31 marzo 2012 – Domenica di Pasqua

La “grande domenica”, la “festa che dà origine a tutte le feste”, prende avvio nella Veglia Pasquale cuore e centro dell’intero anno liturgico, nel quale la Chiesa rivive ogni anno il mistero della salvezza portato a compimento nella morte e risurrezione del Signore. Essa dà inizio ai cinquanta giorni della gioia pasquale, considerati come un prolungamento festivo della “grande domenica”. Tra di essi spiccano i primi otto giorni, vale a dire la settimana “in albis”, che la nostra tradizione liturgica celebra con solennità.

La medesima tradizione, propria della nostra Chiesa Ambrosiana prevede, per questa domenica, due distinte celebrazioni: la “Messa per i battezzati”, da celebrare qualora vi fossero dei battesimi, e la “Messa nel giorno” che qui proponiamo.

 

Il Lezionario per la “Messa nel giorno”

 

Sono previste le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Atti degli Apostoli 1,1-8a; Salmo 117; Epistola 1Corinzi 15,3-10a; Vangelo: Giovanni 20,11-18.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (1,1-8a)

 

1Nel mio primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi 2fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.

3Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. 4Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: 5Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni sarete battezzati in Spirito Santo».

6Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». 7Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, 8ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi»

 

Il brano riporta il prologo del libro nel quale l’autore si riallaccia a quanto ha scritto «nel primo racconto», ossia nel Vangelo, a proposito di quanto Gesù ha detto e fatto nella sua vita terrena fino alla sua ascensione in cielo, ovvero con il suo ritorno glorioso al Padre (vv. 1-2).

I vv. 3-5 riferiscono le disposizioni impartite agli Apostoli dal Signore risorto nei giorni prima della sua ascensione e parlano della promessa del battesimo «in Spirito Santo» nel quale saranno battezzati al compiersi dei giorni pasquali.

Agli apostoli, interessati alla restaurazione del regno per Israele, il Signore risponde che ciò dipende dagli imperscrutabili disegni di Dio e che l’effusione dello Spirito darà ad essi la forza di annunziare e di testimoniare ciò che la sua potenza ha compiuto in Cristo (vv. 6-8).

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (15,3-10a)

 

Fratelli, 3a voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che 4fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture 5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.

6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. 8Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. 9Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. 10Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana.

 

I versetti riportati gravitano attorno all’essenziale proclamazione di fede che Paolo “trasmette” ai fedeli di Corinto e che a sua volta ha “ricevuto”. Essa è fondata sul fatto storico con portata salvifica qual è la morte, la sepoltura, e la risurrezione il terzo giorno del Signore Gesù (vv. 3-5). I vv. 6-8 documentano la veridicità della risurrezione del Signore a partire dalla sua apparizione «a Cefa e quindi ai Dodici» (v. 5) e a numerosi fratelli, fino a quella riservata sulla via di Damasco (cfr. Atti degli Apostoli 9,1-6) proprio a lui, fino ad allora persecutore della Chiesa e, ora, apostolo per grazia di Dio (vv. 9-10).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni ( 20,11-18)

 

In quel tempo. 11Maria di Magdala stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». 16Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» che significa: «Maestro!». 17Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». 18Maria di Magdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

 

Il brano odierno segue immediatamente il racconto della “corsa” fatta al sepolcro da Pietro e Giovanni ai quali proprio Maria di Magdala, recatasi di buon mattino al sepolcro, aveva annunziato: «Hanno portato via il Signore dalla tomba e non sappiamo dove l’hanno posto!» (20,1-10). Il v. 11 presenta Maria nuovamente presso il sepolcro nel quale aveva già constatato l’assenza del corpo del Signore. I vv. 12-13 riferiscono la visione di due angeli biancovestiti e del loro dialogo con Maria. Segue la visione di Gesù che Maria però non riconosce subito (vv. 14-15) fino a che il Signore stesso la chiama per nome e si fa riconoscere (v. 16). A lei affida il compito di recare agli apostoli l’annunzio del suo ritorno al Padre che, da quel momento, sarà il Dio e il Padre di chi crede (v.17). Compito che Maria prontamente esegue annunciando ciò che ha visto e udito dal Signore (v.18).

 

Commento liturgico-pastorale

 

Questo racconto, come quello dell’esperienza di Pietro e di Giovanni al sepolcro vuoto, intende proporre a tutti il lettori e gli ascoltatori del Vangelo l’annunzio della risurrezione del Signore come fondamento per la loro adesione di fede in lui. Un’adesione che, normalmente, procede per gradi come avvenne in Maria. Ella, totalmente sopraffatta dal dolore per la morte e ora per la scomparsa del corpo di Gesù, non riconosce nei due suoi pur speciali interlocutori, i portatori e i testimoni celesti della risurrezione di Cristo. Le loro vesti bianche e la loro posizione, «seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù» (Vangelo: Giovanni 20,12), segnalano, infatti, in tutta evidenza la loro origine celeste che Maria, però, non riesce a cogliere perché, pur amando più di se stessa il Signore, questi, alla fine, è oramai per lei solo un corpo esanime! Tutto ciò rappresenta, in questa donna, un primo passo nel suo cammino di fede destinato a crescere in pienezza solo nell’incontro faccia a faccia con il Risorto.

L’iniziale equivoco di Maria che scambia Gesù con il “custode del giardino” (v. 15), vuole significare che il Maestro da lei conosciuto e amato ora non è più di questo mondo e, pertanto, per poterlo “riconoscere”, è necessario che lui le si manifesti nella sua nuova condizione di vita. Perciò, d’ora in poi, Gesù non andrà più cercato, come fa Maria, tra i morti, ma nella sua nuova identità di Figlio glorificato.

Per questo Gesù, chiamando Maria per nome, la costringe ad andare oltre il dolore per la sua morte e a riconoscerlo finalmente come vivente! Ciò è reso evidente nel grido della donna: «Rabbunì!», il titolo, cioè, con il quale si è sempre rivolta a lui. È il grido del riconoscimento di fede oramai piena e definitiva: il Maestro che ha visto pendere dalla croce e deporre nel sepolcro è davanti a lei vivo!

Le parole consegnate a Maria per i discepoli, che il Signore glorificato chiama «miei fratelli», costituiscono l’apice dell’intero racconto: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (v. 17). Con questo solenne messaggio Gesù afferma che il suo ritorno al Padre, vale a dire la sua esaltazione e glorificazione avviata con la salita sulla Croce, sta per diventare definitiva anche nelle conseguenze riguardanti i discepoli e tutti coloro che, lungo i secoli, crederanno in lui.

