1 aprile 2012 - Domenica delle Palme


Domenica delle Palme. Nella Passione del Signore.

È la domenica che inaugura la settimana che la nostra tradizione liturgica ambrosiana chiama “autentica”, ovvero “santa”. In essa il cammino quaresimale viene coronato dalla celebrazione del Triduo pasquale della morte, sepoltura e risurrezione del Signore, che dispiega l’evento di salvezza che sta alla base della fede e della vita della Chiesa, vale a dire la Pasqua partecipata ai credenti nei sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia. In questa domenica sono previste due distinte celebrazioni: la Messa per la benedizione delle Palme e la processione e la Messa “nel giorno”.

 

Messa per  la benedizione delle Palme

 

Con il rito della benedizione e successiva processione delle palme si intende far memoria del solenne ingresso di Gesù in Gerusalemme riconosciuto come Messia.

 

 

Il Lezionario

 

Vengono proclamati i seguenti brani biblici: Lettura: Zaccaria 9,9-10; Salmo 47; Epistola: Colossesi 1,15-20; Vangelo: Giovanni 12,12-16.

 


Lettura del profeta Zaccaria (9,9-10)

 

Così dice il Signore Dio: 9«Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme!  Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. 10Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra».

 

Si tratta dell’oracolo messianico nel quale il profeta, in un contesto di esultanza e di grande gioia per Gerusalemme e, dunque, per tutto il popolo d’Israele, annunzia la venuta di un re che godrà della protezione divina e che, a differenza degli altri sovrani, si distinguerà per la sua umiltà, di cui è segno la cavalcatura da lui scelta: «un puledro figlio d’asina» (v. 9). Egli pacificherà e riunirà il popolo in un unico regno di pace che si estenderà ad abbracciare altri popoli e altre nazioni. Questa profezia, nella comprensione di fede della Chiesa, si è compiuta con l’ingresso di Gesù in Gerusalemme acclamato come Messia.

 


Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (1,15-20)

 

Fratelli, 15Cristo è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, 16perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze, tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. 17Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. 18Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. 19È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza 20e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

 

Il brano è una proclamazione di fede nel Signore Gesù e nel suo ruolo nella creazione di tutto ciò che esiste in cielo e in terra (vv. 15-17) e specialmente nella “nuova creazione”, quella del suo corpo, la Chiesa, che deve comprendere, nel progetto divino di salvezza, tutta la realtà esistente e che è stata riconciliata e pacificata «con il sangue della sua croce» (vv. 18-20).

 


Lettura del Vangelo secondo Giovanni (12,12-16).

 

In quel tempo. 12La grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, 13prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!».

14Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto:15«Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene,seduto su un puledro d’asina».

16I sui discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte.

 

Il brano segue immediatamente quello dell’unzione di Gesù in casa di Lazzaro, da lui risuscitato dai morti (Gv 12,1-11) e che viene proclamato nella “Messa del giorno”. I vv. 12-13 riportano l’iniziativa spontanea della folla presente in Gerusalemme per l’imminente festa di Pasqua che va incontro a Gesù  recando non semplici fronde strappate a degli alberi ma palme, simbolo di vittoria, e, rifacendosi alle Scritture (cfr. Salmo 118,25-29), lo acclama quale inviato da Dio e  re d’Israele.

I vv. 14-15 mettono in luce, con il gesto di Gesù di montare su un asinello, che egli è sì il re d’Israele, ma non come i re di questa terra. Anzi, con l’esplicita citazione del profeta Zaccaria (cfr Lettura) viene chiarito che egli è il re umile e pacifico destinato a governare non un solo popolo ma tutte le genti.

Il brano si chiude al v. 16 con l’indicazione preziosa anche per noi: sarà soltanto nell’ora della sua     glorificazione, ovvero della Croce, che i discepoli di allora e di sempre saranno pienamente illuminati e potranno comprendere in pienezza le parole profetiche e i fatti riguardanti il Signore.

La preghiera liturgica commenta in modo insuperabile l’evento salvifico di cui oggi si fa memoria invitando i partecipanti alla celebrazione eucaristica a condividere con le folle di Gerusalemme i gesti e le parole pieni di fede nel Signore Gesù. Così, infatti, cantiamo durante la processione con le palme appena benedette: «Venite tutti ad adorare il Re dell’universo: sei giorni mancano alla sua passione: viene il Signore nella sua città, secondo le Scritture. Accorrono lieti i fanciulli, si stendono a terra i mantelli. In alto levando l’ulivo acclamiamo a gran voce: “Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto tu sei che vieni al tuo popolo: abbi di noi pietà”».

