30 gennaio 2010


30 gennaio 2010 – Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe  


1. L'ultima domenica di Gennaio
     

È riservata, nella nostra tradizione liturgica ambrosiana, alla celebrazione della festa della Santa Famiglia  di Nazaret.    
Il Lezionario prevede le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Siracide 7,27-30.32-36; Salmo 127; Epistola: Colossesi 3,12-21; Vangelo: Luca 2,22-33. Alla Messa vespertina del sabato viene proclamato Giovanni 20,11-18 quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Luca 2,22-33      

In quel tempo. 22Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – 23com’è scritto nella Legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – 24e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.    
25Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. 26Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. 27Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, 28anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
29«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola,
30 perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
31preparata da te davanti a tutti i popoli:
32luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».    
33Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.  
 


3. Commento liturgico-pastorale
     

Il brano evangelico, inserito nel racconto della natività e dell’infanzia di Gesù, in un primo momento (vv. 22-24) riferisce i passi compiuti da Maria e da Giuseppe in ottemperanza alla “Legge di Mosè” che prescrivono riti di “purificazione” dopo il parto riguardanti la madre (cfr. Levitico 12,2-5) e l’offerta a Dio di Gesù, il loro figlio “primogenito” (cfr. Esodo 13,2). Riti che si compiono nel tempio di Gerusalemme che è il luogo eletto da Dio per significare la sua presenza in mezzo al suo popolo.

Segue l’incontro con Simeone del quale viene prima tracciato un profilo (vv. 25-26) come «uomo giusto e timorato di Dio» che aspettava “il conforto di Israele” ossia aperto e disponibile ad accogliere la visita di Dio a beneficio del suo popolo. Egli è soprattutto un “profeta” come insinua l’espressione: «lo Spirito Santo era su di lui» e porta nel cuore la rivelazione dell’imminente venuta del Messia.

I vv. 27-32 riportano i gesti e le parole pronunziate da Simeone in un contesto di “benedizione” del Signore e mentre teneva tra le sue braccia il bambino Gesù che riconosce come la “salvezza” personificata e come “luce” destinata a far uscire tutte le genti della terra dall’oscurità dell’incredulità e dell’idolatria e come “gloria”, ossia rivelazione di Dio al popolo di Israele.

Il v. 33, infine, registra la reazione “stupita” di Maria e di Giuseppe davanti a ciò che hanno visto e ascoltato.

Collocata nel peculiare contesto del tempo dopo l’Epifania la presente festività liturgica vuole certamente mettere in luce il carattere di esemplarità che la Famiglia di Nazaret riveste per tutte le nostre famiglie, ma sottolinea ancora una volta l’epifania del Figlio di Dio fatto uomo.

Egli, «svuotandosi della sua gloria divina», si fa in tutto uno di noi a cominciare dal mettersi totalmente nelle mani di un papà e di una mamma come avviene per ognuno di noi. I suoi primi giorni sono contrassegnati da un totale abbandono alla volontà di Dio, inizialmente manifestata nella “Legge di Mosè” e che contraddistinguerà tutta la sua esistenza fino alla fine, fino alla sua morte di  croce.

Lui, che è il Figlio dell’Altissimo, viene “riscattato” con una «coppia di tortore o due giovani colombe», perché i suoi genitori non sono in grado di offrire un “agnello di un anno” come prescrive il libro del Levitico 12,6. Tutto ciò rinnova nella Chiesa la grazia del Natale come apparizione nel mondo della “salvezza”, della “luce”, della “gloria” e della “consolazione” di Dio donata a tutti gli uomini.

Dalla Famiglia di Nazaret, inoltre, nella quale Dio ha «collocato le arcane primizie della redenzione del mondo» (Prefazio) impariamo a fondare le nostre famiglie sull’accoglienza e sull’obbedienza alla Legge del Signore che è tutta riassunta nel precetto della carità così declinata dall’apostolo Paolo: «rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro» (Epistola, Colossesi, 3,12-13).

Tale precetto esige naturalmente l’osservanza di ciò che è stabilito da Dio nel cuore di tutti i figli verso i loro genitori: «Onora tuo padre con tutto il cuore e non dimenticare le doglie di tua madre. Ricorda che essi ti hanno generato: che cosa darai loro in cambio di quanto ti hanno dato?» (Lettura Siracide, 7,27-28).