Questi, infatti, d’ora in poi potranno con lui chiamare Dio “Padre”, assumendo così una vera relazione filiale ed entrando in quel rapporto di amore che unisce il Padre e il Figlio dall’eternità.

Trova, così, risposta la domanda formulata dagli apostoli al Risorto: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (Lettura: Atti degli Apostoli 1,6). Nella sua pasqua Gesù non ha ricostituito il regno per una nazione soltanto, ma in lui tutte le genti possono rivolgersi a Dio come al loro Dio, il Dio che assicura ad essi la sua alleanza, che non verrà mai meno perché inaugurata ed «esaltata nel sangue del Signore» (Prefazio).

L’annunzio che Maria deve recare ai discepoli divenuti fratelli è l’annunzio che la Chiesa, comunità dei credenti, deve recare a tutti gli uomini e che l’Apostolo ha sinteticamente così formulato: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture» (Epistola: 1Corinzi 15,3-4).

Si tratta di un annuncio liberante perché, nella sua morte, il Signore «ha portato i peccati di tutti e di tutti ha cancellato la colpa» (Prefazio), togliendo di mezzo la causa della rovina temporale ed eterna dell’uomo.

Possiamo perciò a ragione affermare che con la sua morte il Signore ha tratto «dall’abisso del peccato» il mondo intero e con la sua risurrezione «il terzo giorno» ha introdotto fin da ora i credenti «nel regno dei cieli» (Prefazio).

La celebrazione eucaristica continua a trasmettere non solo l’annunzio evangelico del Risorto, ma la sua attualizzazione nei santi misteri che ci donano di sperimentare, fin da questa vita, la reale consistenza della nostra partecipazione alla sua Pasqua come comunione d’amore con il Padre, per mezzo del suo Figlio, nello Spirito Santo.

Esperienza questa a cui la preghiera liturgica invita l’umanità intera: «O popoli, venite con timore e fiducia a celebrare l’immortale e santissimo mistero. Le mani siano pure e avremo parte al dono che ci trasforma il cuore. Cristo, agnello di Dio, si è offerto al Padre, vittima senza macchia. Lui solo adoriamo, a lui diciamo gloria, cantando con gli angeli: Alleluia» (Alla Comunione).

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24 marzo 2013 - Domenica delle Palme

È la domenica che inaugura la settimana santa che la nostra tradizione liturgica ambrosiana chiama “Autentica”.  In essa il cammino quaresimale viene coronato dalla celebrazione del Triduo Pasquale della morte, sepoltura e risurrezione del Signore, che dispiega l’evento di salvezza posto a fondamento della fede e della vita della Chiesa, vale a dire la Pasqua, partecipata ai credenti nei sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia.

 In questa domenica la nostra tradizione liturgica prevede due distinte celebrazioni: la Messa per la benedizione delle Palme e la Messa “nel giorno”.

 

MESSA PER LA BENEDIZIONE DELLE PALME

 

Viene celebrata quando la Messa è preceduta dal rito della benedizione e successiva processione delle palme. Essa intende far memoria del solenne ingresso di Gesù in Gerusalemme riconosciuto come Messia.

 

Il Lezionario

 

Vengono proclamati i seguenti brani biblici: Lettura: Zaccaria 9,9-10; Salmo 47; Epistola: Colossesi 1,15-20; Vangelo: Giovanni 12,12-16. (Le orazioni e i canti sono quelli propri della Messa per la benedizione delle Palme del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Zaccaria (9,9-10)

 

Così dice il Signore Dio: 9«Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. 10Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra».

 

Si tratta dell’oracolo messianico nel quale il profeta, in un contesto di esultanza e di grande gioia per Gerusalemme e, dunque, per tutto il popolo d’Israele, annunzia la venuta di un re che godrà della protezione divina e che, a differenza degli altri sovrani, si distinguerà per la sua umiltà, di cui è segno la cavalcatura da lui scelta: «un puledro figlio d’asina» (v. 9). Egli pacificherà e riunirà il popolo in un unico regno di pace che si estenderà ad abbracciare altri popoli e altre nazioni (v.10). Questa profezia, nella comprensione di fede della Chiesa, si è compiuta con l’ingresso di Gesù in Gerusalemme acclamato dal popolo come Messia.

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (1,15-20)

 

Fratelli, 15Cristo è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, 16perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze, tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. 17Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. 18Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. 19È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza 20e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

 

Il brano, oggi proclamato, riporta un inno del cristianesimo delle origini. Si tratta di una proclamazione di fede nel Signore Gesù, di cui si esalta la preesistenza e il ruolo avuto nella creazione di tutto ciò che esiste e, dunque, di tutte le cose visibili, come il mondo e l’uomo e quelle invisibili, ossia gli spiriti incorporei di cui l’Apostolo offre un elenco (vv.15-16). Il v. 17 sottolinea la preesistenza di Cristo alla creazione stessa, ovvero la sua divinità, mentre nel v. 18 viene proclamo «capo del corpo», cioè della Chiesa, a motivo del suo essere il primo risuscitato e il principio nell’ordine della salvezza. I vv. 19-20, infatti, evidenziano il disegno salvifico di Dio che coinvolge l’universo intero nell’azione di riconciliazione e di pacificazione, compiuta da Gesù con il suo sangue.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (12,12-16).

 

In quel tempo. 12La grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, 13prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!».

14Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto:15«Non temere, figlia di Sion!Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina».

16I suoi discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte.

 

Il brano segue immediatamente quello dell’“unzione” di Gesù in casa di Lazzaro da lui «risuscitato dai morti» (Gv 12,1-11) e che viene proclamato nella Messa del giorno. I vv. 12-13 riportano l’iniziativa spontanea della folla presente in Gerusalemme per l’imminente festa di Pasqua che va incontro a Gesù  recando, non semplici fronde strappate dagli alberi, ma palme, simbolo di vittoria. Con le palme l’evangelista registra il grido della folla preso dal Salmo 118,25-29 con il quale lo acclama quale inviato da Dio e re d’Israele.

I vv. 14-15 mettono in luce, nel gesto di Gesù di montare su un asinello, che la sua regalità si differenzia da quella dei sovrani di questo mondo. Anzi, con l’esplicita citazione del profeta Zaccaria (cfr. 9,9), viene chiarito che egli è il re umile e pacifico destinato, nel disegno divino, a governare non un solo popolo ma tutte le genti.

