2 Maggio 2010 - Domenica V di Pasqua

2 Maggio 2010  - Domenica V di Pasqua – Anno C


1. La quinta domenica “di” Pasqua

Le lezioni bibliche offerte dal Lezionario sono: Lettura: Atti degli Apostoli 4,32-37; Salmo 132; Epistola: 1Corinzi 12,31-13,8a; Vangelo: Giovanni 13,31b-35. Alla Messa vespertina del Sabato si proclama: Matteo 28,8-10 come Vangelo della risurrezione.

2. Vangelo secondo Giovanni 13,31b-35

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 31«Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».  3. Commento liturgico-pastoraleIl brano evangelico riporta le parole di addio pronunciate da Gesù subito dopo aver intimato a Giuda: «Quello che vuoi fare, fallo presto» (v 27). Gesù ha così volontariamente messo in moto gli eventi ultimi della sua esistenza terrena, vale a dire la sua morte, che l’evangelista Giovanni ama designare con i termini di esaltazione e, qui, di “glorificazione”. Nei vv. 31-33 infatti Gesù parla della sua morte come già avvenuta e la descrive  come una “glorificazione” che egli riceve da Dio e nella quale, in realtà, Dio stesso è “glorificato” e “glorificherà” ulteriormente il Figlio perché nell’ora della sua morte assocerà a lui tutti gli uomini.     I vv. 34-35 riportano la “consegna” del Figlio “glorificato” ai suoi discepoli, che consiste nel mettere in pratica il comandamento nuovo: vale a dire la carità fraterna (v 34), quale segno distintivo dei “suoi”.     La celebrazione pasquale ripropone alla Chiesa l’ora della “glorificazione” di Gesù, rappresentata, in modo paradossale, nella sua morte. In essa, il “glorificato” rivela al mondo la “gloria” di Dio, il mistero stesso di Dio, che è amore. Nel Figlio innalzato sulla croce per attirare tutti a sé è, infatti, svelato il disegno d’amore del cuore di Dio: quello cioè di riunire tutti gli uomini, dispersi come un gregge sbandato, nel suo unico Figlio perché anch’essi partecipino alla sua condizione filiale, quella che è a lui propria.     Nella Pasqua brilla perciò la grandezza dell’amore di Dio per l’intera umanità che lui vuole vedere tutta raccolta nel suo Figlio unico, il glorificato! Egli consegna tramite i discepoli del cenacolo alla futura comunità dei credenti, e dunque, alla Chiesa, la missione di far brillare fino alla consumazione dei secoli il frutto della sua glorificazione, ovvero della sua Pasqua: dare “gloria” a Dio realizzando, nella donazione di sé, l’opera di universale salvezza.     La Chiesa, perciò, eredita dai “figlioli” di Gesù, ossia dai discepoli, il suo lascito testamentario che, se osservato, “glorifica” Dio, ovvero, realizza nel suo tempo l’opera da lui compiuta nel Figlio. Esso consiste nel comandamento che Gesù stesso definisce come “nuovo” e che si osserva quando i suoi discepoli si “amano” di quello stesso amore generato in essi dall’amore di Gesù.     È in realtà, l’amore di Gesù, ossia la donazione di sé, della sua vita, che genera nel cuore dei credenti lo stesso amore reciproco. La carità fraterna, vissuta anzitutto all’interno della comunità dei credenti, è dunque, propriamente il peculiare modo di esistere della comunità stessa.     La Lettura riferisce l’effettiva traduzione in pratica, nella Chiesa delle origini, del precetto del Signore la cui osservanza trasformava la “moltitudine” di quanti pervenivano alla fede in “un cuore solo e un’anima sola”, cosa questa, che dava più forza alla testimonianza che gli Apostoli rendevano alla “risurrezione del Signore Gesù” (Atti degli Apostoli 4,32-33).     La carità, però, è bene precisare, prima di essere un nostro impegno, è in realtà un dono ricevuto. Nella celebrazione liturgica della Pasqua, viene infatti effuso in noi l’amore del Signore che,  tutti ci riunisce “in un solo corpo” reso vivo, appunto, dal suo amore! La celebrazione eucaristica, pertanto, nella quale ci raggiunge il dono della carità del Signore, ci impegna di conseguenza a esprimerlo visibilmente nell’amore e nella reciproca carità con quella consapevolezza con cui l’apostolo Paolo l’additava quale “via più sublime” da desiderare e da perseguire prima di ogni altra (Epistola: 1Corinzi 12,31).    Questo ci qualifica davanti a tutti gli uomini come “discepoli” del Signore “glorificato”, gente cioè che vive la comunione d’amore con lui, resa comprensibile e riconoscibile proprio nella carità vicendevole. Essa, in definitiva, contribuirà più di ogni altra cosa, ad attirare gli uomini al Signore Gesù, a credere in lui, nel suo Vangelo, fino a condividere con noi “il mistero della passione” che ci ha redenti e ad allietarsi «dell’eterno destino di gloria che ci è stato donato nel Signore risorto» (Prefazio) di vivere, già da ora, quella comunione d’amore con il Padre, propria del Figlio.

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