26 febbraio 2012 – Domenica inizio Quaresima


Nella tradizione liturgica ambrosiana la Quaresima inizia con questa domenica, sesta prima di Pasqua e si conclude al Giovedì Santo. Essa ha il compito di preparare all’annuale solenne celebrazione della Pasqua mediante la memoria del Battesimo e l’esercizio della Penitenza.


Il Lezionario

Le lezioni scritturistiche per il tempo quaresimale sono reperibili nel secondo Libro del Lezionario Ambrosiano intitolato: Mistero della Pasqua del Signore. Caratteristica di questa prima domenica è la proclamazione in ogni anno del Vangelo delle tentazioni del Signore secondo Matteo 4,1-11 mentre, per il corrente anno B, la Lettura è presa da Isaia 57,15-58,4a; il Salmo 50 (51) e l’Epistola da 2 Corinzi 4,16b-5,9. Alla messa vigiliare del sabato si proclama Marco 16,9-16 quale Vangelo della Risurrezione.


Lettura del profeta Isaia (57,15-58,4a)

In quei giorni. Isaia disse: 15«Così parla l’Alto e l’Eccelso, che ha una sede eterna e il cui nome è santo. “In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi. 16Poiché io non voglio contendere sempre né per sempre essere adirato; altrimenti davanti a me verrebbe meno lo spirito e il soffio vitale che ho creato. 17Per l’iniquità della sua avarizia mi sono adirato, l’ho percosso, mi sono nascosto e sdegnato; eppure egli, voltandosi, se n’è andato per le strade del suo cuore. 18Ho visto le sue vie, ma voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni. E ai suoi afflitti 19io pongo sulle labbra: ‘Pace, pace ai lontani e ai vicini – dice il Signore – e io li guarirò’”. 20I malvagi sono come un mare agitato, che non può calmarsi e le cui acque portano su melma e fango. 21“Non c’è pace per i malvagi”, dice il mio Dio. 1Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce come il corno, dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati. 2Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: 3“Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?”. Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affanni, angariate tutti i vostri operai. 4Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi”».
 
L’argomento centrale dei vv. 15-21 riguarda l’atteggiamento amorevole e premuroso di Dio verso gli oppressi e gli umiliati (v. 15), la sua disponibilità a lasciar cadere il giudizio e il castigo sul suo popolo peccatore (vv. 16-17); egli invece vuole sanarlo, guidarlo, consolarlo (vv. 18-19). I primi quattro versetti del cap. 58 avviati dal comando del Signore al Profeta di «dichiarare al mio popolo i suoi delitti» (v. 1), riguardano l’urgenza di dare spessore interiore alle pratiche religiose come quella del digiuno, delle quali si parlerà diffusamente nei vv. 5-7.


Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (4,16b-5,9)

Fratelli, 16bse anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. 17Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: 18noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne. 1Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. 2Perciò in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste 3purché siamo trovati vestiti, non nudi. 4In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. 5E chi ci ha fati proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito. 6Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – 7camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, 8siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. 9Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi.

Il brano riprende la parte conclusiva (vv. 16-18) del cap. IV, nella quale l’Apostolo parla delle speranze e delle tribolazioni che deve affrontare nello svolgimento del suo ministero, che consiste essenzialmente nell’annuncio del Vangelo del Signore Gesù Cristo.

Qui, in particolare, si mette in parallelo il progressivo inarrestabile decadimento della vita fisica (uomo esteriore), motivato anche dalle fatiche apostoliche e, al contrario, il contemporaneo progresso dell’uomo interiore (v. 16), vale a dire dell’uomo che si è rivestito di Cristo e nel quale abita il suo Spirito.

Di conseguenza l’Apostolo è pronto ad affrontare la tribolazione, che sa di breve durata e consistenza se messa in raffronto alla «gloria smisurata ed eterna» (v. 17) che attende ogni fedele ministro del Vangelo che concentra tutta la sua vita sulle realtà invisibili, vale a dire sulla partecipazione al trionfo del Signore crocifisso e risorto (v. 18). Il discorso viene esteso nei vv. 1-9 del cap. V a tutti i credenti, in attesa anch’essi di ricevere «una dimora non costruita da mani d’uomo» (v. 1), ossia un corpo e un’esistenza celeste conforme a quella del Signore Risorto.

Si comprende allora il desiderio di «rivestirci della nostra abitazione celeste» (v. 2) ma senza essere “spogliati” di quella terrena, ossia senza passare attraverso la morte (v. 4). Del resto l’anelito alla vita è stato posto in noi da Dio con il dono dello Spirito al pari di una caparra (v. 5).

Di qui la concezione della vita terrena come un esilio che ci tiene separati dal Signore (vv. 6-8); comunque, occorre fare di tutto per essere trovati da lui graditi (v. 9) e stare così per sempre con lui.


Lettura del Vangelo secondo Matteo (4,1-11)

In quel tempo. 1Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». 5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». 7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». 8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». 11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Il presente brano segue immediatamente il racconto del battesimo al Giordano (Mt 3,13-17) e ad esso si riallaccia ponendo in primo piano l’azione dello Spirito nel condurre Gesù nel deserto per andare incontro alla tentazione da parte del diavolo, una parola greca che significa “colui che divide o distoglie” da Dio (v. 1).

