09 feb
Il sushi è diventato un piatto quasi italiano, soprattutto per i giovani. Ma spesso, dopo averlo consumato, il nostro apparato digerente protesta. Perché? Perché per digerire il sushi ci vogliono i giusti geni. Infatti, secondo un recente studio, la flora intestinale dei giapponesi sarebbe in grado di produrre un enzima specifico per l’assimilazione del piatto nazionale. I giapponesi li hanno questi geni, fabbricati da intere generazioni, noi no! Un recente studio condotto in Francia ha infatti evidenziato come i batteri intestinali dei giapponesi siano in grado di produrre enzimi specifici per la digestione delle alghe utilizzate nella preparazione del sushi.
Uno di questi, la porfirinase, ha una caratteristica molto particolare: è in grado di rompere
le molecole di carboidrati contenuti nelle pareti cellulari della porfira (o nori), un’alga rossa
largamente utilizzata nella cucina nipponica per arrotolare i bocconcini di pesce crudo.
Questo enzima è stato trovato nella Zobellia galactanivorans, un batterio marino che si ciba dell’alga, ma anche nell’intestino di alcuni volontari giapponesi dopo uno studio sulle differenze tra le flore batteriche intestinali di popolazioni diverse. Grazie a questi batteri,
i giapponesi sarebbero quindi in grado di digerire la porfira assimilandone i carboidrati.
In tutti gli altri “intestini delmondo”, invece, l’alga transita così com’è.
Questa sorta di minestrone genetico può essere spiegato solo da una mutazione dei batteri intestinali dei giapponesi che si sarebbero mescolati con la Zobellia, mangiata in larga quantità dai loro ospiti insieme alle alghe.
Questo meccanismo, noto come trasferimento genetico orizzontale, è molto comune tra i
batteri, che mescolano il loro patrimonio genetico dando origine a forme con caratteristiche
sempre nuove, come la resistenza agli antibiotici.
Pubblicato il 09 febbraio 2011 - Commenti (0)
09 feb
Il cibo, quando arriva nell’intestino, continua il suo percorso grazie ai movimenti della muscolatura autonoma intestinale. In condizione normale, ciò permette di avere un ritmo quotidiano di evacuazione, ma esistono diversi fattori che rallentano la peristalsi, prolungando il tempo e provocando la stitichezza. Fra i fattori che possono favorire la stipsi intestinale ci sono la vita sedentaria, la dieta povera di fibre idrosolubili e quella povera di liquidi, lo stress emotivo e, infine, l’alterazione della flora batterica intestinale.
Se la modifica delle errate abitudini non dovesse risolvere il problema si può ricorrere (occasionalmente) ai lassativi, seguendo il consiglio del medico riguardo al tipo più adatto al proprio caso, alle dosi e ai tempi di somministrazione. I più indicati in questo caso sono i lassativi di massa che agiscono sulla composizione delle feci, che hanno bisogno di diventare morbide. Questi lassativi sono a base di fibre idrosolubili che hanno la capacità
di trattenere acqua nell’intestino, con un’azione simile a quella di una spugna che assorbendo l’acqua si gonfia. I cibi ideali sono i legumi, i cereali e soprattutto la frutta e la verdura di stagione, meglio se cotta. Bisogna assumere le cinque porzioni al giorno, favorendo comunque i legumi, come fagioli, ceci, lenticchie e piselli, di cui non siamo grandi
consumatori, specie i bambini e gli anziani, per la mancanza di tempo nel cucinarli.
Pubblicato il 09 febbraio 2011 - Commenti (0)
09 feb
Gli ospedali purtroppo sono sempre pieni di ammalati ricoverati che, oltre alle cure quotidiane, attendono di essere nutriti in modo adeguato, senza dimenticare che anche dal cibo può derivare un po’ di appagamento e di gioia.
Purtroppo le notizie che il ministero della Salute ha dato di recente non sono confortanti:
in ospedale, in genere, si mangia male, anzi molto male! La malnutrizione, che riguarda il 31 per cento dei pazienti ricoverati, rallenta la risposta alle cure e appesantisce molto la spesa sanitaria.
Il ministero ha pubblicato le “Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione ospedaliera e assistenziale”, perché cattiva alimentazione, dovuta a cibo scadente, mancanza di screening nutrizionali e personale non sempre adeguato a questo ruolo fanno allungare del 55 per cento la durata dei singoli ricoveri. Si è fatto un calcolo: se si mangiasse adeguatamente si potrebbe diminuire, in un anno, circa l’8,5-9 per cento delle giornate di ricovero, con un risparmio che va da 1 a 3 milioni di euro. Cosa provoca il problema? Non tutti gli ospedali hanno un dipartimento di dietetica che sappia scegliere le materie prime alimentari di buona qualità, con una particolare attenzione ai cibi a filiera corta, cioè prodotti dai contadini locali, quindi a chilometri zero, come ormai si è soliti dire. Nel caso delle mense ospedaliere ma anche per le famiglie, la scelta di cibi ecosostenibili contribuisce alla difesa dell’ambiente e alla qualità della vita.
