14
giu

Ministro Kyenge, offese ingiustificabili

Giovedì sera, 13 giugno, ho partecipando a un incontro all’università Gregoriana, organizzato dal Centro Astalli. All’incontro era presente anche la neo ministro dell’Integrazione, Cecile Kyenge, prima donna di origine africana  nel governo italiano.


Don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana che moderava l’incontro, rivolgendosi alla Ministro prima dell’introduzione, le presentava le sue scuse e la sua solidarietà per i numerosi commenti denigratori subiti dall’inizio della sua nomina.

Ciò che mi ha maggiormente sconcertata e assai indignata è stato l’ultimo affronto, a dir poco volgare, violento, scandaloso ed esecrabile, per non dire diabolico, rivolto alla ministro da un’altra donna, pure lei impegnata in politica, Dolores Valandro, consigliera della Lega in una circoscrizione di Padova. Parlando della Kyenge si è permessa un’espressione a dir poco vergognosa e aberrante: «Ma mai nessuno che la stupri?!».


Durante l’incontro alla Gregoriana, la ministro ha semplicemente detto, con discrezione e pacatezza, da vera donna con animo e linguaggio nobile e senza retorica, che non intende rispondere a queste affermazioni, giacché per tutta la vita si è battuta per contrastare ed eliminare la violenza in tutte le sue forme, fisica ma anche verbale, che può ferire le persone, specialmente quando toglie loro fiducia, buon nome e reputazione.

Interpretando il sentire di tante donne, per di più religiose, che da anni si prodigano per ridare dignità, identità e libertà ad altre donne, desidero rivolgermi in modo particolare e direttamente alla signora Dolores Valandro e a quanti possono approvare la sua posizione o la pensano come lei. In Italia ci sono migliaia di donne africane che ogni notte subiscono veri e propri stupri a pagamento da parte di moltissimi uomini italiani, “clienti” incuranti di ciò che può sentire e vivere una donna vittima di tratta e costretta allo sfruttamento sessuale.

Perché non parliamo mai di questa triste e vergognosa realtà? Si rende conto la signora Valandro e moltissimi altri sedicenti benpensanti di cosa significa subire violenza ogni notte, e ripetutamente?

Perché le nostre istituzioni non prendono provvedimenti seri ed efficaci per lottare contro questa terribile piaga del nostro secolo? Una vera e propria schiavitù, non mi stancherò mai di ripeterlo, che riguarda migliaia di giovani donne, in gran parte immigrate, che subiscono abusi e violenze senza mai fare notizia.

Forse le donne straniere sono considerate di “seconda categoria” anche dai nostri media? Se poi sono costrette alla prostituzione, allora vediamo in loro una mera merce usa e getta? Magari qualcuno penserà pure che se la sono cercata…. Che dire, poi, delle dieci giovani donne nigeriane uccise lo scorso anno sulle nostre strade e di cui nessuno parla, perché non interessano, non fanno notizia, non si trovano i colpevoli e le loro famiglie non potranno mai avere un risarcimento?

Ormai il tema del “femminicidio” è diventato notizia quasi giornaliera nei nostri media. Questa violenza che si scatena contro le donne è diventata un indice inconfutabile del grave declino culturale e valoriale che attanaglia il nostro Paese e che dobbiamo contrastare, recuperando relazioni vere e cariche di senso tra uomo donna, basate sul rispetto reciproco e non sulla convenienza o gli interessi personali.
Ben vengano allora nuove proposte che ci aiutino a creare una comunità più rispettosa e solidale, multietnica e multiculturale, fondate sull’accoglienza, l’integrazione, il rispetto e la valorizzazione della ricchezza e della bellezza di ciascuno. Qualunque sia la sua provenienza.

Pubblicato il 14 giugno 2013 - Commenti (0)
06
dic

Schiavitù, una piaga del mondo moderno

In questi giorni si è nuovamente parlato di abolizione della schiavitù: un tema che sembra apparentemente anacronistico, soprattutto perché molti continuano ad associare a questo termine esclusivamente la tratta degli schiavi africani verso le Americhe.
Purtroppo, però, nuove forme di schiavitù sono ancora ben presenti nel mondo, nonostante l’approvazione, il 2 dicembre 1949, da parte dell’Assemblea generale Onu, della Convenzione sulla soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione altrui.
La schiavitù tuttavia è un fenomeno che non appartiene al passato, perché sotto forme diverse, spesso circondate da opportunismo e indifferenza, dilaga e prospera ancora oggi, sia nei Paesi in via di sviluppo, sia nelle nazioni che si definiscono democratiche e magari hanno sottoscritto la stessa Convenzione del 1949.
Ancora oggi, nel 2012, la compravendita di esseri umani rappresenta business enorme gestito da mafie internazionali e transnazionali che riforniscono il mercato di braccia e corpi per il lavoro nero, l’accattonaggio, la prostituzione, le adozioni illegali, la porno-pedofilia e il trapianto illegale di organi.

L’abolizione della tratta transatlantica degli schiavi nel XIX secolo non ha sradicato la pratica dello schiavismo a livello mondiale. Al contrario, questa pratica ha assunto altre forme, che persistono tuttora: la proprietà di esseri umani, la sottomissione tramite il meccanismo della restituzione del debito, il lavoro forzato, la tratta di donne e minori, la schiavitù domestica e la prostituzione forzata, inclusa quella minorile; ma anche la schiavitù sessuale, i matrimoni forzati e la vendita delle mogli; il lavoro e la servitù minorile.
Tutte forme di schiavitù che tengono incatenate tante persone con i loro problemi e le loro difficoltà come pure tante famiglie e intere popolazioni, schiavizzate e soggiogate dai molti che speculano sulle loro situazioni di povertà.
È importante quindi affrontare il fenomeno nella sua complessità e non illudersi di sradicare la schiavitù, combattendola solo nei luoghi ormai noti dove si predano esseri umani semplicemente perché non hanno alternative.

