19/02/12 – Ultima domenica dopo l’Epifania


Ultima Domenica dopo l’Epifania
 
È la domenica detta “del perdono” e precede immediatamente la Quaresima. Essa, pertanto, chiude, con il tempo dopo l’Epifania, il tempo liturgico avviato dall’Avvento e incentrato sul mistero dell’Incarnazione e della Natività del Signore.


Il Lezionario

Prescrive la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 54,5-10; Salmo: 129 (130); Epistola: Romani 14,9-13; Vangelo: Luca 18,9-14. Alla messa vigiliare del sabato viene letto Luca 24,13b.36-48 quale Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della VII domenica del Tempo “per annum” nel Messale Ambrosiano.


Lettura del profeta Isaia (54,5-10)

In quei giorni. Isaia disse: «5Tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo di Israele, è chiamato Dio di tutta la terra. 6Come una donna abbandonata e con l’animo afflitto, ti ha il Signore richiamata. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? Dice il tuo Dio. 7Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore. 8In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il redentore, il Signore. 9Ora è per me come ai giorni di Noè, quando giurai che non avrei più riversato le acque di Noè sulla terra; così ora giuro di non più adirarmi con te e di non farti più minacce. 10Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace; dice il Signore che ti usa misericordia».

Il brano si riferisce alla volontà di Dio di ristabilire Gerusalemme dopo la sua distruzione a opera dei Persiani (597 a.C.) e la deportazione del popolo. Il ristabilimento è qui indicato nella rappresentazione di Dio come Sposo del suo popolo (v. 5) che a causa della sua perversione viene abbandonato per «un breve istante». L’amore di Dio però è più grande e, perciò, torna a mostrarsi e a prendersi cura di esso «con affetto» perenne (vv. 7-8). Un affetto a cui Dio non verrà mai più meno per nessuna ragione (vv. 9-10).


Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (14,9-13)

Fratelli, 9per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi. 10Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci prostreremo al tribunale di Dio, 11poiché sta scritto: «Come è vero che io vivo, dice il Signore, ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio» 12Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso. 13Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non essere causa di inciampo o di scandalo al fratello.

Il contesto dal quale è preso il brano è quello riguardante l’esortazione rivolta dall’Apostolo ai fedeli di Roma ad avere carità gli uni verso gli altri accogliendosi nelle diversità di osservanza di alcune pratiche ascetiche come ad esempio il digiuno o l’astinenza da alcuni alimenti. La regola dunque è la rinuncia al giudizio e al disprezzo dell’altro (v. 10) nella consapevolezza che chi giudica tutti è solo Dio (vv. 11-12, cfr. Is 45,23; 49,18).


Lettura del Vangelo secondo Luca (18,9-14)

In quel tempo. Il Signore Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. 14Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».

Il v. 9 dice la motivazione della parabola con la quale Gesù stigmatizza il modo di pensare di alcuni nei quali, come si vedrà al v. 10, è facile riconoscere i farisei convinti di essere giusti davanti a Dio a motivo della formale e presunta osservanza della Legge. Per questo erano portati a sentirsi superiori e, quindi, al disprezzo degli altri.

A ben guardare la preghiera del fariseo (vv. 11-12) a partire dalla posizione eretta, è in realtà un’autoglorificazione e celebrazione della devota osservanza di alcuni precetti quali il digiuno e il pagamento assai generoso delle decime dovute al Tempio (cfr. Deuteronomio 14,22-29).

La preghiera del pubblicano (v. 13), appartenente a una categoria di gente con la quale il fariseo non aveva nessun contatto perché ritenuti legalmente peccatori, denota a partire dagli atteggiamenti esterni: la distanza che pone tra sé e Dio, la faccia a terra, il percuotersi il petto, la verità delle sue parole con le quali riconosce la sua condizione di peccatore e dunque l’abbandono alla misericordia di Dio.

