È la domenica che inaugura la settimana
santa che la nostra tradizione liturgica ambrosiana chiama “Autentica”. In essa il cammino quaresimale viene coronato dalla celebrazione
del Triduo Pasquale della morte, sepoltura e risurrezione del Signore, che dispiega l’evento di salvezza posto a
fondamento della fede e della vita della Chiesa, vale a dire la Pasqua, partecipata ai credenti nei sacramenti del
Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia.
In questa domenica la nostra
tradizione liturgica prevede due distinte celebrazioni: la Messa per la benedizione
delle Palme e la Messa “nel giorno”.
MESSA PER LA BENEDIZIONE DELLE PALME
Viene celebrata quando la Messa è preceduta dal rito della benedizione
e successiva processione delle palme. Essa intende far memoria del solenne
ingresso di Gesù in Gerusalemme riconosciuto come Messia.
Il Lezionario
Vengono proclamati i seguenti brani biblici: Lettura: Zaccaria
9,9-10; Salmo 47; Epistola: Colossesi 1,15-20; Vangelo: Giovanni
12,12-16. (Le orazioni e i canti sono quelli propri della Messa per la
benedizione delle Palme del Messale Ambrosiano).
Lettura del profeta
Zaccaria (9,9-10)
Così dice il Signore Dio: 9«Esulta grandemente, figlia di
Sion, giubila, figlia di Gerusalemme!
Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca
un asino, un puledro figlio d’asina. 10Farà sparire il carro da
guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato,
annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume
fino ai confini della terra».
Si tratta dell’oracolo messianico nel quale il profeta, in un contesto di esultanza e di grande
gioia per Gerusalemme e, dunque, per tutto il popolo d’Israele, annunzia la
venuta di un re che godrà della protezione divina e che, a differenza degli
altri sovrani, si distinguerà per la sua umiltà, di cui è segno la cavalcatura
da lui scelta: «un puledro figlio d’asina» (v. 9). Egli pacificherà e riunirà
il popolo in un unico regno di pace che si estenderà ad abbracciare altri
popoli e altre nazioni (v.10). Questa profezia, nella comprensione di fede
della Chiesa, si è compiuta con l’ingresso di Gesù in Gerusalemme acclamato dal
popolo come Messia.
Lettera di san Paolo
apostolo ai Colossesi
(1,15-20)
Fratelli, 15Cristo è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione, 16perché in lui furono create
tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni, Principati e Potenze, tutte le cose sono state create per
mezzo di lui e in vista di lui. 17Egli è prima di tutte le cose e
tutte in lui sussistono. 18Egli è anche il capo del corpo, della
Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché
sia lui ad avere il primato su tutte le cose. 19È piaciuto infatti a
Dio che abiti in lui tutta la pienezza 20e che per mezzo di lui e in
vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue
della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei
cieli.
Il brano, oggi proclamato, riporta un inno del cristianesimo delle
origini. Si tratta di una proclamazione di fede nel Signore Gesù, di cui si esalta la preesistenza e il
ruolo avuto nella creazione di tutto ciò che esiste e, dunque, di tutte le cose
visibili, come il mondo e l’uomo e quelle invisibili, ossia gli spiriti
incorporei di cui l’Apostolo offre un elenco (vv.15-16). Il v. 17 sottolinea la
preesistenza di Cristo alla creazione stessa, ovvero la sua divinità, mentre
nel v. 18 viene proclamo «capo del corpo», cioè della Chiesa, a motivo del suo
essere il primo risuscitato e il principio nell’ordine della salvezza. I vv. 19-20, infatti, evidenziano il disegno
salvifico di Dio che coinvolge l’universo intero nell’azione di riconciliazione
e di pacificazione, compiuta da Gesù
con il suo sangue.
Lettura del Vangelo
secondo Giovanni
(12,12-16).