Questo richiede una presa di coscienza collettiva, solidale, globale e responsabile, che coinvolga istituzioni ed enti affinché si arrivi a spezzare tutti gli anelli della terribile catena di tutte le forme di schiavitù e dipendenza.
Queste nuove forme di schiavitù allontanano sempre più il Nord dal Sud del mondo, i Paesi ricchi da quelli impoveriti dai nostri stessi sistemi di vita e di sfruttamento, nonché le stesse classi sociali all’interno anche dei nostri Paesi, dove si allarga la forbice tra chi è sempre più ricco e avido di guadagno ad ogni costo e di chi non sa come vivere.
Nel preambolo della Convenzione sulla soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione altrui del 1949, si mette in particolar modo in evidenza il fatto che «la prostituzione e il male che l’accompagna, vale a dire la tratta degli esseri umani ai fini della prostituzione, sono incompatibili con la dignità ed il valore della persona umana e mettono in pericolo il benessere dell'individuo, della famiglia e della comunità».

Purtroppo non basta una Convenzione, sia pure molto importante, per abolire la schiavitù e tutte le sofferenze e i mali a essa collegati, se non c’è la convinzione che ogni persona ha diritto alla propria dignità e possibilità di scelta e di decisione della propria vita e del proprio futuro e non può essere mercanteggiata come una qualsiasi merce e tantomeno privata del necessario per vivere.
Doris, una nigeriana sedicenne, che avevo incontrato all’inizio del mio servizio alla Caritas di Torino, mi raccontò come riuscì a fuggire dal luogo dove era tenuta prigioniera e, aiutata dalla Polizia, portata in una delle nostre case di accoglienza. Doris raccontò di uomini e donne nigeriane che si riunivano per selezionare le giovani immigrate clandestine appena giunte in Italia per avviarle alla prostituzione.
Le giovani donne dovevano mostrarsi su un tavolo completamente nude. Qui venivano selezionate e vendute all’asta; il costo variava dai 20 ai 50 milioni di lire ognuna, secondo l’età, la bellezza, il livello di educazione e la prestanza fisica. Dopo la vendita, le ragazze venivano portate via dai nuovi proprietari e tenute imprigionate in una casa, sotto la sorveglianza delle madam, che le controllavano e prelevavano tutti i proventi della strada per saldare il loro debito.
Nel primo libro scritto con Anna Pozzi (ed. San Paolo 2010), intitolato significativamente “Schiave”, abbiamo voluto raccogliere molte di queste storie e molti spunti di riflessione per far capire che cosa vuol dire la schiavitù moderna. I molti racconti di tante giovani vittime ci ricordano che la schiavitù è purtroppo ancora presente in mezzo a noi. E dunque siamo tutto chiamati a mobilitarci insieme, lavorando in rete affinché, con il contributo di tutti, si possano spezzare gli anelli di questa catena.

Pubblicato il 06 dicembre 2012 - Commenti (0)
24
ott

L'Europa contro la “tratta di esseri umani"

Il 18 ottobre si è celebrata in tutti i Paesi europei la sesta giornata contro la tratta di esseri umani. Come più volte è stato costatato e affermato, il traffico di esseri umani è un’industria illegale che genera miliardi di dollari sfruttando uomini, donne e bambini.

In modo particolare si ritiene che quasi l’80 per cento del racket mondiale della tratta sia per lo sfruttamento sessuale, con circa il 20 per cento di vittime minorenni. Il traffico di persone  è un vero business globale, che non si limita a determinate aree geografiche, come i “Paesi in via di sviluppo”, ma interessa quasi tutte le regioni del mondo, per reclutamento, passaggio o  immissione sul mercato del sesso.

Purtroppo anche l’Italia è fortemente colpita da questo fenomeno, finalizzato non solo allo sfruttamento sessuale, ma anche per quello lavorativo e l’accattonaggio. Uno scenario drammatico e vergognoso, che mostra con evidenza come la nostra società ricca e moderna risulti in realtà assai impoverita dei suoi stessi valori umani, cristiani e culturali.

Un momento dell'incontro svoltosi a Londra.
Un momento dell'incontro svoltosi a Londra.

Nel suo ultimo rapporto annuale, pubblicato recentemente, l’organo anti-tratta del Consiglio d’Europa esorta tutti i Paesi a intensificare la lotta per contrastare questo fenomeno. Lo stesso Segretario generale, Thorbjørn Jagland, ha affermato che «la tratta degli esseri umani è una tragedia europea.

Numerose vittime non sono ancora adeguatamente riconosciute come tali e non ricevono il sostegno di cui hanno bisogno. Inoltre, le difficoltà delle indagini e dei procedimenti giudiziari fanno sì che i trafficanti non siano debitamente puniti per i loro crimini». Per questo esorta le organizzazioni internazionali, le autorità nazionali e gli organi non governativi a «lavorare insieme per porre fine a queste rivoltanti violazioni dei diritti umani inaccettabili nell’Europa del XXI secolo».

