28 aprile 2013 – V domenica di Pasqua

I testi biblici, oggi proclamati, orientano l’assemblea liturgica verso il compimento dei giorni pasquali nel mistero dell’Ascensione, preludio dell’invio, da parte del Signore risorto, dello Spirito Santo.

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Atti degli Apostoli 4,32-37; Salmo 132 (133); Epistola: 1Corinzi 12,31-13,8a; Vangelo: Giovanni 13,31b-35. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella Messa vigiliare è preso da: Matteo 28,8-10. (Le orazioni e i canti sono quelli propri della V domenica di Pasqua nel Messale Ambrosiano).

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (4,32-37)

 

In quei giorni. 32La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. 33Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. 34Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto 35e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.
36Così Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Bàrnaba, che significa “figlio dell’esortazione”, un levita originario di Cipro, 37padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli.

 

I versetti qui riportati concludono il capitolo che narra della testimonianza offerta da Pietro e Giovanni davanti al Sinedrio (4,1-31). Al v. 32 si parla della mirabile concreta comunione che unisce in unum la prima comunità cristiana di Gerusalemme. Ciò rende particolarmente efficace la predicazione degli apostoli e attira le simpatie e il favore della gente (v. 33). I vv. 34-35 esemplificano, nella condivisione dei beni materiali, la portata della comunione all’interno della comunità. È ciò che è spinto a fare anche un ebreo della diaspora, Barnaba, che avrà poi il grande merito di introdurre Paolo, una volta convertito, nella Chiesa (vv.36-37).

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (12,31-13,8a)

 

Fratelli, 31desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora vi mostro la via più sublime.

13,1Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.

2 E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.

3E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.

4La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, 5non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. 7Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

8La carità non avrà mai fine.

 

Il brano, con il v.31, si collega a quanto l’Apostolo dice nel capitolo 12 a proposito dei carismi, che sono doni dello Spirito per l’edificazione della Chiesa. Per l’Apostolo esiste una «via più sublime» dei vari carismi ed è la carità, ovvero l’amore proprio di Dio che in Cristo ci è stato donato. Nei vv. 1-3 del capitolo 13 pone in raffronto i diversi carismi con la carità, evidenziando l’inutilità dei primi in mancanza di essa. Nei vv. 4-7, con una serie di negazioni e di affermazioni, descrive la natura della carità. Essa, a differenza dei carismi, che riguardano l’esistenza nel tempo, è destinata a non avere «mai fine» (v. 8a).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (13,31b-35)

 

In quel tempo. 31bIl Signore Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

 

Il brano è ambientato nel cenacolo dove Gesù consuma l’ultimo pasto con i suoi, lava i piedi degli apostoli e rivela, tra di essi, la presenza del traditore. In particolare i vv. 31b-32 riportano le parole di Gesù dopo l’uscita di Giuda dal cenacolo. Con l’affermazione iniziale Gesù  si riferisce alla sua morte, che è l’“ora” verso la quale converge tutta la sua esistenza terrena (v.31b). La sua ora segna la sua “glorificazione” da parte di Dio, perché Gesù ha accettato la morte come compimento del disegno salvifico del Padre. L’azione di Dio volta a glorificare il Figlio rivela la gloria stessa di Dio! Il v. 32 ribadisce che Dio glorificherà «subito» il Figlio ovvero nell’ora della sua morte oramai imminente. I vv. 33-35 introducono, nel discorso di addio, il tema della partenza di Gesù che egli rivolge ai suoi, identificati con il termine familiare «figlioli». Essi, al pari dei giudei, non sono ancora in grado di raggiungerlo nella sfera divina nella quale va dopo la sua morte. E questo a causa della persistente incredulità (v. 33). Segue ai vv. 34-35 la rivelazione del comandamento nuovo e la precisazione della natura di tale amore. Il comandamento dell’amore vicendevole tra i discepoli è nuovo in quanto nel loro amore, si manifesta, in realtà, l’amore con il quale Gesù li ha amati e dona ad essi la grazia di amare (v. 34). Tale amore ha come risultato il fatto della riconoscibilità di essi come discepoli di Gesù (v. 35).

 

Commento liturgico-pastorale

 

I passi biblici proclamati in questa domenica ci aiutano a penetrare più a fondo nella comprensione del mistero della Pasqua del Signore che culmina con il suo ritorno al Padre e con l’invio dello Spirito Paraclito, il Consolatore, che subentra, al suo posto, tra i suoi. Anche la preghiera liturgica sottolinea che «in questo tempo santo» la Chiesa è consacrata  «a contemplare e a rivivere gli eventi salvifici della pasqua di Cristo» (Prefazio).

