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mar

La “squadra di Ponte Galeria” compie 10 anni

In più occasioni ho cercato di far emergere le gravi problematiche legate al Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria. Oggi vorrei ricordare con riconoscenza il servizio di tante religiose che in questo Cie incontrano migliaia di donne immigrate di vari Paesi. Da dieci anni!
Era, infatti, il 15 marzo 2003, quando un primo gruppetto di cinque suore di diverse congregazioni e nazionalità varcavano timidamente per la prima volta i pesanti cancelli di quello che allora si chiamava Centro di permanenza temporanea (Cpt) di Ponte Galeria (Roma), per iniziare visite settimanali alle donne immigrate che vi sono recluse perché prive di documenti. Più tardi il Cpt è stato trasformato in Cie e la reclusione è passata da 30 giorni a 60 giorni e, dal giugno 2011, addirittura a 18 mesi.
Da allora andiamo a Ponte Galeria ininterrottamente tutti i sabati pomeriggio. Come donne e religiose volevamo entrare in quel luogo di sofferenza e solitudine per incontrare le donne immigrate in attesa di espulsione, offrire ascolto e conforto e condividere un momento di preghiera ecumenica specialmente con le donne africane di lingua inglese. Si tratta in maggioranza di nigeriane, quasi tutte vittime di tratta, trovate sulle strade, senza documenti.
All’inizio, l’impatto con tutte quelle donne (in certi momenti sino a 180!), stipate in dormitori squallidi, freddi e spogli, tra sbarre di ferro che si confondono con il grigiore del pavimento di cemento, ci ha terribilmente impressionate. Le donne avevano a disposizione solo un letto e vivevano tutto il giorno nell’inerzia assoluta, senza progetti, programmi o qualsiasi coinvolgimento e occupazione. L’assistenza pastorale e religiosa che volevamo offrire è stata subito accolta con molta riconoscenza soprattutto dalle nigeriane. Allo stesso tempo, altre donne di diverse nazionalità hanno chiesto di poter avere pure loro la visita di religiose provenienti dai loro Paesi e che parlassero la loro lingua. Ci siamo organizzate e, grazie alla presenza di altre suore, il loro desiderio è stato accolto.

In questi dieci anni di servizio al Centro abbiamo incontrato moltissime donne di Paesi africani: Nigeria, Togo, Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Somalia, Eritrea, Etiopia, Kenya, Sudan e Tanzania. Seguono quelle provenienti dai Paesi arabi: Libia, Tunisia, Marocco. Dall’Est Europeo: Romania, Albania, Serbia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Kosovo. Dai Paesi dell’ex Unione Sovietica: Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Kazakhstan, Russia, Siberia. Dall’Asia: Mongolia e Cina. Ci sono anche presenze dall’America Centrale e del Sud, con ragazze provenienti da Colombia, Brasile, Ecuador, Perù, Bolivia, Argentina, Guatemala, Cile, San Salvador.
Nonostante il clima spesso triste e opprimente, non sono mancati in questi dieci anni i momenti di festa, in particolare in occasione del Natale, dell’Epifania, della Pasqua, ma anche della Festa delle donne e di quella della Mamma. Durante questi incontri oltre alla distribuzione di piccoli doni utili - indumenti personali, tute calde, borse… - si condividono canti, musica e danze improvvisate che creano comunione, aggregazione e gioia.
Il gruppo di religiose - che qualcuno ha ribattezzato la “squadra di Ponte Galeria” - è andato sempre più aumentando, con nuove presenze e provenienze, per rispondere ai bisogni di tutti i gruppi di vari Paesi. Pian, piano la nostra presenza fatta di relazioni e contatti, sia con le detenute come con il personale che gestiva il Centro, è diventata sempre più ricercata ed apprezzata per l’atmosfere di fiducia che aveva creato.
Questi dieci anni di servizio ininterrotto, in questo luogo di ingiustizia e di sofferenza inutile, ha visto il coinvolgimento e la presenza di 60 religiose provenienti da 27 Paesi e appartenenti a 28 congregazioni religiose. Un bellissimo esempio di lavoro in rete per una pastorale a difesa e protezione di donne povere, vulnerabili e senza diritti semplicemente perché senza documenti.
Spesso abbiamo alzato la voce per denunciare la terribile ingiustizia di lasciare queste donne a sprecare mesi preziosi della loro vita senza un motivo serio e in condizioni disumane. Abbiamo coinvolto e informato personale istituzionale e di governo, i media e tutto coloro a cui sta a cuore la dignità della persona. Più volte abbiamo auspicato che si formassero dei tavoli di confronto tra istituzioni governative e membri di associazioni coinvolte sul territorio per trovare insieme soluzioni degne di un Paese civile e rispettoso dei diritti umani, nel rispetto delle leggi ma anche della dignità della persona.
Purtroppo i nostri appelli non sono mai stati ascoltati. Eppure, sebbene la nostra presenza sembra non produrre frutti di cambiamento nelle istituzioni, noi non ci scoraggiamo e non vogliamo disertare questo impegno settimanale, continuando a garantire una presenza costante di consolazione e vicinanza a chi soffre.
Un ultimo pensiero riconoscente alle religiose e alle loro comunità e congregazioni per questo prezioso servizio che certamente comunica una piccola luce di conforto e speranza a tutte le donne che abbiamo incontrato, amato e sostenuto.

