28
mar

Gli schiavi, vecchi e nuovi

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione del 17 dicembre 2007, ha proclamato il 25 marzo Giornata internazionale delle vittime della schiavitù e della tratta degli schiavi transatlantica. Un fenomeno unico nella storia dell’umanità, sia per la sua durata (dal XVI al XIX secolo, quattrocento anni), sia per la sua portata (circa 17 milioni di persone, esclusi i morti durante il trasporto) sia per il coinvolgimento di numerose regioni e continenti: Africa, America settentrionale e meridionale, Europa e Caraibi.

     Dopo molte campagne per l’abolizione di una simile deportazione durante il corso del XIX secolo quasi tutti i Paesi hanno aderito all’abolizione della schiavitù e del commercio degli schiavi. Nel 1926 con la Convenzione internazionale sulla schiavitù di Ginevra la Società delle Nazioni proibì il commercio di schiavi e condannò la schiavitù in tutte le sue forme. Nel 1948, nella Dichiarazione universale dei diritti umani la schiavitù venne nuovamente condannata ufficialmente.

     Possiamo quindi ammettere che la schiavitù e il commercio degli schiavi sia davvero abolito e rispettato? Tutt’altro. Ci troviamo, infatti, di fronte a una nuova forma di tratta di esseri umani creata dai nostri stessi meccanismi economici per soddisfare l’avidità di denaro, potere e piacere dei nuovi trafficanti di esseri umani. La tratta delle donne per la prostituzione forzata è una di queste: donne provenienti da Paesi in via di sviluppo trafficate e ridotte in schiavitù per l’industria del sesso.

     Oggi c’è una crescente presa di coscienza circa il fatto che la schiavitù esiste ancora in Europa alla fine del XXI secolo. Ma non è ancora abbastanza. Questa nuova forma di schiavitù, infatti, coinvolge moltissimi Paesi di origine, transito e destinazione, senza che esistano efficaci azioni di contrasto e prevenzione. Secondo stime attendibili, ogni anno 2.700.000 donne e minori vengono trafficati nel mondo, ossia venduti e comperati soprattutto per l’industria del sesso a pagamento; di questi, 500.000 solo in Europa.

     Anche l’Italia fa la sua parte in questo sporco business: nel nostro Paese, infatti, ci sarebbero dalle 50 alle 70 mila vittime di tratta, provenienti in maggior parte dalla Nigeria e dai Paesi dell’Est europeo. Le nigeriane, in particolare, vengono costrette alla prostituzione attraverso le minacce e il voodoo (riti di magia nera che le violenta e le assoggetta psicologicamente), mentre le altre sono ridotte in schiavitù attraverso forme di assoggettamento psicologico e affettivo, oltre che con la violenza.

     Ancora oggi, tante donne continuano a perdere, oltre alla loro dignità e identità, la loro stessa vita. Uno degli ultimi casi di cui ho dovuto occuparmi è quello di Blessing, madre di tre bambini uccisa per essersi ribellata agli sfruttatori e aver rifiutato di pagare un “debito” di 40 mila euro, contratto a sua insaputa prima di venire in Italia. «Mai più schiave!» vuole essere il nostro costante grido e impegno di donne che aiutano a liberare altre donne, giacché ogni persona è stata pensata e creata da Dio con la sua dignità e libertà.    

Pubblicato il 28 marzo 2011 - Commenti (0)
21
mar

Donne per l’unità d’Italia

Tre bandiere tricolore - che rappresentano i tre giubilei del 1911, 1961 e 2011 in un collegamento ideale tra le generazioni - costituiscono il logo dell’anniversario che abbiamo celebrato il17 marzo in tutta Italia e anche all’estero per molti italiani emigrati per lavoro o per studio. Queste tre bandiere ci ricordano la necessità di ritrovarci popolo, di riconoscerci comunità nazionale e, allo stesso tempo, cittadini europei, non come rifugio in ciò che è già avvenuto, ma come occasione per il Paese di riscoprire la propria identità e il proprio modo più autentico di essere, di crescere e di continuare il cammino intrapreso.

Abbiamo celebrato un anniversario molto importante e significativo: i 150 anni dell’unità d’Italia, la nostra Madre Patria che in tutti questi anni ha generato figli e figlie, che in modi diversi hanno contribuito allo sviluppo del Paese. Personalità che si sono distinte nel campo della politica, della cultura, della scienza, dell’arte, della musica, della solidarietà…: persone che hanno portato il buon nome dell’Italia nel mondo intero.

In tutti questi anni il nostro Paese è emerso con coraggio e determinazione da tante vicissitudini di povertà e conflitti. Questo non solo per la presenza di persone che hanno fatto “storia”, ma soprattutto per la capacità di tanta gente comune che, giorno dopo giorno, ha fatto conoscere il volto e il nome della nostra patria sulla scena politica, economica, sociale e religiosa del mondo.

