30 dicembre 2012

 Domenica nell’Ottava del Natale del Signore

La sapienza “pedagogica” della Chiesa cerca di aiutare i fedeli a penetrare più in profondità nel sublime mistero del Verbo di Dio fatto uomo, nato da una Madre sempre Vergine, per potersi appropriare, con fede più consapevole, della grazia racchiusa nella Natività del Signore, rivelata nelle Divine Scritture, illustrata nelle preghiere del Messale e celebrata nell’adunanza eucaristica. Per questo prolunga per otto giorni la solennità natalizia e, di conseguenza, questa Domenica, che cade proprio in questi giorni, è denominata: nell’Ottava del Natale del Signore.

Il Lezionario

Si legge: Lettura: Proverbi 8,22-31; Salmo 2; Epistola: Colossesi 1,13b.15-20; Vangelo: Giovanni 1,1-14. Alla messa vigiliare del sabato il Vangelo della Risurrezione è preso da: Giovanni 20,19-23. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della Domenica nell’Ottava del Natale del Signore del Messale Ambrosiano).

Lettura del libro dei Proverbi (8,22-31)

 

La Sapienza grida: 22«Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, / prima di ogni sua opera, all’origine. /23Dall’eternità sono stata formata, / fin dal principio, dagli inizi della terra. / 24Quando non esistevano gli abissi, io fui generata, / quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua; / 25prima che fossero fissate le basi dei monti, / prima delle colline, io fui generata,   / 26quando ancora non aveva fatto la terra e i campi / né le prime zolle del mondo.      

27Quando egli fissava i cieli, io ero là; / quando tracciava un cerchio sull’abisso, / 28quando condensava le nubi in alto, / quando fissava le sorgenti dell’abisso, / 29quando stabiliva al mare i suoi limiti, / così che le acque non ne oltrepassassero i confini, / quando disponeva le fondamenta della terra, / 30io ero con lui come artefice / ed ero la sua delizia ogni giorno: / giocavo davanti a lui in ogni istante, 31giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo».

 

I versetti oggi proclamati parlano del rapporto tra la Sapienza e Dio, di cui si riconosce creatura pur precedendo la stessa creazione essendo stata formata «dall’eternità» (vv. 22-26). Anzi la Sapienza, intesa come un’entità personale, si descrive come “assistente” di Dio nel momento della creazione alla quale collabora come artefice ed è presente accanto a lui come una figlia che si “diverte” nel creato e, in particolare, nell’instaurare uno speciale rapporto con i figli dell’uomo (vv. 27-31). L’interpretazione cristiana applica la figura vetero-testamentaria  della Sapienza alla persona del Signore Gesù.

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (1,13b.15-20)

 

Fratelli, 13bil Figlio del suo amore 15è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, / 16perché in lui furono create tutte le cose / nei cieli e sulla terra, / quelle visibili e quelle invisibili: / Troni, Dominazioni, / Principati e Potenze.

Tutte le cose sono state create / per mezzo di lui e in vista di lui. / 17Egli è prima di tutte le cose / e tutte in lui sussistono. / 18Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, / primogenito di quelli che risorgono dai morti, / perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.

19È piaciuto infatti a Dio / che abiti in lui tutta la pienezza / 20e che per mezzo di lui e in vista di lui / siano riconciliate tutte le cose, / avendo pacificato con il sangue della sua croce / sia le cose che stanno sulla terra, / sia quelle che stanno nei cieli.

 

Il brano riporta l’inno a Cristo, qualificato al v. 13b come «Figlio del suo amore», s’intende di Dio. Esso è composto da due strofe che intendono celebrare rispettivamente Cristo nella sua funzione di salvatore e di mediatore nella prima creazione comprensiva anche dell’ordinamento cosmico (vv. 15-17) e nella nuova creazione, ovvero nella dimensione storico-salvifica (vv. 18-20). In particolare, con la sua incarnazione Gesù è divenuto il capo non solo di tutte le cose create (vv. 16-17), ma dell’intera umanità e, dunque, con la sua risurrezione dai morti, della Chiesa composta da quanti al pari di lui, «risorgono dai morti» (v. 18) grazie alla riconciliazione e alla «pacificazione» operata pure per tutte le realtà create dal «sangue della sua croce» (vv. 19-20).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (1,1-14)

 

1In principio era il Verbo, / e il Verbo era presso Dio / e il Verbo era Dio. / 2Egli era, in principio, presso Dio: / 3tutto è stato fatto per mezzo di lui / e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. 4In lui era la vita / e la vita era la luce degli uomini; / 5la luce splende nelle tenebre / e le tenebre non l’hanno vinta. / 6Venne un uomo mandato da Dio: / il suo nome era Giovanni. / 7Egli venne come testimone / per dare testimonianza alla luce, / perché tutti credessero per mezzo di lui. / 8Non era lui la luce, / ma doveva dare testimonianza alla luce. / 9Veniva nel mondo la luce vera, / quella che illumina ogni uomo. / 10Era nel mondo / e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; / eppure il mondo non lo ha riconosciuto. / 11Venne fra i suoi, / e i suoi non lo hanno accolto. / 12A quanti però lo hanno accolto / ha dato potere di diventare figli di Dio: / a quelli che credono nel suo nome, / 13i quali, non da sangue / né da volere di carne / né da volere di uomo, / ma da Dio sono stati generati.

14E il Verbo si fece carne / e venne ad abitare in mezzo a noi; / e noi abbiamo contemplato la sua gloria, / gloria come del Figlio unigenito / che viene dal Padre, / pieno di grazia e di verità.