Pubblicato il 19 marzo 2013 - Commenti (0)
24
dic

Natale per chi non trova posto

Da circa nove anni l’Ufficio “Tratta donne e minori” dell’Unione delle superiore maggiori d’Italia (USMI) è presente al CIE di Ponte Galeria, dove centinaia di immigrati sono in attesa di identificazione ed espulsione perché privi di documenti.


      Un gruppo di una ventina di religiose di diverse Congregazioni e nazionalità visita settimanalmente il reparto riservato alle donne per offrire una presenza di consolazione e di speranza, in quella situazione così difficile e dolorosa. Specialmente a durante questo periodo di feste. Queste donne, sempre oltre il centinaio, vedono il proprio sogno migratorio frantumarsi  e subiscono l’umiliazione di ritornare a casa a mani vuote, invece di continuare ad aiutare la famiglia, come avevano cercato di fare venendo in Italia.

     Purtroppo molte di queste giovani donne, specialmente le nigeriane e quelle provenienti dall’Europa dell’Est, sono spesso anche vittime della terribile tratta di esseri umani sia per sfruttamento lavorativo ma soprattutto per sfruttamento sessuale. Sono gli anelli più deboli di una terribile catena di schiavitù che tiene soggiogate milioni di giovani vittime ingannate, trasportate nei Paesi di “consumo”, messe sul mercato del sesso, da cui è difficile sganciarsi per ricostruirsi una nuova vita. 

      Nel Centro di Ponte Galeria, come in tutti i Cie d’Italia, gli ambienti sono di uno squallore indescrivibile. Non esistono luoghi di aggregazione e le giornate trascorrono nella più totale inerzia. Terribile per giovani piene di vita, costrette a passare lunghe ore sdraiate sul letto, a volte in preda alla disperazione, sognando un futuro di libertà e normalità. L’unico momento della settimana che fa la differenza è la presenza delle suore il sabato pomeriggio. 

     Le incontriamo in gruppetti a seconda della loro provenienza e conoscenza della lingua, per stare con loro, ascoltare le loro storie, far uscire la loro rabbia e offrire un momento di riflessione e di preghiera, con canti e letture che richiamano la ricchezza e bellezza delle loro culture e tradizioni. Uno dei momenti più belli e significativi, che si ripete ogni anno, è stata certamente la celebrazione del Natale, attraverso un momento di preghiera ecumenica, con canti in varie lingue e un momento di festa per tutte. 

     Anche quest’anno si è ripetuta questa celebrazione, giacché Gesù vuole nascere anche nel Cie di Ponte Galeria, in un ambiente non molto diverso da quello in cui è nato duemila anni fa, in una stalla di Betlemme. Celebrare il Natale con le ragazze e le donne che sono a Ponte Galeria è sempre un’esperienza unica e toccante. Un’esperienza di vita, gioiosa e dolorosa, al tempo stesso. Gioiosa, perché permette di donare la gioia di Betlemme a chi non ha nulla. Dolorosa per il dramma che vivono queste ragazze, lontane dal loro Paese e dalle loro famiglie, dal loro mondo giovanile e dagli affetti più cari. 

      È in questa atmosfera che siamo tornate quest’anno a Ponte Galeria, con una quindicina di suore. Abbiamo incontrato una settantina di donne, pronte a riunirsi nella sala mensa per celebrare insieme il Natale e cogliere il suo messaggio di gioia, di pace, di condivisione e fratellanza: i doni che il Redentore vuole donare ancora ai poveri, agli ultimi, agli emarginati. Quest’anno ci ha profondamente colpito l’annuncio della nascita di Gesù proclamato in ben dieci lingue: italiano, spagnolo, portoghese, inglese, francese, russo, ucraino, rumeno, albanese, e infine in cinese. Dopo l’annuncio della Parola, i canti e le preghiere, ogni ragazza si dispone a preparare la culla dove deporre il Bambinello.

     Purtroppo non hanno nulla all’infuori delle mani aperte e vuote dove possono ricevere e contemplare un Bambinello splendente di luce. Le donne non possiedono nulla qui al Cie. Hanno solo la loro storia personale, fatta di violenze subite, a volte di ferite profonde incise nel cuore. Sicuramente il piccolo Gesù va volentieri da loro, per santificare e sanare le loro vite distrutte. Vita che rimane ugualmente e sempre un dono di Dio. Questo momento è sempre vissuto dalle donne e anche da noi con molta commozione.