Il brano evangelico, in particolare, ci trasporta nel cenacolo dove Gesù stesso, nel guardare in faccia la sua morte, oramai imminente, la chiama glorificazione! In essa, infatti, lui, quale Figlio obbediente, “glorifica” il Padre, ossia manifesta il disegno salvifico in essa racchiuso. A sua volta, il Padre, “glorifica” il Figlio facendolo penetrare nell’intimità della comunione divina alla quale potranno accedere anche coloro che avranno creduto in lui.

Da ciò impariamo anche noi a dare “gloria” al Padre del Cielo compiendo in noi, al pari del suo Figlio, la sua volontà. Il Padre non mancherà di donarci, così come ha fatto con il suo Figlio, l’esperienza sublime della comunione con lui che, essenzialmente, è esperienza di amore. Quello che Gesù ha reso visibile, e a tutti concretamente riconoscibile nella sua Pasqua e, segnatamente, nella sua “ora”, ossia nella sua Croce!

Si comprende, perciò, come il Signore, nel momento di prendere congedo dai suoi, consegna ad essi il suo comandamento, che egli dice «nuovo» in quanto consiste nell’amare di quell’amore con il quale sono stati amati da lui. Un simile amore, è evidente, non ci è connaturato, né si persegue mediante i nostri sforzi, ma procede dall’amore con il quale Gesù ci ha amati e che ci rende capaci di manifestare nell’amore reciproco verso i fratelli.

Del resto egli, nel sacramento del suo Corpo immolato e del suo Sangue versato, ci trasmette intatto e di continuo il suo amore, spinto fino al dono supremo di sé, e ci abilita a far sprigionare da noi, che «partecipiamo del suo Corpo e del suo Sangue», lo stesso suo amore!

È la solenne consegna del Signore che sta per avviarsi alla Croce, ai suoi discepoli. Essi l’hanno accolta, messa in pratica e trasmessa come eredità preziosa alle future generazioni di credenti fino ad oggi. È la consegna che la Chiesa oggi è chiamata a vivere in faccia a questo nostro mondo: rendere visibile il suo amore per tutti! Si pensi, a tale riguardo, al ruolo che l’apostolo Paolo assegna alla carità nella vita e nell’attività delle comunità cristiane delle origini e, dunque, della Chiesa di tutti i tempi. Essa dovrà sempre desiderare «i carismi più grandi» (Epistola: 1Corinzi 12,31), vale a dire quei doni spirituali capaci di farla crescere, di sostenere la sua vita e di rendere efficace la sua attività missionaria. Tali carismi, di per sé provvisori, sono tutti compresi nel dono della carità la quale, invece, «non avrà mai fine» (13,8).

L’amore vicendevole, quello stesso del Signore, che i credenti si donano reciprocamente,  mentre li identifica nel tempo come discepoli di Gesù, rappresenta la forma più alta ed efficace di evangelizzazione. Tutto ciò è stato ben compreso fin dalle origini della comunità cristiana come ci testimonia la Lettura: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola» (Atti degli Apostoli 4,32). Ciò permetteva agli apostoli di dare concreta «testimonianza alla risurrezione del Signore Gesù» (v. 33) e alla comunità di godere di autentico prestigio tra la gente.

Mentre nell’assemblea liturgica partecipiamo al sacramento della carità di Cristo, facciamo risuonare in noi ciò che abbiamo ripetuto più volte nel Salmo Responsoriale: «Dove la carità è vera, abita il Signore». Stiano, inoltre, fisse nei nostri cuori le parole dell’apostolo intenzionato a mostrarci «la via più sublime» che è la carità, ovvero l’amore del Signore riversato in tutti noi nel suo celeste sacramento e che, per sua grazia, deve da noi traboccare sui nostri fratelli di fede e sugli uomini del nostro tempo.

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21 aprile 2013 – IV domenica di Pasqua

Le Scritture oggi proclamate mettono in luce come il Signore Gesù, nella sua Pasqua, diviene guida, per quanti credono in lui, nell’esperienza dell’amore filiale per Dio sorgente dell’amore fraterno.

 

Il Lezionario

 

Sono proposti i seguenti testi della Scrittura: Lettura: Atti 21,8b-14; Salmo 15 (16); Epistola: Filippesi 1,8-14; Vangelo: Giovanni 15,9-17. Nella Messa vigiliare viene letto Luca 24,9-12 come Vangelo della risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della IV domenica di Pasqua nel Messale Ambrosiano).

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (21,8b-14)

 

In quei giorni.8bEntrati nella casa di Filippo l’evangelista, che era uno dei Sette, restammo presso di lui. 9Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia. 10Eravamo qui da alcuni giorni, quando scese dalla Giudea un profeta di nome Àgabo. 11Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: «Questo dice lo Spirito Santo: l’uomo al quale appartiene questa cintura, i Giudei a Gerusalemme lo legheranno così e lo consegneranno nelle mani dei pagani». 12All’udire queste cose, noi e quelli del luogo pregavamo Paolo di non salire a Gerusalemme. 13Allora Paolo rispose: «Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù». 14E poiché non si lasciava persuadere, smettemmo di insistere dicendo: «Sia fatta la volontà del Signore!».

