27 gennaio 2013 – Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Occupa il posto della terza domenica “dopo l’Epifania” ed è annoverata, nel calendario liturgico ambrosiano, tra le “feste del Signore”.
Il Lezionario
Riporta le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Siracide 44,23-45,1a.2-5; Salmo: 111 (112); Epistola: Efesini 5,33-6,4; Vangelo: Matteo 2,19-23. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella Messa vigiliare del sabato è preso da: Giovanni 20,11-18. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della festa nel Messale Ambrosiano).
Lettura del libro del Siracide (44,23-45,1a.2-5)
In quei giorni. 23La benedizione di tutti gli uomini e la sua alleanza / Dio fece posare sul capo di Giacobbe; / lo confermò nelle sue benedizioni, / gli diede il paese in eredità: / lo divise in varie parti, / assegnandole alle dodici tribù. / Da lui fece sorgere un uomo mite, / che incontrò favore agli occhi di tutti / 1aamato da Dio e dagli uomini. / 2Gli diede gloria pari a quella dei santi / e lo rese grande fra i terrori dei nemici. / 3Per le sue parole fece cessare i prodigi / e lo glorificò davanti ai re; / gli diede autorità sul suo popolo / e gli mostrò parte della sua gloria. / 4Lo santificò nella fedeltà e nella mitezza, / lo scelse fra tutti gli uomini. / 5Gli fede udire la sua voce, / lo fece entrare nella nube oscura / e gli diede faccia a faccia i comandamenti, / legge di vita e d’intelligenza, / perché insegnasse a Giacobbe l’alleanza, / i suoi decreti a Israele.
Il brano è preso dalla terza sezione del libro (capitoli 42,15-50,29), nella quale viene esaltata la sapienza divina che brilla nel creato e nella storia degli uomini che hanno vissuto nella fedeltà a Dio. Tra di essi vengono qui ricordati Giacobbe (cap. 44,23) e Mosè (cap. 45,1-5), del quale si fa memoria evocando i prodigi dell’esodo dall’Egitto (v. 3) e quelli del deserto dove Dio «gli fece udire la sua voce», gli diede le tavole della Legge e stabilì l’Alleanza con il suo popolo (cfr. Esodo 19,19; 20,1.21-22; Deuteronomio 4,6-8; 32,47) (v. 5).
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (5,33-6,4)
Fratelli, 33ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito.
1Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto: 2«Onora tuo padre e tua madre!». Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: 3«perché tu sia felice e goda di lunga vita sulla terra». 4E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore.
Il breve brano, oggi proclamato, è preso dalla parte esortativa della lettera, fondata sulla vita nuova dei credenti nella Chiesa e nella società civile. Qui in particolare si parla della morale domestica che, sull’esempio dell’amore di Cristo verso la Chiesa, è posta all’insegna della reciproca subordinazione dei membri di una famiglia. Di qui la norma che regola il rapporto moglie/marito (capitolo 5,33); quella che regola il rapporto genitori/figli basato sul comandamento divino e come garanzia di una vita lunga e felice (capitolo 6,1-3; cfr. Esodo 20,12; Deuteronomio 5,16) e, infine, l’esortazione ai padri a far crescere i propri figli «negli insegnamenti del Signore» (v. 4).
Lettura del Vangelo secondo Matteo (2,19-23)
In quel tempo. 19Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». 21Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra di Israele. 22Ma quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura ad andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
Viene oggi letto l’ultimo episodio dell’itinerario di Giuseppe profugo in Egitto con il «bambino e sua madre» (cfr. Matteo 2,13-15) per sfuggire alla persecuzione di Erode. Il racconto è diviso in due brevi parti. La prima: vv. 19-21, parla del ritorno di Giuseppe, «il bambino e sua madre» in Israele, con allusione all’esodo di Israele dall’Egitto e al ritorno del popolo dall’esilio babilonese. La seconda: vv. 22-23, precisa il luogo nel quale Giuseppe fissa la sua residenza: Nazaret in Galilea, motivo per cui Gesù sarà chiamato “nazareno”.