Il benessere alimentare diventerà sempre di più un valore assoluto per guarire meglio e più velocemente i pazienti ricoverati. A loro bisognerà garantire buoni standard, orari tradizionali dei pasti come quelli casalinghi e rispetto delle festività, anche durante un ricovero ospedaliero.
Pubblicato il 09 febbraio 2011 - Commenti (0)
09 feb
Qualche giorno fa, in Germania, l’industria Harles und Jentzsch, che produceva sia oli industriali sia acidi grassi recuperati da oli di scarto alimentare, da aggiungere ai mangimi, ha contaminato una parte degli alimenti che nutrono ogni giorno i consumatori tedeschi. I livelli di diossina ritrovati nei grassi animali prodotti da quell’azienda erano di molto superiori alla norma e sono state chiuse quasi cinquemila aziende del settore, ma ci sono altri allevamenti di polli e suini coinvolti anche in Olanda e in Gran Bretagna, dove sono arrivate le uova incriminate. Qualcosa è arrivato anche in Italia e, grazie ai Nas e al ministero della Salute, si sta provvedendo a isolare gli eventuali alimenti (uova, latte e grassi animali) che potrebbero essere contaminati.
Nel primo test tedesco la dose di diossina è 78 volte il limite concesso dalle autorità sanitarie, tenendo conto che il valore massimo di tossina tollerato dalla legge è di due soli picogrammi per grammo di grasso corporeo.
Che cos’è la diossina? In realtà non è una singola sostanza ma si tratta di oltre 200 composti diversi, 17 dei quali altamente tossici per l’uomo. Il più pericoloso è il tetraclorodibenzo-p-diossina (Tcdd), la cosiddetta “diossina Seveso”.
La diossina è contenuta in moltissimi prodottidi uso comune, come oli isolanti, additivi antimuffa, vernici e impregnanti per il legno. Può diffondersi nell’ambiente anche in seguito a processi di combustione, da quelli che avvengono nei motori agli incendi all’uso di stufe e caminetti. Se ingerita dai mammiferi, si accumula nei grassi e l’organismo
umano la elimina molto lentamente.
Se ingerita dall’uomo in quantità elevate, questa sostanza può provocare lesioni della pelle, calo della fertilità, ritardo della crescita, tumori. Perché ci siano danni alla salute è necessario che l’esposizione sia prolungata nel tempo. Un uomo può introdurre un massimo di 23 picogrammi al giorno dalla carne, 13 picogrammi dal latte, 5 da prodotti di altro genere e altrettanti dal pesce.
Pubblicato il 09 febbraio 2011 - Commenti (0)
12 gen
Dopo le grandi abbuffate natalizie, purtroppo qualche chiletto è arrivato a marcare sempre di più il girovita e altri distretti corporei. Cosa fare allora per recuperare? I
nnanzitutto non ci si faccia assillare dal cibo e definiamo a priori quali alimenti e piatti ci converrà assumere e quali no. È importante mangiare lentamente e masticare a lungo: dà la sensazione di una maggiore sazietà.
Si raccomanda di evitare pasti ricchi, cercando di mangiare poco ma spesso, almeno cinque spuntini al giorno. È consigliabile diminuire il consumo di carboidrati mangiando un po’ meno pasta e pane; sostituire i cibi ricchi di grassi con alimenti più magri, come legumi, frutta e verdura.
Bere, inoltre, tanta acqua, almeno due litri al giorno, magari frazionandoli bevendo un bicchiere ogni ora della giornata. Mangiare ogni giorno almeno cinque porzioni di frutta fresca e verdura di stagione. Piano con i formaggi e i latticini; evitare bevande zuccherate, meglio l’acqua di rubinetto; ridurre al minimo il consumo di alcol; praticare almeno un’ora di palestra, con esercizi di tipo aerobico, come la cyclette o il tapis roulant o la camminata continuativa di circa un’ora, tre volte alla settimana per tonificare e rassodare il corpo. È sufficiente ridurre di un terzo le calorie che si è soliti assumere per riprendere forma.