 

La scena si svolge a Cesarea, ultima tappa del viaggio di Paolo a Gerusalemme dove, in seguito ai tumulti scoppiati per la sua presenza nel Tempio sarebbe stato arrestato e, a motivo del suo “appello a Cesare”, imbarcato per Roma dove avrebbe subito un primo processo con esito favorevole. Più in particolare la scena è ambientata a casa del diacono Filippo (vv. 8-9). Qui l’Apostolo è raggiunto da Àgabo, un “profeta” che con il gesto di legargli mani e piedi, illustra efficacemente ciò che sarebbe accaduto in occasione della sua visita a Gerusalemme dove sarebbe stato consegnato prigioniero ai Romani (vv. 10-11). Di qui l’accorata supplica della comunità cristiana di non salire a Gerusalemme e la risposta di Paolo disposto «a morire per il nome del Signore Gesù» (v. 13). Il brano si conclude con la decisione di rimettersi alla volontà del Signore (v. 14).

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (1,8-14)

 

Fratelli,8Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. 9E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, 10perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, 11ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

12Desidero che sappiate, fratelli, come le mie vicende si siano volte piuttosto per il progresso del Vangelo, 13al punto che, in tutto il palazzo del pretorio e dovunque, si sa che io sono prigioniero per Cristo. 14In tal modo la maggior parte dei fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, ancor più ardiscono annunciare senza timore la Parola.

 

Nei vv. 8-11, l’Apostolo manifesta i suoi affettuosi sentimenti nei riguardi della comunità cristiana di Filippi, da lui fondata, e insieme supplica il Signore perché essa cresca nella carità e nella vita integra del Vangelo. Nei vv. 12-14, Paolo allude alla sua condizione di prigioniero, che non gli impedisce di predicare il Vangelo e che rinvigorisce anche i credenti ad annunciare senza timore la Parola.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (15,9-17)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

 

Il testo evangelico è ambientato nel Cenacolo di Gerusalemme e riproduce quella parte del discorso di rivelazione introdotto dall’affermazione di Gesù di essere la «vite vera» e il Padre il «vignaiolo» (v. 1). Qui viene presentato il Padre come sorgente dell’amore. Da lui, dal suo amore per il Figlio, scaturisce quello di Gesù per i suoi discepoli i quali sono invitati a “rimanere” nel suo amore e, dunque, in quello del Padre (v. 9). Il v.10 chiarisce che rimanere nell’amore significa, molto concretamente, obbedire ai suoi comandamenti sul modello dell’obbedienza di Gesù al Padre. Tale obbedienza fa gioire il discepolo della stessa gioia del Figlio che fa la volontà del Padre (v. 11). A questo punto Gesù presenta l’amore fraterno come il “suo” comandamento (v. 12). La sua osservanza prova che il discepolo rimane nell’amore stesso di atto supremo del suo amore! L’amore assoluto di Gesù motiva la fedeltà del discepolo al suo comandamento. Chi lo osserva è amico di Gesù (v. 14) e non più suo servo, titolo che nella Scrittura sta a indicare chi è fedele a Dio. Al suo amico Gesù rivela la sua intima relazione filiale con il Padre (v. 15). Il v. 16 chiarisce che è Gesù in persona a scegliere i suoi discepoli e ad assicurarli che anch’essi porteranno frutto duraturo mantenendosi nella fede e nell’amore in lui e nell’osservanza del suo comandamento a cui vengono ancora una volta esortati (v. 17).

 

Commento liturgico-pastorale

 

I testi biblici proclamati in questa domenica di Pasqua ci offrono la possibilità di cogliere il significato più alto di quell’evento, ciò che esso esprime, ciò che da esso viene a noi e, di conseguenza, quanto esso ci domanda.

Alla luce di quanto abbiamo ascoltato nella pagina evangelica dobbiamo dire che la ragione che ha spinto il Signore Gesù a «dare la sua vita» (Vangelo: Giovanni 15,13) è l’amore «più grande» che arde nel suo cuore.

Un amore che lo unisce al Padre fonte dell’amore stesso del suo Figlio e che egli fa traboccare su «i suoi», su quanti accolgono con fede la sua parola di rivelazione. Si tratta, però, non di un amore sentimentale e semplicemente rivelatore di un affetto, ma molto concretamente della totale piena disponibilità di Gesù, il Figlio, a obbedire ai comandamenti del Padre suo, a fare cioè la sua volontà. La sua Pasqua di morte e di risurrezione, perciò, è simultaneamente l’epifania suprema dell’amore di Gesù, il Figlio, per il Padre e del suo amore per i suoi.

