È la domenica “di Abramo” perché viene letta ogni anno la pagina evangelica che presenta Abramo come il padre dei credenti.
Il Lezionario
Contempla la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Esodo 32,7-13b; Salmo 105 (106); Epistola: 1Tessalonicesi 2,20-3,8; Vangelo: Giovanni 8,31-59. La lettura vigiliare per la messa vespertina del sabato è presa da Luca 9,28b-36.
Lettura del libro dell’Esodo (32,7-13b)
In quei giorni. 7Il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. 8Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”». 9Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. 10Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione».
11Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? 12Perché dovranno dire gli Egiziani: “Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra”? Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo. 13Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo”».
Il brano è preceduto dalla narrazione di quanto accadde nell’accampamento degli Ebrei durante la prolungata assenza di Mosè salito sul monte Sinai per ricevere da Dio le tavole del Decalogo e come essi costruirono il vitello d’oro riconosciuto come loro liberatore dall’Egitto (32,1-6).
Dio ordina a Mosè di scendere dal monte denunciando la gravissima perversione idolatrica del suo popolo (vv. 7-8) e manifestandogli la volontà di distruggerlo (vv. 9-10).
I vv. 11-13 riportano la perorazione di Mosè in favore del popolo “ricordando” a Dio il giuramento con il quale si era impegnato con i Patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe di dare ad essi una «posterità numerosa come le stelle del cielo».
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi (2,20-3,8)
Fratelli, 20siete voi la nostra gloria e la nostra gioia! 1Per questo, non potendo più resistere, abbiamo deciso di restare soli ad Atene 2e abbiamo inviato Timòteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel vangelo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede, 3perché nessuno si lasci turbare in queste prove. Voi stessi, infatti, sapete che questa è la nostra sorte; 4infatti, quando eravamo tra voi, dicevamo già che avremmo subìto delle prove, come in realtà è accaduto e voi ben sapete. 5Per questo, non potendo più resistere, mandai a prendere notizie della vostra fede, temendo che il tentatore vi avesse messi alla prova e che la nostra fatica non fosse servita a nulla.
6Ma, ora che Timòteo è tornato, ci ha portato buone notizie della vostra fede, della vostra carità e del ricordo sempre vivo che conservate di noi, desiderosi di vederci, come noi lo siamo di vedere voi. 7E perciò, fratelli, in mezzo a tutte le nostre necessità e tribolazioni, ci sentiamo consolati a vostro riguardo, a motivo della vostra fede. 8Ora, sì, ci sentiamo rivivere, se rimanete saldi nel Signore.
I vv. 1-5 testimoniano l’ansia dell’Apostolo in ordine alla perseveranza nella fede dei cristiani di Tessalonica (oggi Salonicco in Grecia) città dalla quale si era dovuto allontanare precipitosamente (cfr. Atti degli Apostoli 17,1-10). Per questo scrive ad essi questa lettera per esortarli a mantenersi fedeli pur nelle prove che Paolo stesso ha dovuto subire e invia il fidato discepolo Timoteo a sincerarsi della loro perseveranza nella fede.
I vv. 6-8 manifestano la gioia dell’Apostolo sentendo il resoconto fatto da Timoteo che lo rassicura sulla tenuta della loro fede e sull’affetto che nutrono per lui.
Lettura del Vangelo secondo Giovanni (8,31-59)
In quel tempo. Il Signore 31Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. 36Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. 38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». 39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». 42Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 43Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. 44Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. 46Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».
48Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». 49Rispose Gesù: «Io non sono un indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. 50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. 51In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». 52Li dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei un indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. 53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». 54Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, 55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. 56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». 57Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». 58Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono». 59Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.
Commento liturgico-pastorale
Il capitolo 8 da cui è preso il brano odierno è contrassegnato dal riferimento ad Abramo come padre di Israele. Qui viene riportato l’insegnamento di Gesù nel Tempio di Gerusalemme, destinato sostanzialmente a rivelare la sua più piena identità di Figlio di Dio, partecipe cioè della natura divina del Padre. Insegnamento che suscita la reazione ostile dei Farisei ma anche un’iniziale adesione di fede da parte di “molti” che lo seguivano e lo ascoltavano.