Commento liturgico-pastorale
L’ascolto delle Scritture e i testi oranti del Messale ci invitano a tenere ancorata la festa odierna all’interno del dispiegarsi, nel corso dell’anno liturgico, del mistero della nostra salvezza in Cristo. In particolare, questa festa, che il calendario liturgico ambrosiano fa cadere nel tempo “dopo l’Epifania”, manifesta e celebra, nell’appartenenza del Figlio di Dio a una famiglia, la reale portata della sua incarnazione, come giustamente rileva la preghiera liturgica quando afferma che egli «venendo ad assumere la nostra condizione di uomini volle far parte di una famiglia» (Prefazio). La condizione umana, infatti, passa normalmente proprio dall’appartenenza a una famiglia secondo il volere stesso di Dio rivelato nelle Scritture.
Tale appartenenza, vissuta dal Figlio fatto uomo in obbedienza a quanto è disposto dalla sapienza divina, manifesta la sua piena disponibilità a spogliarsi della sua gloria divina e ad assumere la realtà umana per attuare il disegno del Padre riguardante la salvezza del mondo.
Una disponibilità messa in luce nel brano evangelico, che sottolinea la dipendenza assoluta del bambino, che viene preso e portato in Egitto (Vangelo: Matteo 2,14) e poi portato «nella terra d’Israele», a Nazaret (v. 23).
Forse è lecito vedere in ciò un annuncio della disponibilità del Signore a lasciarsi “prendere” ed essere condotto alla Passione e alla Croce, momento dell’umiliazione più profonda del Figlio di Dio, attuativa, però, dell’universale salvezza.
Salvezza, dunque, annunziata e già attuata nella sua sottomissione al volere del Padre, che passa anche dalla sua sottomissione a Giuseppe e a Maria secondo il comando di Dio citato nel brano dell’Epistola (cfr. Esodo 20,12) e dall’accettazione di eventi che sembrano tenerlo in pugno, come l’avversione mortale del re Erode. E proprio sul precetto divino l’Apostolo poggia le norme che regolano la vita domestica (Epistola: Efesini 6, 1-3).
Con l’obbedienza di Gesù, i testi oggi proclamati esaltano quella di Giuseppe, il quale esegue fedelmente le istruzioni dell’Angelo del Signore (Matteo 2,13) meritandosi, perciò, le “benedizioni” date da Dio a Giacobbe (Lettura: Siracide 44,23) e realizzando alla lettera ciò che il medesimo testo biblico afferma a proposito di Mosè (45,1a-5).
Davvero Giuseppe, lo sposo di Maria e custode del Figlio dell’Altissimo, è l’«uomo mite che incontrò favore agli occhi di tutti, amato da Dio e dagli uomini» (v. 44,23-45,1a), capace di insegnare al bambino Gesù «l’alleanza e i decreti a Israele» (v. 45,5), facendolo crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore (Efesini, 6,4). La preghiera liturgica può, quindi, affermare che nella Famiglia di Nazaret Dio ha «collocato le arcane primizie della redenzione del mondo» (Prefazio)
La Santa Famiglia, perciò, offre alle nostre famiglie la possibilità di riconoscere che non hanno in sé stesse il fondamento, ma nel superiore disegno di Dio al quale sono chiamate a “obbedire” così come ha fatto il suo stesso Figlio e, con lui, la Vergine Madre e san Giuseppe.
Nell’obbedienza, dunque, sta fondata la famiglia e il riferimento costante di tutti i suoi membri, genitori e figli, ai divini precetti è per essa garanzia per godere di un’esistenza “felice” perché immersa nella benedizione divina. Alle nostre famiglie va perciò sempre raccomandato di cercare nella volontà di Dio e nei suoi disegni il fondamento sul quale essa sta poggiata e al quale deve fare costante riferimento. Il compimento della volontà di Dio, pur tra inevitabili prove e difficoltà, è possibile anche oggi, a patto che le nostre famiglie rimangano ancorate all’Altare. L’amore del Signore Gesù che su di esso risplende nel pane e nel vino dell’Eucaristia, donando la grazia «di seguire sempre la legge dell’amore evangelico» (Orazione Dopo la Comunione), imprime in quanti ad essa si consegnano, un’energia capace di superare ogni avversità e di far sperimentare, in tutta verità, «i dolci affetti della famiglia» (Orazione All’inizio dell’Assemblea Liturgica).
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