8 Luglio 2012 – VI domenica dopo Pentecoste

8 Luglio 2012 – VI domenica dopo Pentecoste

 

Da questa domenica, alle tappe più significative della storia della salvezza, subentrano alcuni tra i personaggi biblici più noti e che hanno scandito il dispiegarsi di quella storia. Lo Spirito Santo, autore delle divine Scritture, ci fa comprendere che essi sono un annunzio profetico del Signore Gesù che quella salvezza porta a effettivo e definitivo compimento nel mistero della sua Pasqua.

 

Il Lezionario

 

Riporta le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Esodo 3,1-15; Salmo 67 (68); Epistola: 1Corinzi 2,1-7; Vangelo: Matteo 11,27-30. Alla Messa vespertina del sabato viene proclamato Matteo 28,8-10 quale Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XIV domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano.

 

Lettura del libro dell’Esodo (3,1-15)

 

In quei giorni. 1Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. 2L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. 3Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». 4Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». 5Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». 6E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.

7Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. 8Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. 9Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. 10Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». 11Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». 12Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte».

13Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». 14Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». 15Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».

 

Il brano si riferisce alla vocazione di Mosè nel contesto della visione del roveto avvolto dalle fiamme e che, però, non si consuma (v. 2) e dal quale Dio gli si rivela come il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe (vv. 3-6). I vv. 7-10 svelano il volto di Dio attento al grido del suo popolo, la sua intenzione di liberarlo dal «potere d’Egitto» e di donargli una terra servendosi di Mosè. I vv. 11-15, infine, riportano il dialogo tra Mosè investito della missione di liberare il popolo e Dio che ancora una volta si rivela come il Dio dei padri, ai quali egli si è fatto conoscere e con i quali ha stabilito la sua alleanza.

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (2,1-7)

 

1Anch’io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. 2Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. 3Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. 4La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, 5perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.

6Tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. 7Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria.

 

Ammonendo i fedeli di Corinto, divisi tra loro e litigiosi, l’Apostolo dichiara che il cuore della sua predicazione è «Gesù Cristo e Cristo Crocifisso» (vv. 1-2). Di conseguenza la sua attività missionaria si distingue per il fatto che poggia unicamente sull’attività di rivelazione dello Spirito e non, dunque, sulla sapienza mondana (vv. 4-5). Al contrario, la sapienza del credente rifiuta quella inutile dei «dominatori di questo mondo» ed è in grado, così, di penetrare nel “mistero”, ossia nei disegni divini e di comprenderne le modalità e i tempi di attuazione (vv. 6-7).

 

Lettura del Vangelo secondo Matteo (11,27-30)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, “e troverete ristoro per la vostra vita”. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

 

I versetti oggi proclamati fanno parte di un contesto di benedizione rivolta da Gesù al Padre per il dono dei «piccoli», ovvero dei discepoli che lo accolgono e che lo seguono (11,25-30). Essi riportano il secondo momento della benedizione riguardante essenzialmente il rapporto di Gesù con il Padre dal quale tutto gli è stato dato e che solo conosce Gesù che è il Figlio così come egli, come Figlio, possiede una conoscenza esclusiva del Padre e del quale, di conseguenza, è il rivelatore unico (v. 27). Nel terzo momento della preghiera Gesù invita a sé quanti sono stanchi e oppressi da una legislazione opprimente e a prendere il suo giogo, vale a dire i suoi precetti tutti riassunti in quello della carità e che lui rende visibili nella sua mitezza e umiltà di cuore (vv. 28-30).

 

Commento liturgico-pastorale

 

Tra le figure che hanno fortemente segnato il cammino della storia della salvezza, un posto del tutto speciale va assegnato a Mosè, al quale Dio stesso si rivela in modo misterioso dalla fiamma del roveto che arde e non brucia (Lettura: Esodo 3,2) come un Dio particolarmente attento alle sorti del suo popolo di cui ode il grido di dolore a causa dell’oppressione del Faraone d’Egitto.

Un Dio che, essendo legato a Israele da un patto sancito con i suoi Padri, a cominciare da Abramo, ha deciso di intervenire non solo per liberare il suo popolo ma per dargli una terra «bella e spaziosa… dove scorre latte e miele» (v. 8) e, per questo, invia Mosè come suo rappresentante e mediatore.

Illuminati dallo Spirito che ci rivela il mistero nascosto, ovvero il significato profondo di questi avvenimenti, comprendiamo che Mosè, la sua vocazione e la sua missione, non solo annunziano e preparano quella del Signore Gesù, ma trovano la loro spiegazione proprio dal suo invio nel mondo come rivelatore unico ed esclusivo di Dio e dei suoi disegni di salvezza.

A differenza però di Mosè, Gesù non è semplicemente un inviato, un mediatore tra Dio e il suo popolo ma, in quanto Figlio, egli è una sola cosa con il Padre, da lui “conosciuto” nella sua identità più piena, vale a dire quella di Figlio Unico e che, a sua volta, è l’unico a “conoscere” Dio nella sua indicibile paternità e, dunque, è l’unico in grado di “rivelare” chi è Dio! (Vangelo: Matteo, 11,27)

Questo Gesù ha fatto, mentre dimorava in questo mondo, con i suoi insegnamenti e i suoi gesti e, segnatamente, nell’ora della Croce nella quale la sapienza di Dio «che è rimasta nascosta» pienamente si disvela (cfr: Epistola: 1Corinzi 2,7). Nella Croce del Signore si palesa in modo del tutto inatteso e paradossale il mistero di Dio che si prende a cuore il destino dell’intera umanità di cui vede le sofferenze e di cui sente il grido e per la quale prepara «una terra bella e spaziosa» (Esodo 3,8), ovvero il suo Regno. Ha pertanto ragione l’Apostolo a non volere sapere altro «se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (1Corinzi 2, 2), epifania dell’amore inesauribile e incandescente di Dio, capace di attirare a sé quanti «sono stanchi e oppressi» (Matteo 11,28) non tanto da un “giogo” disumano emblematicamente raffigurato nell’oppressione dell’Egitto su Israele (cfr. Lettura), quanto dal giogo opprimente della legge del male e del peccato che grava sull’uomo e sulla storia. La preghiera liturgica, perciò, invita a lodare il Signore per l’amore con il quale ci ha amato «oltre ogni nostro pensiero e ogni attesa»: egli, infatti, per amore, ha inviato nel mondo il suo Figlio unigenito «perché nell’umiliazione della morte in croce riconducesse alla gloria l’uomo che dalla sua bontà era stato creato e per la propria superbia si era perduto» (Prefazio) La nostra partecipazione all’Eucaristia, memoriale perenne del sacrificio pasquale del Signore, ci pone a contatto con la fiamma viva del suo amore per noi che libera e salva e ci induce ad assumere il suo giogo dolce e leggero (Matteo 11,30) che è la carità e a portarlo concretamente nella mitezza e nell’umiltà del cuore.

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