Sappiamo bene che tale visione sulla famiglia fatica a conservarsi anche nelle nostre comunità ecclesiali. La tentazione di sganciare la famiglia dai disegni fondativi di Dio e dalla sua volontà su di essa fa breccia anche tra di noi. Occorre guardare, perciò, alla Famiglia di Nazaret, penetrare nel suo “segreto” e fare di tutto per rimanere fondati e fermi sulla divina volontà.

Per questo così preghiamo all’inizio dell’Assemblea Liturgica: «O Dio onnipotente, che hai mandato tra noi il tuo unico e dilettissimo Figlio a santificare i dolci affetti della famiglia umana e a donare, con la sua immacolata condotta e con le virtù di Maria e di Giuseppe, un modello sublime di vita familiare, ascolta la preghiera della tua Chiesa: concedi ai coniugi le grazie della loro missione di sposi e di educatori e insegna ai figli l’obbedienza che nasce dall’amore».

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23 gennaio 2011 – III Domenica dopo l’Epifania


1. La domenica dei “pani”  
   

Il miracolo dei pani, narrato da tutti gli evangelisti, è interpretato dalla nostra tradizione liturgica come uno dei momenti “epifanici” del mistero di Cristo. I brani biblici oggi proclamati sono: Lettura: Esodo 16,2-7a.13b-18; Salmo 104; Epistola: 2Corinzi 8,7-15; Vangelo: Luca 9,10b-17. Nella Messa vespertina del sabato il Vangelo della risurrezione è preso da: Marco 16,1-8a.    


2. Vangelo secondo Luca 9,10b-17      

In quel tempo. Il Signore Gesù 10bprese i suoi discepoli con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsàida. 11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.    
12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste. 
   


3. Commento liturgico-pastorale      

Il brano evangelico, nel versetto iniziale che non viene letto: «Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto» (v. 10a), si rifà a Luca 9,1-6 riguardante l’invio in missione dei dodici apostoli da parte di Gesù.

I vv. 10-11a rappresentano l’introduzione del racconto che vede Gesù invitare i suoi apostoli a ritirarsi “in disparte” dopo la loro attività missionaria. Si direbbe invano, perché la folla continuava a seguirli.

Il v. 11a sottolinea con il verbo “le accolse” la premura del Signore verso quanti lo seguono. Di essi si prende cura parlando «loro del regno di Dio», in qualche modo reso riconoscibile nella disponibilità di Gesù «a guarire quanti avevano bisogno di cure».

Il v. 12 nel dare ragguagli sull’ora, quella del tramonto, mette in campo i Dodici che si preoccupano della necessità della gente che li segue di trovare un alloggio per la notte e dei necessari rifornimenti di cibo con la precisazione «qui siamo in una zona deserta».

Segue, ai vv. 13-15, il dialogo tra Gesù e i discepoli avviato dall’ordine sorprendente ed incomprensibile dato da Gesù: «Voi stessi date loro da mangiare». La risposta mette in luce l’esiguità di ciò che essi hanno a disposizione: «cinque pani e due pesci» se messa in rapporto all’enorme numero di persone da sfamare: “cinquemila uomini” che vengono fatti accomodare per terra «a gruppi di cinquanta circa».

Il v. 16 che allude al racconto della cena rappresenta il centro del racconto occupato dal solo Gesù! Lui è il protagonista dei “gesti”: «prese i cinque pani e i due pesci» e «alzò gli occhi al cielo»; e delle parole di lode e di esaltazione di Dio: «recitò su di essi la benedizione»; e, ancora, del gesto importante, quello di “spezzare” i pani e di “darli” ai discepoli, i quali sono ora coinvolti nel distribuirli alla folla.

Con ciò si sottolinea ancora una volta, come già al v. 12, il ruolo di mediazione e la funzione di servizio dei Dodici che anticipa quello che dovranno assumere dopo la morte e la risurrezione del Maestro.

Il brano si chiude al v. 17 con le osservazioni relative all’abbondanza del cibo imbandito dal Signore. Non solo «tutti mangiarono a sazietà» ma addirittura, con i pezzi avanzati, si riempirono “dodici ceste” ad indicare, con ciò, la straordinaria grandezza di Dio che in Cristo, suo Figlio, viene incontro con sovrabbondanza e in modo definitivo, alle necessità degli uomini. “Sovrabbondanza”, quella di Dio, che sopravanza e si distingue da ogni altra abbondanza terrena.