     Al termine della celebrazione ecumenica, è seguito il momento di festa con l’arrivo di Babbo Natale che distribuisce a tutte doni utili e graditi: una grande borsa, una tuta calda, vestiario e abbigliamento intimo, nonché dolci tipici di Natale insieme a un bellissimo peluche, donato dagli alunni di due scuole: Marymount di Roma e da un Liceo statale di Ariccia.
Il tutto distribuito tra tanta allegria, con musica e canti natalizi. Solo in questa condivisione il Natale ha senso. Ancora oggi il Piccolo Bambino si fa presente nelle “stalle” odierne, per portare un messaggio di gioia e di pace, proprio come duemila anni fa, quando aveva sperimentato il rifiuto dell’accoglienza nei palazzi dei potenti, giacché anche oggi, come allora, “non c’è posto per Lui nell’albergo”.

Pubblicato il 24 dicembre 2011 - Commenti (0)
24
apr

Pasqua a Ponte Galeria

UJn'immagine scattata nel Cie di Ponte Galeria.
UJn'immagine scattata nel Cie di Ponte Galeria.

Dal mese di marzo del 2003, un gruppo di religiose di diverse congregazioni e provenienti da vari Paesi - e dunque con differenti lingue materne - ogni sabato pomeriggio visita il Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria, nei pressi di Roma, che può ospitare circa 180 donne in attesa di rimpatrio perché senza documenti.

     Da parecchi mesi suor Giulia, una giovane religiosa nigeriana, era parte di questo gruppo organizzate dall’Ufficio “Tratta donne e minori” dell’USMI. Durante un raduno della sua congregazione, la Madre Generale le chiede di condividere il servizio che svolge tra queste donne immigrate in attesa di espulsione. Suor Giulia risponde semplicemente: «Madre, a Ponte Galeria noi facciamo come Maria sotto la Croce». Alla domanda di ulteriore spiegazione suor Giulia aggiunge che anche noi, come Maria, non riusciamo a cambiare la situazione di tante donne che vivono l’esperienza della sofferenza e della croce perché non vogliono tornare a casa a mani vuote, costrette a vivere il fallimento del loro progetto migratorio iniziato per aiutare la famiglia. Ma anche noi siamo lì, tutti i sabati, per offrire una presenza materna di conforto.

     Nei tanti luoghi di dolore, creati dall’uomo stesso, come lo fu il Calvario, anche il silenzio e la presenza possono avere un valore umano e cristiano. Allora ha senso che il Venerdì Santo 2011, uniti a tutti i crocifissi della storia e della società, una ventina di religiose abbia passato i cancelli e i controlli carcerari per ripercorrere con le oltre cento donne di diverse nazionalità, attualmente presenti nel Centro di Ponte Galeria, il cammino della Via Crucis.

     Per coinvolgerle abbiamo preparato una riflessione di sei stazioni, una lingua per ogni stazione, dove le donne si alternano nelle letture, nei canti e nelle preghiere. La venerazione e il bacio della croce è sempre un momento molto toccante e commovente, durante il quale le donne entrano in sintonia con la sofferenza di quel Cristo che ha assunto su di sé ogni sofferenza, paura, abbandono e disprezzo, giacché lui ha vinto il mondo proprio attraverso la sua morte.

      Ma la morte non ha l’ultima parola. Al di là della sofferenza, del peccato e della morte stessa si intravede la gloria della resurrezione. Lui ha spezzato le catene di tutte le schiavitù, oppressioni, ingiustizie, discriminazioni e sfruttamenti di ogni tipo. E alla fine del percorso dei nuovi Colossei, creati anche oggi dai nostri stessi sistemi di vita, ci sarà l’incontro con il Risorto come lo è stato per la Maddalena, che lo cerca al sepolcro ormai vuoto. Si sente chiamata per nome, Maria, lo riconosce e lo chiama Maestro.

     A lei, come a tante altre donne che vivono situazioni di sofferenza ed esclusione, questo annuncio si ripete ed insieme viene dato loro il mandato di andare e annunciare che Lui non è morto ma vive. Il primo annuncio della resurrezione che ha sconvolto e cambiato il corso della storia dell’umanità viene dato proprio a una donna. Possa questo annuncio di speranza e liberazione realizzarsi per tutte le persone che soffrono e sperano in un futuro di pace e armonia dove i diritti e la dignità di ogni persona venga rispettata e valorizzata.

     Allora per tutti noi il Venerdì Santo è già preludio della Pasqua di Resurrezione ed insieme potremo annunciare che Cristo è Vivo ed è ancora presente in mezzo a noi.

     A tutti i lettori gli auguri più sinceri e cordiali di Buona Pasqua.

Pubblicato il 24 aprile 2011 - Commenti (0)

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Autore del blog

Noi donne oggi

Suor Eugenia Bonetti

Missionaria della Consolata, è stata per 24 anni in Kenya. Al ritorno comincia a lavorare in un Centro d’ascolto e accoglienza della Caritas di Torino, con donne immigrate, molte delle quali nigeriane, vittime di tratta. Dal 2000 è responsabile dell’Ufficio tratta dell’Unione superiori maggiori italiane (Usmi). Coordina una rete di 250 suore di 70 diverse congregazioni, che operano in più di cento case di accoglienza. Il presidente Ciampi l’ha nominata nel 2004 Commendatore della Repubblica italiana.
Ha scritto con Anna Pozzi il libro "Schiave" (Edizioni San Paolo).

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