Ho seguito in televisione la commovente cerimonia di addio che la diocesi ambrosiana e la Chiesa tutta ha tributato al cardinal Carlo Maria Martini nel duomo di Milano. Anch’io come migliaia di persone mi sono sentita particolarmente unita a quella folla di persone che nei giorni scorsi ha ricordato e riconosciuto l’arcivescovo come Padre e Pastore, maestro e testimone, profeta e comunicatore. Ciascuno lo vede, lo ricorda e lo riconosce da angolature diverse, giacché Martini era una persona di grande cultura, ma anche di grande semplicità e chiarezza di rapporti. Per me era soprattutto una persona di grandi visioni e intuizioni, che si confrontava costantemente con la “Parola” viva ed efficace, capace di trasformare il quotidiano di ogni persona, della società e della Chiesa.
Martini, che amava tanto parlare in parabole, capirle, interpretarle e presentarle può essere paragonato a quel servo del Vangelo al quale il padrone aveva affidato dieci talenti: lui li ha messi a servizio dell’umanità e della Chiesa, a volte smarrita e confusa, ma che ha saputo guidare con saggezza e fedeltà alla Parola che proclamava e soprattutto viveva.
Mentre osservavo, ascoltavo e mi commuovevo, vedendo quella folla di autorità e di gente semplice, di uomini di Chiesa e di rappresentanti di altre religioni, il mio pensiero è volato lontano nel tempo e nello spazio, e sono emersi nella mia memoria ricordi vividi e semplici di tre particolari momenti di incontro con il cardinal Martini.
Il primo è stato nel 1985, quando in occasione del 43° Congresso eucaristico internazionale, tenutosi per la prima volta in un Paese africano, e precisamente a Nairobi in Kenya, ho avuto modo di partecipare a un corso di esercizi spirituali da lui predicati a un centinaio di missionari e missionarie. Il Cardinale aveva colto con gioia l’occasione del Congresso eucaristico per visitare e incontrare missionari e missionarie, sparsi per il Kenya, e in particolar modo quelli provenienti dalla diocesi ambrosiana: un Pastore dal grande cuore missionario, aperto all’annuncio evangelico del mistero pasquale di Cristo, fonte di vita e trasformazione per tutti i popoli e le culture.
Prima del grande Congresso eucaristico, conclusosi con la presenza di Giovanni Paolo II, il cardinale aveva visitato tante nostre missioni, anche quelle più lontane del Nord del Kenya e si era reso conto di come il Vangelo, per penetrare nei cuori e nella vita di tanta gente povera e semplice, aveva bisogno di incarnarsi nelle tradizioni e nelle culture di quelle popolazioni, ricche di valori e significati. Dopo queste giro di visite e incontri, cambiò il titolo del suo ritiro spirituale che divenne: Perché Gesù parlava in parabole. Infatti, confrontandosi con un contesto in cui era ancora molto forte la cultura orale - molto simile a quello che Gesù trovò nella Palestina del suo tempo - ci propose di riflettere sul fatto che, forse, più che presentare dogmi di fede e principi di catechismo, sarebbe stato meglio raccontare storie e diventare esperti di una “teologia narrativa”.
Questa provocazione ha aiutato noi missionari a riscoprire la Parola proclamata e vissuta nella quotidianità, a contatto con la gente, proprio come aveva fatto Gesù.
Due anni dopo, e precisamente nel maggio 1987, sono ritornata in Italia per le mie vacanze e per celebrare nella mia parrocchia il 25° anniversario di professione religiosa e il ventesimo di servizio alla missione in Kenya. Per l’occasione il mio parroco, don Antonio Guadagnini, che lui pure celebrava nello stesso giorno - 22 maggio - il 25° di sacerdozio, aveva chiesto l’opportunità di un incontro con il cardinale. Martini ci invitò a partecipare a una celebrazione eucaristica nella sua cappella privata per ringraziare insieme il Signore per il dono di questa mia vita tra le Missionarie della Consolata. Dopo la celebrazione, l’incontro e il saluto personale, cordiale e paterno, carico di ricordi, interessamento e auspicio per il nostro servizio alla Chiesa e alla missione. Con semplicità, mi ha consegnato un ricordo di questo incontro: un Crocifisso dorato custodito in un astuccio di velluto rosso con le sue insegne episcopali insieme a un biglietto personale di augurio.
Il terzo incontro avuto è avvenuto a Galloro, Roma, nella casa dei Gesuiti dove era di passaggio per Gerusalemme. Io mi trovano lì per i miei esercizi spirituali annuali. Sono andata a salutarlo ed egli ancora si ricordava di quell’incontro in arcivescovado per il 25°, insieme al mio parroco, che in quel momento era molto malato. Il cardinale mi disse di portargli i suoi saluti e il suo ricordo e aggiunse: «Come sarebbe bello se gli mandassimo una cartolina con i nostri saluti». Desiderio immediatamente esaudito, che ha lasciato in me, e certamente anche in don Antonio, il ricordo di un Padre che non dimentica i suoi figli e che sapeva sempre offrire gocce di consolazione e speranza.
Grazie padre Martini per ciò che ci hai donato e insegnato con la coerenza della tua vita tutta spesa per il Vangelo, per la Chiesa, per l’umanità, per i poveri e gli ultimi, colmando le nostre solitudini e dando luce e forza alle nostre difficoltà e incertezze.
Pubblicato il 04 settembre 2012 - Commenti (0)