Proclamato nel presente contesto liturgico dell’Epifania del Signore il brano evangelico mette in luce come Gesù, nel “pane” donato alla folla che lo segue, porta a compimento quanto è stato profeticamente annunziato nella «cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla terra» e che gli Israeliti, in marcia nel deserto, chiamarono “manna” (Lettura: Esodo 16).

In verità Gesù non solo è il vero Mosè che ottiene da Dio il “pane” come cibo per il popolo affamato ma è lui stesso in grado di donare il nutrimento a quanti lo seguono e di donarlo in misura sovrabbondante.

Anzi, come sappiamo, è Gesù stesso il “pane” che viene dal Cielo nella donazione senza misura fatta di sé, nell’imminenza della sua morte. In lui, nel suo agire, si manifesta la grandezza dell’amore di Dio per tutti, così cantato nel Prefazio: «è giusto benedirti in ogni tempo perché da te ci viene ogni alito di vita, da te ci è data ogni capacità di agire, da te dipende tutta la nostra esistenza. Nessun momento mai trascorre senza i doni del tuo amore, ma in questi giorni, dopo che abbiamo rivissuto la venuta tra noi del Signore Gesù e tutti i prodigi della redenzione, si fa più chiara e viva la coscienza delle passate gioie e dei beni presenti».

Posti davanti a un così traboccante dono dell’amore del Signore che, venendo nel mondo, «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (Epistola: 2Corinzi 8,9), impariamo da lui a fare altrettanto con il nostro prossimo, usando generosa carità, specialmente verso i poveri, i quali, spesso sono ricchi di fede e di grande umanità.

A questo, infatti, ci esorta l’Apostolo: «Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza» (v. 14). è quanto domandiamo nell’orazione Dopo la Comunione: «Tu che ci nutri e ci rinnovi, o Dio, con la sublimità di questi misteri di grazia, disponi i tuoi fedeli a rendere operosa nella vita la ricchezza della loro divina efficacia».

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16 gennaio 2011 - II Domenica dopo l’Epifania


1. L’epifania alle nozze di Cana
   

E' il “segno” compiuto da Gesù alle nozze di Cana ed evocato nell’inno dei Vespri dell’Epifania insieme alla “stella” che guida i Magi da Gesù, il Battesimo al Giordano e la moltiplicazione dei pani.

Il Lezionario prevede come Lettura: Numeri 20,2.6-13; e come Epistola: Romani 8,22-27; mentre il Vangelo è sempre preso da Giovanni 2,1-11. Alla Messa vespertina del sabato viene proclamato Luca 24,1-8, quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Giovanni 2,1-11    

In quel tempo. 1Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». 6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le anfore»; e le riempirono fino all'orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». 11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.    


3. Commento liturgico-pastorale       

Il brano evangelico che contiene la prima autorivelazione di Gesù si apre con l’ambientazione del racconto sia a livello locale, Cana di Galilea, sia nel contestualizzarlo in uno sposalizio e nel citare, tra gli invitati “la madre di Gesù”, Gesù e i suoi discepoli.    
I vv. 3-5 riportano le parole con cui Maria chiede a Gesù di intervenire per togliere gli sposi dall’imbarazzante situazione della mancanza di vino, la risposta apparentemente distaccata e misteriosa di Gesù che si rivolge alla madre con l'appellativo di “donna”: «Non è ancora giunta la mia ora» e l’ordine perentorio dato da Maria ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

I vv. 6-8 riferiscono l’intervento di Gesù che ordina ai servitori di riempire d’acqua “fino all'orlo” sei grosse anfore e di portarle all’incaricato di presiedere al buon andamento del banchetto.

I vv. 9-10 sono incentrati sulla constatazione del “miracolo” dell’acqua diventata vino da parte del direttore del banchetto il quale «non sapeva da dove venisse» l’enorme quantità di vino, per giunta “buono” che aveva sotto i suoi occhi.

Il v. 11 conclude il brano con l’osservazione che il prodigio dell’acqua mutata in vino «fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù» attraverso il quale «manifestò la sua gloria» ossia la sua origine divina e che favorisce nei suoi primi discepoli la decisione di credere “in lui”.