Dal canto suo il Prefazio che avvia la Preghiera eucaristica, cogliendo il senso spirituale dell’avvenimento evangelico dell’ingresso messianico del Signore, motiva così il rendere grazie che coinvolge «qui e in ogni luogo» la Chiesa: «Tu hai mandato in questo mondo Gesù, tuo Figlio, a salvarci perché, abbassandosi fino a noi e condividendo il dolore umano, risollevasse fino a te la nostra vita».

 

Messa nel giorno

 

Viene celebrata quando non si fa la processione delle palme benedette. Le letture bibliche e i testi del Messale pongono in rilievo la passione e la morte del Signore che segue l’ingresso trionfale a Gerusalemme.

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti brani della Scrittura: Lettura: Isaia 52,13-53,12; Salmo 87 (88); Epistola: Ebrei 12,1b-3; Vangelo: Giovanni 11,55-12,11. Alla messa vespertina del sabato viene letto Giovanni 2,13-22 come Lettura vigiliare.

 

Lettura del profeta Isaia (52,13-53,12)

 

Così dice il Signore Dio: 52,13«Ecco il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e  innalzato grandemente. 14 Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo – 15così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito. 53,1Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? 2È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. 3Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. 4Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. 5Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. 6Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. 7Maltrattato,si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. 8Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. 9Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. 10Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. 11Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. 12Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli».

 

Il brano riporta il quarto canto del servo di Dio sofferente, di cui si annunziano le persecuzioni a cui andrà incontro e che egli sopporterà con pazienza. Sofferenze, umiliazioni che saranno motivo di rifiuto, di disprezzo e di scandalo ma che nel misterioso disegno divino diventano potente intercessione ed espiazione dei peccati di tutti. Dio, comunque, assicura la buona riuscita e il risultato salvifico delle sofferenze del suo servo, nel quale per la fede viene raffigurato il Signore Gesù nella sua passione e morte.

Lettera agli Ebrei (12,1b-3)

 

Fratelli, 1bavendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, 2tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli  era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e si siede alla destra del trono di Dio. 3Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo.

 

Il brano esorta i credenti a perseverare nella lotta e nel rifiuto del peccato tenendo fissa l’attenzione sul Signore Gesù che, per obbedienza ai voleri divini del Padre, si è sottoposto alla Croce che da strumento di umiliazione e di morte è divenuto strumento e segno della sua esaltazione «alla destra del trono di Dio».

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (11,55-12,11)

 

In quel tempo. 55Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. 56Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». 57Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo.

1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui fecero per lui una cena. Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. 3Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. 4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: 5«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». 6Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. 7Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. 8I poveri infatti li avete sempre con coi, ma non potete sempre avere me».

9Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. 10I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, 11perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

 

Il brano, incentrato sul racconto dell’unzione di Gesù nella casa di Lazzaro (12,1-8), è come incorniciato dai versetti iniziali 11,55-57 e quelli finali 12,9-11. I primi riportano il desiderio della gente, venuta a Gerusalemme per la festa di Pasqua, di poter incontrare Gesù la cui fama, dopo la risurrezione di Lazzaro, si era sparsa ovunque suscitando la reazione ostile delle autorità (v. 57). I versetti finali riferiscono della decisione di mettere a morte anche  Lazzaro a causa del quale molti lasciavano la Sinagoga per aderire a Gesù.

Il racconto dell’unzione (v. 12,3) è collocato nel contesto di un pranzo familiare consumato da Gesù a casa di Lazzaro e delle sorelle Marta e Maria, ardenti di fede e di amore verso di lui che si sta incamminando verso la sua Pasqua! Il pranzo può forse rappresentare la gioia della risurrezione, mentre l’unzione che Maria fa sui piedi di Gesù annunzia la sua sepoltura.

Il significato profondo del gesto di Maria, non capito da Giuda, il traditore (vv. 5-6), consiste nell’anticipare, pur senza saperlo, quello che ella avrebbe presto compiuto sul corpo esanime del Signore.  

La preghiera liturgica evidenzia il perenne valore salvifico della morte del Signore annunziata dalla sua unzione e attualizzata proprio nella celebrazione eucaristica. È quanto pone in luce il Prefazio nel motivare il rendimento di grazie a Dio Padre: «Cristo tuo Figlio, il giusto che non conobbe la colpa, accettò di patire per noi e, consegnandosi a una ingiusta condanna, portò il peso dei nostri errori. La sua morte ha distrutto il peccato, la sua risurrezione ha ricreato la nostra innocenza».