Il brano si chiude al v. 16 con l’indicazione preziosa anche per noi: sarà soltanto nell’ora della sua     “glorificazione”, ovvero della Croce, che i discepoli di allora e di sempre saranno pienamente illuminati e potranno comprendere in pienezza le parole profetiche e i fatti riguardanti il Signore Gesù.

 

Commento liturgico- pastorale

 

Le Sacre Scritture ci introducono, in questa domenica in cui prende avvio la solenne distesa celebrazione del mistero pasquale del Signore, a una comprensione più profonda di tale mistero aiutandoci a riconoscerlo come il Messia inviato da Dio al suo popolo come Re. Un re «giusto e vittorioso» la cui venuta reca gioia in quanto «farà sparire il carro di guerra da Efraim e il cavallo da Gerusalemme» (Lettura: Zaccaria 9, 9s), ossia porterà la pace al suo popolo. Egli sarà soprattutto un re umile, come si desume dalla cavalcatura da lui scelta per il suo ingresso regale: «un asino, un puledro figlio d’asina» (v. 9), ed estenderà il suo regno «fino ai confini della Terra» (v. 10) ossia a tutti i popoli ai quali recherà pure come dono la pace. La parola profetica trova il suo compimento ed è pienamente compresa nell’evento riportato nel brano evangelico di Giovanni riguardante l’ingresso di Gesù in Gerusalemme «seduto su un puledro d’asina» (Vangelo: Giovanni 12,14). È pertanto lui, Gesù di Nazaret, il Messia inviato da Dio come Re d’Israele per pacificare e risollevare il regno promesso a Davide come regno che non avrà fine e che in lui abbraccerà il mondo intero, ma nella modalità del tutto inedita e sorprendente della sua umiltà e della sua mitezza, allusive della sua passione e della sua morte violenta.

La preghiera liturgica commenta in modo insuperabile l’evento salvifico di cui oggi si fa memoria cogliendo il senso spirituale dell’avvenimento evangelico dell’ingresso messianico del Signore, e motiva così il rendere grazie che coinvolge «qui e in ogni luogo» la Chiesa: «Tu hai mandato in questo mondo Gesù, tuo Figlio, a salvarci perché, abbassandosi fino a noi e condividendo il dolore umano, risollevasse fino a te la nostra vita» (Prefazio). L’Epistola paolina iscrive l’opera del pacifico e umile Messia, re d’Israele nel disegno divino di riconciliare ogni realtà che esiste in terra e nei cieli, per mezzo di lui, umiliato fino alla morte di croce e il cui sangue è dato come garanzia di riconciliazione e di pacificazione tra tutte le realtà creata e Dio stesso (v.20).

Al pari dei discepoli anche noi comprenderemo in pienezza ciò che è avvenuto e ciò che è significato nell’ingresso messianico a Gerusalemme, soltanto nell’ora nella quale il Signore «fu glorificato» ossia, nell’ora della sua esaltazione in Croce. Ricordando ovvero “facendo memoria” di quanto egli ha fatto, impariamo anche noi, suoi discepoli, che la “regalità” secondo il disegno inaccessibile di Dio non consiste nella forza e nella potenza mondane, ma nell’obbedienza al volere di Dio che addita anche a noi, Chiesa santa del suo Figlio, la via indicata al suo Unigenito: la via della piccolezza, dell’umiliazione e della mitezza, la via della Croce. Nel sangue della sua Croce, infatti, il Re umile venuto a noi dal Cielo, ha riconciliato e pacificato il mondo intero invitandolo ad entrare nel suo Regno di gioia. È l’invito che ripete incessantemente la Chiesa in questo giorno che inaugura i giorni della nostra salvezza: «Venite tutti ad adorare il Re dell’universo: sei giorni mancano alla sua passione: viene il Signore nella sua città, secondo le Scritture. Accorrono lieti i fanciulli, si stendono a terra i mantelli. In alto levando l’ulivo acclamiamo a gran voce: “Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto tu sei che vieni al tuo popolo: abbi di noi pietà”».

 

MESSA  NEL GIORNO

 

Viene celebrata quando non si fa la processione delle palme benedette. Le letture bibliche e i testi del Messale pongono in rilievo la passione e la morte del Signore che segue l’ingresso trionfale a Gerusalemme.

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti brani della Scrittura: Lettura: Isaia 52,13-53,12; Salmo 87 (88); Epistola: Ebrei 12,1b-3; Vangelo: Giovanni 11,55-12,11. Alla messa vespertina del sabato viene letto Giovanni 2,13-22 come Lettura vigiliare. ( Le orazione e i canti della Messa sono quelli propri della Messa “nel giorno” del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (52,13-53,12)

 

Così dice il Signore Dio:52,13«Ecco il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e  innalzato grandemente.14 Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo – 15così si meraviglieranno di lui molte nazioni;i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato
e comprenderanno ciò che mai avevano udito.53,1Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? 2È cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere.3Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. 4Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. 5Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. 6Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. 7Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. 8Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. 9Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. 10Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. 11Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità.12Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli».

 

Il brano riporta il quarto canto del servo di Dio sofferente concepito come un dialogo tra Dio che pronuncia un oracolo sul suo “servo” (53,13-15) e i popoli e i re della terra (53, 1-10) e si conclude con un nuovo intervento divino che annunzia il successo della missione del servo (vv.11-12). Nel suo primo intervento Dio annuncia il trionfo del suo servo una volta affrontate le prove e le sofferenze estreme alle quali verrà sottoposto (52, 13-15). Nella loro risposta i re della terra e le nazioni enumerano le sofferenze del servo riconoscendo che esse sono causate dalle loro colpe e dalle loro iniquità. Il canto si chiude con la riaffermazione del pieno successo della missione del servo di Dio.

 

Lettera agli Ebrei (12,1b-3)

 

Fratelli, 1bavendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, 2tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e si siede alla destra del trono di Dio. 3Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo.

 

Il brano esorta i credenti, una volta sbarazzatisi della presenza opprimente del peccato, alla perseveranza nella fede, concepita come una corsa verso la meta che è lo stesso Cristo autore della fede (vv. 1-2). A lui occorre riferirsi sempre e in ogni cosa perché, avendo accettato la morte infamante di Croce, ha portato a compimento l’opera di salvezza e ora «siede alla destra del trono di Dio» (v. 2b). Il brano si conclude con l’esortazione a non smarrirsi tra le prove della vita e per questo occorre contemplare senza sosta la passione del Signore Gesù (v.3) che, per obbedienza al volere del Padre, si è sottoposto alla Croce.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (11,55-12,11) 

 

In quel tempo. 55Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. 56Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». 57Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo.