Pubblicato il 12 gennaio 2011 - Commenti (0)
04 gen
D’estate, a causa del clima e del cambiamento dei ritmi familiari muta anche l’alimentazione. I giovani, non andando più a scuola, si alzano tardi e vanno a letto tardissimo, invertendo le abitudini alimentari. Ma è salutare un tale cambiamento alimentare? Se l’orario della sveglia dei ragazzi coincide con quello del pranzo, più che una prima colazione o il classico pranzo è meglio servire un brunch alla moda anglosassone,
dove dolce e salato si incontrano, ma non esagerando in grassi e carboidrati. Non sono proponibili fumanti spaghetti e bistecca ai ferri, meglio ripiegare su piatti freddi come insalate varie, per esempio, di riso o una bella giardiniera, ossia tante verdure lessate tipo
fagiolini, cipolline novelle, cavolfiori eccetera, arricchite dall’ottimo tonno, oppure arrosti da servire tagliati sottilmente eccetera. Si introduce così tanta buona fibra vegetale che fa assorbire meno grassi e zuccheri.
Molto spesso i giovani tiratardi prima di rientrare, tra le
6 e le 7 del mattino, fanno il pieno di grassi saturi con brioches calde, panini o pizze, creando problemi al fegato, e poi magari fanno storie alle mamme per quanto di salutare preparano loro a casa. In questa stagione, un gradevole apporto proteico può essere dato da affettati come il prosciutto crudo e cotto o dall’ottimo pesce. Punto fisso di riferimento deve essere la frutta servita in ogni modo: tal quale, come frullato, o sorbetto. Anche la verdura costituisce una miniera preziosa di vitamine e sali minerali da reintegrare, che si perdono con la sudorazione, bene i centrifugati di verdure e ortaggi. Ottimi anche yogurt e gelati, specie se di preparazione casalinga, oggi cosa possibile grazie alla presenza sul mercato delle sorbettiere familiari.
Mi faccio una bella insalata di riso
Ci sono prodotti che tirano la volata ad altri. La comparsa sul mercato dei preparati di verdure per condire il riso in bianco ha fatto lievitare il consumo di questo cereale. I condimenti sono comodi, relativamente leggeri, saporiti e digeribili, si versano direttamente sul riso bollito senza sprecare tempo e pentolini per fare il sugo. Per scegliere i prodotti più di qualità bisogna guardare quale posto occupano nell’elenco degli ingredienti le verdure più pregiate, ovvero se stanno ai primi posti, a meno che non ci sia scritto “verdure miste in proporzione variabile”: in questo caso occorre regolarsi a vista.
Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
04 gen
Nel morbo di Parkinson seguire una giusta e adeguata dieta permette di migliorare gli invalidanti effetti collaterali della malattia (tremori e scatti improvvisi). Chi scrive, già da molti anni assieme al collega Pincus della Jefferson University di Philadelphia, ha validato un regime alimentare basato su una dieta ipoproteica (non più di 7 grammi di proteine) a pranzo e poi normoproteica a cena. Ciò è dovuto al fatto che i pasti possono interferire con l’efficacia dei farmaci per questo morbo.
La Levodopa è un amminoacido neutro che, per essere assorbito e arrivare al cervello, ha bisogno di essere aiutato metabolicamente, ma se si ferma già nello stomaco viene degradato dagli enzimi gastrici e si inattiva parzialmente. Infatti, più a lungo rimane nello stomaco e più è degradato, perdendo così la sua efficacia. Bisogna, quindi, assumere i cibi che aumentano la velocità di svuotamento dello stomaco come, ad esempio, proteine, carboidrati e fibre, mentre i grassi rallentano molto lo svuotamento gastrico. Anche la stipsi, però, può influire sfavorevolmente sulla quantità di farmaco assorbito, per cui è necessario cercare di avere un regolare transito intestinale.
La difficoltà da parte del paziente nel seguire questo regime dietetico è data dall’eccessivo contenimento della quota di proteine tra la prima colazione, lo spuntino di metà mattina e poi, infine, il pranzo. Si tratta di momenti in cui la presenza di latte e latticini, al mattino e di carne, pesce uova, formaggi e verdure a pranzo, fa aumentare la quantità di proteine, tanto da superare abbondantemente i 7 grammi del mattino che noi abbiamo previsto. In questo modo si ottiene un minore assorbimento della Levodopa che comporta un aggravamento di tremori e scatti frequenti che invece diminuiscono sensibilmente se non si superano i 7 grammi di proteine. Tutto ciò dimostra che una dieta adeguata può migliorare l’efficacia della Levodopa.
Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
04 gen
Molti soffrono di malfunzionamento del fegato e i termini “malattia di fegato” e “insufficienza epatica” sono stati usati a sproposito, perché si riferiscono per lo più a problemi di cattiva digestione o dispepsia.