Amore che nella preghiera liturgica è cantato come la motivazione di fondo di tutto ciò che il Signore Gesù ha fatto per noi: «Mosso a compassione per l’umanità che si era smarrita, egli si degnò di nascere dalla vergine Maria; morendo ci liberò dalla morte e risorgendo ci comunicò la vita immortale» (Prefazio). 

A ben guardare, però, occorre precisare che Gesù partecipa ai suoi discepoli il suo stesso amore per il Padre e insegna a essi a fare altrettanto, a obbedire cioè anch’essi al suo comandamento: quello dell’amore fraterno che, di fatto, esige la disponibilità a «dare la propria vita» (v. 13).

È l’amore incandescente che riscontriamo nell’apostolo Paolo il quale considera del tutto positiva la sua condizione di «prigioniero per Cristo» (Epistola: Filippesi 1,13) che, tra l’altro, infiamma i suoi fratelli nella fede ad annunziare «senza timore la Parola» (v. 14). Un amore, quello di Paolo, che in totale uniformità al suo Signore, si manifesta nella convinta disponibilità «a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù» (Lettura: Atti degli Apostoli 21, 14).

A tale riguardo è possibile anche a noi verificare l’esistenza nel nostro spirito dell’amore “di” Gesù e “per” Gesù se avvertiamo nell’intimo dei nostri cuori un’irresistibile inclinazione alla carità fraterna concretamente vissuta. È questo, infatti, il «frutto» portato da Gesù nella sua Pasqua ed è questo il «frutto» duraturo che siamo chiamati anche noi, come suoi discepoli, a portare in questo mondo.

Un simile amore, spinto fino al dono di sé, non nasce spontaneamente nel cuore dell’uomo, ma è dono che procede dalla Pasqua del Signore Gesù dispensato nei sacramenti pasquali e, massimamente, nell’Eucaristia. Essa, infatti, ci fa partecipare dell’amore vicendevole del Padre e del Figlio. Un amore che, in Gesù, si è reso a tutti visibile come obbedienza al volere salvifico del Padre che, nel dono della vita del suo unigenito, intende fare degli uomini i suoi figli!

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14 aprile 2013 – III domenica di Pasqua

Questa, come le successive tre domeniche, scandisce la prima parte del Tempo di Pasqua, vale a dire i quaranta giorni della permanenza del Risorto tra i suoi discepoli prima sua ascensione al cielo, ovvero del suo ritorno glorioso al Padre. In particolare le Scritture lette in questa domenica nelle nostre assemblee liturgiche proclamano che il Signore, nella sua Risurrezione, è la luce che, diffusa nel mondo dalla predicazione degli apostoli suoi testimoni, deve illuminare l’intera umanità.

 

Il Lezionario

 

Presenta i seguenti brani biblici: Lettura: Atti 28,16-28; Salmo: 96 (97); Epistola: Romani 1,1-16b; Vangelo: Giovanni 8,12-19. Nella Messa vigiliare del sabato viene proclamato Marco 16,1-8a come Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della III domenica di Pasqua del Messale Ambrosiano).

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (28,16-28)

 

In quei giorni. 16Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per conto suo con un soldato di guardia.
17Dopo tre giorni, egli fece chiamare i notabili dei Giudei e, quando giunsero, disse loro: «Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo o contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato nelle mani dei Romani. 18Questi, dopo avermi interrogato, volevano rimettermi in libertà, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. 19Ma poiché i Giudei si opponevano, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere, con questo, muovere accuse contro la mia gente. 20Ecco perché vi ho chiamati: per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena». 21Essi gli risposero: «Noi non abbiamo ricevuto alcuna lettera sul tuo conto dalla Giudea né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te. 22Ci sembra bene tuttavia ascoltare da te quello che pensi: di questa setta infatti sappiamo che ovunque essa trova opposizione».
23E, avendo fissato con lui un giorno, molti vennero da lui, nel suo alloggio. Dal mattino alla sera egli esponeva loro il regno di Dio, dando testimonianza, e cercava di convincerli riguardo a Gesù, partendo dalla legge di Mosè e dai Profeti. 24Alcuni erano persuasi delle cose che venivano dette, altri invece non credevano. 25Essendo in disaccordo fra di loro, se ne andavano via, mentre Paolo diceva quest’unica parola: «Ha detto bene lo Spirito Santo, per mezzo del profeta Isaia, ai vostri padri:26“Va’ da questo popolo e di’: / Udrete, sì, ma non comprenderete;/ guarderete, sì, ma non vedrete. / 27 Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, / sono diventati duri di orecchi / e hanno chiuso gli occhi, / perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi / e non comprendano con il cuoree non si convertano, e io li guarisca!” / 28Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio fu inviata alle nazioni, ed esse ascolteranno!».