1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui fecero per lui una cena. Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. 3Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. 4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: 5«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». 6Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. 7Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. 8I poveri infatti li avete sempre con coi, ma non potete sempre avere me».

9Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. 10I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, 11perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

 

Il brano, incentrato sul racconto dell’unzione di Gesù nella casa di Lazzaro (12,1-8), è come incorniciato dai versetti iniziali 11,55-57 e quelli finali 12,9-11. I primi riportano il desiderio della gente, venuta a Gerusalemme per la festa di Pasqua, di poter incontrare Gesù la cui fama, dopo la risurrezione di Lazzaro, si era sparsa ovunque suscitando la reazione ostile delle autorità (v. 57). I versetti finali (vv. 9-10) riferiscono della decisione presa dai capi dei sacerdoti di mettere a morte anche Lazzaro a causa del quale molti lasciavano la Sinagoga per aderire a Gesù.

Il racconto dell’unzione (v. 12,3) è collocato nel contesto di un pranzo familiare consumato da Gesù a casa di Lazzaro e delle sorelle Marta e Maria, ardenti di fede e di amore verso di lui che si sta incamminando verso la sua Pasqua (12,1-3)! Il pranzo può forse rappresentare la gioia della futura risurrezione mentre l’unzione che Maria fa sui piedi di Gesù annunzia la sua sepoltura.

Il significato profondo del gesto di Maria, non capito da Giuda, il traditore (vv. 5-6), consiste nell’anticipare, pur senza saperlo, quello che ella avrebbe presto compiuto sul corpo esanime del Signore e da lui stesso così interpretato (v. 7). Il brano si chiude con una parola rivolta non solo a Giuda (v. 5), ma anche a tutti coloro che ascoltano e ascolteranno nei secoli la sua Parola. Gesù, in pratica, riafferma il precetto divino di prendersi cura dei poveri, un precetto valido per sempre (cfr. Deuteronomio 15,11), ma giustifica, per questa volta, l’attenzione rivolta a lui che sta per andare incontro alla morte (v. 8).  

 

Commento liturgico-pastorale

 

 I testi della Scrittura, proclamati nel giorno che inaugura la Settimana Autentica, dirigono l’attenzione orante della comunità radunata in assemblea liturgica, sull’evento della morte del Signore Gesù che in quel raduno viene attualizzata a livello sacramentale. La celebrazione liturgica della passione e morte del Signore è illuminata da ciò che abbiamo ascoltato nella Lettura profetica a proposito del “servo sofferente” che nel misterioso disegno di Dio è destinato ad aver “successo”, a essere «onorato e innalzato grandemente» (Isaia 52,13). Di più, a motivo della sua totale sottomissione al volere divino, fino a subire gli oltraggi, le umiliazioni più infamanti e la stessa morte, egli riceve da Dio «in premio le moltitudini», ossia l’umanità intera dei cui peccati e delle cui iniquità egli si è addossato, eliminandoli proprio con la sua morte. Il testo profetico, infatti, mette in bocca alle nazioni e ai re (cfr. Isaia 52,15) la solenne dichiarazione che rivela il significato delle sofferenze del “servo” ascrivibili al disegno di Dio inaccessibile per la nostra mente: «È stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Isaia 53,5). Il messaggio biblico è stato ben compreso dalla preghiera liturgica che esalta il perenne universale valore salvifico della morte del Signore nel quale viene portata a compimento la parola profetica: «Cristo tuo Figlio, il giusto che non conobbe la colpa, accettò di patire per noi e, consegnandosi a una ingiusta condanna, portò il peso dei nostri errori. La sua morte ha distrutto il peccato, la sua risurrezione ha ricreato la nostra innocenza» (Prefazio). Ed è ancora la preghiera liturgica a esprimere la certezza che l’efficacia della morte del Signore è intatta nel sacramento del suo amore: «Nel Figlio del suo amore tutto dal nostro Dio ci fu donato, il sangue del Signore ogni peccato nostro ci ha lavato. Perdona il nostro errore, medica le ferite del peccato» (Alla Comunione).

 Di conseguenza, l’ascolto della Parola e la sua attualizzazione sacramentale, spingono tutta la Chiesa e, ogni fedele, a tenere «fisso lo sguardo su Gesù» che si è sottoposto volontariamente alla croce «disprezzando il disonore» che essa rappresenta e, ora, «siede alla destra del Padre» (Epistola: Ebrei 12,). È questa la meta verso la quale i credenti sono esortati a correre «con perseveranza», accettando di condividere quella condizione di “servo” che Gesù ha accettato di rivestire per la nostra salvezza.

Ci doni, perciò, il Padre del Cielo di avere in noi lo stesso amore per Gesù che spinse Maria a cospargere i suoi piedi con «trecento grammi di profumo di puro nardo» annunziando, in tal modo, la preziosità della morte del suo e nostro Maestro (cfr. Vangelo: Giovanni 12,3). La Chiesa santa è quella casa ripiena dell’aroma del profumo che spande in essa l’amore del Signore Gesù nel suo consegnarsi alla morte per noi e per tutti. Un amore che chiede anzitutto a tutti noi, suoi discepoli, di condividere la sua sorte di “servo” totalmente disponibile ai superiori disegni salvifici del Padre. Al Padre buono del cielo che per la passione del suo Unigenito «fatto nostro fratello» rinnova il mondo intero, così ci rivolgiamo nell’orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica: «Conserva in noi l’azione della tua misericordia perché celebrando questo mistero ti offriamo in ogni tempo la nostra vita».   

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17 Marzo 2013 – Domenica “di Lazzaro” – Anno C

È la quinta domenica di Quaresima, caratterizzata dall’annuale lettura del Vangelo della risurrezione di Lazzaro.

IL LEZIONARIO

Prescrive la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Deuteronomio 6,4a; 26,5-11; Salmo 104 (105); Epistola: Romani: 1,18-23a; Vangelo: Giovanni 11,1-53. Alla Messa del sabato la Lettura Vigiliare è presa da Matteo 12, 38-40. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della V Domenica di Quaresima nel Messale Ambrosiano).

 

Lettura del libro del Deuteronomio (6,4a; 26,5-11)

 

In quei giorni. Mosè disse: «6,4aAscolta Israele: 5tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. 6Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. 7Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; 8il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. 9Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. 10Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”. Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio. 11Gioirai, con il levita e con il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che il Signore, tuo Dio, avrà dato a te e alla tua famiglia».