La consapevole certezza che l’efficacia della morte del Signore è intatta nel sacramento del suo amore ci fa riconoscere : «Nel Figlio del suo amore tutto dal nostro Dio ci fu donato, il sangue del Signore ogni peccato nostro ci ha lavato. Perdona il nostro errore, medica le ferite del peccato (Alla Comunione).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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25 marzo 2012 – V domenica di Quaresima

È la domenica “di Lazzaro” così detta a motivo della lettura evangelica che la caratterizza e che  nella risurrezione dell’ “amico” di Gesù, chiama tutti ad aderire con fede a lui, il Signore della Vita!

 

Il Lezionario

 

Prevede i seguenti brani biblici: Lettura: Deuteronomio 6,4a.20-25; Salmo 104 (105); Epistola: Efesini 5,15-20; Vangelo: Giovanni 11,1-53. La lettura vigiliare per la messa vespertina del sabato è  presa da Matteo 12,38-40.

 

Lettura del Deuteronomio (6,4a.20-25)

 

In quei giorni. Mosè disse: 4a«Ascolta, Israele: 20Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: “Che cosa significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore, nostro Dio, vi ha dato?”, 21tu risponderai a tuo figlio: “Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. 22Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili contro l’Egitto, contro il faraone e contro tutta la sua casa. 23Ci fece uscire di là per condurci nella terra che aveva giurato ai nostri padri di darci. 24Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore, nostro Dio, così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi. 25La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore, nostro Dio, come ci ha ordinato”».

 

Il v. 20 si riallaccia alle prescrizioni e ai precetti dati da Dio al suo popolo (Deuteronomio 6,1-19) e che sono riassunti nel precetto dell’amore per lui che è l’“unico” (vv. 4-5a). Egli ha diritto di dare tali norme perché, come riferiscono i vv. 21-23 è Dio ad aver dato origine ad Israele come popolo facendolo uscire dall’Egitto, operando meraviglie, e donandogli una terra. I vv. 24-25 motivano perciò la felicità del popolo e la sua rettitudine nell’osservanza dei precetti divini.

 

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (5,15-20)

 

Fratelli, 15fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, 16facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. 17Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore. 18E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, 19intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, 20rendendo continuamente grazie per cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.

 

In questa parte della sua lettera l’Apostolo passa a dare concrete istruzioni ai fedeli di Efeso conformi alla loro fede in Cristo. Di qui l’esortazione a fare un buon uso del tempo cercando in esso di scorgere la volontà di Dio e ricercando il dono pieno dello Spirito (vv. 16-18) che guida e tiene unita la comunità nella preghiera e nel rendimento di grazie (vv. 19-20).

 

Vangelo secondo Giovanni 11,1-53

 

In quel tempo. 1Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».

4All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il figlio di Dio venga glorificato». 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli:  «Andiamo di nuovo in Giudea!». 8I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».

11Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!«». 16Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».

17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 23Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». 24Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». 25Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». 27Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31 I Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.

32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». 38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra.

39Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore; è lì da quattro giorni». 40Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41Tolsero dunque la pietra: Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare».

45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero  in lui. 46Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.

47Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. 48Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». 49Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! 50Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». 51Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; 52e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. 53Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.

 

Il brano evangelico ampio e impegnativo può essere così suddiviso: i vv. 1-6 preparano il successivo racconto e ne presentano i personaggi; i vv. 7-16 riportano il dialogo tra Gesù e i discepoli incentrato sul suo ritorno in Giudea.

I vv. 17-32 collocano la scena presso il sepolcro di Lazzaro e riferiscono dell’incontro di Gesù con Marta e Maria sorelle del morto. I vv. 33-40a sono caratterizzati dalla profonda commozione e dal pianto del Signore davanti al sepolcro di Lazzaro suo amico.

Il racconto del miracolo vero e proprio occupa i vv. 40b-44 a cui fanno seguito i vv. 45-53 con la reazione dei testimoni dell’evento prodigioso e il raduno del Sinedrio per decidere di uccidere Gesù.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Il miracolo della risurrezione di Lazzaro rappresenta il culmine del progressivo cammino di fede proposto dalla Quaresima a quanti si preparano a prendere parte, nei sacramenti, alla Pasqua del Signore e a tutti i fedeli invitati a riattivare il dono di grazia già ricevuto. Al testo evangelico, pertanto, va data una speciale attenzione a partire da ciò che il Signore afferma a proposito della malattia di Lazzaro considerata come occasione per la manifestazione della gloria di Dio, ovvero del suo disegno di salvezza che dovrà rivelarsi appieno nella glorificazione del Figlio (vv.1-6). Glorificazione che per l’evangelista coincide con l’“ora” della Croce!

