28
mag

Donne e fede tra paure e speranza

Venerdì 25 maggio ho partecipato a Vicenza a una tavola rotonda nell’ambito dell’VIII Festival Biblico, insieme a Marina Corradi, giornalista di Avvenire, e Armando Matteo, teologo e scrittore. Moderava la conversazione Roberto Fighetto caporedattore cultura di Avvenire. Da alcuni anni Vicenza ospita questo grande evento che offre a migliaia di persone momenti di riflessione e confronto su tematiche di grande importanza per la società odierna, per tanti motivi smarrita e confusa e in cerca di parole di vita e di speranza nella Scrittura. Siamo tutti assai preoccupati della crisi economico-finanziaria che ha sconvolto le nostre vite e le nostre abitudini, ma forse dovremmo riflettere maggiormente anche sulla crisi etica e di valori per riscoprire motivi di speranza su cui poggiare la nostra vita. La saggezza della Scrittura (Mt. 7, 24-27) ci ricorda che per troppi anni la nostra società del benessere a ogni costo e del consumo senza regole ha cercato di costruire sulla sabbia molti castelli. Molti di questi sono crollati alle prime difficoltà, anche per mancanza di senso del sacrificio, dell’onestà e della responsabilità. Di fronte all’attuale crisi anche noi cristiani ci siamo lasciati prendere dal panico, dalla paura e dallo sconforto. Non sappiamo più trovare motivi di coraggio e di speranza e ci lasciamo prendere dall’angoscia e a volte anche dalla disperazione perché forse ci rendiamo conto che la nostra costruzione non aveva fondamenta e che all’abbattersi delle intemperie tutto è crollato. Invece, solo la speranza può sconfiggere tutte le paure che ci portiamo dentro. Ma è proprio quando la barca cerca di affondare a causa della burrasca che anche noi, come gli apostoli, sentiamo il bisogno di gridare: «Signore salvaci». La sua risposta non può essere che la stessa: «Uomini di poca fede perché avete dubitato?» (Mt. 14,3). Perché continuate a basare le vostre speranze semplicemente sulle vostre capacità e forze, che sono pur sempre necessarie ma limitate, e non vi rendete conto che il Padre Celeste ha cura dei suoi figli. Ci dice infatti: «Osservate come crescono i gigli del campo, non lavorano e non filano, eppure neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta"» (cfr. Mt 6, 28-33). Ecco dove si appoggia la nostra speranza cristiana anche nei momenti di maggior difficoltà. E tutto questo me lo hanno insegnato soprattutto le donne africane, che non si sono mai arrese e disperate di fronte alla loro povertà endemica. Altro che crisi economica! Loro, in condizioni di povertà estrema, hanno continuato a mettere in campo con coraggio tutte le loro energie, unite alla fiducia e alla speranza che il Signore non le avrebbe abbandonate. Anche di fronte alle prove più difficili la loro frase più frequente era: «Ngai are ho», che significa: «Il Signore c’è». Il Signore provvede, il Signore non ci abbandona. Questa fiducia, però, non impediva loro di darsi da fare in tutti i modi, nonostante i pochi strumenti che avevano a disposizione, per continuare con tenacia, coraggio, determinazione, ingegno e laboriosità a procurare il necessario per la famiglia e da condividere con chi era più povero di loro. Forse è proprio questo che è carente nella nostra società moderna. Abbiamo dimenticato che la condivisione dei beni crea sempre comunione e speranza, perché contribuisce al vero bene comune. Le donne africane vivono ancora oggi l’esperienza dei primi cristiani, quando «nessuno mancava del necessario» (Atti 4,34-37). Purtroppo, nella nostra società, oggi abbondano i casi di corruzione che vedono coinvolte personalità a tutti i livelli: imprese, organizzazioni, partiti, e anche del governo. Persone che dovrebbero essere modelli di onestà e legalità e che hanno impoverito tutta la società non solo per quanto hanno rubato, ma anche per il disprezzo dei valori umani e sociali. Grazie a Dio, l’Italia può ancora contare su tanti volontari, con molte donne in prima linea, che ogni giorno con il loro servizio e la loro dedizione offrono speranza e sollievo a tante persone che vivono nell’indigenza e che hanno bisogno di trovare aiuto per superare le difficoltà causate ancora una volta dai nostri squilibri di potere.

