Le numerose comunità gestite da religiose in tutta Italia rappresentano in molti casi dei luoghi-protetti, case-famiglia nel vero senso della parola, luoghi di accoglienza dove, in un clima di relazioni familiari vere, molte donne trovano sostegno e voglia di ricominciare una vita nuova. Nate per accogliere specialmente le vittime di tratta, sempre più queste case accolgono donne, spesso italiane, con i loro bambini, che fuggono da minacce e violenze quasi sempre domestiche. Vittime dei loro uomini, violenti e pericolosi, che non accettano sconfitte e mediazione di conflitti. Sono molti i casi in cui, per evitare che i continui conflitti si traducano in veri drammi della follia umana, queste mamme con i loro bambini vengono allontanate da casa. Purtroppo non sempre si interviene in tempo. E troppo poco si fa per la prevenzione, per spezzare schemi di potere e di dominio ancora troppo radicati nella nostra società e per denunciare l’inerzia di chi - e siamo tutti noi - è responsabile del disagio umano e sociale che lacera il nostro Paese.
Un'attivista del gruppo Femen protesta contro la violenza sulle donne a Istambul (foto Reuters).
Quello della violenza domestica è un fenomeno ancora troppo nascosto; si consuma il più delle volte in modo silenzioso e oscuro tra le mura delle nostre case. Salvo quando drammatici fatti di cronaca vengono alla ribalta sporadicamente sulle prime pagine dei nostri giornali.
Ma non basta. Perché il sensazionalismo non crea coscienza e consapevolezza. Occorre invece dare a questo fenomeno più profonda e costante attenzione.
Purtroppo quella della violenza sulle donne pare essere una piaga che sta dilagando non solo in Italia, ma in tanti altri Paesi. Poco tempo fa ho ricevuto la visita della moglie del Governatore dell’Alaska che chiedeva di poter visitare una delle nostre case-famiglia per donne vittime di tratta e di violenza domestica. Voleva confrontarsi con i nostri modelli di intervento e capire come cerchiamo di far fronte alle tragiche conseguenze di tali abusi
Durante la visita, a cui ha preso parte anche il marito Governatore, ci siamo imbattuti in una giovane mamma straniera in attesa di un bimbo. Aveva subìto pesantissime violenze fisiche da parte dell’uomo che l’aveva messa incinta perché abortisse. Non riuscendo nell’intento l’aveva letteralmente abbandonata lungo una strada. Trovata di notte da una delle nostre unità di strada, è stata accolta in comunità, dove ha ritrovato una casa e una famiglia.
Commovente il nostro incontro con lei. Parlando in un inglese stentato, in lacrime, mi chiedeva di ringraziare le suore che l’avevano presa con loro. Lei, donna musulmana, si sentiva accolta tra quelle religiose cristiane. Lei, senza casa e senza famiglia, aveva trovato un tetto e l’affetto e le cure delle suore. Lei, senza soldi e con un bimbo in arrivo, poteva adesso contare su qualcuno.
La sua testimonianza, così sincera e commossa, ha fatto breccia nel cuore dei nostri visitatori: hanno costatato l’importanza di creare luoghi adatti per accogliere queste donne con i loro bambini, luoghi in cui possano prendere il tempo per guarire le profonde ferite che si portano dentro e poter sperare e costruire un futuro sereno per loro e per i loro piccoli.
In questa giornata della donna, vorrei ricordare particolarmente queste mamme, che hanno subito troppe violenze. Non hanno bisogno di una mimosa, ma di un gesto di accoglienza, solidarietà, rispetto e amore per ricominciare ad avere fiducia in se stesse, nella vita, e in chi sta loro accanto.
Pubblicato il 09 marzo 2012 - Commenti (1)