Tra questa gente, comune e laboriosa, mi piace oggi ricordare la presenza e il contributo delle donne, non solo di quelle che per le loro capacità si sono affermate affiancandosi al sesso maschile nei campi direttivi e di governo; vorrei ricordare piuttosto le donne di tutte le età ed estrazione sociale, che hanno creato nel loro quotidiano il vero tessuto sociale di questa nostra Patria, basato sui valori del lavoro, del rispetto e dell’onestà; sulla fedeltà, insomma, a quei valori autentici - umani e cristiani - che sono stati così trasmessi alle varie generazioni.

Vorrei ricordare prima di tutto le donne, così dette “casalinghe”, spose e madri, le quali con la loro laboriosità e tenacia sono state il cuore e la vita della famiglia, vissuta anche come “Chiesa domestica”, impegnate a formare ed educare ai valori della convivenza e della responsabilità sociale. Ricordo pure le donne che, pur conservando un ruolo preciso nella famiglia, hanno impegnato le loro capacità nel mondo del lavoro: nelle fabbriche, nelle scuole, negli ospedali, nelle comunità cristiane, portando ovunque quel tocco che le caratterizza nella femminilità, gentilezza, ospitalità e maternità.

Vorrei, inoltre, ricordare tutte quelle donne religiose che nei monasteri di clausura, nelle comunità di vita attiva e nelle missioni hanno fatto fiorire opere di solidarietà ed emancipazione, particolarmente a favore delle classi più svantaggiate e di persone in difficoltà. Di queste persone difficilmente si occupano i mezzi di comunicazione sociale, ma sono soprattutto loro che hanno contribuito a mantenere viva nella nostra società i valori portanti per una comunità equilibrata che sa unire il concreto con il trascendente, il privato con il pubblico, il particolare con il sociale, il benessere con la solidarietà e la condivisione.

A questo riguardo ringrazio la scrittrice e giornalista Maria Pia Bonanate per avere raccolto le storie di parecchie religiose e aver pubblicato il libro “Suore” (Ed. Paoline), dove le figure e le storie di diverse donne comuni, con il loro servizio, amore e donazione, senza interessi personali, senza mirare alla carriera, hanno fatto la differenza e hanno costruito una società dove le opere concrete scaturiscono dal cuore di donne. Donne che sono accanto a chi fa più fatica a vivere e a chi, forse, non è considerato “persona” con gli stessi diritti e la medesima dignità di ogni altra persona umana.

A tutte voi donne, forti o deboli, giovani o anziane, nei ruoli di governo o madri di famiglia, laiche o religiose giunga il mio augurio e l’invito ad essere sempre più consapevoli del nostro ruolo specifico di presenze di vita e armonia, fedeltà e accoglienza, pace e riconciliazione. Questo è ciò che l’Italia si aspetta da noi donne per la costruzione di una nazione, dove ogni persona non vale per ciò che produce, ma ciò per che è: essenzialmente “Persona” con diritti e doveri e soprattutto con la medesima dignità, perché creata ad immagine di Dio.

Pubblicato il 21 marzo 2011 - Commenti (0)
11
mar

La donna come merce "usa e getta"

Riprendo un tema che mi interroga molto nel mio lavoro quotidiano con donne vittime di tratta e costrette a vendere il proprio corpo: quello dell’immagine della donna e del suo ruolo nella società e nella famiglia che viene diffuso dai nostri media. In questi ultimi tempi si è cercato di eliminare la prostituzione di strada perché dava fastidio e disturbava i sedicenti benpensanti.

A abbiamo voluto rinchiuderla in luoghi meno visibili, pensando di aver risolto il problema, ma non ci rendiamo conto che una prostituzione del corpo e dell’immagine della donna è diventata ormai parte integrante dei programmi e notizie televisive, della cultura del vivere quotidiano e proposta a tutti, compresi quei bambini che volevamo e pensavamo di tutelare. Purtroppo l’immagine che viene trasmessa in tanti modi e forme dai media e dalla pubblicità è innanzitutto del corpo della donna inteso solamente come oggetto o strumento di piacere, di consumo e di guadagno, misconoscendo invece l'essenziale che lo stesso corpo umano racchiude: una bellezza infinita e profonda da scoprire, rispettare, apprezzare e valorizzare.

Le costanti notizie di cronaca che in queste ultime settimane si susseguono sui nostri giornali e nelle trasmissioni televisive e radiofoniche ci sgomentano e ci portano a pensare che siamo ancora molto lontani dal considerare la donna per ciò che è veramente e non semplicemente un oggetto o una merce da usare. Tutto questo purtroppo educa allo sfruttamento, al sopruso, al piacere, al potere, senza alcuna preoccupazione delle dolorose conseguenze sui nostri giovani che vedono modelli da imitare e mete da raggiungere.