 

Il brano riguarda la prima predicazione dell’apostolo Paolo a Roma in occasione della sua prigionia dopo l’appello fatto a Cesare in seguito ai tumulti scoppiati a Gerusalemme (si veda, per questo, Atti degli Apostoli 21,27-40 e i capitoli dal 22 al 28). I vv. 17-22 parlano del primo positivo incontro avuto da Paolo con i notabili dei Giudei della città, ai quali afferma che egli è prigioniero «a causa della speranza d’Israele». Nel suo secondo incontro: vv. 23-28, Paolo presenta la figura e il messaggio di Gesù come intimamente connessi alla rivelazione vetero-testamentaria, trovando in alcuni suoi interlocutori pronta accoglienza e, in altri, il deciso rifiuto a credere. Rifiuto che l’Apostolo commenta con la citazione di Isaia 6, 9-10 nella quale si annuncia l’indurimento di Israele nel credere alla parola di Dio (vv.25-27), per concludere che la che la salvezza che è in Cristo Signore viene ora annunciata e offerta alle nazioni (v. 28), ossia ai popoli pagani che si mostreranno disponibili ad accoglierla (v.28).

 

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (1,1-16b)

 

1Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – 2che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture 3e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, 4costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; 5per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, 6e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, 7a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!

8 Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché della vostra fede si parla nel mondo intero. 9Mi è testimone Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunciando il vangelo del Figlio suo, come io continuamente faccia memoria di voi, 10chiedendo sempre nelle mie preghiere che, in qualche modo, un giorno, per volontà di Dio, io abbia l’opportunità di venire da voi. 11Desidero infatti ardentemente vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale, perché ne siate fortificati, 12o meglio, per essere in mezzo a voi confortato mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io. 13Non voglio che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi – ma finora ne sono stato impedito – per raccogliere qualche frutto anche tra voi, come tra le altre nazioni. 14Sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti: 15sono quindi pronto, per quanto sta in me, ad annunciare il Vangelo anche a voi che siete a Roma.

16Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede.

 

Il brano si apre con una prima parte dedicata alla presentazione del mittente della lettera (v. 1), del suo mandato apostolico, del contenuto essenziale della sua predicazione (vv. 2-6) e con l’indicazione dei destinatari della lettera stessa con il saluto iniziale (v. 7). Nei vv. 8-12 l’Apostolo fa continuo riferimento al suo desiderio di venire a Roma dove esiste già una comunità cristiana della cui fede «si parla nel mondo intero». In particolare l’Apostolo, più che il Vangelo già in essa annunziato, afferma di voler comunicare ai fedeli di Roma «qualche dono spirituale» (v. 11) e soprattutto trarre conforto, «mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io» (v. 12). L’Apostolo deve però constatare che questo suo desiderio non si è potuto ancora realizzare (v. 13). Quindi dichiara di sentirsi in debito verso tutti gli uomini del suo impegno missionario che è l’essenza della sua vocazione (v. 14; Cfr. v.1) e che ora intende saldare dicendosi pronto ad «annunciare il Vangelo anche a voi che siete in Roma» (v. 15), nell’assoluta convinzione che esso è «potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (v. 16).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (8,12-19)

 

In quel tempo. 12Il Signore Gesù parlò agli scribi e ai farisei e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». 13Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». 14Gesù rispose loro: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. 15Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. 16E anche se io giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. 17E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. 18Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me». 19Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio».

 

Il presente brano riporta quasi per intero la prima parte dell’insegnamento di Gesù nel Tempio in occasione della festa delle Capanne (vv. 12-30) e che occupa l’intero ottavo capitolo. In particolare, i versetti, oggi proclamati, si aprono con la solenne rivelazione: «Io sono la luce del mondo» (v.12) si badi, non del solo Israele, ma di tutte le genti. L’umanità intera, perciò, è invitata a seguire Gesù, a credere in lui per raggiungere la vita che Dio le offre. Il v. 13 riporta la contestazione da parte dei farisei i quali rifiutano di accogliere la sua rivelazione perché priva di testimoni che ne attestino la veridicità. La risposta di Gesù (vv. 14-18) si articola nel rivendicare anzitutto la veridicità della sua testimonianza in quanto egli ha perfetta coscienza circa la sua origine dal Padre e circa il suo destino che contempla il suo ritorno al Padre, al contrario dei suoi interlocutori che giudicano secondo la carne (v. 15) ossia secondo le umane apparenze, privi come sono della fede. Gesù, inoltre, è veritiero in quanto, oltre alla sua, può portare la testimonianza del  Padre, della cui Parola egli è il rivelatore supremo (vv. 16-18). Alla  nuova domanda dei farisei: «Dov’è tuo padre?» (v. 19a), Gesù risponde stigmatizzando la loro incredulità che impedisce loro di conoscere lui e il Padre. Solo la fede in lui, dunque offre il dono di comprendere che conoscere lui equivale a conoscere il Padre (v. 19b).