In quel tempo. 12La grande folla che era venuta per la festa,
udito che Gesù veniva a Gerusalemme, 13prese dei rami di palme e
uscì incontro a lui gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del
Signore, il re d’Israele!».
14Gesù,
trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto:15«Non temere,
figlia di Sion!Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina».
16I suoi
discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu
glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a
lui essi le avevano fatte.
Il brano segue immediatamente quello dell’“unzione” di Gesù in casa di
Lazzaro da lui «risuscitato dai morti» (Gv 12,1-11) e che viene
proclamato nella Messa del giorno. I vv. 12-13 riportano l’iniziativa spontanea
della folla presente in Gerusalemme per l’imminente festa di Pasqua che va
incontro a Gesù recando, non semplici fronde strappate dagli alberi, ma palme, simbolo di vittoria. Con le palme
l’evangelista registra il grido della folla preso dal Salmo 118,25-29 con il
quale lo acclama quale inviato da Dio e
re d’Israele.
I vv. 14-15 mettono in luce, nel gesto di Gesù di montare su un
asinello, che la sua regalità si differenzia da
quella dei sovrani di questo mondo. Anzi, con l’esplicita citazione del profeta
Zaccaria (cfr. 9,9), viene chiarito che
egli è il re umile e pacifico destinato, nel disegno divino, a governare non un
solo popolo ma tutte le genti.
Il brano si chiude al v. 16 con l’indicazione preziosa anche per noi:
sarà soltanto nell’ora della sua “glorificazione”, ovvero della Croce, che i discepoli di allora e di sempre
saranno pienamente illuminati e potranno comprendere in pienezza le parole
profetiche e i fatti riguardanti il Signore Gesù.
Commento liturgico- pastorale
Le Sacre Scritture ci introducono, in questa domenica in cui prende
avvio la solenne distesa celebrazione del mistero pasquale del Signore, a una
comprensione più profonda di tale mistero aiutandoci a riconoscerlo come il
Messia inviato da Dio al suo popolo come Re. Un re «giusto e vittorioso»
la cui venuta reca gioia in quanto «farà sparire il carro di guerra da Efraim e
il cavallo da Gerusalemme» (Lettura:
Zaccaria 9, 9s), ossia porterà la pace al suo popolo. Egli sarà soprattutto un
re umile, come si desume dalla cavalcatura da lui scelta per il suo ingresso
regale: «un asino, un puledro figlio d’asina» (v. 9), ed estenderà il suo regno
«fino ai confini della Terra» (v. 10) ossia a tutti i popoli ai quali recherà
pure come dono la pace. La parola profetica trova il suo compimento ed è
pienamente compresa nell’evento riportato nel brano evangelico di Giovanni
riguardante l’ingresso di Gesù in Gerusalemme «seduto su un puledro d’asina» (Vangelo: Giovanni 12,14). È pertanto
lui, Gesù di Nazaret, il Messia inviato da
Dio come Re d’Israele per pacificare e risollevare il regno promesso a Davide
come regno che non avrà fine e che in lui abbraccerà il mondo intero, ma nella
modalità del tutto inedita e sorprendente della sua umiltà e della sua mitezza, allusive della sua passione e della sua
morte violenta.
La preghiera liturgica commenta in modo insuperabile l’evento salvifico
di cui oggi si fa memoria cogliendo il senso spirituale dell’avvenimento
evangelico dell’ingresso messianico del Signore, e motiva così il rendere
grazie che coinvolge «qui e in ogni luogo» la Chiesa: «Tu hai mandato in questo
mondo Gesù, tuo Figlio, a salvarci perché, abbassandosi fino a noi e
condividendo il dolore umano, risollevasse fino a te la nostra vita» (Prefazio). L’Epistola paolina iscrive l’opera del pacifico e umile Messia, re
d’Israele nel disegno divino di riconciliare ogni realtà che esiste in terra e
nei cieli, per mezzo di lui, umiliato fino alla morte di croce e il cui sangue
è dato come garanzia di riconciliazione e di pacificazione tra tutte le realtà
creata e Dio stesso (v.20).
