La “grande domenica”, la “festa che dà origine a tutte le feste”, prende avvio nella Veglia Pasquale cuore e centro dell’intero anno liturgico, nel quale la Chiesa rivive ogni anno il mistero della salvezza portato a compimento nella morte e risurrezione del Signore. Essa dà inizio ai cinquanta giorni della gioia pasquale, considerati come un prolungamento festivo della “grande domenica”. Tra di essi spiccano i primi otto giorni, vale a dire la settimana “in albis”, che la nostra tradizione liturgica celebra con solennità.
La medesima tradizione, propria della nostra Chiesa Ambrosiana prevede, per questa domenica, due distinte celebrazioni: la “Messa per i battezzati”, da celebrare qualora vi fossero dei battesimi, e la “Messa nel giorno” che qui proponiamo.
Il Lezionario per la “Messa nel giorno”
Sono previste le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Atti degli Apostoli 1,1-8a; Salmo 117; Epistola 1Corinzi 15,3-10a; Vangelo: Giovanni 20,11-18.
Lettura degli Atti degli Apostoli (1,1-8a)
1Nel mio primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi 2fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
3Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. 4Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: 5Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni sarete battezzati in Spirito Santo».
6Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». 7Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, 8ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi»
Il brano riporta il prologo del libro nel quale l’autore si riallaccia a quanto ha scritto «nel primo racconto», ossia nel Vangelo, a proposito di quanto Gesù ha detto e fatto nella sua vita terrena fino alla sua ascensione in cielo, ovvero con il suo ritorno glorioso al Padre (vv. 1-2).
I vv. 3-5 riferiscono le disposizioni impartite agli Apostoli dal Signore risorto nei giorni prima della sua ascensione e parlano della promessa del battesimo «in Spirito Santo» nel quale saranno battezzati al compiersi dei giorni pasquali.
Agli apostoli, interessati alla restaurazione del regno per Israele, il Signore risponde che ciò dipende dagli imperscrutabili disegni di Dio e che l’effusione dello Spirito darà ad essi la forza di annunziare e di testimoniare ciò che la sua potenza ha compiuto in Cristo (vv. 6-8).
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (15,3-10a)
Fratelli, 3a voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che 4fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture 5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. 8Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. 9Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. 10Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana.
I versetti riportati gravitano attorno all’essenziale proclamazione di fede che Paolo “trasmette” ai fedeli di Corinto e che a sua volta ha “ricevuto”. Essa è fondata sul fatto storico con portata salvifica qual è la morte, la sepoltura, e la risurrezione il terzo giorno del Signore Gesù (vv. 3-5). I vv. 6-8 documentano la veridicità della risurrezione del Signore a partire dalla sua apparizione «a Cefa e quindi ai Dodici» (v. 5) e a numerosi fratelli, fino a quella riservata sulla via di Damasco (cfr. Atti degli Apostoli 9,1-6) proprio a lui, fino ad allora persecutore della Chiesa e, ora, apostolo per grazia di Dio (vv. 9-10).
Lettura del Vangelo secondo Giovanni ( 20,11-18)
In quel tempo. 11Maria di Magdala stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». 16Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». 17Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». 18Maria di Magdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.
Il brano odierno segue immediatamente il racconto della “corsa” fatta al sepolcro da Pietro e Giovanni ai quali proprio Maria di Magdala, recatasi di buon mattino al sepolcro, aveva annunziato: «Hanno portato via il Signore dalla tomba e non sappiamo dove l’hanno posto!» (20,1-10). Il v. 11 presenta Maria nuovamente presso il sepolcro nel quale aveva già constatato l’assenza del corpo del Signore. I vv. 12-13 riferiscono la visione di due angeli biancovestiti e del loro dialogo con Maria. Segue la visione di Gesù che Maria però non riconosce subito (vv. 14-15) fino a che il Signore stesso la chiama per nome e si fa riconoscere (v. 16). A lei affida il compito di recare agli apostoli l’annunzio del suo ritorno al Padre che, da quel momento, sarà il Dio e il Padre di chi crede (v.17). Compito che Maria prontamente esegue annunciando ciò che ha visto e udito dal Signore (v.18).