Quest’ultima esortazione si è concretizzata il 16 e 17 ottobre presso il Parlamento di Londra, dove si è tenuto un  importante seminario interparlamentare organizzato dalla stessa Unione Europea. Questo incontro voleva essere un segnale concreto per sensibilizzare e preparare la Giornata contro la tratta di esseri umani.

Vi hanno partecipato 80 persone, tra cui parlamentari di 12 Paesi europei e una quindicina di esperti e rappresentanti di organizzazioni non governative. L’Italia era rappresentata dal senatore Maritati, da Marco Scarpati presidente di Ecpat-Italia (End Child Prostitution and Trafficking) e dalla sottoscritta in rappresentanza di tante organizzazioni religiose che da anni si occupano di questa nuova forma di schiavitù. Per me è stata la seconda volta, dopo l’incontro al Senato di Roma nel mese di marzo 2012, tra parlamentari europei.

Questo progetto, della durata di due anni, ha lo scopo di promuovere una rete di parlamentari di diversi Paesi per sviluppare una fattiva cooperazione per il controllo delle frontiere e l’implementazione di strategie adeguate per prevenire il reclutamento, offrire protezione e sicurezza alle vittime e punire sia le organizzazioni criminali come pure quanti lucrano su questo indegno mercato.

Il programma iniziale prevedeva l’organizzazione di seminari di riflessione per i parlamentari di 18 Paesi europei che avevano aderito all’iniziativa con l’obiettivo di far emergere il problema, conoscerne i meccanismi, condividere informazioni sul fenomeno in costante evoluzione e sui risultati delle azioni di contrasto.

A loro volta i parlamentari avrebbero dovuto riportare ai loro rispettivi Paesi di provenienza i risultati e i suggerimenti emersi da questi incontri. Purtroppo, si è più volte notato come gli stessi onorevoli conoscano poco il fenomeno e soprattutto come non ci sia coesione e collaborazione tra le varie forze che operano per il contrasto della tratta di esseri umani.

Anche la giurista Maria Grazia Giammarinaro - dal 2009 Rappresentante Speciale all’Osce per la sicurezza e la cooperazione per il contrasto alla tratta di esseri umani in Europa - ha parlato dell’importanza del lavoro in rete di tutti coloro che lavorano sul territorio. Ci ha ricordato che le direttive europee che saranno implementate nel 2013 da tutti i Paesi dell’Unione devono offrire un forte segnale di contrasto a queste forme di mafia e corruzione.

Questa comune legislazione dovrebbe anche favorire l’identificazione e la protezione delle vittime, offrendo opportunità di accompagnamento, reinserimento e di punizione dei trafficanti.

Che dire poi della confisca dei beni dei criminali per un serio risarcimento dei danni subiti dalle vittime? E cosa fare soprattutto di fronte all’uccisione di tante persone, i cui colpevoli non sono mai individuati o adeguatamente puniti?

La normativa europea potrebbe offrire una adeguata risposta. Come pure sarebbe auspicabile la creazione di nuovi tavoli di confronto e collaborazione tra governi e istituzioni non governative, tra le forze dell’ordine e associazioni del privato che si occupano di prevenzione o reintegrazione. Solo lavorando insieme, ciascuno con la propria specificità si possono trovare soluzioni umane ed efficaci.

Pubblicato il 24 ottobre 2012 - Commenti (0)
01
ott

Schiave d'Europa

Il commissario europeo Cecilia Malmström, incaricata degli Affari interni, ha reso noto un rapporto sul traffico degli esseri umani specialmente per lo sfruttamento sessuale che ci conferma, una volta di più, l’enormità di questo dramma e l’urgenza di intervenire. «Il traffico degli esseri umani è la schiavitù dei nostri tempi - ha denunciato la commissaria Ue -: soprattutto il traffico delle donne sfruttate per il commercio del sesso. Romania e Bulgaria sono i Paesi più colpiti. I dati sono in aumento. Le cause? Certamente la crisi economica ha reso queste stesse vittime ancora più deboli. E noi avremmo dovuto fare molto di più nel passato, per aiutarle».

Il rapporto precisa che tre quarti delle vittime di traffico di esseri umani sono oggetto di sfruttamento sessuale; le donne sono il 79 per cento del totale, e il 12 per cento di queste sono ragazze minorenni, 2 su 10 sono maschi.
È vero, molto è stato fatto ma la legislazione non basta se non si crea una cultura del rispetto e del vero valore della dignità di ogni persona. In Italia, ad esempio, abbiamo una delle migliori legislazioni europee per la protezione e la reintegrazione sociale delle vittime di sfruttamento e riduzione in schiavitù alle quali viene pure dato un permesso di soggiorno per motivi sociali o umanitari. (art. 18 del T.U sull’immigrazione del 1998).

Da allora oltre 6.000 vittime di tratta hanno usufruito di questa legislazione e sono state aiutate a reintegrarsi nel nostro tessuto sociale. Oggi però, sempre di più, facciamo fatica a far applicare questa legge agli stessi enti preposti, anche quando le vittime sporgono denuncia. Molte di queste giovani sfruttate devono attendere parecchi mesi e a volte anni prima di ottenere i dovuti documenti e prima di poter riprendere in mano la propria vita e il proprio futuro in modo dignitoso. Le nostre istituzioni e case di accoglienza si sono molto rallegrate lo scorso anno quando l’Unione europea ha emanato una nuova normativa per le persone vittime di tratta, approvata nel febbraio del 2011. Questo nuovo testo, che fissa i principi generali sulla prevenzione del fenomeno della tratta e sulla protezione delle vittime, dovrebbe entrare in vigore nell’aprile 2013. Questo potrebbe favorire una maggior cooperazione tra gli Stati europei in particolr per il contrasto della criminalità organizzata.