Il brano appare diviso in due sezioni: i vv. 31-45 riguardano la necessità di credere, mentre i vv. 46-59 insistono sulla necessità di credere alla persona di Gesù. In particolare i vv. 31-36 riportano le parole del Signore «a quei Giudei che gli avevano creduto» almeno inizialmente e che ruotano attorno all’opposizione libertà/schiavitù, s’intende, dal peccato. La libertà è garantita a coloro che “rimangono” nella Parola di Gesù.
I vv. 37-40 introducono il tema di Abramo come Padre del quale, però, quelli che con orgoglio si proclamano figli, non compiono le opere, vale a dire non si pongono in quella disponibilità di fede propria di Abramo! Per questo essi non possono proclamarsi figli di Dio rifiutando di credere in Colui che è uscito da Dio ed è stato da lui inviato ma, con tale rifiuto, dimostrano di essere figli del diavolo (vv. 41-45).
Nei vv. 46-50 si insiste sul fatto che Gesù «dice la verità», in quanto, con la sua Parola, offre l’autentica e piena rivelazione di Dio, al contrario dei suoi interlocutori che, rifiutandola, preferiscono seguire la menzogna.
Di qui la solenne proclamazione del v. 51: «In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno», che costituisce un estremo appello rivolto da Gesù ai suoi interlocutori perché si aprano all’ascolto e all’osservanza fedele della sua parola che garantisce di poter sfuggire alla morte, da intendere come eterna ovvero come dannazione. Modello di un simile ascolto obbediente è proprio Gesù che, essendo il Figlio, “conosce” Dio, accoglie e osserva la sua volontà (v. 55).
Il brano si chiude con la parola di autorivelazione che il Signore pronuncia a riguardo di sé stesso: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono». Con ciò afferma che Dio, che è l’Unico, può essere trovato e riconosciuto nel Figlio e, di conseguenza, in lui è trovato e riconosciuto come Padre! A questa rivelazione anelava Abramo il quale, a motivo della sua fede, poté “vedere” il Figlio rivelatore di Dio Padre.
Il v. 59 registra infine la reazione violenta dei Giudei che, chiudendosi ostilmente al Figlio rivelatore del Padre, determinano il suo nascondersi ai loro occhi e la sua uscita dal Tempio. Tenendo conto del contesto liturgico quaresimale e letto simultaneamente con le altre lezioni bibliche oggi proclamate, il brano evangelico ha come suo fulcro la figura di Abramo, che Gesù stesso presenta come prototipo e padre di tutti coloro che accolgono la sua Parola e, perciò, compiono anch’essi l’opera propria di Abramo: quella di credere.
È l’opera essenziale nella vita di quanti aspirano con il battesimo a essere radunati in quella «moltitudine di popoli, preannunziati al patriarca come sua discendenza» (Prefazio I) ed è l’opera essenziale alla quale la Quaresima intende richiamare quelli che, già battezzati, vengono chiamati figli di Dio.
Assai istruttiva al riguardo è l’Epistola paolina, con l’esortazione ai cristiani della giovane Chiesa di Tessalonica di mantenersi fermi nella fede loro predicata e trasmessa dall’Apostolo. Esortazione quanto mai attuale anche per noi, messi ogni giorno alla prova dagli accadimenti della vita, dalla propaganda fascinosa del mondo, dalle tentazioni le più diverse e insidiose (cfr. Epistola: 1Tessalonicesi 3,3). Perseverare nella fede battesimale non è opera facile per nessuno.
Non è stato facile per il popolo d’Israele, testimone oculare dei prodigi operati da Dio per la sua liberazione e, tuttavia, capace di traviarsi e di pervertirsi nell’idolatria (Lettura). L’intercessione di Mosè a favore del popolo si è poggiata sulla parola data da Dio ad Abramo, Isacco e Giacobbe (Esodo 32,13).
Il nostro intercessore, il Signore Gesù, poggia la sua richiesta a nostro favore sulla sua fedeltà al volere del Padre e sulla sua obbedienza. Egli chiede a tutti noi, suoi discepoli, di fare altrettanto. L’ascolto umile e sincero della sua Parola è garanzia della nostra perseveranza nella fede in ogni situazione e in ogni prova.
La partecipazione alla mensa eucaristica del suo Corpo e del suo Sangue con la fede ci darà la grazia di perseverare anche nella carità, la stessa che ci viene usata dal Figlio di Dio, fedele e obbediente al Padre, pronto a dare la sua vita perché anche noi diventiamo figli!
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