 

Commento liturgico-pastorale

 

I giorni pasquali rappresentano una grande opportunità per dilatare gli spazi della nostra fede, del nostro amore e della nostra speranza nel Signore Gesù risorto dai morti.

Occorre, perciò, vivere questi giorni chiedendo senza interruzione al Padre del Cielo: «Donaci occhi, Signore, per vedere la tua gloria» (Salmo 96/97). La gloria di Dio, come sappiamo e crediamo, brilla sopra ogni umana capacità e comprensione nel suo Figlio, il Risorto dalle orribili tenebre della morte!

Il Signore Gesù, pertanto, è, in tutta verità, «la luce del mondo» (Vangelo: Giovanni 8,12). Egli, cioè, rivela e proclama a tutte le nazioni e ad ogni uomo che il suo destino, quello di Figlio glorificato e definitivamente sottratto al potere della morte, è il destino che attende ogni uomo che crede in lui non soltanto come rivelatore ma come Figlio di Dio, il Padre! È questo il Vangelo che gli apostoli hanno predicato e testimoniato a tutti i popoli della terra.

Ne è esemplare testimonianza ciò che abbiamo letto nella Lettura che riporta la ferma, serena consapevolezza dell’apostolo Paolo che la luce salvifica che brilla sul volto del Signore deve essere portata a tutti indistintamente: non solo al popolo della prima Alleanza ma, come egli stesso afferma: «Sia dunque noto a voi che questa salvezza  di Dio fu inviata alle nazioni, ed esse ascolteranno!» (Atti degli Apostoli 28,28).

Una consapevolezza che gli fa dire, nell’avviare la sua lettera alla comunità cristiana di Roma composta sia da fedeli provenienti dal giudaismo che dal mondo pagano, che egli è stato chiamato ad essere apostolo «per annunziare il vangelo di Dio…», «che riguarda il Figlio suo… costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti» e questo «per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti» (Epistola: Romani 1,1-5).

Si tratta di parole di permanente stringente attualità. Siamo, infatti, consapevoli che il Vangelo della Risurrezione del Signore Gesù e il significato salvifico in essa racchiuso, deve ancora essere predicato alla stragrande maggioranza degli uomini oggi esistenti sulla faccia della terra.

Siamo inoltre consapevoli che il Vangelo della Risurrezione debba essere di nuovo annunciato anche alle nostre comunità, a tutti noi che, «santi per chiamata»  (Romani 1,6), corriamo il rischio concreto di diventare duri di orecchi e ciechi (cfr. Atti degli Apostoli 28,27), a motivo dell’indifferenza più sorda e opaca che sembra oggi avere la meglio anche tra noi.

Le nostre comunità, al contrario, sono chiamate a seguire le orme apostoliche nella convinzione che la luce che promana dal Signore Risorto è il dono che il mondo attende da noi.

Si tratta, come direbbe l’Apostolo, di un debito che tutti noi, discepoli del Signore, abbiamo nei confronti degli uomini e delle donne del nostro tempo (cfr. Romani 1,14). Un debito che saremo in grado di saldare nella misura in cui gli effetti della Risurrezione saranno visibili e riconoscibili nella nostra esistenza. Ciò dipende dalla nostra convinta adesione di fede nel Signore Gesù rivelatore di Dio e Figlio unigenito del Padre che, nella partecipazione ai sacramenti pasquali ci attraversa con la potenza della sua Risurrezione. Nel Battesimo, infatti, il Padre ha «infuso in noi una vita che viene dal cielo» (Prefazio) quella, cioè, del suo Figlio che, alimentata alla mensa eucaristica, comincia a far brillare già da ora la luce della Risurrezione in un’esistenza pienamente uniformata alla sua.

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7 aprile 2013 – II domenica di Pasqua

Conclude lottava di Pasqua ed è tradizionalmente denominata “In Albis depositis” perché i battezzati nella Veglia pasquale, a partire dal giorno precedente, si presentavano avendo «oramai tolto le vesti battesimali».

 

Il Lezionario

 

Presenta  ogni anno i seguenti brani biblici: Lettura: Atti degli Apostoli 4,8-24a; Salmo: 117 (118); Epistola: Colossesi 2,8-15; Vangelo: Giovanni 20,19-31. Alla Messa vespertina del sabato viene proclamato: Giovanni 7,37-39a quale Lettura vigiliare. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri per questa Domenica proposti nel Messale Ambrosiano).

