27 novembre 2011 – III domenica di Avvento

Questa terza domenica di Avvento intende mettere in luce il fatto che nella “venuta” del Signore tutte le profezie e le antiche promesse si sono adempiute.

Il Lezionario

Propone i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 51,1-6; Salmo 45(46); Epistola: 2Corinzi 2,14-16a; Vangelo: Giovanni 5,33-39. Il testo evangelico di Giovanni 20,1-8 viene letto come Vangelo della Risurrezione alla messa vigiliare del sabato.


Lettura del profeta Isaia (51,1-6)


Così dice il Signore Dio: «1Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. 2Guardate ad Abramo, vostro padre, a Sara che vi ha partorito; poiché io chiamai lui solo, lo benedissi e lo moltiplicai. 3Davvero il Signore ha pietà di Sion, ha pietà di tutte le sue rovine, rende il suo deserto come l’Eden, la sua steppa come il giardino del Signore. Giubilo e gioia saranno in essa, ringraziamenti e melodie di canto! 4Ascoltatemi attenti, o mio popolo; o mia nazione, porgetemi l’orecchio. Poiché da me uscirà la legge, porrò il mio diritto come luce dei popoli. 5La mia giustizia è vicina, si manifesterà la mia salvezza; le mie braccia governeranno i popoli. In me spereranno le isole, avranno fiducia nel mio braccio. 6Alzate al cielo i vostri occhi e guardate la terra di sotto, poiché i cieli si dissolveranno come fumo, la terra si logorerà come un vestito e i suoi abitanti moriranno come larve. Ma la mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta».

Il testo profetico oggi proclamato è preso dal “libro di consolazione”, come vengono comunemente chiamati i capitoli 40-55 del profeta Isaia.

La tematica di fondo è la salvezza che Dio darà al suo popolo dopo l’esperienza della deportazione e della schiavitù per rimanere fedele alle sue promesse ad Abramo e a Sara, progenitori di Israele, esemplari nella loro fedeltà a Dio (v.2).

Da qui la parola profetica si apre alla dimensione universale annunciando che le “braccia” di Dio «governeranno i popoli» (v. 5b). Il brano si chiude con l’invito ad alzare al cielo gli occhi perché solo la salvezza di Dio «durerà per sempre» (v. 6b) mentre questa non potrà avvenire dalle realtà terrene destinate a logorarsi come un vestito (v. 6a).


Seconda lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi (2,14-16a)

Fratelli, 14siano rese grazie a Dio, il quale sempre ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde ovunque per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza! 15Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo per quelli che si salvano e per quelli che si perdono; 16per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita.

Il breve brano riporta alcune considerazioni di Paolo sul ministero apostolico che vede come una partecipazione al “trionfo di Cristo” (v. 14), allusione questa della vittoria pasquale del Signore risorto riportata sulla morte.

Riferendosi forse a ciò che avveniva a Roma in occasione del “trionfo” riservato ai generali vittoriosi, Paolo descrive l’apostolo che annunzia l’evangelo come il “profumo di Cristo” (v. 15) che ha un duplice effetto: di “morte” per quanti “si perdono” a motivo della loro incredulità e di “vita per la vita”, ossia di partecipazione alla sua risurrezione, per quanti si aprono alla fede.


Lettura del vangelo secondo Giovanni (5,33-39)

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «33Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. 34Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. 35Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce. 36Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. 37E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, 38e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. 39Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me».

Il brano è preso dal più ampio discorso di rivelazione (5,19-47) che fa seguito alla polemica con i Giudei (vv. 16-18), i quali contestano a Gesù la guarigione, fatta in giorno di sabato, di un paralitico presso la piscina Betzatà in Gerusalemme (vv. 1-15).

In particolare i presenti versetti parlano della “testimonianza” che Dio stesso, il Padre, dà nei riguardi di Gesù che è il Figlio. In tale contesto Gesù parla dapprima della “testimonianza” data da Giovanni Battista, definito «lampada che arde e risplende», alla verità, vale a dire alla presenza del Messia nel popolo. Ma invano (vv. 33-35).