Il presente brano contraddistingue, come sappiamo, la seconda domenica “Dopo l'Epifania” e, una volta studiato a livello esegetico, va poi considerato alla luce del peculiare contesto liturgico in cui viene proclamato e, in primo luogo, dell’insieme delle altre lezioni bibliche e dei testi oranti del Messale.

In particolare va tenuta presente la Lettura che riporta l’evento dell’acqua scaturita dalla roccia percossa da Mosè, con il bastone, per esplicito comando del Signore: «E essa (la roccia) darà la sua acqua; tu farai uscire per loro l’acqua dalla roccia e darai da bere alla comunità e al loro bestiame» (Numeri 20,8). Con questo gesto Dio «si dimostrò santo in mezzo a loro» ovvero rivelò la sua divina potenza dispiegata a favore del suo popolo.

La stessa “santità” viene rivelata nel Signore Gesù la cui parola è capace di mutare l’acqua in vino. è a questa Parola venuta dal cielo che noi tutti siamo invitati a “credere” personalmente e come popolo santo del Signore, come diciamo nel salmo 94: «Noi crediamo, Signore, alla tua Parola».

Nei giorni della nostra vita, tra le immancabili gioie e dolori, nelle vicende spesso tragiche e inquietanti di questo mondo, siamo oggi esortati a fondare e a tenere ferma ogni nostra attesa e speranza, nella Parola fatta carne ossia in Gesù di Nazaret. Egli è in grado di donarci l’acqua pura della rivelazione di Dio, il Padre, dal quale egli è venuto.

Nella divina Parola, in Gesù, è perciò condensata per noi ogni dono e ogni grazia celeste come, a ragione, afferma la parte centrale del Prefazio: «Tu per alleviarci le fatiche della vita ci hai confortato con l’esuberanza dei tuoi doni e per richiamarci alla felicità primitiva ci hai mandato dal cielo Gesù Cristo tuo Figlio e Signore nostro».

Noi, dunque, a differenza di «colui che dirigeva il banchetto» (Giovanni 2,9) sappiamo bene “da dove viene” e chi è Gesù e, al pari dei discepoli, comprendiamo che occorre credere “in lui”. Per questo, perché possiamo camminare nella fede, «lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza», insegnandoci a «pregare in modo conveniente» (Epistola: Romani 8,26).

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9 gennaio 2011 – Battesimo del Signore


1. La prima domenica “dopo l’Epifania” 

  
Conclude il tempo liturgico di Natale facendo memoria del Battesimo di Gesù al Giordano, ad opera del Battista, evento “epifanico” nel quale, cioè, viene manifestato al mondo il mistero racchiuso nell’uomo che scende nell’acqua. Il Lezionario fa proclamare: Lettura: Isaia 55,4-7; Salmo 28; Epistola: Efesini 2,13-22; Vangelo: Matteo 3,13-17. Nella celebrazione vespertina del sabato viene proclamato: Marco 16,9-16 quale Vangelo della risurrezione.  


2. Vangelo secondo Matteo 3,13-17    

In quel tempo. 13Il Signore Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. 14Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». 15Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. 16Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. 17Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».  


3. Commento liturgico-pastorale    

Il testo si presenta diviso in due parti. Nei vv. 13-15 è riportato il dialogo tra Giovanni il Battista e Gesù che vuole essere battezzato da lui, mentre i vv. 16-17 narrano l’evento del Battesimo con la relativa teofania, ovvero, con la manifestazione di Dio. Va in particolare notata la resistenza iniziale opposta dal Battista alla richiesta di Gesù. Giovanni, infatti, sa molto bene chi è Gesù e come, lui solo, ha la capacità di battezzare «in Spirito e fuoco» (Mt 3,11) per l’effettiva remissione dei peccati.

Il suo, infatti, è un Battesimo “nell’acqua” di tipo, cioè, penitenziale in qualche modo orientato proprio al “Battesimo” di Gesù! La risposta di Gesù (v. 15) fa capire a Giovanni che il suo mettersi in fila con i “peccatori” bisognosi di purificazione e di perdono dice come lui obbedisce in tutto al disegno divino di universale salvezza rivelato nelle Sacre Scritture.

Il racconto del Battesimo vero e proprio è assai stringato (vv. 16-17). In esso si distinguono quattro elementi come il “salire” di Gesù dall’acqua del Giordano quale segno della sua “discesa” nella morte di croce e di “salita” nella sua risurrezione. Non a caso, perciò, l’apostolo Paolo attribuisce anche al nostro Battesimo un valore simbolico di morte e di risurrezione.