Al pari dei
discepoli anche noi comprenderemo in pienezza ciò che è avvenuto e ciò che è
significato nell’ingresso messianico a Gerusalemme, soltanto nell’ora nella quale il Signore
«fu glorificato» ossia, nell’ora della sua esaltazione in Croce. Ricordando
ovvero “facendo memoria” di quanto egli ha fatto, impariamo anche noi, suoi
discepoli, che la “regalità” secondo il disegno inaccessibile di Dio non
consiste nella forza e nella potenza mondane, ma nell’obbedienza al volere di
Dio che addita anche a noi, Chiesa santa del suo Figlio, la via indicata al suo
Unigenito: la via della piccolezza, dell’umiliazione e della mitezza, la via
della Croce. Nel sangue della sua Croce, infatti, il Re umile venuto a noi dal
Cielo, ha riconciliato e pacificato il mondo intero invitandolo ad entrare nel
suo Regno di gioia. È l’invito che ripete incessantemente la Chiesa in questo
giorno che inaugura i giorni della nostra salvezza: «Venite tutti ad adorare il
Re dell’universo: sei giorni mancano alla sua passione: viene il Signore nella
sua città, secondo le Scritture. Accorrono lieti i fanciulli, si stendono a
terra i mantelli. In alto levando l’ulivo acclamiamo a gran voce: “Osanna
nell’alto dei cieli. Benedetto tu sei che vieni al tuo popolo: abbi di noi
pietà”».
MESSA NEL GIORNO
Viene celebrata quando non si fa la processione delle palme benedette.
Le letture bibliche e i testi del Messale pongono in rilievo la passione e la
morte del Signore che segue l’ingresso trionfale a Gerusalemme.
Il Lezionario
Riporta i seguenti brani della Scrittura: Lettura: Isaia
52,13-53,12; Salmo 87 (88); Epistola: Ebrei 12,1b-3; Vangelo:
Giovanni 11,55-12,11. Alla messa vespertina del sabato viene letto Giovanni
2,13-22 come Lettura vigiliare.
( Le orazione e i canti della Messa sono quelli propri della Messa “nel giorno”
del Messale Ambrosiano).
Lettura del profeta Isaia (52,13-53,12)
Così dice il Signore Dio:52,13«Ecco
il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente.14 Come molti si stupirono di lui – tanto era
sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei
figli dell’uomo – 15così
si meraviglieranno di lui molte nazioni;i re davanti a lui si chiuderanno la
bocca, poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato
e comprenderanno ciò che mai avevano udito.53,1Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? 2È cresciuto come un virgulto
davanti a lui
e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i
nostri sguardi, non splendore per poterci piacere.3Disprezzato e reietto dagli
uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci
si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. 4Eppure egli si è caricato
delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo
castigato, percosso da Dio e umiliato. 5Egli è stato trafitto per le nostre colpe,
schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è
abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. 6Noi tutti eravamo sperduti
come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere
su di lui l’iniquità di noi tutti. 7Maltrattato,
si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al
macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. 8Con oppressione e ingiusta
sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. 9Gli si diede sepoltura con
gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza
né vi fosse inganno nella sua bocca. 10Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza,
vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. 11Dopo il suo intimo tormento
vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo
giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità.12Perciò io gli darò in premio
le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso
alla morte ed è stato annoverato fra gli empi mentre egli portava il peccato di
molti e intercedeva per i colpevoli».