La donna è diventata solo una merce che si può comperare, consumare per poi liberarsene come un qualsiasi oggetto “usa e getta”. Troppo spesso è considerata solo per la bellezza e l’aspetto esteriore del suo corpo e non invece per la ricchezza dei suoi valori veri di intelligenza e di bellezza interiore per la sua capacità di accoglienza, intuizione, donazione e servizio, per la sua genialità nel trasmettere l’amore, la pace e l’armonia, nonché nel dare e far crescere la vita.

Pubblicato il 11 marzo 2011 - Commenti (0)
06
mar

8 marzo: il senso di una festa

Tra i tanti commenti ricevuti in questi giorni uno mi è giunto anche da una suora di clausura che ho trovato particolarmente bello, profondo e ricco di riflessioni. Non riguarda solo la dignità della donna in generale, bensì parla del fatto che tale dignità deve essere prima di tutto riconosciuta e rispettata dalla donna stessa. La donna deve assumersi in prima persona la responsabilità di far emergere e rispettare la propria dignità. La donna deve diventare sempre più protagonista e artefice della sua vita e del suo futuro creando una convivenza equilibrata e armoniosa, portatrice ed educatrice di valori profondi per sé e poi per la società in cui vive.

Così scrive la claustrale: «Che le donne facciano sentire la loro voce e richiamino l’attenzione su quanto di loro si pensa, si dice e soprattutto si propaganda, per manifestare il loro dissenso e le loro ragioni, lo ritengo legittimo, ma nello stesso tempo spererei vivamente che la donna stessa abbia giusta consapevolezza della dignità che vuole affermare e idee chiare sulla sua identità e capacità di progettazione della propria vita. Cosa che, francamente, non mi sembra essere sempre certa nel nostro contesto sociale. Mi sembra infatti che essere donna, e donna emancipata, attualmente si identifichi il più delle volte con l’equiparazione di ruoli e poteri rispetto all’uomo. Tanto che non è raro sentire parlare di cifre sulla partecipazione femminile agli incarichi di rappresentanza o di alto livello a dimostrazione della sua posizione culturale ancora minoritaria. Ma il problema è a monte: se anche la donna giungesse ai vertici delle più brillanti carriere - cosa che cordialmente le auguro e talora, di fatto, già avviene - desidererei comunque che il suo modo di essere e di porsi fosse di timbro diverso, femminile appunto (il che non vuol dire inferiore, ma di altra qualità), arricchendo ogni ambito culturale, politico e sociale della sua specifica forma di umanità e sensibilità. Per il suo profondo rapporto con la vita, il suo intuito e la sua capacità di osservazione, per l’attenzione all’umano e le connaturali doti di generosità, la donna è infatti, a mio avviso, portatrice privilegiata di originalità, di innovazione e creatività, nonché di bellezza nel senso più filosofico ed estensivo del termine. In tutta sincerità non trovo convincenti né interessanti le donne che imitano la figura maschile mostrando una sicurezza talora aggressiva che indurisce il loro tratto, oppure ostentando una spregiudicatezza di comportamenti e di toni che le omologa a un modello quanto mai dissonante dal loro fondamento antropologico. Perché, tra l’altro, una delle questioni connesse al valore, o disvalore della donna oggi, è quella dello smantellamento di quella compostezza, o meglio pudore (parola obsoleta nella nostra cultura, se non all’indice) che custodisca ma anche sveli in certo senso il mistero profondo della persona».

Grazie sorella claustrale, donna pienamente realizzata e ricca di valori che hai condiviso con noi e con le tante donne che leggeranno queste riflessioni. A tutte le donne che festeggeranno l’8 marzo l’augurio di sperimentare la bellezza e la grandezza del proprio essere donne e madri di nuove generazioni di uomini e donne, che in piena sintonia vivono nel rispetto e apprezzamento reciproco per la costruzione di una nuova umanità così come è stata pensata e voluta dal Creatore.

Pubblicato il 06 marzo 2011 - Commenti (4)

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Autore del blog

Noi donne oggi

Suor Eugenia Bonetti

Missionaria della Consolata, è stata per 24 anni in Kenya. Al ritorno comincia a lavorare in un Centro d’ascolto e accoglienza della Caritas di Torino, con donne immigrate, molte delle quali nigeriane, vittime di tratta. Dal 2000 è responsabile dell’Ufficio tratta dell’Unione superiori maggiori italiane (Usmi). Coordina una rete di 250 suore di 70 diverse congregazioni, che operano in più di cento case di accoglienza. Il presidente Ciampi l’ha nominata nel 2004 Commendatore della Repubblica italiana.
Ha scritto con Anna Pozzi il libro "Schiave" (Edizioni San Paolo).

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