1. La seconda domenica “dopo il martirio” di san Giovanni il Precursore
Presenta Gesù, il Figlio “obbediente” nel quale anche noi siamo chiamati a diventare figli di Dio. Le lezioni bibliche del Lezionario sono: Lettura: Isaia 5,1-7, Salmo 79; Epistola: Galati 2,15-20; Vangelo: Matteo 21,28-32. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella Messa vigiliare del sabato è preso da: Giovanni 20,1-8. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXIV domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.
2. Vangelo secondo Matteo 21, 28-32
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose. “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
3. Commento liturgico pastorale
Il brano appare chiaramente diviso in due parti. I vv 28-31a riportano la “parabola” dei due fratelli dal comportamento dissimile nei confronti della richiesta del loro padre di andare a lavorare nella vigna di famiglia. Chi dice: «Non ne ho voglia», poi «si pentì e vi andò», mentre chi con slancio dice subito: «Sì, signore», di fatto, «non vi andò». La parabola, è bene ricordarlo, è rivolta ai sommi sacerdoti e agli scribi (v 23).
Nella seconda parte: (vv 31b-32) abbiamo l’applicazione della parabola che si apre con la domanda retorica posta da Gesù ai suoi interlocutori seguita dal “detto” riguardante “i pubblicani e le prostitute” evidentemente raffigurati nel primo figlio. Essi, una volta pentiti, accolgono il volere di Dio e, perciò, «passano avanti nel regno di Dio», s’intende, ai sommi sacerdoti e agli scribi.
Al v 32 viene registrato il “detto” con il quale Gesù stesso pone in relazione la parabola con la predicazione del Battista a cui i capi hanno opposto un rifiuto. Essi, perciò, sono raffigurati nel secondo figlio.
I brani biblici odierni e il testo evangelico, in particolare, letti nel peculiare momento liturgico che prende avvio dalla memoria del martirio del Battista, ci invitano a guardare al cuore della predicazione e della missione del Precursore del Signore che prepara l’immediata sua venuta.
Al centro della predicazione del Battista è posto, come sappiamo, l’annunzio del regno di Dio, con il perentorio invito a prendere con urgenza una decisione davanti al Regno stesso. Decisione che comporta la conversione del cuore e della vita significata esteriormente nella successiva immersione battesimale nell’acqua.
Ciò che sorprende è che i più pronti ad accogliere e a credere alla predicazione di Giovanni sono persone di per sé ritenute perdute e irrimediabilmente irrecuperabili: “pubblicani e prostitute”, appunto, mentre i “capi” del popolo, dediti allo studio delle Scritture, non hanno accolto né “creduto” in Giovanni e nella sua predicazione.
Lo stesso avviene di fronte alla Parola vivente di Dio, a Gesù e alla sua predicazione. Egli è il Figlio obbediente che il Padre manda a lavorare “nella sua vigna”, nella «casa d’Israele» (Lettura: Isaia 5,7) che è, in verità, l’intera umanità. Egli, diversamente dal Battista, viene nel mondo non solo per “annunziare” che il regno di Dio “è vicino” ma per portare effettivamente, proprio nella sua persona, il regno di Dio e il conseguente estremo appello alla conversione e alla fede per potervi accedere.
Davanti a Gesù ogni uomo è perciò sollecitato a prendere una decisione che, come avverte la parabola, può risultare del tutto sorprendente e inattesa. C’è chi, al pari del “primo figlio”, trattenuto e come imprigionato dall’attaccamento al peccato, sembra rispondere a Gesù con un rifiuto, un “no” deciso. È il “no” detto da Paolo di Tarso, orgoglioso della “via della giustizia” ovvero dell’osservanza della Legge, finché non si arrende a Gesù il «Figlio di Dio che mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me» (Epistola: Galati 2,20).
C’è chi, conducendo un’esistenza apparentemente irreprensibile anche dal punto di vista religioso sembra naturalmente candidato a entrare nel “regno”. Di fatto, credendosi a posto e ritenendo di camminare sulla “via della giustizia”, non avverte il bisogno di quella profonda conversione del cuore al volere di Dio indispensabile per cogliere l’urgenza del regno.
Tutto ciò deve far molto riflettere anche noi, membra della Chiesa, che, a ragione, ci chiamiamo “vigna” del Signore e «sua piantagione preferita» (Isaia 5,7). Non deve capitare che il Signore mentre si aspetta da noi “giustizia”, ossia prontezza nel fare il suo volere, debba ricevere invece “acini acerbi” ovvero presuntuosa chiusura e pratico rifiuto a obbedire e a credere!
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