Gesù perciò spiega ai suoi discepoli, refrattari ad andare con lui in Giudea dove aveva già rischiato di essere ucciso (cfr. Gv 8,59; 10,31), il senso di ciò che si appresta a fare recandosi da Lazzaro oramai morto (vv.7-16). Il “risveglio” di Lazzaro, infatti, manifesterà il disegno di Dio che si compirà anche nel suo Figlio crocifisso, e spronerà ancora una volta i discepoli a credere in lui e a seguirlo.

Nel successivo incontro con Marta, sorella di Lazzaro (vv. 20-27), che professa la fede nella risurrezione «nell’ultimo giorno» e nel Maestro capace di liberare dalla morte il fratello con la sola sua presenza Gesù risponde con la solenne autorivelazione: «Io sono la risurrezione e la vita» (v. 25). Essa riguarda la potenza personale di Gesù di riportare in vita i morti come “segno” del suo potere di liberare dalla morte eterna, ossia dalla dannazione, coloro che credono in lui!

La risposta di Marta è una vera e propria professione di fede nel Signore riconosciuto come il Messia, il Figlio di Dio che viene in questo mondo per portare in esso il regno di Dio. È la fede richiesta a tutti coloro che intendono seguire Gesù, diventare suoi discepoli e per mezzo del Battesimo rinascere «ad immagine della sua risurrezione» (Orazione Dopo La Comunione). È la fede  che il tempo quaresimale intende far recuperare e brillare in tutta la sua integrità nella Chiesa e in ogni singolo fedele.

L’incontro di Gesù con Maria, sopraffatta dalla tremenda realtà della morte, induce in Gesù stesso una triplice reazione così annotata: v. 33, si «commosse profondamente»; ne fu «molto turbato»; v. 35, «scoppiò in pianto». La commozione e il turbamento in Gesù dicono quanto egli avvertisse attorno a sé la terribile presenza della morte alla quale egli stesso dovrà presto andare incontro.

Le lacrime del Signore sono le lacrime di Dio davanti al potere devastante che la morte esercita sull’uomo uscito dalle sue mani, ma sono anche le lacrime di chi, come Gesù, “deve” lasciarsi avviluppare da quel potere perché si compia il disegno del Padre, quello che ora brilla nel miracolo del “risveglio” di Lazzaro che, addirittura, è morto già da quattro giorni ed è in decomposizione (v. 39).  Il gesto di alzare gli occhi (v. 41) verso l’alto mette in luce la continua comunione di vita e di amore con il Padre che sempre ascolta ed esaudisce il Figlio.

Egli, pertanto, con autorità divina grida a gran voce il nome del morto al quale ingiunge di lasciare il sepolcro e di uscire incontro a lui e ordina ai presenti di liberarlo dalle bende nelle quali, forse, va visto un’allusione alla morte che Lazzaro dovrà nuovamente affrontare. Gesù invece, come riferiscono i Vangeli, lascerà il sepolcro sciolto dalle bende in cui era stato avvolto per indicare la definitività della sua risurrezione che riguarderà anche tutti coloro che credono e perseverano nella fede in lui.

Il racconto si conclude con la reazione dei testimoni dell’accaduto (vv. 45-53). Una reazione duplice: alcuni «alla vista di ciò che egli aveva compiuto» credettero. Altri invece informarono dell’accaduto «i capi dei sacerdoti e i farisei» i quali in una apposita riunione ne decretano la morte (v. 53). Di tale riunione interessano particolarmente le parole di Caifa (v. 50) e il commento che di esse ne fa l’evangelista (51-52). Egli riconosce come “ispirate” le parole dette dal sommo sacerdote   che decreta la morte di Gesù per la salvezza della nazione, ossia di Israele.

In verità, quella morte, ha un’efficacia salvifica ben più ampia: riguarda infatti l’umanità intera  descritta come un gregge disperso e che Gesù dovrà «riunire insieme» portando così a compimento la missione per la quale il Padre lo ha inviato nel mondo.

Collocato nel contesto del cammino quaresimale verso la Pasqua il brano evangelico va letto anzitutto come un forte appello a credere nel Signore Gesù, il quale è venuto in questo mondo rivestito della stessa potenza salvifica dispiegata a suo tempo da Dio a favore del suo popolo, come testimonia la Lettura veterotestamentaria. In essa è conservata e trasmessa la professione di fede di Israele che si riconosce come popolo in quanto Dio lo ha costituito come tale operando «segni e prodigi grandi» (Deuteronomio 6,22).