Il secondo elemento è rappresentato dalla “apertura dei cieli”. Essa permette di entrare in contatto con il mondo dove Dio abita. Ad essa fa seguito la visione dello Spirito Santo discendere su Gesù come “colomba”. Questa visione, si riallaccia a ciò che leggiamo nel libro della Genesi 1,2 dove si dice che al principio della creazione lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. Con ciò si vuol dire che in Gesù e a partire da lui lo Spirito è all’opera in vista di una nuova creazione. Quella precedente, come ben sappiamo, ha fatto naufragio e con essa l’umanità.

L’ultimo elemento è la “voce” dai cieli a indicare Dio stesso che qui si rivolge ai presenti per rivelare che quell’uomo che “sale dall’acqua” è il «Figlio mio, il prediletto, nel quale mi sono compiaciuto». Si tratta di una citazione di Is 42 modificata dall’evangelista: colui  che il Profeta indicava come il “servo” qui è il “Figlio” di Dio (cfr. Salmo 2,7), non “eletto”, ma il “prediletto” ossia il Figlio quello “unico”, quello che Dio “ama” (cfr. Genesi 22,2 in riferimento a Isacco, figlio “unico” di Abramo).

Queste parole, in realtà, ci richiamano l’ora suprema dell’epifania del Figlio di Dio che è l’ora della sua croce nella quale egli riceve dal Padre l’“onore” più grande: quello di diventare il punto di raccolta dell’umanità così indicata dal Profeta: «Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni. Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo d’Israele che ti onora» (Lettura: Isaia 55,4-5).

Anche l'Epistola mette in luce la destinazione universale dei disegni salvifici di Dio che si rivelano nel Figlio “amato” e che riguardano tutti gli uomini: «Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo» (Efesini, 2,13). Egli, come figlio obbediente, pronto a compiere la volontà del Padre, fino alla consegna di sé sulla croce, è come il capostipite di una moltitudine non più di “lontani”, ma di “vicini”, non più di “nemici”, ma di “riconciliati”, non più di «stranieri né ospiti», ma di «concittadini dei santi e familiari di Dio» (v. 19).

Tutto ciò è “annunziato” nell’evento del Battesimo al Giordano che, perciò, segna il momento tra i più significativi dell’epifania del Signore il Figlio, l’unico, l’amato, nel quale il Padre ha deciso di concedere a tutti il “perdono e la pace” e specialmente di rendersi a tutti accessibile e di farsi da tutti trovare. è l’esortazione del Profeta: «Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona» (Isaia 55,6-7).

La preghiera liturgica, sola, è in grado di offrire una mirabile sintesi orante del “mistero” che oggi evochiamo, e che consiste nella manifestazione, da parte di Dio, del “Salvatore degli uomini” e della manifestazione di Dio stesso quale “padre della luce”: «Hai schiuso i cieli, hai consacrato le acque, hai vinto le potenze del male e hai indicato il tuo Figlio unigenito, su cui in forma di colomba era apparso lo Spirito Santo. Oggi l’acqua, da te benedetta, cancella l’antica condanna, offre ai credenti la remissione di ogni peccato e genera figli di Dio, destinati alla vita eterna. Erano nati secondo la carne, camminavano per la colpa verso la morte; ora la vita divina li accoglie e li conduce alla gloria dei cieli» (Prefazio).

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6 gennaio 2011 – Epifania del Signore


1. La solennità odierna
     

E' sempre stata celebrata con grande solennità nella nostra tradizione liturgica come culmine delle feste natalizie. Essa celebra il Natale come “manifestazione” fatta da Dio del suo Figlio Gesù: a tutti i popoli della terra rappresentati dai Magi, nel Battesimo sul fiume Giordano, nell’acqua mutata in vino alle nozze di Cana, nei cinquemila sfamati con cinque pani! Segno della speciale solennità è il fatto che essa possiede, come il 25 dicembre, una propria liturgia vigiliare vespertina completa di lezioni bibliche e di orazioni e due celebrazioni eucaristiche: quella della Vigilia e quella nel giorno.    


2. La liturgia vigiliare vespertina    

Prevede la proclamazione di quattro letture vetero-testamentarie seguite ciascuna da una preghiera conclusiva e di due letture per la Messa vigiliare.  