Purtroppo, come sovente abbiamo costatato e denunciato, dopo tanti anni di impegno da parte di enti pubblici e privati, nonché di organizzazioni di volontariato, Caritas e congregazioni religiose, soprattutto femminili, il problema non tende a diminuire, anzi. Il meccanismo di questa nuova e moderna schiavitù, particolarmente di donne e minori, cambia strategie e modalità di reclutamento, trasporto e gestione pur di sostenere un grande “business” fatto di interessi e corruzione e di assicurare al tempo stesso la richiesta di sesso a pagamento.

Ciò che ci preoccupa maggiormente in questo momento sono i dati che riguardano soprattutto le minorenni, menzionati dal commissario perché le cifre potrebbero essere notevolmente in difetto. Lo scorso 19 settembre l’Italia ha finalmente ratificato la Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, con la condanna categorica della pedofilia e pedopornografia. Ci sono voluti tre anni perché il Senato desse il via libera definitivo al provvedimento contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale sui bambini. Entra così nel codice penale la parola “pedofilia” per cui è prevista la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni per chi si macchia di questo orribile reato. Ciononostante, la realtà di sfruttamento che incontriamo ogni giorno sulle nostre strade, nei night club e negli appartamenti continua a essere molto triste e allarmante.

Ci auguriamo che la nuova normativa approvata nelle scorse settimane dal governo italiano sullo sfruttamento sessuale dei minori trovi piena applicazione, senza scuse e senza remore, e che includa anche il fenomeno del “turismo sessuale”, che riguarda tre milioni di persone in tutto il mondo, molte delle quali dei veri e propri pedofili. Questo mercato molto proficuo non conosce crisi e vede gli italiani in prima fila. Li chiamano travelling sex offender, viaggiano in cerca di esperienze sessuali, soprattutto con minori.

Le risposte date dai diversi Paesi dell’UE si differenziano a secondo delle situazioni economiche sociali e culturali, mentre tutti i Paesi sono d’accordo sul fatto che si debba agire subito per trovare soluzioni adeguate. La Commissaria ha lanciato una consultazione tra i vari Stati per integrare efficacemente la direttiva europea già approvata. A tutti viene chiesto di fare molto di più dando maggior attenzione a cinque punti prioritari per una vera strategia quinquennale e globale: prevenzione del traffico; punizione sicura dei responsabili; identificazione e protezione delle vittime; coordinamento interstatale, anche con Paesi fuori dalla Ue; aumento dell’informazione sul fenomeno.

Io sento il bisogno di aggiungere un altro punto, forse il più strategico di cui molto raramente si parla: il contrasto della richiesta di sesso a pagamento da parte del nostro mondo maschile e maschilista, che non vuole mai mettersi in discussione. È proprio la richiesta costante e per molti versi in crescita, che alimenta la catena di queste nuove schiave. Fino a quando ci sarà la richiesta i trafficanti troveranno i modi per importare e tenere imprigionate migliaia di giovani donne che sognano una vita migliore per loro e i loro cari e si trovano letteralmente a vivere l’inferno.

Pubblicato il 01 ottobre 2012 - Commenti (1)
02
ago

La prostituzione non è un mestiere

Durante il programma televisivo “Cominciamo bene” di Rai3, andato in onda giovedì 26 luglio e condotto da Giovanni Anversa e Arianna Ciampoli, è stato trattato un argomento assai controverso che ogni tanto torna alla ribalta: “Legalizzazione e tassazione della prostituzione”. Prendevano parte alla discussione Antonio Morina, Tributarista, l’on. Carolina Lussana, deputata della Lega, Bia Sarasini, scrittrice e giornalista e Pia Covre del movimento per i diritti civili delle prostitute.

La trasmissione è iniziata con la presentazione di alcune cifre, frutto di una delle ultime inchieste che ha messo ancora una volta in evidenza un dato impressionante: oggi in Italia ci sono circa settanta mila prostitute e circa nove milioni di clienti al mese, per un giro d’affari mensili di novanta milioni di euro. Un “business” che potrebbe fruttare allo Stato 260 milioni di entrate in tasse all’anno.

Durante la trasmissione si è discusso della prostituzione - ossia della vendita del corpo di una persona - come se si trattasse di un qualsiasi lavoro autonomo, quindi soggetto alle leggi di mercato. Di conseguenza, si sosteneva la necessità di un pagamento delle tasse come avviene per tutti i lavoratori autonomi.

Il dibattito si è svolto con serietà, ma anche con diversità di approcci e di vedute. Ancora una volta era predominante il bisogno e la richiesta di una normativa per colmare il vuoto legislativo lasciato dalla legge Merlin del 1958, quando, dopo dieci anni di discussione, è stata decisa la chiusura delle case di tolleranza in cui le donne erano schedate come meretrici.

Si è messo, inoltre, in evidenza - e con forza - il fatto che molta gente, di fronte a quello che continua a essere chiamato “il mestiere più vecchio del mondo”, sostenga con molta superficialità che il problema potrebbe essere regolamentato e risolto con una legislazione appropriata, a tutela di quante scelgono questa forma di “lavoro”, con tutti i diritti e doveri previsti per qualsiasi altra professione. La prostituzione, intesa come vendita del proprio corpo in piena libertà di scelta, entrerebbe quindi a far parte della categoria di lavoro autonomo, con relative tutele sindacali e contribuzione fiscale.