Su questa fede Israele fonda l’osservanza fedele e obbediente delle norme impartite da Dio e che deve con maggior forza fondare l’osservanza della comunità cristiana (Epistola: Efesini 5,19-20) che sa di trarre origine da ciò che il Signore Gesù ha fatto per liberare i credenti dai lacci funerei del male che tiene in potere ogni uomo e lo degrada fino alla corruzione.

La preghiera liturgica evidenzia come tutto ciò si sia attuato in noi, a livello sacramentale, nell’acqua del Battesimo, dove «la grazia divina del Cristo libera noi tutti sepolti nella colpa del primo uomo, e ci rende alla vita e alla gioia senza fine» (Prefazio I). «Vita e gioia senza fine» indicano la condizione di risurrezione e di vita nuova e immortale nella quale già da ora vive il credente.

Condizione che va mantenuta nella partecipazione al sacramento eucaristico del Corpo e del Sangue del Signore «che ci è dato per liberarci dalla schiavitù della colpa» nella quale possiamo ricadere a motivo dell’umana fragilità. Domandiamo perciò senza sosta e con umile fede che il Signore, nei suoi divini misteri, «purifichi i nostri cuori e, a immagine della risurrezione, ci riscatti da ogni antica decadenza» (Orazione dopo la Comunione).

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18 marzo 2012 – IV domenica di Quaresima


È considerata come “Domenica del cieco” in quanto viene ogni anno proclamato il brano evangelico di Giovanni riguardante la guarigione dell’“uomo cieco dalla nascita”.


Il Lezionario

Riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Esodo 33,7-11a; Salmo 35 (36); Epistola: 1Tessalonicesi 4,1b-12; Vangelo: Giovanni 9,1-38b. Nella messa vespertina del sabato viene letto: Matteo 17,1b-9 come Lettura vigiliare.


Lettura del libro dell’Esodo (33,7-11a)

In quei giorni. 7Mosè prendeva la tenda e la piantava fuori dell’accampamento, a una certa distanza dall’accampamento, e l’aveva chiamata tenda del convegno; appunto a questa tenda del convegno, posta fuori dell’accampamento, si recava chiunque volesse consultare il Signore. 8Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava in piedi, stando ciascuno all’ingresso della sua tenda: seguivano con lo sguardo Mosè, finché non fosse entrato nella tenda. 9Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda, e parlava con Mosè. 10Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che stava all’ingresso della tenda, e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno all’ingresso della propria tenda. 11Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico.

Il brano si riferisce alla tenda fatta costruire da Dio stesso (cfr. Esodo 26,1-14) come luogo dell’incontro con il suo popolo liberato dall’Egitto e in cammino attraverso il deserto verso la terra promessa. I v. 8-10 riferiscono dell’apparizione della colonna di nube dalla quale Dio parlava con Mosè che il v. 11 definisce “amico” di Dio.


Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi (4,1b-12)

1bFratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. 2Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù. 3Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impurità, 4che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, 5senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio; 6che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito. 7Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. 8Perciò chi disprezza queste cose non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito.
9Riguardo all’amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, 10e questo lo fate verso tutti i fratelli dell’intera Macedonia. Ma vi esortiamo, fratelli, a progredire ancora di più 11e a fare tutto il possibile per vivere in pace, occuparvi delle vostre cose e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, 12e così condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e non avere bisogno di nessuno.


Il brano riporta alcune raccomandazioni rivolte dall’Apostolo e riguardanti la condotta dei cristiani di Tessalonica. Raccomandazioni che l’Apostolo fa in nome del Signore Gesù (v. 1). Segue ai vv. 2-8 la normativa morale che Paolo fa discendere dalla vocazione alla santità recata nei credenti dal dono dello Spirito.

I vv. 9-11 insistono sull’amore fraterno già praticato nella comunità cristiana e che deve crescere sempre più. Il comportamento dei fedeli, conclude l’Apostolo, diviene in tal modo una proclamazione vissuta del Vangelo «di fronte agli estranei» (v. 12) ossia un invito a credere e a unirsi a essi.


Vangelo secondo Giovanni 9,1-38b


In quel tempo. 1Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. 8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e lavati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12 Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». 13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». 18Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». 24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. 35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!».


Commento liturgico-pastorale

Il brano è strutturato in tre parti. La prima: vv. 1-12 riporta la narrazione del “miracolo” e la reazione dei presenti; la seconda: vv. 13-34 riferisce della reazione dei farisei con il duplice interrogatorio del “miracolato” (vv. 15-17; 24-34) e dei suoi genitori (vv.18-23); la terza (vv. 35-39) propone il dialogo tra Gesù e il miracolato che professa la sua fede in lui.
Nella prima parte il racconto del miracolo è preceduto dal dialogo di Gesù con i suoi discepoli convinti che la condizione del cieco dalla nascita sia dovuta a colpe commesse «da lui o dai suoi genitori» (v. 2). Gesù esclude il nesso cecità-peccato e afferma che nell’uomo nato cieco Dio manifesterà le sue “opere” che riguardano l’illuminazione del mondo mediante il suo Figlio entrato in esso come “luce” (v. 3).