Nel v. 36 viene detto che Gesù ha a suo favore una “testimonianza” superiore a quella del Battista, capace di accreditarlo come Messia inviato da Dio. Essa consiste nelle “opere” che il Padre “ha dato da compiere”, ben più grandi di quelle del Precursore. Esse infatti riguardano la rivelazione di Dio avvalorata dai miracoli come quello appena compiuto della guarigione del paralitico.

Come in un crescendo è ora messa in campo la diretta “testimonianza” del Padre (v. 37) già resa nelle Divine Scritture, che dunque parlano di lui, del Figlio inviato nel mondo (v. 39), e alle quali essi non hanno mai creduto (vv. 37-38).


Commento liturgico-pastorale

In questa terza domenica di Avvento le Scritture ci sollecitano ad accogliere in esse la “testimonianza” di Dio sul suo Figlio da lui mandato nel mondo a dare compimento alle “promesse” che le stesse Scritture contengono e trasmettono. Nella lettura profetica abbiamo ascoltato le parole di consolazione e di incoraggiamento di Dio al suo popolo in esilio e, dunque, sottomesso a un potere iniquo e ingiusto. Dio manifesta così la sua premurosa “pietà” impegnandosi a far ritornare gli esuli nella loro terra che, da desertica e stepposa, egli trasformerà in luogo splendido come l’Eden, il meraviglioso “giardino” delle origini. La promessa si allarga inaspettatamente ad abbracciare “ i popoli” sui quali Dio promette di far brillare la sua “legge” e il suo “diritto” riservati prima al solo Israele e, quindi, di governarli personalmente con il suo “braccio” potente. Alla luce della “testimonianza” evangelica comprendiamo che tali promesse sono portate a realizzazione nelle “opere” compiute da colui che il Padre ha “mandato”, ossia in Gesù di Nazaret.

Nella sua natività secondo la carne e segnatamente nella sua Pasqua il Signore Gesù ha effettivamente liberato l’umanità intera dalla sua condizione di oppressione sotto il potere del male e l’ha ricondotta sotto il “diritto” e la “legge” di Dio che egli ha promulgato nell’ora solenne della sua morte sulla Croce e che si riassume nella carità.

Davvero nel Signore Gesù la “giustizia” di Dio si è resa “vicina” a tutti i popoli e a ogni uomo. In Cristo crocifisso e risorto Dio ha infatti dichiarato “giusti” gli uomini del tutto “gratuitamente”, facendoli partecipi del suo “trionfo” in Cristo (Epistola: 2Corinzi 2,14), strappandoli al potere del male e della morte e restituendoli così al suo amore paterno in un’autentica relazione filiale. Per questo egli si attende che il cuore dell’uomo si apra all’adesione di fede in «colui che egli ha mandato» (Giovanni 5, 37).

Ed è questa l’opera che l’Avvento chiede ora anche a noi: credere che tutte le Scritture parlano di Cristo, danno “testimonianza” di lui come rivelatore e attuatore della “pietà” di Dio sull’intera umanità, che una volta sottratta alla condizione di oppressione, di abiezione e di morte nella quale viene trascinata dal potere fascinoso del male, è destinata a fiorire come un meraviglioso “giardino”.

Tutto ciò viene ricordato nel cuore della celebrazione eucaristica con il canto Allo Spezzare del Pane: «Popolo di Sion, ecco il Signore viene a salvare tutte le genti; il Signore manifesterà la sua gloria e avrete la gioia nel cuore». Nella sua “venuta” nel mistero liturgico il Signore, mentre apre la nostra intelligenza alla comprensione delle Scritture, ci fa sperimentare il risultato concreto dell’“opera” salvifica che il Padre gli ha affidato inviandolo nel mondo.

Tale “esperienza” motiva il «giubilo, la gioia, i ringraziamenti e le melodie di canto» (Isaia 51,3) che contraddistingue il nostro raduno eucaristico attorno al Signore che “è venuto” e che “verrà” e che ci spinge alla preghiera: «Accesi dal fuoco dello Spirito, o Dio, e saziati del dono divino, i nostri cuori siano pervasi dal desiderio di risplendere come luci festose davanti al Cristo, il Figlio tuo che viene» (Orazione Dopo la Comunione).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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