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (4,8-24a) 

 

In quei giorni. 8Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, 9visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, 10sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. 11Questo Gesù è la pietra che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. 12In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati». 13Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni e rendendosi conto che erano persone semplici e senza istruzione, rimanevano stupiti e li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù. 14Vedendo poi in piedi, vicino a loro, l’uomo che era stato guarito, non sapevano che cosa replicare. 15Li fecero uscire dal sinedrio e si misero a consultarsi fra loro dicendo: 16«Che dobbiamo fare a questi uomini? Un segno evidente è avvenuto per opera loro; esso è diventato talmente noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme che non possiamo negarlo. 17Ma perché non si divulghi maggiormente tra il popolo, proibiamo loro con minacce di  parlare ancora ad alcuno in quel nome». 18Li richiamarono e ordinarono loro di non parlare in alcun modo né di insegnare nel nome di Gesù. 19Ma Pietro e Giovanni replicarono: «Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. 20Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». 21Quelli allora, dopo averli ulteriormente minacciati, non trovando in che modo poterli punire, li lasciarono andare a causa del popolo, perché tutti glorificavano Dio per l’accaduto. 22L’uomo infatti nel quale era avvenuto questo miracolo della guarigione aveva più di quarant’anni. 23Rimessi in libertà, Pietro e Giovanni andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto loro i capi dei sacerdoti e gli anziani. 24Quando udirono questo, tutti insieme innalzarono la loro voce a Dio.

 

Il brano riporta il discorso fatto da Pietro davanti al Sinedrio (vv. 8-12) dopo essere stato arrestato con Giovanni in seguito alla guarigione dello storpio alla porta Bella del Tempio (Atti 3,1-11). I vv. 13-15 registrano lo stupore del Sinedrio davanti alla “franchezza” con la quale Pietro e Giovanni annunziavano il nome del Signore di cui vengono riconosciuti come «quelli che erano stati con Gesù». Segue ai vv. 15-18 il resoconto della consultazione tra i membri del Sinedrio sul da farsi e della decisione di proibire agli Apostoli «di non parlare in alcun modo né di insegnare nel nome di Gesù». Proibizione alla quale Pietro e Giovanni non intendono uniformarsi (vv. 19-20). Il brano si conclude con il rilascio di Pietro e Giovanni (vv. 21-22) che riferiscono prontamente alla comunità dei fratelli quanto era loro accaduto (vv. 23-24).

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (2,8-15)

 

Fratelli, 8fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo. 9È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, 10e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza. 11In lui voi siete stati anche circoncisi non mediante una circoncisione fatta da mano d’uomo con la spogliazione del corpo di carne, ma con la circoncisione di Cristo: 12con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. 13Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e 14annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce. 15Avendo privato della loro forza i Principati e le Potenze, ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo.

 

L’Apostolo che ha appena esortato i cristiani di Colosse a rimanere saldi nella fede in Cristo Gesù (2,6-7), passa ora a metterli in guardia dalle dottrine mondane e ingannevoli che si oppongono al Vangelo (v.8). Ai vv. 9-12 leggiamo la proclamazione di fede sulla divinità di Cristo della cui “pienezza” partecipano i credenti (vv.9-10). I vv. 11-13 sviluppano le modalità di una simile partecipazione a partire dal Battesimo che rappresenta la “circoncisione di Cristo”. In esso si fa esperienza personale di ciò che rappresenta, a livello salvifico, la morte, la sepoltura e la risurrezione del Signore a partire dal perdono di «tutte le colpe» e dall’annullamento del «documento scritto», che decreta la condanna dei peccatori (vv.13-14). Nella Pasqua del suo Figlio, pertanto, Dio stesso ha trionfato su ogni potenza contraria ai suoi progetti di salvezza (v.15).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (20,19-31)

 

In quel tempo. 19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto: beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

 

Il testo evangelico si presenta chiaramente diviso in due parti riguardanti rispettivamente l’apparizione del Signore Risorto la sera di Pasqua  (vv. 19-23) e il successivo suo incontro “otto giorni dopo” con la presenza, stavolta, dell’apostolo Tommaso (vv. 24-29). I vv. 30-31, infine, riportano alcune considerazioni conclusive dell’evangelista in ordine al suo Vangelo, messo per iscritto con l’intento di suscitare la fede in Gesù come Messia e Figlio di Dio e, ottenere in tal modo, la “vita” ossia la comunione filiale, per mezzo di Cristo, con il Padre.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Il presente brano evangelico, che  ogni anno viene proclamato nella seconda domenica di Pasqua, è di decisiva importanza per la comprensione dell’esistenza stessa della Chiesa e della sua missione. Va anzitutto sottolineata l’importante precisazione riguardante il raduno dei discepoli «la sera di quel giorno», quello, s’intende, della Risurrezione, in un unico luogo (v. 19). Ciò sembra indicare che, quanto viene narrato, riguarda la comunità ecclesiale di allora, come di oggi e di sempre. Al centro dell’attenzione c’è il Signore Gesù che si presenta ai suoi riuniti a porte chiuse «per timore dei Giudei». Viene così evidenziato che non vi sono ostacoli e barriere che possano impedire al Signore di “stare in mezzo” alla sua Chiesa e di offrire il dono pasquale della pace, dovuta proprio alla sua presenza. Con il Signore Risorto, perciò, nel cuore dei discepoli la pace subentra al timore. A essi Gesù si fa riconoscere mostrando «loro le mani e il fianco», con i segni della trafittura dei chiodi e della lancia del soldato romano, facendo sgorgare la gioia nei loro cuori alla vista del  Maestro che videro pendere dalla Croce (v. 20).