La narrazione del miracolo (vv. 6-7) sorprende per i gesti di Gesù che, dopo aver fatto del fango con la sua saliva, lo spalma sugli occhi del cieco con l’ingiunzione di recarsi alla piscina di Siloe, che significa “Inviato”. Con quel gesto Gesù intende far capire che l’uomo è di per sé prigioniero delle tenebre da cui potrà essere liberato recandosi dall’“Inviato” ossia credendo in lui che è venuto nel mondo proprio per compiere tale opera.

La prima parte si chiude con la constatazione dell’avvenuta guarigione del cieco nato da parte dei conoscenti (vv. 8-12) e soprattutto con le domande sul come abbia ottenuto la vista; domande che saranno riprese drammaticamente nella seconda parte del racconto.
Questa si apre con il miracolato condotto dai farisei, esperti dottori e maestri della Legge, i quali prendono subito una posizione negativa nei confronti di Gesù il quale, «facendo del fango», ha violato il precetto fondamentale per Israele del riposo sabbatico (vv. 13-16).

Sorprende la reazione decisa del guarito nel dichiarare che Gesù è un profeta (v. 17). Con ciò l’evangelista mostra come la vera guarigione dell’uomo consiste nella sua adesione di fede in Gesù rivelatore di Dio. Il cieco che ora vede è, al contrario dei farisei che si ostinano nel rimanere chiusi all’opera di illuminazione del Signore, l’esemplare per ogni uomo che gradatamente giunge alla pienezza di luce ossia alla pienezza di fede in Lui: è «un profeta» (v. 17); «viene da Dio» (v. 33); «Figlio dell’uomo» (v. 35).

Il racconto si conclude con Gesù che volutamente va a cercare e trova il miracolato cacciato fuori dalla sinagoga (vv. 34-35) per proporgli di aderire con fede a lui che racchiude in pienezza il mistero del Figlio dell’uomo che, in verità, è il Figlio di Dio! La risposta finale del cieco che ora vede per la prima volta il Signore è una decisa professione di fede resa evidente dall’esplicita affermazione: «Credo, Signore». In tal modo il cieco nato illuminato dal Signore diviene il prototipo e l’esemplare per tutti i credenti.

La preghiera liturgica pone in luce la comprensione battesimale del testo evangelico: «Nel mendicante guarito è raffigurato il genere umano prima nella cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che al fonte battesimale gli viene donata» (Prefazio I). In questo contesto l’immersione nell’acqua battesimale, evocata dalla piscina di Siloe, rappresenta il passaggio dall’oscurità totale che è l’incredulità alla grazia di vederci, ossia di pervenire alla fede che il Vangelo rende plasticamente nel cieco guarito che vede con i suoi occhi Gesù! È lui, Gesù, il Figlio, la luce vera che al credente è concesso di guardare in faccia, «a viso scoperto».

Cosa questa davvero straordinaria e mirabile se messa a confronto con l’iniziale illuminazione concessa da Dio al suo popolo con il dono della Legge secondo quanto abbiamo ascoltato nella Lettura a proposito di Mosè con il quale il Signore parlava «faccia a faccia», «come uno parla con il proprio amico» (Esodo 37,11) ma, si badi, ciò avveniva dalla nube! Quanto è detto nella pagina veterotestamentaria va inteso come un’anticipazione di ciò che Dio intende fare con ogni uomo. Tutti, infatti, credendo nel suo Inviato, in Gesù di Nazaret,potranno vederlo “faccia a faccia”.

È la concreta esperienza di quanti, avendo ricevuto il dono della fede, riconoscono che in Gesù, Dio «ha lavato la cecità di questo mondo» (Prefazio I), e ogni uomo può vedere e parlare con Dio come si parla con il proprio amico. Perciò il tempo quaresimale ci esorta a lodare, ringraziare e «con tutti i nostri sensi rendere gloria a Dio» (Prefazio I) per tale sua opera mirabile che ci impegna, però, a vivere e a comportarci in modo da piacere a Dio in tutto (Cfr. Epistola: 1Tessalonicesi).

