5 giugno 2011 – domenica dopo l’Ascensione

1. La settima domenica di Pasqua    

Intende porre in evidenza come, dopo l’Ascensione, la presenza del Signore va essenzialmente ricercata nel raduno eucaristico della Chiesa. Per questo il Lezionario prescrive le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Atti degli Apostoli 1,9a.12-14; Salmo 132; Epistola: 2Corinzi 4,1-6; Vangelo: 24,13-35. Nella Messa vespertina del sabato viene proclamato: Giovanni 20,1-8 quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Luca 24,13-35    

13In quello stesso giorno due discepoli erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Cleopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere  e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui.     28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.      


Commento liturgico-pastorale    

Il brano si riallaccia a ciò che leggiamo al v. 11 riguardante il sostanziale rifiuto da parte degli apostoli e dei discepoli a dare credito a ciò che avevano loro riferito “le donne” a proposito dell’incontro con il Risorto presso il sepolcro.

Anche i due discepoli protagonisti dell’odierno racconto, come è facile riscontrare al v. 21, non danno credito alla testimonianza delle donne. Essi sono presentati mentre, in cammino verso Emmaus, parlano tra di loro degli eventi tragici accaduti in Gerusalemme al loro Maestro, vale a dire la sua morte in croce e la scoperta della sua tomba vuota (v. 14). Senza ulteriori precisazioni viene detto che «Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro» (v. 15), ma, come è facile capire, non erano in grado di riconoscere Gesù (v. 16) a motivo della loro poca fede che li ha gettati nella delusione e nello sconforto.

Alla domanda a essi rivolta dallo sconosciuto compagno di viaggio (v. 17) segue ai vv. 21-24 la risposta di uno dei discepoli che rappresenta un annunzio “evangelico” incentrato sulla condanna a morte di Gesù, che essi sono per ora in grado di definire come «profeta potente in opere  e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo» (v. 19) e a quanto sembra come il Messia atteso quale liberatore potente e restauratore del Regno d'Israele.

Al v. 24 apprendiamo che anche altri “discepoli” pur avendo visto il sepolcro vuoto come avevano detto le donne, vivono la stessa delusione dei due mesti viandanti e rimangono chiusi all’adesione di fede a quanto il Signore aveva pure tante volte detto loro circa l’ineluttabilità della sua “morte” e, dunque, della sua risurrezione, peraltro, annunziata dai Profeti.

Proprio questo è il compito assunto dal misterioso compagno di viaggio: ricordare loro, non senza averli rimproverati come «stolti e lenti di cuore a credere» (v. 25) come il Cristo “doveva patire queste cose», quelle che essi avevano richiamate al viandante (v. 20) vale a dire le sofferenze, il ripudio della sua gente e la morte obbrobriosa sulla croce e che, in realtà, sono il passaggio per «entrare nella sua gloria», quella del Signore risorto.    
Con queste parole il Signore apre ai due discepoli di Emmaus l’intelligenza delle Scritture, rivelatrici essenzialmente dei divini disegni di salvezza, che hanno la loro sintesi e il loro compimento nella Pasqua di morte e di risurrezione del Figlio unigenito.

Questo atteggiamento del Signore è stato così consegnato alla Chiesa, la quale specialmente nel suo raduno eucaristico legge e interpreta autorevolmente le Scritture alla luce dell’“insegnamento” ricevuto dallo stesso suo Signore e continuamente reso vivo in essa dal dono dello Spirito Santo.

Una chiara testimonianza in tal senso è oggi data nel Prefazio che rilegge così il mistero della nostra salvezza in Cristo: «Per riscattare la famiglia umana il Signore Gesù si degnò di nascere in mezzo a noi e vinse il mondo con il suo dolore e la sua morte. Risorgendo nella gloria, ci aprì il cammino della vita eterna e nel mistero della sua ascensione ci ridonò la speranza di entrare nel regno dei cieli».

Si comprende così l’ardire dei due viandanti che quasi costringono il loro interlocutore a “restare” con loro, essendo oramai calata la notte (v. 29), nella quale è lecito vedere qualcosa di più della concreta mancanza di luce. è l’intera comunità dei credenti che attraversando i tempi sperimenta l’ora oscura della prova, della persecuzione e, perciò, supplica il Signore: «Resta con noi, perché si fa sera».

L’intero racconto ha il suo culmine nei vv. 30-32 che mostrano Gesù a mensa con i due discepoli nell’atto di compiere quei gesti a essi familiari, quali il prendere il pane nelle sue mani, pronunziare su di esso la preghiera di benedizione, spezzarlo e distribuirlo. Sono questi i gesti che hanno aperto “i loro occhi” e sono i gesti che nel raduno eucaristico aprono i nostri occhi, ovvero ci donano di riconoscere in quel pane spezzato e donato il Signore Gesù che ha “sofferto” e che è “entrato nella sua gloria” mostrando così anche a tutti i suoi discepoli la “via”.

Se la spiegazione delle Scritture apre l’intelligenza della fede, sono le parole e i santi segni eucaristici a permettere di “vedere” il Signore e ad avvertire un fuoco d’amore per lui che, come avviene per i due discepoli, dà le ali al nostro cuore e all’esigenza insopprimibile di annunziare ciò che abbiamo “ascoltato” e “visto” e che ci fa dire: «Davvero il Signore è risorto» (v. 34).

La mensa attorno alla quale siedono Gesù e i due discepoli, pertanto, sta all’origine di ogni adunanza dei credenti. La Lettura infatti mostra la prima comunità formata anzitutto dagli apostoli come perseveranti e concordi nel raduno e nella preghiera insieme «ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (Atti degli Apostoli 1,14).

A questa comunità noi ancora guardiamo e a essa ci ispiriamo quando non anteponiamo alcuna cosa al nostro stare insieme, non solo fisicamente ma uniti nel cuore e nello spirito, perché il Signore continui a far ardere il nostro cuore mentre ascoltiamo le divine Scritture, a stare con noi nell’ora oscura della storia, a offrirci il pane di vita che è il suo corpo offerto sulla croce e che ora vive immortale.

A tale proposito accogliamo il monito dell’apostolo Paolo che, esortandoci a cercare unicamente sul volto di Cristo, il Crocifisso|Risorto, la «conoscenza della gloria di Dio» ci avverte di non farci accecare la mente dal «dio di questo mondo», in modo da poter annunciare con efficacia «lo splendore del glorioso Vangelo di Cristo che è immagine di Dio» (Epistola: 2Corinzi 4,3.6).       

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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