La conclusione di Gesù al v. 14 ribalta le posizioni iniziali: chi stava eretto viene ora abbassato mentre chi si era posto in tutta umiltà viene esaltato ricevendo la giustificazione, ossia la gratuita certificazione del perdono datagli da Dio.


Commento liturgico-pastorale

Nel mistero del suo Natale il Signore si è manifestato nel mondo come il Figlio unico rivelatore di Dio e portatore del suo disegno di universale salvezza. Ciò che egli ha effettivamente compiuto nell’ora della sua Pasqua nella quale ha rivelato Dio stesso nel cui cuore arde l’amore per tutti gli uomini a lui sottratti dal potere del male che li soggioga.

Nella Lettura il profeta non esita a paragonare Dio a uno sposo che, a motivo dell’infedeltà della sua sposa, ossia Israele suo popolo, «in un impeto di collera» l’ha «abbandonata», le «ha nascosto il suo volto». Per poco, però, per un breve istante (Isaia 54,5-10). Al suo popolo Dio stesso rivela di sentire per lui «un affetto perenne» (v. 8) che lo porta ad avere pietà di lui sempre e comunque. Un affetto così grande che «Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto» (v. 10).

È questo incredibile affetto di Dio per il suo popolo come rappresentante dell’intero genere umano a indurlo a mostrare a tutti visibilmente il suo volto in Cristo suo Figlio: il volto di un Dio che largamente perdona e che a tutti vuole usare misericordia rinunziando a far ricadere, come ai tempi di Noè (Isaia 54,5-10) il meritato castigo.

Misericordia di cui ha bisogno ogni uomo senza eccezione dal momento che nessuno è in grado, con la sua forza, di ristabilire con Dio, tre volte Santo, quell’alleanza e quel rapporto di amore spezzato dall’infedeltà e dal peccato.

È quanto ha esemplarmente compreso il pubblicano protagonista della pagina evangelica che, pienamente consapevole della condizione infelice in cui si trova, non ha appigli, non ha giustificazioni a cui aggrapparsi ma, stando a debita e reverenziale distanza, con la faccia a terra, battendosi il petto si pone nelle mani della Misericordia. «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Vangelo: Luca 18,9-14).

Non così il fariseo che ama ostentare davanti a Dio e agli uomini la sua presunta giustizia, che lo porta addirittura a sostituirsi a Dio stesso in ciò che gli appartiene in esclusiva: il giudizio! Un atteggiamento questo da rifuggire all’interno dei rapporti interpersonali come ci insegna l’Apostolo avvertendoci che «tutti ci presenteremo al tribunale di Dio» davanti al quale «ciascuno di noi renderà conto di sé stesso a Dio» (Epistola: Romani 14,9-13).

Nell’imminenza della Quaresima, il tempo che ci spalanca davanti i divini misteri della nostra salvezza condensati nella Croce e nella Risurrezione del Signore, orientiamo il cuore, la mente e la vita di ogni giorno a lui, rivelatore del Padre che perdona. Impariamo così a riconoscere con tutta verità che al pari di ogni uomo, senza eccezione, siamo bisognosi del suo perdono segno del suo perenne affetto.

Un perdono che ci sorprende per generosità e assoluta gratuità e che mette più facilmente in moto il cammino di conversione e di ritorno a lui al quale ci invita proprio la Quaresima oramai vicina. Un cammino che ci vede al fianco di ogni uomo che, grazie all’autentica nostra testimonianza di fede e alla rinuncia di ogni pretesa di giudizio, si aprirà forse più facilmente alla indicibile meravigliosa certezza dell’amore sempre vivo e bruciante di Dio per tutti noi reso visibile nel Figlio.

È la testimonianza che hanno dato le nostre labbra all’avvio della celebrazione eucaristica domenicale: «Sperate in Dio, popoli di ogni luogo, aprite al suo cospetto il vostro cuore, egli è il nostro rifugio» (Canto All’Ingresso).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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