Per questo partecipando all’Eucaristia, mentre fissiamo i nostri occhi sul Figlio morto e risorto nel quale brilla la gloria di Dio, così preghiamo: «Signore, dà luce ai miei occhi perché non mi addormenti nella morte; perché l’avversario non dica: “Sono più forte di lui”. Tu che hai aperto gli occhi al cieco nato, con la tua luce illumina il mio cuore perché io sappia vedere le tue opere e custodisca tutti i tuoi precetti» (All’Inizio dell’assemblea liturgica).

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11 marzo 2012 – III domenica di Quaresima

È la domenica “di Abramo” perché viene letta ogni anno la pagina evangelica che presenta Abramo come il padre dei credenti.

 

Il Lezionario

 

Contempla la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Esodo 32,7-13b; Salmo 105 (106); Epistola: 1Tessalonicesi 2,20-3,8;  Vangelo: Giovanni 8,31-59. La lettura vigiliare per la messa vespertina del sabato è presa da Luca 9,28b-36.

 

Lettura del libro dell’Esodo (32,7-13b)

 

In quei giorni. 7Il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. 8Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”». 9Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. 10Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione».

11Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? 12Perché dovranno dire gli Egiziani: “Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra”? Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo. 13Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo”».

 

Il brano è preceduto dalla narrazione di quanto accadde nell’accampamento degli Ebrei durante la prolungata assenza di Mosè salito sul monte Sinai per ricevere da Dio le tavole del Decalogo e come essi costruirono il vitello d’oro riconosciuto come loro liberatore dall’Egitto (32,1-6).


Dio ordina a Mosè di scendere dal monte denunciando la gravissima perversione idolatrica del suo popolo (vv. 7-8) e manifestandogli la  volontà di distruggerlo (vv. 9-10).


I vv. 11-13 riportano la perorazione di Mosè in favore del popolo “ricordando” a Dio il giuramento con il quale si era impegnato con i Patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe di dare ad essi una «posterità numerosa come le stelle del cielo».

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi (2,20-3,8)

 

Fratelli, 20siete voi la nostra gloria e la nostra gioia! 1Per questo, non potendo più resistere, abbiamo deciso di restare soli ad Atene 2e abbiamo inviato Timòteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel vangelo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede, 3perché nessuno si lasci turbare in queste prove. Voi stessi, infatti, sapete che questa è la nostra sorte; 4infatti, quando eravamo tra voi, dicevamo già che avremmo subìto delle prove, come in realtà è accaduto e voi ben sapete. 5Per questo, non potendo più resistere, mandai a prendere notizie della vostra fede, temendo che il tentatore vi avesse messi alla prova e che la nostra fatica non fosse servita a nulla.

6Ma, ora che Timòteo è tornato, ci ha portato buone notizie della vostra fede, della vostra carità e  del ricordo sempre vivo che conservate di noi, desiderosi di vederci, come noi lo siamo di vedere voi. 7E perciò, fratelli, in mezzo a tutte le nostre necessità e tribolazioni, ci sentiamo consolati a vostro riguardo, a motivo della vostra fede. 8Ora, sì, ci sentiamo rivivere, se rimanete saldi nel Signore.

 

I vv. 1-5 testimoniano l’ansia dell’Apostolo in ordine alla perseveranza nella fede dei cristiani di Tessalonica (oggi Salonicco in Grecia) città dalla quale si era dovuto allontanare precipitosamente (cfr. Atti degli Apostoli 17,1-10). Per questo scrive ad essi questa lettera per esortarli a mantenersi fedeli pur nelle prove che Paolo stesso ha dovuto subire e invia il fidato discepolo Timoteo a sincerarsi della loro perseveranza nella fede.

I vv. 6-8 manifestano la gioia dell’Apostolo sentendo il resoconto fatto da Timoteo che lo rassicura sulla tenuta della loro fede e sull’affetto che nutrono per lui.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (8,31-59)

 

In quel tempo. Il Signore 31Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. 36Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. 38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». 39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora:  «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». 42Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 43Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. 44Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. 46Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».

48Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». 49Rispose Gesù: «Io non sono un indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. 50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. 51In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». 52Li dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei un indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. 53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». 54Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, 55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. 56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno;  lo vide e fu pieno di gioia». 57Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». 58Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono». 59Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Il capitolo 8 da cui è preso il brano odierno è contrassegnato dal riferimento ad Abramo come padre di Israele. Qui viene riportato l’insegnamento di Gesù nel Tempio di Gerusalemme, destinato sostanzialmente a rivelare la sua più piena identità di Figlio di Dio, partecipe cioè della natura divina del Padre. Insegnamento che suscita la reazione ostile dei Farisei ma anche un’iniziale adesione di fede da parte di “molti” che lo seguivano e lo ascoltavano.