Di fronte a queste considerazioni, sento il bisogno di condividere alcune riflessioni, basate sulla mia ventennale esperienza di lavoro e di lotta contro la tratta di esseri umani, specialmente donne e minori per lo sfruttamento sessuale. Un fenomeno che sta distruggendo non solo una generazione di giovani donne immigrate provenienti da Paesi poveri, ma che sta anche logorando il nostro tessuto sociale con risvolti assai deleteri sui nostri giovani e ancor più sulle nostre famiglie.

Cosa dire ad esempio dell’enorme numero di richieste di sesso a pagamento in un Paese cosiddetto civile come l’Italia, dove il 70 per cento dei clienti sono persone sposate o conviventi? E si può davvero parlare di 70 mila donne che hanno scelto liberamente e volontariamente di fare la prostituta? Siamo proprio sicuri che queste donne considerino il loro esser lì sulle nostre strade, negli appartamenti o nei locali come un lavoro autonomo alla stregua di qualsiasi altra libera professione?

Sappiamo bene, invece, che oltre l’80 per cento di queste donne sono immigrate e sono state trafficate, comprate e vendute da trafficanti che gestiscono un “business” internazionale miliardario. Un “business” che frutta alla criminalità organizzata (anche di casa nostra) enormi guadagni. Le giovani immigrate, coinvolte nella prostituzione, sono spesso partite dai loro Paesi, lasciando situazioni di grande povertà, con la speranza di poter lavorare nel nostro ricco Occidente per migliorare le proprie condizioni di vita e aiutare le loro famiglie. Molte si sono ritrovate invischiate nelle maglie di trafficanti senza scrupoli, che usano queste donne come merci, con la “complicità” dei clienti che con la loro richiesta di sesso a pagamento sostengono e alimentano questi ignobili traffici.
 
Queste donne non hanno certamente scelto di fare la prostituta, ma sono state costrette con l’inganno e con la coercizione - psicologica oltre che fisica - a vivere nella clandestinità, nella paura e nell’ignoranza dei loro diritti e doveri in un Paese straniero. Perché allora non pensare, prima di tutto, a rompere gli anelli di questa terribile catena di schiavitù che sfrutta e opprime migliaia di donne? Sono loro le nuove schiave del XXI secolo. Vittime di un sistema che toglie alla persona libertà e dignità.

Purtroppo questa catena di schiavitù è formata da tanti anelli: le vittime, con la loro povertà e mancanza di scelta; gli sfruttatori con i loro ingenti guadagni; i clienti con le loro frustrazioni e richieste; la nostra società con la sua carenza di valori, di etica morale, civile e familiare; il consumismo sfrenato, che pretende che tutto si possa vendere e comprare, compreso il corpo di una donna e ancor più di una minorenne; i governi con i loro sistemi di corruzione e di connivenze; ma noi, come singoli cittadini con il nostro silenzio e la nostra indifferenza.

Purtroppo oggi il bene comune viene confuso con la libertà indiscriminata di scelta, di opinioni, di interessi personali. Forse abbiamo dimenticato che l’etica morale si fonda sul rispetto e la dignità della persona, che vive nella società, in sintonia con elementi culturali e tradizionali che rappresentano il bagaglio di un Paese civile, rispettoso di valori veri e duraturi.

Le conseguenze di questo “libertinaggio” non sono affatto da sottovalutare, perché creano una grande povertà di valori e di relazioni. Quante infedeltà matrimoniali, quante rotture di impegni e promesse, quante famiglie sfasciate! E le conseguenze più disastrose spesso le pagano i figli.

Quale esempio e quale formazione alla responsabilità e al rispetto della propria e altrui dignità stiamo offrendo ai nostri giovani? Quali saranno le conseguenze psicologiche sulla vita di tanti adolescenti che sono spinti a giustificare tutto in nome della libertà personale? Non ci accorgiamo che stiamo pericolosamente abbassando il nostro stesso livello valoriale e culturale e che proponiamo sempre più modelli non finalizzati alla costruzione del bene comune, ma semplicemente al perseguimento dell’interesse personale di ciascuno?

Anche il lavoro dovrebbe essere considerato per il contributo positivo che può offrire per il bene della persona e della società. Ogni lavoro, per umile e semplice che sia, dovrebbe nobilitare la persona, aiutarla a offrire il suo contributo di intelligenza, capacità e competenza alla costruzione di un mondo migliore. Com’è possibile considerare la prostituzione come lavoro dignitoso e onesto? Perché le nostre donne che incontriamo sulle strade o accogliamo nelle nostre case-famiglia provano tanta vergogna a raccontare le loro storie di sopruso e umiliazione? Perché una volta che hanno lasciato questo losco mercato vogliono solo dimenticare questo capitolo della loro vita?

Durante una recente conferenza in Canada, mi è stato dato di ascoltare la testimonianza di una donna che ha esercitato la prostituzione per oltre vent’anni come mezzo di sostentamento per lei e per i suoi figli. Dopo aver condiviso la sua triste esperienza, seguita da un profondo silenzio da parte dell’assemblea presente, ha aggiunto: “Nessuno osi dire che le prostitute lo fanno perché lo vogliono e lo scelgono. Io non l’avrei mai fatto se avessi avuto altre opportunità o se avessi incontrato una persona disponibile ad aiutarmi a trovare un altro lavoro”.

