Mentre aspettiamo e speriamo che il prossimo Nobel per la pace - che verrà reso noto tra qualche giorno, il 7 ottobre - venga assegnato alle donne africane, la notizia della scomparsa, domenica 25 settembre, di Wangari Maathai, 71 anni, mi ha particolarmente colpito e commosso, come donna e come missionaria della Consolata.
Prima donna africana premio Nobel per la pace nel 2004, Wangari Maathai era un’autentica figlia dell’Africa. E un po’ la sentivamo anche figlia nostra, di noi missionarie della Consolata. È infatti presso una delle nostre scuole elementari di Nyeri, dove era nata, che ha cominciato il suo percorso formativo che l’ha portata successivamente a diventare la prima donna keniana a conseguire un dottorato in Scienze biologiche, la prima a ottenere una cattedra di veterinaria all’università di Nairobi, la prima a creare, nel 1977, un’associazione per la salvaguardia dell’ambiente, il Green Belt Movement che ha piantato più di trenta milioni, dagli anni Ottanta ad oggi in diversi Paesi africani.
«Quando cominci a lavorare seriamente per la causa ambientalista - diceva - ti si propongono molte altre questioni: diritti umani, diritti delle donne, diritti dei bambini». E così, mentre piantava milioni di alberi, coinvolgeva migliaia di donne in un processo di consapevolezza non solo del rispetto della natura ma della propria dignità e del proprio valore, affinché diventassero protagoniste del loro riscatto e di un reale cambiamento della qualità della vita.
L’esempio e la tenacia di questa donna kikuyu mi hanno sempre affascinato e mi sono stati di grande ispirazione. Purtroppo non l’ho mai conosciuta personalmente, ma l’ho sempre ammirata sia durante la mia permanenza in Kenya, come pure in questi anni di servizio missionario in Italia, rivolto in particolare alla donna immigrata, soprattutto africana.
«Nel gennaio del 2010 - ricordano le mie consorelle che stanno in Kenya - abbiamo celebrato a Nyeri, prima missione dei missionari e delle missionarie della Consolata, il Centenario della nostra fondazione.
Fra le persone invitate, spiccava una donna dal sorriso pronto e dalla
parola arguta: era Wangari Maathai, che volentieri aveva voluto
partecipare all’evento, perché aveva frequentato la nostra scuola
elementare nel 1952 e aveva avuto come insegnanti proprio le missionarie
della Consolata».
Ed ecco il ricordo commosso di Wangari Maathai: «Sono venuta qui all’età
di dodici anni, in questo luogo dove siamo ora; dormivo nel dormitorio
che ancora si vede nell’area dietro al podio. Poi sono andata alla
Loreto School di Limuru per le scuole superiori e infine all’università
negli Stati Uniti, dalle suore Benedettine. Quindi ha fatto tutto il mio
percorso formativo dalle suore. E ciò che sono oggi si fonda in modo
particolare su quanto ho ricevuto negli anni della mia fanciullezza, da
quelle insegnanti che non potrò mai dimenticare».
La Maathai ha messo poi l’accento sul significato che ha avuto per lei
la missione: consolare e riconciliare. «Siamo parte dell’ambiente - ha
detto - e dobbiamo consolare e riconciliarci con l’ambiente... Per
favore, continuiamo a piantare alberi, a costruire terrazze per evitare
l’erosione che distrugge e porta via il terreno fertile, a ridare vita
alle nostre foreste».
La sua battaglia per la conservazione dell’ambiente ha trovato, proprio
nei giorni della sua agonia, piena sintonia con ciò che Benedetto XVI ha
detto, lo scorso 22 settembre, al Parlamento di Berlino: «L’importanza
dell’ecologia è ormai indiscussa. Dobbiamo ascoltare il linguaggio della
natura e rispondervi coerentemente. Ma esiste anche un’ecologia
dell’uomo. Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che
non può manipolare a piacere.
L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. Egli è spirito e
volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli
rispetta la natura, la ascolta e quando accetta se stesso per quello che
è. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana».
Queste parole sono un richiamo e un monito per tutti noi. Che attenzione
e cura abbiamo della natura? Che rispetto abbiamo dei luoghi in cui
viviamo? Non solo i nostri ambienti naturali, ma anche le nostre città
sono sporche e trascurate. Persino le meravigliose opere d’arte e i
monumenti di cui è ricchissimo il nostro Paese sono spesso imbrattati o
assediati dalla spazzatura.
Non è questo un indice di noncuranza e menefreghismo? Da parte di tutti:
autorità e singoli cittadini.
Tutto questo degrado non rivela forse il disagio di un Paese allo
sbando, senza regole, valori e rispetto del creato, di ciò che ci
circonda e anche delle persone? Che cosa potrebbe rimproverarci o
stimolarci a fare oggi una donna come Wangari Maathai se camminasse per
le strade delle nostre città in paese che si dice “civile”?
Pubblicato il 29 settembre 2011 - Commenti (0)