I testi del Lezionario
- La I Lettura, presa dal Libro dei Numeri 24,15-25a, riporta la “profezia” di Balaam che vede spuntare una “stella” da Giacobbe. La II Lettura, presa da Isaia 49,8-13, presenta l’annunzio dell’accorrere dei popoli “da settentrione e da occidente” verso la Città santa. La III Lettura: 2Re 2,1-12b, parla del “rapimento” del profeta Elia, in cielo, su un “carro di fuoco”. La IV Lettura presa da 2Re 6,1-7 riporta il fatto misterioso del recupero del “ferro della scure” dalle acque del Giordano mediante “un legno” gettato nell’acqua.
- L’Epistola: Tito 3,3-7 è incentrata sulla proclamazione della “bontà” e della “misericordia” di Dio verso tutti gli uomini, in Cristo Gesù rigenerati con un’acqua che “rinnova nello Spirito Santo”.
- Il Vangelo: Giovanni 1,29a.30-34, riporta il racconto del Battesimo di Gesù con al centro la dichiarazione del Battista su colui che “battezza nello Spirito Santo”.  

I testi del Messale    

Riportiamo qui il Prefazio e l’orazione Dopo la Comunione:

Prefazio
   
«E' veramente cosa buona e giusta, renderti grazie, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno. Oggi in Cristo, luce del mondo, tu hai rivelato ai popoli l’ineffabile mistero della salvezza e in lui, apparso nella nostra carne mortale, ci hai rinnovato nella manifestazione della sua gloria divina. Per questo tuo dono ci uniamo agli angeli e ai santi per cantare gioiosi l’inno della tua lode».  

Orazione Dopo la Comunione
«Dio misericordioso, possa lo sguardo del nostro cuore, purificato da questa celebrazione, penetrare più a fondo nei misteri che ci sono stati rivelati dalla luce di Cristo, che vive e regna nei secoli dei secoli».      


3. La Messa del giorno  

I testi del Lezionario
- Lettura: Isaia 60,1-6. Contempla l’accorrere di tutte le genti verso Gerusalemme: «tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore».
- Epistola: Tito 2,11-3,2. Per l’Apostolo, in Gesù, è apparsa nel mondo la “grazia di Dio” venuta «a formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone».
Vangelo: Matteo 2,1-12
In quel tempo. 1Nato il Signore Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
6E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele».
7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
9Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse  e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Al vedere la stella provarono una gioia grandissima. 11Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
       

I vv. 1-2 riferiscono del viaggio dei Magi a Gerusalemme alla ricerca del “re dei Giudei” del quale hanno visto spuntare “la sua stella”. Segue la reazione “turbata” del re Erode e la proclamazione della profezia di Michea che indica in Betlemme la città di Giuda da cui uscirà «un capo che sarà pastore del mio popolo, Israele».    
I vv. 7-11 riportano il “mandato” ricevuto dai Magi da Erode e il loro arrivo, guidati dalla stella, alla casa dove «videro il bambino con Maria sua madre».    
Il v. 12 conclude il racconto con il ritorno in patria dei Magi senza passare di nuovo da Erode.  

I testi del Messale

Prefazio:  
«E' veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre, qui e in ogni luogo, a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno. Cominciando dalla sua nascita prodigiosa il tuo Verbo rivela al mondo la tua potenza divina con segni molteplici: la stella guida dei Magi, l’acqua mutata nel vino e al Battesimo del Giordano la proclamazione del Figlio di Dio. Da queste chiare manifestazioni salvifiche fulgidamente è apparsa ai nostri occhi la tua volontà di donarti nel tuo Figlio amatissimo. Egli è la via che conduce alla gioia perenne, la verità che ci immerge nella luce divina, la fonte inesauribile della vita vera. Per la crescente rivelazione della tua gloria, ci uniamo felici agli angeli e ai santi nell’inno di lode».  

Alla Comunione  
«Oggi la Chiesa si unisce al celeste suo sposo
che laverà i suoi peccati
nell’acqua del Giordano.
Coi loro doni accorrono i Magi
alle nozze del Figlio del Re,
e il convito si allieta di un vino mirabile.
Nei nostri cuori risuona la voce del Padre
che rivela a Giovanni il Salvatore:
«Questi è il Figlio che amo:
ascoltate la sua parola»
.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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