Termino queste riflessioni ribadendo ancora una volta con forza che legalizzare la prostituzione e riconoscerla come lavoro autonomo può diventare sinonimo della legalizzazione della stessa tratta di esseri umani, la nuova schiavitù del ventunesimo secolo conclamata e vissuta da tante donne

Pubblicato il 02 agosto 2012 - Commenti (4)
24
lug

Bestie

Recentemente due suore nigeriane sono venute in Italia a un seminario internazionale per religiose provenienti da diversi Paesi del mondo per rafforzare la rete di Talitha Kum. Insieme, si è cercato di trovare strategie comuni per incidere sui Paesi di origine, transito e destinazione di migliaia di giovani donne, vittime di organizzazioni criminali internazionali che le trafficano e le costringono alla prostituzione.

Dalle diverse esperienze è emerso prima di tutto il grande problema della povertà endemica in tanti Paesi d’origine che facilita il compito dei trafficanti di esseri umani, che usano varie strategie - tra cui i riti voodoo - per “adescare” e soggiogare le loro prede.

Ma i trafficanti sono presenti pure nei Paesi di transito per monitorare il passaggio delle vittime e non rischiare di perdere il loro “investimento”. Ogni donna vittima di tratta, costretta a prostituirsi in Europa, frutta dai 60 agli 80 mila euro.


Nei Paesi di destinazione, invece, i trafficanti sono ancora in azione per pianificare l’offerta e rispondere alla domanda di milioni di uomini, in cerca di sesso a pagamento. Purtroppo la crisi economica non incide su questo mercato.

Una delle due religiose nigeriane venute in Italia è stata diverse sere sulle nostre strade per incontrare le ragazze e rendersi conto della loro triste situazione. Incontrando un giornalista durante una conferenza stampa, che le chiedeva che cosa l’aveva colpita di più durante quegli incontri notturni sulla strada, diede una risposta agghiacciante: «Ho notato che voi italiani siete molto amanti degli animali e li trattate molto bene», disse con molta convinzione e pacatezza. «Come avrei voluto vedere le nostre ragazze trattate almeno come animali».

Quanto mi ha colpita quella risposta e quanto mi ha fatto riflettere quella drammatica a verità. Proprio in questi giorni, leggendo le polemiche legate a un allevamento di animali destinati presumibilmente alla vivisezione, mi sono tornate in mente le parole di quella religiosa. E ho pensato che, come è giusto indignarsi per l’atroce fine che fanno quegli animali, allo stesso modo dovremmo alzare il nostro grido di denuncia e di indignazione per il trattamento bestiale che viene riservato a molte giovani immigrate, che subiscono ogni giorno le peggiori violenze sulle strade del nostro Paese.

Pubblicato il 24 luglio 2012 - Commenti (1)
14
lug

E' ora di colpire i clienti

Sono di questi giorni le notizie di arresti di trafficanti di esseri umani sia a La Spezia che a Sassari. Penso sia giunto il momento di essere molto più severi con i trafficanti di merce umana e cercare di confiscare i loro proventi e risarcire le donne ridotte a schiave dei danni subiti.


“Finalmente giustizia è fatta”, è stata una bella notizia emanata dalla Corte d’Assise d’appello dell’Aquila a favore di diciassette donne nigeriane costrette a prostituirsi sulla Bonifica del Tronto in condizioni di grave sfruttamento: 50.000 euro di provvisionale immediata per ogni ragazza, la revoca della confisca dei beni sequestrati agli imputati in favore dello Stato e il sequestro conservativo in favore delle vittime. 

Queste notizie e risoluzioni potrebbero incoraggiare molto le stesse vittime a collaborare con la giustizia per mettere fine al commercio di esseri umani così come viene fatto per il traffico di droga. Ben venga allora la proposta di una legge in Italia come quella della Svezia e della Norvegia, che mira a colpire e a multare anche il cliente in modo che serva da deterrente. 

Questo provvedimento, però, deve essere accompagnato da una vera educazione e formazione al rispetto e alla dignità della persona. La donna non può essere ridotta a mero oggetto, che si può mercanteggiare, specialmente se vive in stato di paura o di vulnerabilità. La nostra proposta va ben oltre la punizione. Quest’ultima, se non è accompagnata da un cambiamento di mentalità e di valori, non porta certamente i frutti desiderati e duraturi in un mondo dove la differenza di genere deve essere accolta e vissuta nella quotidianità e nella complementarietà pur nella diversità dei ruoli.

Le nuove legislazioni possono essere efficaci se discusse tra le varie componenti sociali e specialmente con chi opera a diversi livelli e con diversi ruoli per contrastare il traffico di esseri mani per lo sfruttamento sessuale, al fine di trovare comuni accordi per proporre e attuare leggi adeguate ed efficaci. È importante e necessaria la collaborazione di quanti sono coinvolti in prima persona nella lotta alla criminalità organizzata, nonché nella protezione delle vittime e persino nel recupero del cliente, perché anche lui è un anello saldo della catena di questa nuova schiavitù che deve essere spezzato affinché lui stesso possa riappropriarsi della sua dignità.

Facciamo campagne informative e formative, puntando specialmente sui giovani nelle scuole e nelle parrocchie e ridurremo di molto la richiesta. Solo allora le nostre leggi punitive saranno efficaci e durature, perché basate su convinzioni e su valori veri di una convivenza umana e rispettosa della dignità propria e altrui.