Il brano appare diviso in due sezioni: i vv. 31-45 riguardano la necessità di credere, mentre i vv.  46-59 insistono sulla necessità di credere alla persona di Gesù. In particolare i vv. 31-36 riportano le parole del Signore «a quei Giudei che gli avevano creduto» almeno inizialmente e che ruotano attorno all’opposizione libertà/schiavitù, s’intende, dal peccato. La libertà è garantita a coloro che “rimangono” nella Parola di Gesù.

I vv. 37-40 introducono il tema di Abramo come Padre del quale, però, quelli che con orgoglio si proclamano figli, non compiono le opere, vale a dire non si pongono in quella disponibilità di fede propria di Abramo! Per questo essi non possono proclamarsi figli di Dio rifiutando di credere in Colui che è uscito da Dio ed è stato da lui inviato ma, con tale rifiuto, dimostrano di essere figli del diavolo (vv. 41-45).

Nei vv. 46-50 si insiste sul fatto che Gesù «dice la verità», in quanto, con la sua Parola, offre l’autentica e piena rivelazione di Dio, al contrario dei suoi interlocutori che, rifiutandola, preferiscono seguire la menzogna.

Di qui la solenne proclamazione del v. 51: «In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno», che costituisce un estremo appello rivolto da Gesù ai suoi interlocutori perché si aprano all’ascolto e all’osservanza fedele della sua parola che garantisce di poter sfuggire alla morte, da intendere come eterna ovvero come dannazione. Modello di un simile ascolto obbediente è proprio Gesù che, essendo il Figlio, “conosce” Dio, accoglie e osserva la sua volontà (v. 55).

Il brano si chiude con la parola di autorivelazione che il Signore pronuncia a riguardo di sé stesso: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono». Con ciò afferma che Dio, che è l’Unico, può essere trovato e riconosciuto nel Figlio e, di conseguenza, in lui è trovato e riconosciuto come Padre! A questa rivelazione anelava Abramo il quale, a motivo della sua fede, poté “vedere” il Figlio rivelatore di Dio Padre.

Il v. 59 registra infine la reazione violenta dei Giudei che, chiudendosi ostilmente al Figlio rivelatore del Padre, determinano il suo nascondersi ai loro occhi e la sua uscita dal Tempio. Tenendo conto del contesto liturgico quaresimale e letto simultaneamente con le altre lezioni bibliche oggi proclamate, il brano evangelico ha come suo fulcro la figura di Abramo, che Gesù stesso presenta come prototipo e padre di tutti coloro che accolgono la sua Parola e, perciò, compiono anch’essi l’opera propria di Abramo: quella di credere.

È l’opera essenziale nella vita di quanti aspirano con il battesimo a essere radunati in quella «moltitudine di popoli, preannunziati al patriarca come sua discendenza» (Prefazio I) ed è l’opera essenziale alla quale la Quaresima intende richiamare quelli che, già battezzati, vengono chiamati figli di Dio.

Assai istruttiva al riguardo è l’Epistola paolina, con l’esortazione ai cristiani della giovane Chiesa di Tessalonica di mantenersi fermi nella fede loro predicata e trasmessa dall’Apostolo. Esortazione quanto mai attuale anche per noi, messi ogni giorno alla prova dagli accadimenti della vita, dalla propaganda fascinosa del mondo, dalle tentazioni le più diverse e insidiose (cfr. Epistola: 1Tessalonicesi 3,3). Perseverare nella fede battesimale non è opera facile per nessuno.

Non è stato facile per il popolo d’Israele, testimone oculare dei prodigi operati da Dio per la sua liberazione e, tuttavia, capace di traviarsi e di pervertirsi nell’idolatria (Lettura). L’intercessione di Mosè a favore del popolo si è poggiata sulla parola data da Dio ad Abramo, Isacco e Giacobbe (Esodo 32,13).

Il nostro intercessore, il Signore Gesù, poggia la sua richiesta a nostro favore sulla sua fedeltà al volere del Padre e sulla sua obbedienza. Egli chiede a tutti noi, suoi discepoli, di fare altrettanto. L’ascolto umile e sincero della sua Parola è garanzia della nostra perseveranza nella fede in ogni situazione e in ogni prova.

La partecipazione alla mensa eucaristica del suo Corpo e del suo Sangue con la fede ci darà la grazia di perseverare anche nella carità, la stessa che ci viene usata dal Figlio di Dio, fedele e obbediente al Padre, pronto a dare la sua vita perché anche noi diventiamo figli!

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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