Commento liturgico-pastorale
Questo racconto, come quello dell’esperienza di Pietro e di Giovanni al sepolcro vuoto, intende proporre a tutti il lettori e gli ascoltatori del Vangelo l’annunzio della risurrezione del Signore come fondamento per la loro adesione di fede in lui. Un’adesione che, normalmente, procede per gradi come avvenne in Maria. Ella, totalmente sopraffatta dal dolore per la morte e ora per la scomparsa del corpo di Gesù, non riconosce nei due suoi pur speciali interlocutori, i portatori e i testimoni celesti della risurrezione di Cristo. Le loro vesti bianche e la loro posizione, «seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù» (Vangelo: Giovanni 20,12), segnalano, infatti, in tutta evidenza la loro origine celeste che Maria, però, non riesce a cogliere perché, pur amando più di se stessa il Signore, questi, alla fine, è oramai per lei solo un corpo esanime! Tutto ciò rappresenta, in questa donna, un primo passo nel suo cammino di fede destinato a crescere in pienezza solo nell’incontro faccia a faccia con il Risorto.
L’iniziale equivoco di Maria che scambia Gesù con il “custode del giardino” (v. 15), vuole significare che il Maestro da lei conosciuto e amato ora non è più di questo mondo e, pertanto, per poterlo “riconoscere”, è necessario che lui le si manifesti nella sua nuova condizione di vita. Perciò, d’ora in poi, Gesù non andrà più cercato, come fa Maria, tra i morti, ma nella sua nuova identità di Figlio glorificato.
Per questo Gesù, chiamando Maria per nome, la costringe ad andare oltre il dolore per la sua morte e a riconoscerlo finalmente come vivente! Ciò è reso evidente nel grido della donna: «Rabbunì!», il titolo, cioè, con il quale si è sempre rivolta a lui. È il grido del riconoscimento di fede oramai piena e definitiva: il Maestro che ha visto pendere dalla croce e deporre nel sepolcro è davanti a lei vivo!
Le parole consegnate a Maria per i discepoli, che il Signore glorificato chiama «miei fratelli», costituiscono l’apice dell’intero racconto: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (v. 17). Con questo solenne messaggio Gesù afferma che il suo ritorno al Padre, vale a dire la sua esaltazione e glorificazione avviata con la salita sulla Croce, sta per diventare definitiva anche nelle conseguenze riguardanti i discepoli e tutti coloro che, lungo i secoli, crederanno in lui.
Questi, infatti, d’ora in poi potranno con lui chiamare Dio “Padre”, assumendo così una vera relazione filiale ed entrando in quel rapporto di amore che unisce il Padre e il Figlio dall’eternità.
Trova, così, risposta la domanda formulata dagli apostoli al Risorto: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (Lettura: Atti degli Apostoli 1,6). Nella sua pasqua Gesù non ha ricostituito il regno per una nazione soltanto, ma in lui tutte le genti possono rivolgersi a Dio come al loro Dio, il Dio che assicura ad essi la sua alleanza, che non verrà mai meno perché inaugurata ed «esaltata nel sangue del Signore» (Prefazio).
L’annunzio che Maria deve recare ai discepoli divenuti fratelli è l’annunzio che la Chiesa, comunità dei credenti, deve recare a tutti gli uomini e che l’Apostolo ha sinteticamente così formulato: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture» (Epistola: 1Corinzi 15,3-4).
Si tratta di un annuncio liberante perché, nella sua morte, il Signore «ha portato i peccati di tutti e di tutti ha cancellato la colpa» (Prefazio), togliendo di mezzo la causa della rovina temporale ed eterna dell’uomo.
Possiamo perciò a ragione affermare che con la sua morte il Signore ha tratto «dall’abisso del peccato» il mondo intero e con la sua risurrezione «il terzo giorno» ha introdotto fin da ora i credenti «nel regno dei cieli» (Prefazio).
La celebrazione eucaristica continua a trasmettere non solo l’annunzio evangelico del Risorto, ma la sua attualizzazione nei santi misteri che ci donano di sperimentare, fin da questa vita, la reale consistenza della nostra partecipazione alla sua Pasqua come comunione d’amore con il Padre, per mezzo del suo Figlio, nello Spirito Santo.
Esperienza questa a cui la preghiera liturgica invita l’umanità intera: «O popoli, venite con timore e fiducia a celebrare l’immortale e santissimo mistero. Le mani siano pure e avremo parte al dono che ci trasforma il cuore. Cristo, agnello di Dio, si è offerto al Padre, vittima senza macchia. Lui solo adoriamo, a lui diciamo gloria, cantando con gli angeli: Alleluia» (Alla Comunione).
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