 

Il brano è preso dal secondo discorso di Mosè al popolo che sta per entrare nella terra promessa. Qui ci si riferisce a ciò che avveniva ogni anno, nella festa della mietitura o Pentecoste, nella quale venivano offerte a Dio le primizie del raccolto come segno che esse erano dono di lui. In quella circostanza l’offerente doveva pronunciare una formula di professione di fede che passava in rassegna gli atti salvifici di Dio a favore del suo popolo a cominciare dalla discesa in Egitto del patriarca d’Israele, Giacobbe (v. 5), alla dura schiavitù imposta a Israele dagli Egiziani, dalla quale li liberò Dio «con mano potente e con braccio teso» (vv. 6-8), il quale poi li introdusse in una terra magnifica (v. 9). I frutti della terra verranno presentati al Signore e condivisi con gioia con leviti e forestieri i quali, come è noto, non possedevano la terra (vv. 10-11).

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (1,18-23a)

 

Fratelli, 18l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, 19poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. 20Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa 21perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. 22Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 23e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo corruttibile.

Nella prima parte “dottrinale” della lettera, nella quale l’Apostolo argomenta sulla giustificazione dell’uomo peccatore mediante la fede in Cristo, nei versetti oggi proclamati viene mostrato come sia sui pagani come sui Giudei, incombe l’ira di Dio, ossia il giudizio divino per «ogni empietà e ogni ingiustizia» da essi commesse (v. 18). Qui, in particolare, sono presi di mira i pagani, i quali attraverso la creazione erano in grado di contemplare e di comprendere le perfezioni invisibili di Dio (vv. 19-20). Di qui la condizione dei pagani, inescusabili agli occhi di Dio e perduti nei loro vani ragionamenti, diventati stolti al punto di scambiare «la gloria del Dio incorruttibile» con un’immagine e una figura di uomo, cioè caduti nell’idolatria.

 

Vangelo secondo Giovanni (11,1-53)

 

In quel tempo. 1Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato.2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».

4All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». 8I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».

11Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». 16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: "Andiamo anche noi a morire con lui!».

17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 23Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». 24Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno».25Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». 27Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.

32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto

piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». 38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra.

39Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore; è lì da quattro giorni». 40Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41Tolsero dunque la pietra: Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare».

45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero  in lui. 46Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.

47Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. 48Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». 49Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! 50Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». 51Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; 52e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. 53Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.

Il brano evangelico ampio e impegnativo può essere così suddiviso: i vv. 1-6 preparano il successivo racconto e ne presentano i personaggi; i vv. 7-16 riportano il dialogo tra Gesù e i discepoli incentrato sul suo ritorno in Giudea. I vv. 17-32 collocano la scena presso il sepolcro di Lazzaro e riferiscono dell’incontro di Gesù con Marta e Maria sorelle del morto. I vv. 33-40a sono caratterizzati dalla profonda commozione e dal pianto del Signore davanti al sepolcro di Lazzaro suo amico. Il racconto del miracolo vero e proprio occupa i vv. 40b-44 a cui fanno seguito i vv. 45-53 con la reazione dei testimoni dell’evento prodigioso e il raduno del Sinedrio per decidere di uccidere Gesù.

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10 marzo 2013 – Domenica del cieco

 

Si tratta della quarta domenica di Quaresima, caratterizzata dall’annuale proclamazione del brano evangelico del cieco nato, nel quale sono raffigurati gli uomini privi del dono della fede frutto dell’“illuminazione” battesimale.

Il Lezionario

Fa leggere: Lettura: Esodo 17,1-11; Salmo 35  (36); Epistola: 1Tessalonicesi 5,1-11; Vangelo: Giovanni 9, 1-38b. Alla Messa vigiliare del sabato viene letto: Matteo 17,1b-38b come Lettura vigiliare. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della quarta domenica di Quaresima nel Messale Ambrosiano).

Lettura del libro dell’Esodo (17,1-11)

In quei giorni. 1Tutta la comunità degli Israeliti levò le tende dal deserto di Sin, camminando di tappa in tappa, secondo l’ordine del Signore, e si accampò a Refidìm. Ma non c’era acqua da bere per il popolo. 2Il popolo protestò contro Mosè: «Dateci acqua da bere!». Mosè disse loro: «Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?». 3In quel luogo il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?». 4Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!». 5Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! 6Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà». Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele.7E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?».
8Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm. 9Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio». 10Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. 11Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk.

Il brano è ambientato nel deserto dove Israele, in seguito agli eventi strepitosi presso il Mar Rosso, è in marcia verso la terra della promessa. Qui viene letto il racconto dell’acqua scaturita miracolosamente dalla roccia: vv. 1-7 e i versetti iniziali di quello riguardante la battaglia contro Amalèk, una popolazione ostile a Israele il quale può riportare vittoria a motivo della preghiera di Mosè a mani alzate (vv. 8-11). La prima parte riguarda anzitutto la protesta contro Mosè del popolo assetato ed espressa con il verbo mormorare che è il verbo della ribellione anche contro Dio (vv. 1-3). Alla mormorazione del popolo segue la supplica di Mosè a Dio e la pronta risposta del Signore che gli ordina di battere la roccia con il suo bastone operatore dei grandi prodigi dell’Esodo dall’Egitto, cosa che egli prontamente eseguì (vv. 4-6). Il v. 7 precisa che Mosè chiamò quel luogo, testimone della ribellione a Dio e del prodigio dell’acqua dalla roccia: Massa, ossia “prova”, e Meriba, ossia “disputa”.

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi (5,1-11)

1Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva ;2infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. 3E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. 4Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. 5Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. 6Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

7Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano, di notte si ubriacano. 8Noi invece, che apparteniamo al giorno, siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità, e avendo come elmo la speranza della salvezza.9Dio infatti non ci ha destinati alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. 10Egli è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. 11Perciò confortatevi a vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate.

 

Il brano appartiene alla seconda parte della lettera (4,1-5,22), dedicata alle istruzioni sulla vita cristiana. Qui, in particolare, l’Apostolo affronta la questione della venuta finale del Signore e, quindi, della sua attesa. Questa si caratterizza per i credenti, definiti «figli della luce e figli del giorno» (v. 5), come una vigile attesa (vv. 1-5) che esige un comportamento sobrio e una speciale dotazione qual è la fede, la carità e la speranza, indicate rispettivamente, con il ricorso a immagini prese dal mondo militare, le prime due come corazza e la speranza come elmo protettivo (vv. 7-8). Il brano si chiude con l’ annuncio salvifico della morte del Signore generatrice, nei credenti, della vita da vivere «insieme con lui» (v. 10).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (9,1-38b)

 

In quel tempo. 1Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «E’ lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e lavati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12 Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».

