24 luglio 2011 – VI domenica dopo Pentecoste


1. La sesta domenica “dopo Pentecoste”
   

Tra i personaggi di spicco che hanno scandito la storia della salvezza un posto importante va riconosciuto a Mosè guida del suo popolo. Egli, in verità, preannunzia nella sua persona e nella sua opera quella del vero e definitivo capo, profeta e guida dell’intera umanità, vale a dire di Cristo Signore. Il Lezionario riporta le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Esodo 33,18-34,10; Salmo 76; Epistola: 1Corinzi 3,5-11; Vangelo: Luca 6,20-31. Il Vangelo della risurrezione da proclamare nella Messa vespertina del sabato è preso da Matteo 28,8-10. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XVII domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.  


2. Vangelo secondo Luca 6,20-31    

In quel tempo. 20Il Signore Gesù, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
21Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
24Ma guai a voi ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
25Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.
27Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro chevi trattano male.
29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da’  a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.
   


3. Commento liturgico-pastorale    

Il brano odierno è preso da quella che possiamo chiamare la predicazione “pubblica” di Gesù che l’evangelista Luca ambienta, a differenza di Matteo, «in un luogo pianeggiante» (6,17-49) e si presenta diviso in due parti: vv. 20-26 e vv. 27-31.

La prima parte è composta da una serie di quattro “beatitudini” (vv. 20-22) a cui fanno riscontro quattro “guai” (vv. 24-26). In particolare le “beatitudini” riguardano coloro che nell’ambiente sociale e anche nella comunità ecclesiale sono gli ultimi, i disprezzati i respinti, gli isolati. La loro situazione descrive quella del Signore stesso il quale, pur essendo Figlio di Dio, si è “umiliato” ed è stato relegato tra gli ostracizzati, addirittura i “maledetti” da Dio! La loro condizione di vita, quaggiù, fatta di povertà, di sofferenza, di lacrime, di disprezzo e di odio è la garanzia di un radicale mutamento che si prepara per essi davanti a Dio, ovvero nel Regno.

E' quanto si è esemplarmente verificato in colui che è il prototipo di quanti sono “odiati”, messi al bando e “disprezzati” nella loro persona perché si sono a lui identificati. Dio, il Padre, ha totalmente ribaltato il giudizio degli uomini esaltando e facendo “sedere alla sua destra” il suo Figlio.

Al contrario le minacce espresse con i quattro “guai”, che ricordano da vicino le invettive dei Profeti, colpiscono in primo luogo i “ricchi” i quali, a motivo della sicurezza che deriva loro dai beni, si considerano al riparo da tutto e assumono sovente un atteggiamento di arroganza e di prepotenza nei confronti degli altri e di “indifferenza” nei confronti di Dio e dei suoi precetti. Anche per costoro si prepara un radicale mutamento nel regno di Dio.

Nell’ultima parte (vv. 27-31) sono racchiuse alcune esortazioni «a voi che mi ascoltate» ossia a coloro che hanno udito la Parola, l’hanno accolta nel loro cuore, facendosi così “discepoli”. A essi, nei quali speriamo di poter essere anche noi annoverati, Gesù dà una serie di comandi che hanno al centro quello della carità vale a dire dell’amore del tutto gratuito, disinteressato e che non si attende il contraccambio.

L’amore, che è proprio di Dio, si manifesta come avviene in lui nella benevolenza verso  tutti, compresi i nemici e i malvagi. Questa misura alta della carità è la norma data dal Signore stesso ai suoi discepoli, i quali “devono” letteralmente «amare i nemici, fare del bene a coloro che li odiano, benedire chi li maledice, pregare per chi li maltratta» (cfr. vv. 27-28). Si tratta di una “norma” alla quale ogni discepolo dovrà tendere, domandando a Dio incessantemente la grazia di poterla vivere concretamente nell’esistenza quotidiana.

Occorre inoltre comprendere che nessun’altra regola o norma di vita può precedere o mettere in ombra questa uscita dal cuore del Signore, il primo ad averla osservata fino a porgere non soltanto la “guancia” ma tutto sé stesso a chi lo percuote e lo umilia fino alla morte.

Letto nel contesto liturgico del Tempo “dopo Pentecoste” incaricato di ripercorrere le più importanti tappe della storia della salvezza così come di presentarne i personaggi più significativi, il brano evangelico evidenzia come Gesù abbia portato a pieno compimento ciò che era annunziato nella figura di Mosè.

La Lettura, infatti, sottolinea il ruolo di guida, di maestro, di profeta e di intercessore proprio di Mosè che sul monte Sinai poté vedere la gloria di Dio che consiste di fatto nella sua grande bontà (cfr. Esodo 33,18-23) e dal quale ha ricevuto la promessa: «Ecco, io stabilisco un’alleanza: in presenza di tutto il tuo popolo io farò meraviglie, quali non furono mai compiute in nessuna terra e in nessuna nazione» (Esodo 34,10).

Noi crediamo che la “gloria di Dio” ovvero la rivelazione di lui come bontà e amore verso tutti è stata manifestata in pienezza dal Signore Gesù nelle sue parole e nelle sue opere, segnatamente nella sua croce.

Così è dell’“alleanza”, della comunione indissolubile cioè che lega Dio stesso all’uomo. Quella stabilita con Mosè sul Sinai scritta su “due tavole di pietra” (Esodo 34,1) fu un vero “patto” tra Dio e il suo popolo Israele, stipulato, però, come annunzio profetico dell’alleanza “nuova ed eterna” nel suo Figlio Gesù il cui Spirito la incide per sempre nel cuore dei fedeli.

Essa ha come unica norma e clausola l’osservanza della carità, quella di Dio, usata da lui nei riguardi di tutti anche degli empi e dei malvagi. Per questo l’Orazione all’Inizio dell’Assemblea Liturgica così prega: «O Dio, che nell’amore verso di te e verso il  prossimo hai posto il fondamento di tutta la legge, fa che, osservando i tuoi comandamenti, meritiamo di entrare nella vita eterna».

E' la carità, dunque, il “fondamento” sul quale viene costruito l’“edificio di Dio” (Epistola: 1Corinzi 3,9) vale a dire la Chiesa quale comunità dei credenti e su di esso devono continuare a costruire coloro che nella Chiesa si succedono come “servitori” (v. 5) nel compito di guida dei fratelli. Ed è quanto ci esorta a fare l’antifona Alla Comunione: «Camminiamo nella carità, come anche Cristo ci ha amato e ha dato sé stesso per noi, offrendosi in sacrificio di soave profumo».

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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