino all’estremità della terra». / 7Così dice il Signore, / il redentore d’Israele, il suo Santo, / a colui che è disprezzato, rifiutato dalle nazioni, / schiavo dei potenti: / «I re vedranno e si alzeranno in piedi, / i prìncipi si prostreranno, / a causa del Signore che è fedele, / del Santo d’Israele che ti ha scelto».

Il brano riporta il secondo canto del Servo di Dio nel quale il lettore cristiano riconosce il Signore Gesù. I vv. 1-4, riportano il racconto che il Servo fa della sua vocazione e il suo lamento per il fallimento della missione ricevuta. Questa è rilanciata dal Signore con l’invio del Servo non più al solo Israele, ma a tutti i popoli fino «all’estremità della terra» (vv. 5-6). Una missione, questa, che il Servo porterà a compimento passando per il disprezzo e il rifiuto delle nazioni (v. 7), ossia attraverso le sofferenze che ricadranno su di lui e che, nell’interpretazione cristiana, alludono alla passione del Signore Gesù.

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (2,5-11)

 

Fratelli, / 5abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: / 6egli, pur essendo nella condizione di Dio, / non ritenne un privilegio / l’essere come Dio, / 7ma svuotò se stesso / assumendo una condizione di servo, / diventando simile agli uomini. / Dall’aspetto riconosciuto come uomo, / 8umiliò se stesso / facendosi obbediente fino alla morte / e a una morte di croce. / 9Per questo Dio lo esaltò / e gli donò il nome / che è al di sopra di ogni nome, / 10perché nel nome di Gesù / ogni ginocchio si pieghi / nei cieli, sulla terra e sotto terra, / 11e ogni lingua proclami: / «Gesù Cristo è Signore!», / a gloria di Dio Padre.

 

Il brano si apre al v. 5 con l’esortazione dell’Apostolo a prendere Gesù come modello di vita. Ad esso fa seguito il celebre inno cristologico, che si presenta diviso in due parti: vv. 6-8 e vv. 9-11. Nella prima parte viene posta in luce l’auto-umiliazione e l’auto-abbassamento del Signore a partire dall’assunzione della natura umana nel mistero dell’incarnazione (vv. 6-7) fino allo svuotamento totale della sua «condizione di Dio» rappresentato dalla morte infamante «di croce». Tutto ciò in obbedienza filiale ai disegni del Padre (v. 8). Nella seconda parte (vv. 9-11) viene cantata la risposta del Padre all’obbedienza del Figlio. Si tratta della risurrezione da morte coronata con l’esaltazione o ascensione nei cieli del Crocifisso-Risorto, al quale Dio ha conferito il potere e il nome divino reso con il termine Kyrios = Dio! (vv. 9-10). Dicendo perciò «Gesù Cristo è Signore!» viene proclamata la divinità del Figlio di Dio, disceso dal cielo, morto e risorto ed esaltato al di sopra di ogni realtà e potenza.

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (23,36-43)

 

In quel tempo. 36Anche i soldati deridevano il Signore Gesù, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

 

Il testo fa parte del racconto della Crocifissione e della morte del Signore del quale coglie il gesto di derisione compiuto dai soldati che presidiano il luogo dell’esecuzione di Gesù a motivo della sua presunta regalità sul popolo dei Giudei (vv. 36-38) e le parole di uno dei malfattori che inveisce, invece, contro la sua pretesa messianica che si rivela incapace di liberarlo dalla croce (v. 39). A lui risponde l’altro malfattore che riconosce l’innocenza di Gesù (vv. 40-41) e che compie la sua professione di fede in Lui consegnandogli la supplica di essere ammesso nel suo regno confessando, in tal modo, la messianicità regale del Signore (v. 42). Il v. 43 riporta le parole con le quali il Signore esaudisce la supplica del malfattore aldilà di ogni attesa: egli condividerà in tutto la sua sorte entrando con lui nella dimora dei giusti e dei santi, nel paradiso.

 

Commento liturgico-pastorale

 

In questa, che è l’ultima domenica del corrente anno liturgico, le divine Scritture ci propongono, nella considerazione del Signore Gesù quale Re dell’universo, una visione sintetica dell’intera storia della salvezza, che è tutta protesa verso l’ora suprema della Pasqua di morte e di risurrezione del Figlio amato di Dio fatto uomo.

Una storia che ripercorriamo ogni anno nei diversi tempi liturgici i quali, però, non fanno altro che presentarci il mistero del Figlio che, pur essendo nella condizione divina, si svuota di essa per assumere la nostra condizione umana che è quella della precarietà, della fragilità, della mortalità (cfr. Epistola: Filippesi 2,6-7).

In tal modo il mistero dell’Incarnazione del Signore e della sua Natività a cui ci dispone nel suo inizio il nuovo anno liturgico, è già, a tutti gli effetti, il dispiegamento del mistero pasquale. L’Incarnazione e la Natività del Signore «secondo la carne», ovvero nella nostra condizione umana, rappresenta effettivamente quell’abbassamento, quell’autospogliazione e umiliazione del Figlio di Dio che ha il suo punto estremo nella sua morte, e morte di croce, la più infamante e obbrobriosa.

Essa è accettata dal Figlio unigenito in totale obbedienza ai disegni per noi inimmaginabili e incomprensibili di Dio che, inspiegabilmente, intende fare del Crocifisso la “luce” non solo per Israele, ma di tutte le “nazioni”, ossia il portatore della salvezza divina «fino all’estremità della terra» (Lettura: Isaia 49,6).

Nell’ora della Croce, perciò, il Figlio obbediente è presentato al mondo nella sua regalità universale. Lui, infatti, ha nelle sue mani lo stesso potere salvifico di Dio che ha a cuore i destini del suo popolo, di tutte le genti e che Gesù comincia a esercitare sovranamente con le solenni parole rivolte al malfattore crocifisso accanto a lui e che gli si rivolge con umana partecipazione e con fede (Luca 23,42): «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (v. 43).

Ed è proprio la Croce, accolta con obbedienza filiale, a spingere il Padre a esaltare il Figlio “donandogli” il suo stesso nome divino: Gesù è il Signore: il Kyrios! Nome che esprime l’onnipotenza salvifica davanti alla quale nulla e nessuno può ergersi «nei cieli, sulla terra e sotto terra» (Filippesi 2,10).

La comunità ecclesiale, che ascolta e aderisce con fede alla Parola, viene sospinta dallo Spirito a consegnarsi totalmente al potere regale di Cristo Crocifisso e impara a diffidare e a guardarsi da ogni altro potere mondano. Questo, com’è noto, viene esercitato con il dominio, l’ingiustizia e la sopraffazione specialmente degli umili e dei poveri. Cristo Signore, invece, esercita il suo potere regale stando in continuità nella condizione di “servo” di Dio sofferente (cfr. Isaia 49, 7), di Figlio obbediente e disponibile al volere salvifico del Padre che vuole, con Giacobbe e Israele (cfr. Isaia 49, 5), ricondurre al suo cuore di Padre e riunire «tutte le nazioni» nella sua casa, nel suo popolo, nel suo Regno.

Una volontà che si fa evidente nel malfattore crocifisso che fa il suo ingresso con Gesù nel paradiso, che consiste nella perfetta comunione d’amore filiale con il Padre.

In questo mondo che, dal suo inizio fino alla sua fine, è attratto ed è alla ricerca spasmodica del potere e di un “trono”, la Chiesa dall’inizio alla fine del tempo, dall’Avvento, a questa grande domenica non può che ripetere: «Dal legno della Croce regna il Signore» (Ritornello al Salmo 21).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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