13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «E’ un profeta!». 18Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: «E’ questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». 24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.

35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!».

Il brano è strutturato in tre parti. La prima, vv. 1-12, riporta la narrazione del “miracolo” e la reazione dei presenti; la seconda: vv. 13-34 riporta la reazione dei farisei con il duplice interrogatorio del “miracolato” (vv. 15-17; 24-34) e dei suoi genitori (vv.18-23); la terza (vv. 35-39) propone il dialogo tra Gesù e il miracolato che professa la sua fede in lui. Nella prima parte il racconto del miracolo è preceduto dal dialogo di Gesù con i suoi discepoli convinti che la condizione del  cieco dalla nascita sia dovuta a colpe commesse da lui o dai suoi genitori (v. 2). Gesù esclude il nesso cecità-peccato e afferma che nell’uomo, nato cieco, Dio manifesterà le sue “opere” che riguardano l’illuminazione del mondo mediante il suo Figlio entrato in esso come “luce” (v. 3). La narrazione del miracolo (vv. 6-7) sorprende per i gesti di Gesù che, dopo aver fatto del fango con la sua saliva, lo spalma sugli occhi del cieco con l’ingiunzione di recarsi alla piscina di Siloe, «che significa Inviato». Con quel gesto Gesù intende far capire che l’uomo è di per sé prigioniero delle tenebre da cui potrà essere liberato recandosi dall’“Inviato”, ossia credendo in lui che è venuto nel mondo proprio per compiere tale “opera”. La prima parte si chiude con la constatazione dell’avvenuta guarigione del cieco nato da parte dei conoscenti (vv. 8-12) e soprattutto con le domande sul “come” abbia ottenuto la vista; domande che saranno riprese drammaticamente nella seconda parte del racconto.

Questa si apre con il miracolato condotto dai farisei, esperti dottori e maestri della Legge, i quali prendono da subito una posizione negativa nei confronti di Gesù il quale, «facendo del fango», ha violato il precetto fondamentale per Israele del riposo sabbatico. Sorprende la reazione decisa del guarito nel dichiarare che Gesù è un profeta (v. 17). Con ciò l’evangelista mostra come la vera guarigione dell’uomo consiste nella sua adesione di fede in Gesù rivelatore di Dio. Il cieco che ora vede è, al contrario dei farisei che si ostinano nel rimanere chiusi all’opera di illuminazione del Signore, l’esemplare per ogni uomo che gradatamente giunge alla pienezza di luce ossia alla pienezza di fede in lui: è «un profeta» (v. 17); «viene da Dio» (v. 33); «Figlio dell’uomo» (v. 35).

Il racconto si conclude con Gesù che volutamente va a cercare e trova il miracolato cacciato fuori dalla Sinagoga (vv. 34-35) per proporgli di aderire a lui che racchiude in pienezza il mistero del Figlio dell’uomo che, in verità, è il Figlio di Dio!

La risposta finale del cieco che ora vede per la prima volta il Signore è una decisa professione di fede resa evidente dall’esplicita affermazione: «Credo, Signore». In tal modo il cieco nato, illuminato dal Signore, diviene il prototipo e l’esemplare per tutti i credenti.

Commento liturgico-pastorale

Avvicinandosi le solennità pasquali i testi biblici, oggi proclamati, intendono accompagnare e favorire una più immediata preparazione al Battesimo, prima attualizzazione della salvezza pasquale, e propiziare, nei già battezzati, la riscoperta e, se è il caso, l’impegno a recuperarne la grazia persa con il peccato.

Anche la nostra tradizione liturgica, infatti, ha letto in chiave battesimale sia l’evento vetero-testamentario dell’acqua scaturita dalla roccia (cfr. Lettura: Esodo 17,6), sia il racconto evangelico della guarigione dell’uomo, cieco dalla nascita, da sempre riconosciuto come “essenziale” nella catechesi di preparazione al Battesimo.

Ne fa fede il Prefazio I, appartenente all’antica scuola eucologica ambrosiana che ne sintetizza così il significato: «Nel mendicante guarito è raffigurato il genere umano prima nella cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che al fonte battesimale gli viene donata».

In questo contesto l’immersione nell’acqua battesimale, evocata dalla piscina di Siloe, rappresenta il passaggio dall’oscurità totale, che è l’incredulità, alla grazia di “vederci”, ossia di pervenire alla fede che il Vangelo rende plasticamente nel cieco guarito che vede con i suoi occhi Gesù! È lui, Gesù, il Figlio la “luce vera” che al credente è concesso di guardare in faccia, “a viso scoperto”. In effetti è fin troppo evidente registrare ieri, come oggi, che l’umanità, priva dell’illuminazione propria del dono battesimale della fede, vive in un’interiore totale “oscurità”.

L’uomo di fatto non sa chi è, qual è il senso della sua vita, qual è il destino che l’attende. Egli è nella solitudine più drammatica e infelice finché non incontra Colui che è la “Luce del mondo” che gli indica il cammino da compiere: «Va’ a lavarti alla piscina di Siloe» (Vangelo: Giovanni 9,7), immergiti cioè nel dono battesimale che apre il tuo cuore alla fede. Ti sarà allora permesso di “vedere Gesù” e, in lui, di comprendere finalmente anche te stesso e il senso del tuo esistere e del tuo destino, quello di essere elevato «con il sacramento della rinascita… alla dignità di Figlio”».

Pertanto, ciò che conta più di ogni altra cosa è poter “vedere”, ossia riconoscere con fede, nel Signore Gesù, la “luce del mondo”. È questa la splendida “illuminazione” che ha portato il cieco nato a confessare con piena adesione a colui che afferma di essere il “figlio dell’uomo”(Giovanni 9,35-38): «Credo, Signore!». Ad essa, purtroppo, al pari dei farisei, non pochi chiudono ostinatamente il loro cuore racchiudendosi da sé stessi in una notte tenebrosa senza fine.

A ragione, perciò, l’Apostolo si rivolge ai fedeli di Tessalonica dicendo: «Siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre» (Epistola: 1 Tessalonicesi 5,5). Queste parole si addicono, dunque, a quanti sono stati “illuminati”ovvero a quanti, per mezzo del Battesimo, costituiscono il popolo dei fedeli e, simultaneamente, rappresentano un monito a non ritornare nelle “tenebre” dell’incredulità facendosi trascinare dal fascino oscuro del peccato.