Sia nell’eventualità di un’epatite acuta che nelle malattie croniche del fegato, comunque, per non affaticarlo, è preferibile suddividere il cibo giornaliero in 5-6 pasti, facendo due o tre spuntini con frutta, yogurt o cereali. L’alcol è sempre vietato! Nella malattia di fegato, è necessario astenersi dalle bevande alcoliche, perché la sua ridotta capacità si traduce in un accumulo di grassi che causa la “steatosi epatica”. Anche il sale deve essere ridotto, perché fa ritenere liquidi nel corpo, con formazione di edema.
I grassi, invece, non sono da proibire ma vanno assunti in maniera equilibrata, evitando solo le fritture e limitando i grassi animali. È stato, infatti, ampiamente dimostrato che l’uso di diete rigidamente povere di grassi può essere addirittura dannoso in caso di malattia al fegato. Viene poi raccomandato, come condimento, l’uso dell’olio extravergine di oliva, perché ricco di acidi grassi essenziali, vitamine e antiossidanti. Non è vero che le uova sono controindicate per chi soffre di disturbi epatici, se si eccettua il caso dei calcoli della colecisti, in cui le uova possono produrre spasmi, provocando coliche biliari. La dieta dei malati di fegato deve essere ricca in carboidrati complessi, come la pasta, riso, patate e cereali in genere. Le proteine non devono essere né abolite né ridotte nei malati cronici di fegato.
Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
04 gen
La calcolosi renale colpisce più il sesso maschile di quello femminile, con una maggioranza di pazienti sopra i trent’anni. Si tratta di una malattia che spesso si manifesta con violentissime coliche, ma può essere anche silente. I calcoli contengono ossalato di calcio,
a volte misto a fosfato di calcio.
L’assunzione di grandi quantità di calcio, potassio e liquidi attraverso gli alimenti riduce il rischio della formazione di calcoli mentre l’integrazione con farmaci di calcio, sodio, proteine animali può essere pericolosa. La dieta prevede poca carne e salumi, non più di 3-4 volte alla settimana e pochissimo sale. Si possono consumare liberamente, invece, pane, pasta e pesce, mentre latte e formaggi devono garantire una quota di 1 grammo circa al giorno di calcio, ma senza esagerare, per evitare un eccesso di calorie. Vanno così limitati tutti i cibi molto calorici, mentre è bene introdurre
alimenti leggeri come frutta e verdura fresca che contengono potassio, citrato e magnesio e svolgono un’azione protettiva. Da evitare, infine, l’ingestione di elevate quantità di ossalato, uno dei mattoni fondamentali dei calcoli renali, di cui sono ricchi: noci, nocciole, arachidi, mandorle, barbabietole, spinaci, rabarbaro, alimenti questi che vanno consumati in modica quantità, anche se va detto che solo una piccola parte dell’ossalato urinario
deriva direttamente dall’alimentazione, la maggior parte ha, infatti, origine metabolica. Infine è determinante una buona idratazione, fino a tre litri d’acqua al giorno nella stagione calda.
Con una dieta, così, oltre ai calcoli si evitano i chili di troppo.
Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
03 gen
In Italia ci sono circa sei milioni di persone che soffrono di diabete e il trend è in crescita.
Occorre stabilizzare la glicemia durante il giorno, per avere probabilità di non ammalarsi
delle complicanze del diabete che riguardanogli occhi, i reni e il sistema nervoso. È molto importante mantenere normali i valori dei grassi nel sangue perché, a loro volta, incidono sul diabete.
Il diabete sensibile alla dieta è quello di tipo II, o alimentare, infatti il paziente spesso è anche in sovrappeso. Il primo obiettivo, aiutato dall’uso dei farmaci ipoglicemizzanti, è quello di dimagrire. Il dimagrimento si ottiene adottando un’alimentazione corretta associata a un’attività fisica moderata ma regolare. La riduzione del peso permette di migliorare i valori di glicemia e dei livelli di grassi (colesterolo e trigliceridi) nel sangue. La dieta del diabetico in sovrappeso non differisce da quella del paziente obeso, quindi, è bene ridurre i cibi di origine animale, ricchi di grassi saturi, meglio preferire i carboidrati complessi, come riso, pasta e legumi, in quantità ridotte, evitando gli zuccheri semplici, come lo zucchero da cucina, il miele e i dolciumi e aumentando il consumo di fibre, cioè verdure. Occorre mantenere un apporto generoso di proteine prediligendo quelle di origine vegetale dei legumi, rispetto a quelle di origine animale, preferibilmente da pesci e carni bianche.