Il brano riporta il quarto canto del servo
di Dio sofferente concepito come un dialogo tra Dio che pronuncia un oracolo
sul suo “servo” (53,13-15) e i popoli e i re della terra (53, 1-10) e si
conclude con un nuovo intervento divino che annunzia il successo della missione
del servo (vv.11-12). Nel suo primo intervento Dio annuncia il trionfo del suo
servo una volta affrontate le prove e le sofferenze estreme alle quali verrà
sottoposto (52, 13-15). Nella loro risposta i re della terra e le nazioni
enumerano le sofferenze del servo riconoscendo che esse sono causate dalle loro
colpe e dalle loro iniquità. Il canto si chiude con la riaffermazione del pieno
successo della missione del servo di Dio.
Lettera
agli Ebrei (12,1b-3)
Fratelli, 1bavendo deposto tutto
ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella
corsa che ci sta davanti, 2tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui
che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia
che gli era posta
dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e si siede alla
destra del trono di Dio. 3Pensate attentamente a colui che ha
sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi
stanchiate perdendovi d’animo.
Il brano esorta i credenti, una volta
sbarazzatisi della presenza opprimente del peccato, alla perseveranza nella
fede, concepita come una corsa verso la meta che è lo stesso Cristo autore
della fede (vv. 1-2). A lui occorre riferirsi sempre e in ogni cosa perché,
avendo accettato la morte infamante di Croce, ha portato a compimento l’opera
di salvezza e ora «siede alla destra del trono di Dio» (v. 2b). Il brano si
conclude con l’esortazione a non smarrirsi tra le prove della vita e per questo
occorre contemplare senza sosta la passione del Signore Gesù (v.3) che, per
obbedienza al volere del Padre, si è sottoposto alla Croce.
Lettura
del Vangelo secondo Giovanni (11,55-12,11)
In quel tempo. 55Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti
dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. 56Essi
cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non
verrà alla festa?». 57Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei
avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché
potessero arrestarlo.
1Sei
giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che
egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui fecero per lui una cena.
Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. 3Maria allora prese
trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi
di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma
di quel profumo. 4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli,
che stava per tradirlo, disse: 5«Perché non si è venduto questo
profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». 6Disse
questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome
teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. 7Gesù
allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia
sepoltura. 8I poveri infatti li avete sempre con coi, ma non potete
sempre avere me».
9Intanto una grande folla di Giudei venne a
sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere
Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. 10I capi dei sacerdoti
allora decisero di uccidere anche Lazzaro, 11perché molti Giudei se
ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
Il brano, incentrato sul
racconto dell’unzione di Gesù nella casa di Lazzaro (12,1-8), è come incorniciato dai versetti iniziali
11,55-57 e quelli finali 12,9-11. I primi riportano il desiderio della gente,
venuta a Gerusalemme per la festa di Pasqua, di poter incontrare Gesù la cui
fama, dopo la risurrezione di Lazzaro,
si era sparsa ovunque suscitando la reazione ostile delle autorità (v. 57). I
versetti finali (vv. 9-10) riferiscono della decisione presa dai capi
dei sacerdoti di mettere a morte anche Lazzaro a causa del quale molti
lasciavano la Sinagoga per aderire a Gesù.
Il racconto dell’unzione (v. 12,3) è collocato nel contesto di un
pranzo familiare consumato da Gesù a casa di Lazzaro e delle sorelle Marta e
Maria, ardenti di fede e di amore verso di lui
che si sta incamminando verso la sua Pasqua (12,1-3)! Il pranzo può forse
rappresentare la gioia della futura risurrezione mentre l’unzione che Maria fa
sui piedi di Gesù annunzia la sua sepoltura.
Il significato profondo del gesto di Maria, non capito da Giuda, il traditore (vv.
5-6), consiste nell’anticipare, pur senza
saperlo, quello che ella avrebbe presto compiuto sul corpo esanime del Signore
e da lui stesso così interpretato (v. 7).
Il brano si chiude con una parola rivolta non solo a Giuda (v. 5), ma anche a
tutti coloro che ascoltano e ascolteranno nei secoli la sua Parola. Gesù, in
pratica, riafferma il precetto divino di prendersi cura dei poveri, un precetto
valido per sempre (cfr. Deuteronomio 15,11), ma giustifica, per questa volta,
l’attenzione rivolta a lui che sta per andare incontro alla morte (v. 8).