Per questo l’Apostolo esorta a vivere nella sobrietà e a vestirsi «con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza» (v. 8). Si tratta di esortazioni che noi tutti siamo invitati ad accogliere di buon animo improntando la nostra vita sull’insegnamento apostolico che ci preserva dallo scivolare di nuovo nelle “tenebre”. Per questo abbiamo bisogno di immergerci continuamente nel flusso di grazia che fuoriesce dal Cristo Crocifisso che accostiamo nei divini misteri.

A lui, consapevoli della nostra debolezza, affidiamo l’inestimabile dono battesimale che ci ha fatti «figli della luce» (v.5) e quello ancora più grande, frutto della sua morte «per noi», quello di vivere «insieme con lui»(v.10), di condividere cioè la sua vita che sperimentiamo già da ora, accostandoci al suo altare così pregando: «Signore, dà luce ai miei occhi perché non mi addormenti nella morte; perché l’avversario non dica: “Sono più forte di lui”. Tu che hai aperto gli occhi al cieco nato, con la tua luce illumina il mio cuore perché io sappia vedere le tue opere e custodisca tutti i tuoi precetti» (All’Ingresso).

 

 

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3 Marzo 2013 – Domenica di Abramo – Anno C

3 Marzo 2013 – Domenica di Abramo – Anno C

 

È la terza domenica di Quaresima, caratterizzata dalla figura di Abramo, considerato padre di tutti coloro che aprono il loro cuore alla fede e, perciò, modello per quanti intendono percorrere il cammino di fede sulle orme del Signore Gesù.

Il Lezionario

Prescrive: Lettura: Deuteronomio 6,4a;18,9-22; Salmo 105 (106); Epistola: Romani 3,21-26; Vangelo: Giovanni 8,31-59. La Lettura vigiliare della Messa vespertina del sabato è presa da Luca 9,28b-36. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della III domenica di Quaresima nel Messale Ambrosiano).

Lettura del libro del Deuteronomio (6,4a; 18,9-22)

In quei giorni. Mosè disse: «6,4aAscolta, Israele: 18,9Quando sarai entrato nella terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti, non imparerai a commettere gli abomini di quelle nazioni. 10Non si trovi in mezzo a te chi fa passare per il fuoco il suo figlio o la sua figlia, né chi esercita la divinazione o il sortilegio o il presagio o la magia, 11né chi faccia incantesimi, né chi consulti i negromanti o gli indovini, né chi interroghi i morti, 12perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore. A causa di questi abomini, il Signore, tuo Dio, sta per scacciare quelle nazioni davanti a te. 13Tu sarai irreprensibile verso il Signore, tuo Dio, 14perché le nazioni, di cui tu vai ad occupare il paese, ascoltano gli indovini e gli incantatori, ma quanto a te, non così ti ha permesso il Signore, tuo Dio.
15Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto. 16Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull’Oreb, il giorno dell’assemblea, dicendo: “Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia”. 17Il Signore mi rispose: “Quello che hanno detto, va bene. 18Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. 19Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. 20Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire”. 21Forse potresti dire nel tuo cuore: “Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detto?”. 22Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l’ha detta il Signore. Il profeta l’ha detta per presunzione. Non devi aver paura di lui».

Il brano fa parte del secondo lungo discorso di Mosè in vista dell’ingresso del popolo nella terra promessa (Deuteronomio 4,44-28,68). Qui, in particolare, il popolo viene esortato a «evitare gli abomini» delle nazioni, ovvero le pratiche idolatriche e di divinazione che hanno attirato la punizione divina su di esse (vv. 9-14). Il v. 15 contiene la promessa, ripetuta al v. 18, di un profeta pari a Mosè, in base alla quale Israele aspettava il Messia come il profeta per eccellenza. Promessa che, nell’interpretazione neotestamentaria, si considera attuata nella persona di Gesù Cristo (cfr. Atti degli Apostoli 3,22-26). A quel profeta tutti devono dare ascolto. I vv. 20-22 si riferiscono ai falsi profeti, a quanti cioè presumono di parlare a nome di Dio e offrono opportuni criteri per mascherarli.

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (3,21-26)

Fratelli, 21ora, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti: 22giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, 23perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, 24ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù.25 È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati passati 26mediante la clemenza di Dio, al fine di manifestare la sua giustizia nel tempo presente, così da risultare lui giusto e rendere giusto colui che si basa sulla fede in Gesù. 

Il brano è preso dalla parte dottrinale della lettera e in particolare da quella in cui, dopo aver dimostrato l’incapacità della Legge di rendere gli uomini “giusti”, si afferma che tale “giustificazione” è opera della grazia di Dio in Cristo. I vv. 23-24 presentano anzitutto la situazione comune a tutti gli uomini, sia Giudei che pagani, quella di peccatori privi perciò della gloria di Dio, ovvero dell’intima presenza divina in essi. Da questa situazione sono «giustificati gratuitamente» in quanto Gesù li ha redenti, ossia li ha riscattati e liberati dal dominio del peccato. I vv. 25-26, infine, tornano sull’opera salvifica in Cristo, stabilito da Dio «come strumento di espiazione» in quanto egli, nel suo sangue, ha compiuto realmente la purificazione dal peccato. E ciò «nel tempo presente», quello cioè stabilito da Dio per l’opera redentrice di Cristo, il quale giustifica ossia dona la sua giustizia salvifica a quanti credono in lui.

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (8,31-59)

In quel tempo. Il Signore 31Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. 36Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. 38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». 39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora:  «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». 42Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 43Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. 44Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. 46Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».

48Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». 49Rispose Gesù: «Io non sono un indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. 50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. 51In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». 52Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei un indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. 53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». 54Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, 55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. 56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno;  lo vide e fu pieno di gioia». 57Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». 58Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono». 59Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

La seconda parte del capitolo 8, da cui è preso il brano evangelico odierno, è contrassegnata dal riferimento ad Abramo come padre di Israele. Qui viene riportato l’insegnamento di Gesù nel tempio di Gerusalemme e destinato sostanzialmente a rivelare la sua più piena identità di Figlio di Dio, partecipe cioè della natura divina del Padre. Insegnamento che suscita la reazione dei farisei ma anche un’iniziale adesione di fede da parte di molti che lo seguivano e lo ascoltavano. Il brano appare diviso in due sezioni: i vv. 31-45 riguardano la necessità di credere, mentre i vv. 46-59 insistono sulla necessità di credere alla persona di Gesù. In particolare i vv. 31-36 riportano le parole di Gesù «a quei Giudei che gli avevano creduto» almeno inizialmente e che ruotano attorno all’opposizione libertà/schiavitù del peccato. La libertà è garantita a coloro che “rimangono” nella Parola di Gesù. I vv. 37-40 introducono il tema di Abramo come padre del quale, però, quelli che con orgoglio si proclamano figli non compiono le opere, vale a dire non si pongono in quella disponibilità di fede  propria di Abramo! Per questo essi non possono proclamarsi figli di Dio rifiutando di credere in colui che è uscito da Dio ed è stato da lui inviato, ma, con tale rifiuto, dimostrano di essere figli del diavolo (vv. 41-45). Nei vv. 46-50 si insiste sul fatto che Gesù “dice la verità”, in quanto, con la sua Parola, offre  l’autentica e piena rivelazione di Dio al contrario dei suoi interlocutori che rifiutandola preferiscono seguire la menzogna.