Pubblicato il 14 luglio 2012 - Commenti (1)
22
mag

Cinquant’anni di servizio alla missione

Ogni anno, dal 1962, il 22 maggio è sempre stato un anniversario che ho celebrato con tanta gioia e riconoscenza perché mi ricordava il giorno in cui, nella casa del noviziato delle suore missionarie della Consolata di Sanfrè, insieme ad altre 17 giovani sorelle piene di vita ed entusiasmo, pronunciavo il mio “sì”, senza se e senza ma, per una donazione totale a Cristo per la missione ad gentes.
Sono passati esattamente cinquant’anni. Quest’anno, infatti, l’anniversario segna una pietra miliare su cui scrivere il numero 50. Ossia il traguardo di un lungo cammino prima in Africa per 24 anni, vissuto soprattutto con ragazze e donne per renderle sempre più coscienti del loro ruolo e della loro dignità, nonché artefici del loro futuro. E, dal 1993, in Italia, dove ho cominciato a conoscere il mondo della notte e della strada, ovvero quello della tratta di esseri umani per lo sfruttamento sessuale.

Ed è stato proprio a contatto con questa nuova e triste realtà, vissuta da tante giovani, specialmente africane, che il Signore mi chiamava ancora una volta a cambiare i miei sogni e desideri per seguire il suo “progetto” come già fece nel lontano 1954 quando, leggendo la storia di suor Eugenia Cavallo, missionaria della Consolata uccisa in Kenya dai Mau Mau, Lui mi chiamava a donare la mia giovane vita, a lasciare la mia famiglia e il mio paese per seguirLo in una nuova avventura missionaria.

Il ricordo di questo giubileo è stato celebrato nella sede centrale dell’USMI di Roma, dove ci siamo trovate in tanti, tra religiose e laici. Padre Antonio Rovelli, missionario della Consolata, ha celebrato l’Eucaristia per rendere grazie al Signore, a questo Dio fedele cha ancora oggi passa sulle nostre strade e continua a scegliere e chiamare i suoi discepoli per mandarli nel mondo a testimoniare il suo amore e la sua predilezione per i poveri, i piccoli, gli emarginati gli sfruttati. «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi, perché andiate e portiate frutto…» (Gv. 15)
Durante la celebrazione, mentre ringraziavo il Signore per il dono di questa sua chiamata, ho ripercorso le tappe della mia lunga vita. Davanti alla comunità ho rinnovato la mia professione come missionaria della Consolata e, subito dopo l’offertorio, ho voluto ricordare con offerte simboliche quanti mi hanno accompagnato in questo cammino. La mia vita e il mio servizio si sono infatti intrecciati con quelli di tante altre persone, che mi hanno aiutata a realizzare il progetto di Dio.

In particolare, ho voluto offrire delle catene e con esse la sofferenza di tante giovani donne incontrate in questi anni in Italia e in altre parti del mondo, schiavizzate dai nostri sistemi di vita e di consumo. E ho voluto ringraziare per il servizio di tante religiose e operatori che lavorano con amore e dedizione per il recupero di queste giovani donne, affinché trovino la forza e il coraggio di spezzare gli anelli della loro terribile catena di schiavitù e morte e riscoprire la gioia di essere nuovamente donne libere e artefici del loro futuro.
Solo creando una forte rete di comunione possiamo diventare una vera forza per continuare a spezzare tutte le catene delle nuove e moderne schiavitù e per ridare a ogni persona il coraggio di riappropriarsi della propria dignità e di vivere la gioia della propria libertà. Solo così potremo gridare: «Mai più schiave!».

Pubblicato il 22 maggio 2012 - Commenti (0)
30
giu

Fanciulla, alzati!

Sono da poco rientrata da un lungo viaggio negli Stati Uniti dove ho avuto diversi incontri a vari livelli e con gruppi di persone per far emergere ancora una volta il volto, i drammi, il grido e le sofferenze di tante donne e minorenni che in ogni parte del mondo, particolarmente nei Paesi cosiddetti del benessere, dello sviluppo e del consumo, vivono ancora l’umiliazione dello sfruttamento, della sopraffazione e della mercificazione del loro corpo.

     In modo particolare ho avuto modo di condividere la ricchezza e l’impegno di tante donne religiose che ogni giorno lavorano con amore e coraggio per ridonare dignità e libertà, vita e speranza a quanti sono stati derubati dei loro stessi sogni di ricerca e di affermazione come persone e non come oggetti. 


    Durante questi incontri era viva in me l’esperienza appena vissuta a Roma, durante un importante seminario, che ha visto la partecipazione di una trentina di religiose, coordinatrici di varie reti nazionali e continentali. L’incontro si è svolto nella sede delle Superiore generali delle Congregazioni internazionali femminili (Uisg) e aveva il preciso scopo di rafforzare una rete internazionale di religiose chiamata Talitha Kum. Scopo di questa vasta rete è quello di coordinare e condividere gli stessi obiettivi per operare insieme e far fronte all’emergenza della tratta a scopi prostituzionali, intervenendo sia nei Paesi di origine, che in quelli di transito e di destinazione di questo mercato infame, dove ciò che conta non è la persona, bensì la sete di guadagno, di potere e di piacere a ogni costo.

     I trafficanti sono molto ben organizzati nel trasportare e mettere sul mercato la loro “merce”, ma anche noi vogliamo essere altrettanto efficienti nel contrastare questo “commercio” e nel rompere tutti gli anelli di questa catena di schiavitù. Talitha Kum non vuole essere solo un nome qualsiasi dato alla rete internazionale, ma vuole essere un programma di azione concreto per poter dire a ogni donna curva sotto il peso della propria umiliazione: alzati! Alzati e riscopri la tua bellezza e dignità, la tua voglia di vivere, di danzare e di cantare il canto della vita e dell’amore. Accompagnata in questo suo cammino di liberazione troverà la forza di sognare ancora un futuro di speranza e di pace.