A essi il Crocifisso/Risorto può ora consegnare il mandato per la specifica missione che dovranno compiere e che la Chiesa dovrà continuare lungo i tempi. Egli, che è l’inviato dal Padre, a sua volta manda i suoi discepoli e, in essi, quanti lungo i secoli formeranno la sua Chiesa, a compiere la sua stessa missione di salvezza garantendone l’efficacia mediante il dono dello Spirito, indicato nel gesto molto espressivo del soffiare su di essi (v. 22). La missione consiste essenzialmente nell’estendere a ogni uomo il frutto della Pasqua, vale a dire la remissione e il perdono dei peccati e con la potenza dello Spirito il dono di una vita nuova. In tal modo la Chiesa può portare nel mondo la “vita”, quella che nel Signore Gesù ha trionfato sul peccato e dunque sulla morte nella cui oscurità giace il mondo e, in esso, l’intera umanità.

In questa zona oscura si colloca Tommaso, «uno dei Dodici», con il deciso rifiuto di accogliere la testimonianza dei discepoli: «Abbiamo visto il Signore!» (v. 25).

Tommaso, che «non era con loro quando venne Gesù» la sera del giorno della sua risurrezione (v. 24), rappresenta tutti coloro che, nei secoli, dovranno fidarsi e affidarsi alla testimonianza che la comunità dei credenti offre su Gesù, il Vivente, senza esigere perciò di vedere e di mettere personalmente la mano nelle sue ferite. Tommaso supererà questa pretesa “otto giorni dopo” allorché il Signore tornerà tra i suoi recando il dono della pace e gli chiederà di mettere il suo dito e la sua mano nelle sue ferite esortandolo a «non essere più incredulo, ma credente!» (v. 27). Esortazione che va compresa, in realtà, rivolta a ogni futuro discepolo e, in prospettiva, a ogni uomo chiamato a diventarlo.

La reazione di Tommaso è quella di chi oramai è diventato credente. Ora non è più interessato a  vedere e a toccare le ferite del Signore, ma si rivolge a lui con una proclamazione di fede assoluta: «Mio Signore e mio Dio!». Con ciò riconosce che il suo Maestro, morto sulla Croce, deposto nel sepolcro, è il Risorto, è Dio!

Le parole conclusive del Signore (v. 29) sono anch’esse rivolte, tramite Tommaso, ai futuri credenti e, dunque, anche a noi che oggi le ascoltiamo nella proclamazione liturgica dell’evangelo. Fin da ora siamo da Gesù stesso proclamati beati perché crediamo in lui senza poterlo vedere e toccare. Vedere e toccare il Risorto è l’esperienza propria dei Dodici. D’ora in poi la fede dei credenti dovrà poggiarsi sulla loro testimonianza guardandosi, come avverte l’Apostolo, di cadere vittima della vuota pretesa di chi pensa e ragiona «secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo» (Epistola: Colossesi 2,8). Per questo abbiamo così pregato nell’orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica: «Dio… avvinci a te il cuore dei tuoi servi; tu che ci hai liberato dalle tenebre dello spirito non lasciarci allontanare più dalla tua luce».

Nella celebrazione eucaristica, scandita dal solenne ritmo domenicale istituito dalle apparizioni del Risorto, è possibile per noi vivere, nel mistero, l’esperienza degli Apostoli: crescere nella fede e nell’amore del Signore e accogliere, con il “soffio” del suo Spirito, il mandato che ci abilita alla missione evangelica nel mondo.

La Lettura mostra come questa missione è stata da subito attuata dagli stessi Apostoli, i quali annunziano con estrema chiarezza che «in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati»  (Atti degli Apostoli 4,12). L’esperienza che essi hanno fatto del Risorto, la missione ricevuta nella potenza dello Spirito Santo, è insopprimibile nei loro cuori e li spinge ad annunziare a tutti, anche a costo della vita, la reale unica possibilità di salvezza che è in Cristo Signore: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (Atti 4,20).

Anche noi, di domenica in domenica, impariamo a «camminare nella nuova realtà dello Spirito», nella quale siamo stati stabiliti dai sacramenti pasquali. In tal modo «ci è dato di superare il rischio orrendo della morte eterna, ed è serbata ai credenti la lieta speranza della vita senza fine» (Prefazio) che ci è già donata nella partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore, nel quale «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» ( Colossesi 2,9).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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