Commento liturgico-pastorale
I testi della Scrittura, proclamati nel giorno che inaugura la
Settimana Autentica, dirigono l’attenzione orante della comunità radunata in
assemblea liturgica, sull’evento della morte del Signore Gesù che in quel
raduno viene attualizzata a livello sacramentale. La celebrazione liturgica
della passione e morte del Signore è illuminata da ciò che abbiamo ascoltato
nella Lettura profetica a proposito
del “servo sofferente” che nel misterioso disegno di Dio è destinato ad aver
“successo”, a essere «onorato e innalzato grandemente» (Isaia 52,13). Di più, a
motivo della sua totale sottomissione al volere divino, fino a subire gli
oltraggi, le umiliazioni più infamanti e la stessa morte, egli riceve da Dio
«in premio le moltitudini», ossia l’umanità
intera dei cui peccati e delle cui iniquità egli si è addossato, eliminandoli
proprio con la sua morte. Il testo profetico, infatti, mette in bocca alle
nazioni e ai re (cfr. Isaia 52,15) la solenne dichiarazione che rivela il
significato delle sofferenze del “servo” ascrivibili al disegno di Dio
inaccessibile per la nostra mente: «È stato trafitto per le nostre colpe,
schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è
abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Isaia 53,5).
Il messaggio biblico è stato ben compreso dalla preghiera liturgica che esalta
il perenne universale valore salvifico della morte del Signore nel quale viene
portata a compimento la parola profetica: «Cristo tuo Figlio, il giusto che non
conobbe la colpa, accettò di patire per noi e, consegnandosi a una ingiusta
condanna, portò il peso dei nostri errori. La sua morte ha distrutto il
peccato, la sua risurrezione ha ricreato la nostra innocenza» (Prefazio). Ed è ancora la preghiera
liturgica a esprimere la certezza che l’efficacia della morte del Signore è
intatta nel sacramento del suo amore: «Nel Figlio del suo amore tutto dal
nostro Dio ci fu donato, il sangue del Signore ogni peccato nostro ci ha
lavato. Perdona il nostro errore, medica le ferite del peccato» (Alla Comunione).
Di conseguenza, l’ascolto della
Parola e la sua attualizzazione sacramentale, spingono tutta la Chiesa e, ogni
fedele, a tenere «fisso lo sguardo su Gesù» che si è sottoposto volontariamente
alla croce «disprezzando il disonore» che essa rappresenta e, ora, «siede alla
destra del Padre» (Epistola: Ebrei
12,). È questa la meta verso la quale i credenti sono esortati a correre «con
perseveranza», accettando di condividere quella condizione di “servo” che Gesù
ha accettato di rivestire per la nostra salvezza.
Ci doni, perciò, il Padre del Cielo di
avere in noi lo stesso amore per Gesù che spinse Maria a cospargere i suoi
piedi con «trecento grammi di profumo di puro nardo» annunziando, in tal modo,
la preziosità della morte del suo e nostro Maestro (cfr. Vangelo: Giovanni 12,3). La Chiesa santa è quella casa ripiena
dell’aroma del profumo che spande in essa l’amore del Signore Gesù nel suo
consegnarsi alla morte per noi e per tutti. Un amore che chiede anzitutto a
tutti noi, suoi discepoli, di condividere la sua sorte di “servo” totalmente
disponibile ai superiori disegni salvifici del Padre. Al Padre buono del cielo
che per la passione del suo Unigenito «fatto nostro fratello» rinnova il mondo
intero, così ci rivolgiamo nell’orazione All’Inizio
dell’Assemblea Liturgica: «Conserva in noi l’azione della tua misericordia
perché celebrando questo mistero ti offriamo in ogni tempo la nostra vita».
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