 

Il brano contiene alcuni versetti del Prologo del Vangelo secondo Giovanni (1,1-18). Ai vv. 1-2a viene subito detto che il Verbo (= Parola), equiparato a Dio, era presente fin dal principio della creazione. Egli è dunque posto come origine e principio della creazione stessa (v. 3) e risplende nell’universo e tra gli uomini come luce di vita che le tenebre non sono in grado di vincere. I vv. 6-8 riportano la testimonianza di Giovanni il Battista sul Verbo, considerato come luce perché porta nel mondo la rivelazione di Dio. I vv. 9-13 riferiscono che il Verbo viene incontro agli uomini anzitutto per illuminarli (v.9). Egli, però, riceve un rifiuto da parte del mondo e perfino da parte del suo popolo (vv. 10-11) mentre alcuni lo accolgono, ossia credono in lui. A costoro viene accordata la grazia di «diventare figli di Dio» poiché, a motivo della loro fede, «da Dio sono stati generati» (vv.12-13). Il v. 14, infine, contiene l’affermazione centrale dell’intero Prologo giovanneo: «E il Verbo si fece carne» , ossia è diventato uomo e questo uomo, che è il Figlio Unigenito di Dio, si chiama Gesù e viene tra gli uomini recando loro la pienezza dell’amore misericordioso e gratuito del Padre in cui consiste la pienezza della Verità!

 

Commento liturgico-pastorale

 

La domenica nell’Ottava del Natale ci offre la possibilità di prolungare, nella partecipazione ai divini misteri e nell’ascolto delle Sacre Scritture, la sosta gioiosa e piena di fede attorno al mistero dell’apparizione in questo mondo del Figlio Unigenito di Dio, del suo Verbo fatto uomo, in una parola, di Gesù, nato dalla Vergine Maria. Mistero mirabilmente sintetizzato nel canto All’Ingresso: «Nel Padre rimane l’eternità, la Madre conserva la verginità. L’invisibile non sdegnò assumere l’umana natura; è figlio dell’uomo e sempre Signore del mondo». A Lui, perciò, così ci rivolgiamo nella preghiera All’Inizio dell’Assemblea Liturgica: «L’universo non ti contiene, o Figlio di Dio, eppure il grembo di una vergine è diventato il tempio della tua dimora; per questo misterioso evento salvifico custodisci con vigile protezione il tuo popolo».

Una simile sosta, pertanto, non può che rincuorarci e spingerci a una fede limpida e gioiosa capace di divenire una testimonianza riconoscibile e contagiosa delle cose grandi che Dio, nel suo Figlio, ha fatto e fa per noi.

Nell’Incarnazione del Verbo veniamo a sapere che si realizza, in tutta verità, quanto era annunciato nella figura vetero-testamentaria della Sapienza personificata. Essa, che è presente accanto a Dio nella creazione del cosmo e degli uomini, tra i quali pone le sue delizie (Lettura: Proverbi 8,31), nella nostra comprensione di fede prepara la manifestazione del Verbo di Dio, una sola cosa con lui, e per mezzo del quale «tutto è stato fatto», «e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Vangelo: Giovanni 1,3).

Non una creatura, dunque, ma il Verbo che è Dio partecipa attivamente alla creazione di tutte le cose come artefice del creato ed è il Verbo di Dio nel quale dimora la vita, quella divina, a intrattenere un rapporto del tutto speciale con gli uomini che sono in questo nostro mondo, avvolto nelle tenebre oscure dell’incredulità e del peccato, e quindi posto nell’ombra della morte.

In esso egli viene come luce per illuminare il mondo con il suo splendore di rivelatore unico di Dio, sollecitando gli uomini a credere in lui per poter rinascere come figli di Dio e avere parte, fin da ora, della sua stessa Vita!

Il Verbo fatto carne, nel suo rapporto con il mondo e con gli uomini va inspiegabilmente incontro, lui che è uno di noi, alla non accoglienza, al rifiuto e alla guerra che contro di lui muove il potere delle tenebre, che sembra dominare questo mondo che, pure, «è stato fatto per mezzo di lui» (Giovanni 1,3). Per questo egli, nella sua identità di Figlio uguale al Padre e di uomo come lo siamo noi, entra, nell’ora della Croce, nelle tenebre più fitte del male che grava sull’umanità e versando il suo sangue, donando cioè la sua stessa Vita, riconcilia e stabilisce una pace eterna tra Dio e l’uomo (cfr. Epistola: Colossesi 1,20).

Accogliendo la grazia dell’ascolto delle Scritture in questi giorni di gioia per la Natività del Signore, lasciamoci avvolgere dalla bellezza e dalla grandezza delle cose di Dio che, in Cristo suo Figlio, sono state fatte per noi e che orientano il peculiare rendimento di grazie che la Chiesa oggi celebra: «con immensa gioia» e adorando «con fervido cuore il disegno divino che ci ha rinnovato» (Prefazio).

Guardiamo pertanto a Gesù, il Figlio di Maria, come al «principio di tutte le cose», come al nostro principio, riconosciamo in lui il «primogenito di tutta la creazione». Da lui viene il nostro riscatto, la nostra redenzione e la nostra salvezza, per cui lo riconosciamo anche come il «capo del corpo, della Chiesa» (Colossesi 1,18), che è la comunità di quanti lo hanno accolto come luce che illumina con la sua presenza e la sua parola il mistero di per sé inaccessibile che è Dio.

Accoglierlo è ciò che Dio si attende per rigenerare gli uomini come veri suoi figli. Non più dunque soltanto nati «da sangue, né da volere di carne» (Giovanni 1,13), ma partecipi oramai della sua stessa Vita!

È questa la prospettiva stupenda che si è aperta ai nostri cuori di credenti e che vorremmo, con la nostra vita, anzitutto, annunziare e far desiderare agli uomini di questi nostri giorni.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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