Ieri sera, presso il Centro Pime di Milano, mi hanno chiesto di intervenire sul tema “Fame di relazioni” nell’ambito del ciclo di Quaresima, dedicato alle “fami dell’anima”. Un tema che mi sollecita molto, dal momento che da molti anni ormai mi occupo di relazioni spezzate, negate, abbruttite, quelle che riguardano il rapporto tra cliente e prostituta.
Relazioni fatte spesso di potere, di sopraffazione e di possesso. Relazioni in cui l’altro è privato della propria dignità, non è più persona, viene annullato, ridotto a oggetto, a merce.
Che si compra e che si vende, che si usa e che si getta.
Eppure, anche in questi luoghi di relazioni negate è possibile intraprendere percorsi di rottura delle catene di questa vergognosa schiavitù contemporanea e di liberazione, mettendo al centro la dignità della persona e la possibilità di costruire relazioni nuove e vere, ricche di senso e significato.
La Beata Madre Teresa di Calcutta soleva affermare che la più grande povertà nel mondo non è la mancanza di cibo, bensì la carenza di amore. E l’amore si costruisce e si manifesta nella relazione, nel vedere e capire i bisogni dell’altro, del fratello e della sorella che mi vivono accanto. Ma dove trovare i punti di riferimento e di riflessione per scoprire e vivere la bellezza e ricchezza della relazione umana?
L’essere umano non può esistere da solo, giacché il bisogno di amore è profondamente radicato nel suo cuore, ma molte sono le difficoltà nel viverlo. L’abbé André-Marie Talvas affermava che «la peggiore tragedia per un persona è l’essere chiuso in se stesso e incapace di comunicare». Fondatore in Francia del movimento Le Nid (“Il Nido”) a favore di prostitute ed emarginati, conosceva bene la desolante mancanza d’amore che si cela dietro il mercanteggiamento sessuale; parlando di clienti e prostitute sosteneva che «la maggior parte di essi ricercano non tanto il piacere sessuale quanto l’affetto e il rapporto personale. Sotto la ricerca di sessualità genitale, c’è un vivo desiderio di essere amati». È dunque possibile che i clienti, quando si rivolgono alle prostitute, rivelino un silenzioso e inappagato bisogno di relazione, amore, amicizia e attenzione. E questa triste costatazione ci interpella tutti.
Ma l’amore non può essere comprato, bensì presuppone un mutuo rispetto, comprensione, accoglienza e soprattutto perdono. Un uomo e una donna sono in grado di esprimere la profondità del loro amore quando nel matrimonio divengono «una sola carne». Nell’unione dei corpi e nell’intimità dell’amore, la coppia esprime la reciproca e totale donazione di sé. La prostituzione invece nega tutto questo: nega l’uguaglianza e la reciprocità tra l’uomo e la donna e pone il rapporto sessuale sullo stesso piano di un qualsiasi prodotto commerciale. La donna è vista come un oggetto. E questo purtroppo non accade solo nell’ambito della prostituzione, ma anche più in generale, nella rappresentazione che viene fatta dai media e dalla pubblicità. La donna - o, meglio, il suo corpo - serve per vendere (a volte anche prodotti che non hanno niente a che vedere con una fisicità gratuitamente esibita); più o meno “implicitamente”, però, è la donna stessa ad essere messa in vendita.
In una società in cui domina la cultura del permissivismo e dell’edonismo, l’amore e l’educazione sessuale dovrebbero essere la preoccupazione di ogni famiglia, scuola e parrocchia. Tutti coloro che sono responsabili dell’educazione hanno infatti un ruolo vitale nel formare nei giovani la capacità di rispettare la propria sessualità, di distinguere e controllare i propri sentimenti ed emozioni, di saper discernere ciò che è bene da ciò che è male, ciò che costruisce da ciò che distrugge.
Pubblicato il 22 marzo 2012 - Commenti (2)