     Al termine di questo incontro, un gruppo di 23 religiose ha vissuto l’esperienza concreta di una visita a una casa famiglia, dove diverse donne uscite da questa spirale di violenza e di morte possono guardare al loro futuro e a quello dei loro figli, giacché hanno trovato nelle religiose che gestiscono la comunità una mano tesa e una voce amica che ha ripetuto le stesse parole e lo stesso gesto di Gesù rivolto alla figlia di Giairo: “Fanciulla, alzati! Talitha kum!”.

 

Pubblicato il 30 giugno 2011 - Commenti (0)
25
feb

Incastrati nei cliché

Giornalisti all'attacco.
Giornalisti all'attacco.

Da quando ho partecipato alla manifestazione per la dignità della donna lo scorso 13 febbraio, non so più quante decine di richieste di interviste, analisi, commenti ho ricevuto. Televisioni, radio, riviste, quotidiani… Ho perso i conti! Capisco l’importanza della comunicazione. In questi anni, noi stesse, come ufficio “Tratta donne e minori” delle religiose italiane, abbiamo cercato di collaborare il più possibile con i media per far passare dei messaggi corretti, formando e informando sulle terribili conseguenze di questa nuova forma di sfruttamento che sta distruggendo non solo la vita di tante giovani immigrate, ma anche del nostro stesso tessuto sociale, specie la famiglia che ha perso il valore della fedeltà, del rispetto e della relazione interpersonale basato sull’amore conquistato e non mercanteggiato.

     Come donne e religiose, che ogni giorno vivono a fianco di tante donne ferite e umiliate, abbiamo cercato di far conoscere questo mondo della notte e della strada per dire che siamo tutti responsabili di questo disagio sociale e che solo lavorando insieme, ciascuno con le proprie competenze e responsabilità, questa schiavitù del XXI secolo può e deve essere debellata. Anche per questa ragione ho accettato questa nuova sfida di tenere un blog sul sito di Famiglia Cristiana. Un impegno che si aggiunge a molti altri - e dunque non senza fatica - ma che va in questa logica di comunicare per il bene (il bene della conoscenza) e per fare del bene (il bene dell’azione, dell’impegno per una causa giusta).

     Solo che a volte ho l’impressione che lo scopo dei media non sia né il bene né tanto meno la verità. Me ne sono resa conto personalmente in questi giorni in cui sono stata assalita da intervistatori di  tutti i tipi. A volte, avevo l’impressione che il giornalista non solo volesse pormi una domanda, ma avesse già in mente la risposta. Insistendo e provocando per farmi dire quello che aveva in mente lui o lei. Per “incastrarmi” dentro alcuni cliché ai quali potevo essere funzionale. O per portare il mio intervento su un piano più politico.

     Sapevo perfettamente che esponendomi alla manifestazione di domenica 13 avrei rischiato possibili strumentalizzazioni, in un momento così delicato per l'Italia. Ne abbiamo discusso a lungo anche all’interno delle nostre istituzioni di religiose per meglio capire e vagliare l’opportunità di questo intervento in piazza e cogliere questa nuova sfida. Questa scelta delicata e coraggiosa è stata poi sostenuta e accompagnata anche dalla preghiera di 60 monasteri di clausura, ai quali avevamo affidato questo intervento in pubblico a favore della dignità della donna.

     Ma come è possibile che i giornalisti non riescano a capire che non tutto può essere usato per fare polemica oppure buttato in politica? Non esistono forse altri valori, altre buone notizie da far conoscere, che stimolano al bene e formano all’emulazione positiva? Perché si usa così tanto spazio, tempo ed energie per far emergere solo tanta cronaca nera oppure lotte di parte che niente hanno a che fare con il vero bene e interesse dei cittadini? Di che cosa si nutrono e come si educano i nostri telespettatori?

Altra riflessione e domanda cruciale è quella relativa all’immagine della donna nel mondo dello spettacolo, della pubblicità, degli slogan. Ma perché noi donne non ci indigniamo di fronte a tanto scempio ma accettiamo tutto per scontato, contribuendo ad una cultura del piacere, dell’avere, dell’apparire, invece di scoprire l’armonia e la ricchezza interiore di ogni persona?

     Noi religiose, impegnate a contrastare il traffico di esseri umani per lo sfruttamento sessuale, chiediamo a voi giornalisti di aiutarci a far emergere non solo la cultura della bellezza e dell’uso del corpo, bensì la cultura del rispetto reciproco, basato sulla complementarietà e non sul possesso.

 

Pubblicato il 25 febbraio 2011 - Commenti (2)

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Autore del blog

Noi donne oggi

Suor Eugenia Bonetti

Missionaria della Consolata, è stata per 24 anni in Kenya. Al ritorno comincia a lavorare in un Centro d’ascolto e accoglienza della Caritas di Torino, con donne immigrate, molte delle quali nigeriane, vittime di tratta. Dal 2000 è responsabile dell’Ufficio tratta dell’Unione superiori maggiori italiane (Usmi). Coordina una rete di 250 suore di 70 diverse congregazioni, che operano in più di cento case di accoglienza. Il presidente Ciampi l’ha nominata nel 2004 Commendatore della Repubblica italiana.
Ha scritto con Anna Pozzi il libro "Schiave" (Edizioni San Paolo).

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