Il v. 2, con allusione all’esperienza di Mosè al Sinai (Es 24,18; 34,28) e del profeta Elia nel deserto (1Re 19,8), riferisce che Gesù: «dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame». Su tale constatazione si iscrive la prima tentazione (vv. 3-4), che potremmo chiamare quella del pane.

Essa riguarda il “vero nutrimento” di cui l’uomo ha davvero bisogno per “vivere” e che, stando alla risposta di Gesù al tentatore, presa da Deuteronomio 8,3, consiste in «ogni parola che esce dalla bocca di Dio» e che è contenuta nelle Scritture.

La seconda è la tentazione del punto più alto del tempio (vv. 5-7) di Gerusalemme, dal quale Gesù viene invitato a gettarsi mettendo alla prova Dio stesso che, stando al Salmo 91,11-12 parzialmente citato dal diavolo, dovrebbe intervenire a sua protezione e custodia. La risposta di Gesù, presa da Deuteronomio 6,16, esclude di attendere da Dio un segno prodigioso per credere e obbedirgli.

La terza tentazione è quella del monte altissimo (vv. 8-10), dal quale il satana mostra a Gesù il suo regno, ovvero il mondo intero, e si dichiara disposto a cederlo a lui ad una condizione: che egli volti le spalle a Dio interrompendo così il suo rapporto filiale con lui!

Con la sua decisa risposta, presa da Deuteronomio 6,13, Gesù allontana da sé il tentatore e ribadisce la sua piena e definitiva obbedienza al Padre nella quale consiste l’adorazione e il vero culto a Dio. Il racconto si chiude al v. 11 con il satana che abbandona, sconfitto, il campo e con l’intervento degli angeli che si prendono cura di Gesù fornendogli il cibo.


Commento liturgico-pastorale

La lettura annuale del Vangelo delle tentazioni caratterizza la domenica di avvio della Quaresima e, di conseguenza, illumina l’intero cammino quaresimale verso la Pasqua di morte e risurrezione da compiere tenendo lo sguardo su Gesù, il Figlio obbediente, e vivendo di «ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

È il programma per i giorni quaresimali ed è il programma di vita per quanti desiderano «abitare presso il Signore» (Epistola: 2Corinzi 5,8b), ossia rivestirsi di lui per prendere definitivamente parte della sua gloria di cui abbiamo ricevuto la caparra nella rigenerazione battesimale.

Occorre però aver chiaro in mente che il cammino in vista del traguardo finale che la solenne celebrazione della Pasqua ogni anno ci fa intravedere, è un cammino contrassegnato da tribolazioni e da prove, dalle quali non è facile per noi uscire indenni e vincitori.

Bisogna riconoscere che non pochi soccombono sotto il peso anche momentaneo delle tribolazioni e delle tentazioni, come può essere l’esperienza drammatica della progressiva distruzione della «nostra dimora terrena» ossia della sofferenza, del decadimento fisico e, in ultimo, della morte.

Non pochi inoltre soccombono al male cedendo al fascino perverso del peccato che impedisce la comunione con Dio fonte della nostra vita. La pagina evangelica indica nel Signore Gesù la via per superare tribolazioni e prove. È la via dell’accoglienza autentica e profonda della Parola di Dio come norma del nostro vivere e agire in ogni situazione e in ogni esperienza che la vita ci presenta.

La Quaresima è perciò il tempo “favorevole” perché reimpostiamo l’intera nostra esistenza in base alla “giustizia”, ossia nell’ascolto attento e nell’obbedienza alla Parola. Dio stesso ci incoraggia a fare ciò rivelandosi come un Dio che non vuole «contendere sempre, né sempre essere adirato» (Lettura, Isaia 57,16) ma è deciso a sanarci, a guidarci e a offrirci consolazioni (cfr. Isaia 57,18).

Una simile consapevolezza deve mettere in moto nei singoli credenti e nell’intera Comunità ecclesiale la decisione di non camminare più per le strade del nostro cuore malvagio (cfr. Isaia 58), ma di volgere i nostri passi sulla via tracciata e percorsa per primo dal suo Figlio obbediente, così declinata dalla preghiera liturgica: «Prepariamoci con molta pazienza, con molte rinunce, con armi di giustizia,per grazia di Dio. Nessuno si faccia trovare, nel giorno della redenzione, ancora schiavo del vecchio mondo del peccato» ( Canto Dopo il Vangelo).

È la via che propone l’ascolto della Parola come “cibo” in grado di sostenerci fino al momento in cui saremo definitivamente “rivestiti” di Cristo, partecipi cioè della sua Risurrezione. Con l’ascolto della Parola viene inoltre proposto il digiuno, da intendere non tanto come privazione di alimenti materiali, ma come privazione e mortificazione del cuore cattivo chiuso nell’egoistica ricerca di sé e che ci estranea da Dio e ci rende alieni gli uni verso gli altri.

L’itinerario quaresimale contraddistinto dall’ascolto della Parola e dal digiuno in vista della carità, è reso possibile dalla sosta eucaristica domenicale. In essa «ritroviamo il Pane vivo e vero che, quaggiù, ci sostenta nel faticoso cammino del bene e, lassù, ci sazierà della sua sostanza nell’eternità beata del cielo» (Prefazio).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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