Ancora una volta lo Spirito Santo ci ha spiazzati tutti e ci ha sorpresi con la scelta di un pastore che si è presentato così: «I Fratelli Cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo…».
Con la scelta del nome Francesco, lui, il gesuita cardinal Jorge Mario Bergoglio, si è mostrato immediatamente con un’identità ben precisa e un programma di vita inconfondibile, fatto di semplicità e umiltà, essenzialità e concretezza, povertà e servizio, e non certamente di potere o di prestigio.
Espressione sincera di una “Chiesa del grembiule” che vuole ritrovare il suo vero volto e la sua vera funzione nel mondo contemporaneo attraverso una testimonianza evangelica autentica tra e per i poveri, gli ultimi, gli emarginati, i disperati, per ridare speranza e coraggio in nome e sull’esempio di quel Cristo pastore che è venuto per servire e non per essere servito, per dare la vita per le sue pecore, specie le più abbandonate e le più sole.
Anche la Chiesa ha bisogno di rinnovamento e di nuova vitalità per essere coerente alla sua missione. Forse Papa Francesco potrà personificare e implementare quelle intuizioni e desideri di cambiamento che il suo confratello cardinal Carlo Maria Martini avevo espresso e condiviso in una delle sue ultime interviste. Due grandi Pastori, due grandi Testimoni e due grandi Maestri.
Ma ciò che mi ha maggiormente colpito dalla sua prima apparizione è stato certamente il suo atteggiamento umile e disarmante, sorpreso di trovarsi davanti alla folla di centinaia di migliaia di persone che lo acclamava e attendeva da lui la sua prima benedizione. E proprio di fronte a questa folla immensa, dopo aver ricordato e fatto pregare per il vescovo di Roma emerito, Benedetto XVI, lui stesso si è inchinato profondamente con un gesto di grande semplicità e umiltà per chiedere ai fedeli una preghiera silenziosa, implorando la loro benedizione su di lui e sul suo nuovo ministero.
Molte impressioni, auguri e auspici si sono susseguiti da Capi di Stato e di religioni, da varie personalità di Chiesa così come dalla gente comune. Tutti esprimono gli stessi sentimenti di speranza e di vicinanza, nonché il desiderio e l’auspicio di un autentico cambiamento nella Chiesa, che possa offrire risposte vere e concrete all’umanità odierna che sembra aver perso il senso della persona e dei suoi valori indelebili.
Personalmente condivido e mi faccio interprete del desiderio, espresso da molti, di una svolta culturale che faccia emergere maggiormente anche nella Chiesa la figura e la presenza della donna, dando seguito ai tanti quesiti e auspici emersi nel Concilio Vaticano II e purtroppo non ancora implementati.
Anche noi donne, religiose e laiche, madri e sorelle, impegnate in tutti i campi della vita quotidiana, nella politica, nella Chiesa e nella società, sentiamo il bisogno di esprimere la nostra speranza, affinché Papa Francesco possa ascoltare ancora quel grido udito dal Poverello d’Assisi che proveniva dal Crocifisso della diroccata chiesa di San Damiano, otto secoli fa. Un grido, forse, non ancora completamente attuato nella Chiesa: «Francesco, ripara la mia casa».
Ripara la mia Chiesa, ripara le divisioni, le discriminazioni, i conflitti d’interesse, le relazioni, affinché la Chiesa del Terzo Millennio sia sempre e solo segno di speranza e di comunione, di servizio e di accoglienza, di fiducia e di perdono. E che sia sempre vicina a quanti sono affamati, assetati e stanchi, bisognosi di misericordia, di consolazione e di aiuto.
Quanto è più povera la Chiesa senza la presenza e l’intuizione del genio femminile! Moltissime sono state in passato le testimonianze di donne intuitive, equilibrate, semplici e profetiche che hanno operato nella Chiesa e nella società. Perché ancora oggi si tende a eludere o a misconoscere la collaborazione responsabile della donna negli ambienti ecclesiali? Eppure il messaggio evangelico passa anche oggi attraverso la presenza e il coinvolgimento delle donne, che continuano a essere gli agenti privilegiati della trasmissione della fede.
È quanto emerso con forza anche nell’ambito di un incontro organizzato da un gruppo francescano di donne, in collaborazione con il comune di Ravenna, all’indomani dell’elezione del nuovo Papa. Come spesso accade, mi sono state rivolte alcune domande sul ruolo della donna nella Chiesa. Perché il suo servizio non viene riconosciuto e valorizzato? Perché la donna non viene ammessa negli ambiti direttivi e decisionali nella Curia vaticana, nelle diocesi, nelle parrocchie, nei seminari, nei luoghi di pensiero e di impegno? Perché è ancora così difficile parlare di parità e uguaglianza.
Domande che a volte creano imbarazzo, perché non si trovano motivazioni esaurienti se non la costatazione che purtroppo, anche nella Chiesa, vige ancora una gerarchia completamente maschile - e spesso maschilista - e la donna ha ancora un ruolo di sottomissione e manovalanza, anche quando si tratta di decisioni che la riguardano direttamente: decisioni a volte prese per lei e non con lei.
Perché invece non riconoscere le donne e valorizzarle come è stato per Francesco e Chiara? Contiamo molto su Papa Francesco, perché anche in questo si ispiri al Poverello di Assisi.
Pubblicato il 15 marzo 2013 - Commenti (1)