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lug

L'indegno mercato

In queste settimane, diversi media italiani hanno dato molto rilievo e attenzione all’“indegno mercato” di esseri umani, come è stato chiamato in un editoriale di Giuseppe Anzani su Avvenire.

Notizie e informazioni sconcertanti, che segnalano la vastità e la crudeltà di questo fenomeno, ancora così poco conosciuto. E che richiede risposte adeguate e urgenti alla nostra società civile e religiosa. Non possiamo più tacere di fronte a tanta ipocrisia e continuare a ripetere il ritornello che «questo è il mestiere più vecchio del mondo». E non possiamo più far finta di credere che le prostitute sono sulle strade o nei locali notturni per libera scelta, perché possono e desiderano fare del loro corpo una fonte di guadagno facile. Niente di più falso. Dobbiamo ritrovare il coraggio dell’onestà e della verità e chiamare questo fenomeno con il proprio nome: “schiavitù”.

Non possiamo però dimenticare che questo fenomeno sta distruggendo pure tante nostre famiglie. Infatti, il 70 per cento dei clienti che vanno in cerca di sesso a pagamento sulle strade hanno a casa moglie e figli, oppure sono conviventi. Quanto mi fa riflettere, durante le mie frequenti visite all’ambasciata nigeriana, vedere uomini italiani già anziani in compagnia di ragazze ventenni in attesa del loro turno per chiedere il nulla osta per un matrimonio, certamente basato più su convenienze e interessi personali che sul vero amore e su un progetto di vita insieme. Quanto tempo possono durare simili matrimoni combinati?

Sovente mi domando anche che cosa stiano veramente cercando questi uomini sulle nostre strade, di giorno o di notte, incuranti di chi li può vedere e riconoscere come clienti di “prostitute”. A quanto pare non se ne fanno più nemmeno un motivo di vergogna o di disagio. Ormai tutto è lecito e lo si giustifica come un diritto e una qualsiasi scelta personale. Ormai è diventato parte di una nuova cultura. Non ci si mette nemmeno più in discussione, giacché ciascuno può semplicemente fare ciò che vuole. Specialmente se ha denaro e con questo si sente autorizzato ad acquistare tutto, compreso il corpo di una donna, come se fosse una merce qualsiasi.

Se c’è da puntare il dito allora è sempre nei riguardi della donna, della sua spudoratezza, volgarità, provocazione, nonché dei suoi atti di indecenza e mal costume. Ma “lui”, il cliente che la cerca, la usa e poi la rigetta sulla strada non è mai colpevole.

Dopo tanti anni di lavoro e di lotta per contrastare questa terribile piaga e questa nuova forma di schiavitù il fenomeno non arretra, anzi, cambia strategie e si rinforza. Le donne dell’Est Europa sono sempre più giovani e assai confuse, specialmente se hanno saltato la loro adolescenza e sono state buttate sulle strade in pasto agli affamati di sesso. Mentre le nigeriane sono tenute in ostaggio con lo stratagemma della richiesta di asilo politico per cui, in attesa dell’inchiesta della commissione proposta a tale scopo (che non sarà favorevole nella maggioranza dei casi), i trafficanti e le madame continuano a trarre i loro enormi profitti.

Ben venga allora un dibattito politico e istituzionale serio e tempestivo per riproporre legislazioni ponderate che mirino prima di tutto a liberare le molte schiave costrette a vendersi nel nostro Paese. Riprendiamo in mano seriamente il famoso art. 18 del T.U (286/98) sull’immigrazione e proponiamo a queste giovani la possibilità di una via di uscita dalla schiavitù, attraverso programmi di recupero di una nuova vita sicura e dignitosa basata sul lavoro onesto.

Le toglieremo così ai trafficanti e ai clienti, diminuendo il numero delle prestazioni e dei rispettivi guadagni. Da quando è stato emanata questa lungimirante legislazione, apprezzata anche da molti Paesi Europei, nelle case-famiglia gestite dalle religiose, in collaborazione con altri enti, abbiamo offerto accoglienza, sicurezza e legalità a oltre 6.000 donne, tra le quali moltissime mamme con bimbi che ora si sono inserite nel nostro tessuto sociale.

Purtroppo, oggi troviamo molto più difficile ottenere i permessi da parte delle autorità competenti. Di conseguenza, noi stesse non siamo più credibili quando proponiamo alle donne di lasciare la strada e iniziare un vero percorso di integrazione e liberazione. Le stesse comunità di accoglienza gestite da associazioni finanziate da enti pubblici o governativi, si trovano ora in gravi difficoltà finanziarie e stanno chiudendo, mentre le nostre comunità - pure nelle difficoltà - aumentano di numero, cercando di far fronte alle stesse difficoltà di mantenimento e reinserimento sociale e lavorativo.

Pubblicato il 28 luglio 2012 - Commenti (0)

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Autore del blog

Noi donne oggi

Suor Eugenia Bonetti

Missionaria della Consolata, è stata per 24 anni in Kenya. Al ritorno comincia a lavorare in un Centro d’ascolto e accoglienza della Caritas di Torino, con donne immigrate, molte delle quali nigeriane, vittime di tratta. Dal 2000 è responsabile dell’Ufficio tratta dell’Unione superiori maggiori italiane (Usmi). Coordina una rete di 250 suore di 70 diverse congregazioni, che operano in più di cento case di accoglienza. Il presidente Ciampi l’ha nominata nel 2004 Commendatore della Repubblica italiana.
Ha scritto con Anna Pozzi il libro "Schiave" (Edizioni San Paolo).

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