Di qui la solenne proclamazione del v. 51: «In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno», che costituisce un estremo appello rivolto da Gesù ai suoi interlocutori perché si aprano all’ascolto e all’osservanza fedele della sua parola che garantisce di poter sfuggire alla morte da intendere come “eterna”, ovvero come dannazione. Modello di un simile ascolto obbediente è proprio Gesù che, essendo il Figlio, “conosce” Dio, accoglie e osserva la sua volontà (v. 55).

Il brano si chiude con la parola di autorivelazione che il Signore pronuncia a riguardo di sé stesso: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono». Con ciò afferma che Dio, che è l’Unico, può essere trovato e riconosciuto nel Figlio e, di conseguenza, in lui è trovato e riconosciuto come Padre! A questa rivelazione anelava Abramo il quale, a motivo della sua fede, poté vedere e gioire del Figlio rivelatore di Dio Padre! Il v. 59 registra infine la reazione violenta dei Giudei che, chiudendosi ostilmente al Figlio rivelatore del Padre, determinano il suo “nascondersi” ai loro occhi e la sua uscita dal Tempio.

Commento liturgico-pastorale

Nel graduale percorso quaresimale proposto a coloro che domandano il Battesimo e ai fedeli che, attraverso quel percorso, intendono riattivare la grazia propria di quel sacramento, il brano evangelico, costruito intorno alla figura di Abramo, il credente per eccellenza, intende evidenziare come la fede in Cristo, Figlio di Dio, sia  da considerare l’opera essenziale per quanti nel Battesimo diventeranno “figli” ed entreranno a far parte di quella «moltitudine di popoli, preannunziati al patriarca Abramo come sua discendenza» (Prefazio I). Stando al testo evangelico, credere in Cristo significa credere che egli è il portatore della verità, ossia della rivelazione piena e definitiva di Dio che, se accolta, è in grado di liberare quanti sono schiavi del peccato (cfr. Vangelo: Giovanni 8,32). Si tratta di una schiavitù che paralizza il cuore umano e lo rende incapace di credere e, dunque, di giungere a essere libero e pronto per le cose grandi che Dio ha in serbo per lui. Credere in Cristo significa, inoltre, credere che in lui si adempie l’antica promessa di Dio a Israele: «Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò» (Lettura: Deuteronomio 18.18). Gesù, però, non è semplicemente il profeta pari a Mosè (cfr. v.15), bensì il Messia, il Figlio stesso di Dio, la sua Parola vivente, dopo del quale l’umanità non dovrà aspettare un altro rivelatore. A lui, perciò, tutti sono invitati a prestare ascolto perché portatore, nella sua persona, della Parola che Dio vuole comunicare al mondo e sulla cui bocca è posta la «verità intera», ossia la rivelazione del disegno di salvezza che Dio intende attuare proprio attraverso  di lui. Di tale disegno parla l’Apostolo come di una manifestazione della “giustizia” di Dio, che ha deciso di rendere “giusti” quanti, Giudei e Greci, sono ugualmente peccatori e, quindi, «privi della sua gloria», vale a dire della sua presenza vivificante (cfr. Epistola: Romani 3,21-23). L’Apostolo si riferisce qui alla condizione di lontananza e di estraneità a Dio in cui si trova l’umanità a causa del peccato. Una condizione che rende impossibile sia ai Giudei, fieri possessori della Legge, sia ai Greci, altrettanto fieri della loro sapienza filosofica, di farsi trovare da sé stessi giusti agli occhi di Dio, in una parola di sfuggire alla rovina eterna e di accedere alla salvezza. La «verità udita da Dio» (Giovanni 8,40), portata nel mondo dal suo Figlio al quale occorre prestare l’assenso della fede, ci dice che egli è in grado di liberare quanti credono dalla schiavitù del peccato (cfr. v. 36) e di restituirli a un rapporto vitale con Dio. Liberazione che l’Apostolo descrive come redenzione, riscatto dal potere del peccato, espiazione, ovvero purificazione e remissione dei peccati mediante il suo sangue quello, ovviamente, della sua Croce. In essa si è «manifestata la giustizia di Dio» che, nel suo Figlio, l’unico giusto, ha deciso di rendere giusti tutti coloro che aderisco con fede a lui (cfr. Romani 3,24-26).

Accogliamo, perciò, senza indugio l’esortazione evangelica: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli» (Giovanni 8,31), “dimorando” costantemente con tutta la nostra mente e il nostro cuore in Cristo rivelatore ultimo e attuatore dei grandi disegni salvifici di Dio. Impareremo, in tal modo, a compiere giorno dopo giorno l’«opera di Abramo» crescendo nella fede in Gesù, e amandolo come Figlio «uscito da Dio» e da lui mandato nel mondo per salvare il mondo. La  fede, pertanto, è il dono a cui anelano quanti si preparano, nelle prossime feste pasquali, a essere rigenerati  alla grazia di figli di Dio. La fede è il dono e la responsabilità di tutti noi già battezzati e che l’osservanza quaresimale vuole rendere più vivida e riconoscibile nella nostra vita improntata all’ascolto obbediente della Parola di Dio e “giustificata” davanti ai suoi occhi per mezzo del sangue del suo Figlio.

La celebrazione eucaristica è il luogo privilegiato per accrescere ed esprimere compiutamente la fede, per renderla sempre più ferma e operosa, ed è il luogo dove, a contatto con il Corpo e il Sangue del Signore, veniamo di continuo da peccatori resi giusti dal suo amore, che si manifesta come dono di sé, della sua stessa vita, significato nel sangue prezioso della sua Croce.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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