Si deve prestare particolare attenzione al consumo quotidiano di alcol, specie se i valori dei trigliceridi sono elevati, un po’ di vino ai pasti saltuariamente non è controindicato. La birra, invece, pur avendo meno alcol, ha molti più zuccheri semplici, come il maltosio, per cui il suo uso deve essere ancora più limitato rispetto al vino.
Pubblicato il 03 gennaio 2011 - Commenti (0)
03 gen
Spesso i pazienti mi chiedono quante uova possono mangiare alla settimana e la risposta
non può essere univoca per tutti, perché bisogna tener conto di molti fattori individuali e
bisogna quantificare quante proteine e grassi si introducono in un giorno con gli altri alimenti che li contengono. È bene, però, precisare che l’uovo è un cibo di grandissimo pregio nutritivo e potrebbe essere mangiato da qualunque paziente, salvo da chi soffre di calcolosi della cistifellea o di colecistite recidivante. Quindi, la convinzione che l’uovo faccia male al fegato è solo una maldicenza! L’unico problema, infatti, è quello del contenuto di colesterolo naturalmente presente in tutti gli alimenti di origine animale, quindi anche nell’uovo, ma si sappia che pure chi soffre di ipercolesterolemia, in alternanza ad altri cibi
proteici di origine animale, può assumere almeno 2-3 uova alla settimana, senza che si abbiano problemi di aggravamento dello stato di salute. L’uovo ha delle proteine di altissimo valore biologico e, qualitativamente, sono superiori a quelle della carne e del pesce; esse infatti contengono tutti gli amminoacidi essenziali in un rapporto ideale, tanto
da essere considerato un “metro” per misurare il valore delle proteine degli altri alimenti di origine animale e vegetale.
Spesso, molti considerano il tuorlo come l’elemento essenziale e salutista dell’uovo, ma non sanno che l’albume, cioè la parte bianca, è proprio l’apportatrice delle buone proteine. Per l’albume, l’unica avvertenza potrebbe riguardare la sua digeribilità che migliora quando coagula, come succede quando lo portiamo con il calore a circa 70 ˚C. Così facendo, si inattiva l’azione di una sostanza, l’avidina, che, a crudo, si lega a una vitamina, la biotina, di cui è molto ricco il tuorlo, rendendola inefficace. Un uovo pesa in media 55-60 grammi e presenta circa 7 grammi di proteine, per cui da solo non è una fonte energetica importante, ma di qualità; ecco perché le uova sono utili nelle diete dimagranti, visto che apportano buone proteine senza esagerare nelle calorie.
Pubblicato il 03 gennaio 2011 - Commenti (0)
03 gen
Adifferenza di noi adulti, l’anziano necessita di molto meno cibo perché con la senilità si rallenta il metabolismo basale. Anche la muscolatura scheletrica a causa della ridotta attività fisica subisce una diminuzione. Sono, dunque, necessarie meno calorie, ma un giusto apporto di nutrienti. Dopo i 50 anni, ogni 10 anni occorre diminuire le calorie del 10 per cento. Le persone anziane, inoltre, sono a rischio di carenza di ferro che si può prevenire aumentando il consumo di uova, carne rossa e petto di pollo, pesce, legumi e spinaci. Bisogna stare attenti, inoltre, a introdurre spesso cibi ricchi di fibra (cereali, legumi, mele eccetera). Questi alimenti, accompagnati da un’abbondante quantità di liquidi, circa due litri d’acqua al giorno, che oltre a preservare la funzionalità renale danno un senso di sazietà, contribuiscono proprio a regolare l’intestino che in genere tende alla stipsi.
È bene ancora suddividere in cinque pasti le calorie: uno leggero al mattino, con una tazza di caffellatte accompagnato da qualche biscotto. Il pranzo, costituito da pane e cereali, cibi ricchi di proteine (carne, pesce, uova), verdura e frutta fresca ricca di vitamine. Grassi in piccola quantità, come condimento. Sono preferibili tecniche di cucina delicate, come la cottura al forno, al vapore... Si aggiungono meno grassi e si alleggerisce il fegato.
La cena deve essere parca perché un pasto abbondante rende la digestione lenta e laboriosa e concilia male il sonno. Infine, fare poi due leggeri spuntini, uno ametà mattino e l’altro a metà pomeriggio che contribuisce a non arrivare affamati a cena. Un anziano ben curato da un punto di vista alimentare è più sano e pesa meno sul sistema sanitario,
ma è anche più contento.
Pubblicato il 03 gennaio 2011 - Commenti (0)
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