Pubblicato il 28 maggio 2012 - Commenti (0)
22
mag

Cinquant’anni di servizio alla missione

Ogni anno, dal 1962, il 22 maggio è sempre stato un anniversario che ho celebrato con tanta gioia e riconoscenza perché mi ricordava il giorno in cui, nella casa del noviziato delle suore missionarie della Consolata di Sanfrè, insieme ad altre 17 giovani sorelle piene di vita ed entusiasmo, pronunciavo il mio “sì”, senza se e senza ma, per una donazione totale a Cristo per la missione ad gentes.
Sono passati esattamente cinquant’anni. Quest’anno, infatti, l’anniversario segna una pietra miliare su cui scrivere il numero 50. Ossia il traguardo di un lungo cammino prima in Africa per 24 anni, vissuto soprattutto con ragazze e donne per renderle sempre più coscienti del loro ruolo e della loro dignità, nonché artefici del loro futuro. E, dal 1993, in Italia, dove ho cominciato a conoscere il mondo della notte e della strada, ovvero quello della tratta di esseri umani per lo sfruttamento sessuale.

Ed è stato proprio a contatto con questa nuova e triste realtà, vissuta da tante giovani, specialmente africane, che il Signore mi chiamava ancora una volta a cambiare i miei sogni e desideri per seguire il suo “progetto” come già fece nel lontano 1954 quando, leggendo la storia di suor Eugenia Cavallo, missionaria della Consolata uccisa in Kenya dai Mau Mau, Lui mi chiamava a donare la mia giovane vita, a lasciare la mia famiglia e il mio paese per seguirLo in una nuova avventura missionaria.

Il ricordo di questo giubileo è stato celebrato nella sede centrale dell’USMI di Roma, dove ci siamo trovate in tanti, tra religiose e laici. Padre Antonio Rovelli, missionario della Consolata, ha celebrato l’Eucaristia per rendere grazie al Signore, a questo Dio fedele cha ancora oggi passa sulle nostre strade e continua a scegliere e chiamare i suoi discepoli per mandarli nel mondo a testimoniare il suo amore e la sua predilezione per i poveri, i piccoli, gli emarginati gli sfruttati. «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi, perché andiate e portiate frutto…» (Gv. 15)
Durante la celebrazione, mentre ringraziavo il Signore per il dono di questa sua chiamata, ho ripercorso le tappe della mia lunga vita. Davanti alla comunità ho rinnovato la mia professione come missionaria della Consolata e, subito dopo l’offertorio, ho voluto ricordare con offerte simboliche quanti mi hanno accompagnato in questo cammino. La mia vita e il mio servizio si sono infatti intrecciati con quelli di tante altre persone, che mi hanno aiutata a realizzare il progetto di Dio.

In particolare, ho voluto offrire delle catene e con esse la sofferenza di tante giovani donne incontrate in questi anni in Italia e in altre parti del mondo, schiavizzate dai nostri sistemi di vita e di consumo. E ho voluto ringraziare per il servizio di tante religiose e operatori che lavorano con amore e dedizione per il recupero di queste giovani donne, affinché trovino la forza e il coraggio di spezzare gli anelli della loro terribile catena di schiavitù e morte e riscoprire la gioia di essere nuovamente donne libere e artefici del loro futuro.
Solo creando una forte rete di comunione possiamo diventare una vera forza per continuare a spezzare tutte le catene delle nuove e moderne schiavitù e per ridare a ogni persona il coraggio di riappropriarsi della propria dignità e di vivere la gioia della propria libertà. Solo così potremo gridare: «Mai più schiave!».

Pubblicato il 22 maggio 2012 - Commenti (0)
10
mag

Lotta alla tratta degli esseri umani

“La lotta alla tratta di esseri umani”. È il titolo di una speciale conferenza che si è tenuta ieri, 8 maggio, a Roma, nella sede del Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace. Promotore di questo particolare evento a Roma è stato nientemeno che l’Ufficio per le politiche migratorie della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles che ha voluto coinvolgere in questo incontro due dicasteri vaticani di particolare interesse: il Pontificio consiglio di Giustizia e Pace e quello per la Pastorale dei Migranti e Itineranti.
L’obiettivo: far emergere ancora una volta l’importanza del lavoro di rete tra tutte le forze politiche e religiose, di associazionismo e di volontariato che operano nel delicato e difficile campo della lotta contro il traffico di esseri umani. L’incontro di Roma dava continuità a un primo seminario sulla “Tratta di esseri umani” che si era svolto lo scorso dicembre a Londra, sempre organizzato dal Forum delle migrazioni cattoliche della Conferenza dei vescovi.

Io pure ero stata invitata a condividere con un folto gruppo di 120 partecipanti l’esperienza che da anni stiamo portando avanti in Italia e non solo, come religiose, in collaborazione con vari enti del pubblico e del privato, per sconfiggere questa terribile piaga della tratta di persone, specie per la compravendita del corpo di tante giovani ingannate e sfruttate.

La conferenza di ieri aveva lo scopo di offrire una maggior visibilità al problema e soprattutto cercare di incidere più decisamente nel dare risposte concrete, con l’obiettivo fondamentale di restituire rispetto e dignità alle persone. Il tutto, coinvolgendo una vasta rappresentanza di istituzioni-chiave, rappresentanti di governo e di Chiesa, ambasciatori di vari Paesi, interessati perché di origine, transito o destinazione delle persone trafficate, nonché le forze dell’ordine impegnate contro la criminalità.
Erano inoltre presenti rappresentanti di vari enti e istituzioni che da anni si battono su diversi livelli: prevenire il reclutamento, specialmente nei Paesi poveri (o impoveriti dai nostri stessi sistemi di vita); proteggere le vittime di tale traffico e sfruttamento e soprattutto offrire soluzioni alternative attraverso un’adeguata reintegrazione sociale sia nel Paese di origine che di destinazione.

La condivisione che mi è stata chiesta verteva sull’importanza e sulla forza del lavoro di rete. L’esperienza delle religiose italiane, che è andata rafforzandosi in questi anni, specialmente attraverso l’accoglienza nelle nostre stesse case, è un segno che colpisce e stimola le Conferenze di religiose di altri Paesi. Le interroga e le spinge ad assumere questa nuova emergenza, quale “segno dei tempi”, e le aiuta anche a rivitalizzare e attualizzare i loro stessi carismi di fondazione.

Durante la mattinata non è mancata la voce - interrotta più volte dalla commozione - di una giovane vittima, che ha raccontato, nel più assoluto silenzio e rispetto, la sua storia di inganno, illusione, maltrattamenti, disprezzo, solitudine, prima di trovare aiuto e ottenere una possibilità di riscatto. Oggi questa giovane donna ha ritrovato identità, dignità e libertà, ma purtroppo non ha ancora del tutto superato il trauma psicologico, morale e spirituale vissuto all’età di 18 anni.

Mentre ascoltavo, pure io commossa e indignata per quello che aveva dovuto subire, rivedevo i volti di tante giovani incontrate sulle strade del nostro Paese e riascoltavo le loro storie, le loro sofferenze, il loro grido di aiuto. E mi domandavo: fino a quando la nostra società con la sua perdita di valori veri e umani, del rispetto e dell’accoglienza, rimarrà sorda e indifferente di fronte a questo grido? Perché ancora oggi nel nostro Paese non si parla della costante richiesta di sesso a pagamento che tiene imprigionate tante giovani donne e lo si giustifica in mille modi? Perché si continuano a trasmettere modelli culturalmente e moralmente sbagliati soprattutto ai nostri giovani? E perché le nostre istituzioni di governo e di Chiesa, che hanno responsabilità sociale e morale - anche attraverso parrocchie, scuole, mezzi di comunicazione… - non parlano quasi mai di questo grosso problema della “domanda”?
I milioni di clienti che acquistano sesso a pagamento contribuiscono a sostenere i guadagni dei trafficanti e a tenere schiave nel nostro Paese, che si dice civile e cattolico, migliaia di donne sfruttate e abusate.

Ancora una volta il Convegno ha voluto lanciare un forte appello alla coesione, al mettere in comune le nostre forze e la nostra capacità di lavorare in rete. Un lavoro che richiede davvero un grande sforzo; ciascuno di noi deve offrire il proprio contributo per spezzare per sempre tutti gli anelli di questa orribile catena.

Pubblicato il 10 maggio 2012 - Commenti (1)

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Autore del blog

Noi donne oggi

Suor Eugenia Bonetti

Missionaria della Consolata, è stata per 24 anni in Kenya. Al ritorno comincia a lavorare in un Centro d’ascolto e accoglienza della Caritas di Torino, con donne immigrate, molte delle quali nigeriane, vittime di tratta. Dal 2000 è responsabile dell’Ufficio tratta dell’Unione superiori maggiori italiane (Usmi). Coordina una rete di 250 suore di 70 diverse congregazioni, che operano in più di cento case di accoglienza. Il presidente Ciampi l’ha nominata nel 2004 Commendatore della Repubblica italiana.
Ha scritto con Anna Pozzi il libro "Schiave" (Edizioni San Paolo).

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