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Dimagrire la tentazione dei farmaci

Per perdere i chili in eccesso guadagnati in poco tempo, molti pazienti, specie le donne,  per paura dei classici farmaci anoressizzanti che sono droghe, cercano comunque una  soluzione miracolosa, ma naturale. Ecco quindi che ci si affida ai farmaci dimagranti venduti in erboristeria, perché si pensa non abbiano controindicazioni per la salute. Ma non è così!
Tachicardia, ipertensione, allergie, orticaria e anche danni epatici, sono alcune delle reazioni avverse osservate dal sistema di sorveglianza dell’Istituto superiore di sanità per prodotti a base di piante officinali e integratori alimentari a scopo dimagrante. Un esempio
di effetto negativo è quello osservato dopo l’assunzione di un prodotto con arancio amaro, che contiene Sinefrina e può causare tachicardia o ipertensione. Altra sostanza a rischio è il Fucus che può stimolare la produzione di ormoni tiroidei. È rischioso anche assumere prodotti contenenti fibre.
Le fibre liquide hanno il compito, se assunte con l’acqua, di  gonfiarsi nello stomaco e dare un sensazione di sazietà. È possibile che queste fibre  possano portare anche a occlusioni intestinali e contemporaneamente possano alterare anche la funzionalità del fegato. È il caso della pianta Garcinia Cambogia, contenuta in un prodotto dimagrante, che ha causato una reazione letale in una donna provocandole una necrosi massiva del fegato. Effetti sul sistema nervoso sono stati rilevati per l’uso di un prodotto a base di Coleus Forskoli, una pianta risultata contaminata che ha dato luogo alla sindrome anticolinergica tipica dell’atropina, mentre reazioni avverse per la cute, come rossori, allergie e persino orticaria, sono state documentate in seguito all’impiego di  prodotti contenenti Ginko Biloba. Attenzione, quindi: i miracoli non li fanno le piante.  Dimagrire costa fatica ed èmeglio rivolgersi a un dietologo o almedico di famiglia.

Pubblicato il 12 gennaio 2011 - Commenti (0)
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E dopo le abbuffate natalizie tutti a dieta

Dopo le grandi abbuffate natalizie, purtroppo qualche chiletto è arrivato a marcare sempre  di più il girovita e altri distretti corporei. Cosa fare allora per recuperare? I
nnanzitutto non ci si faccia assillare dal cibo e definiamo a priori quali alimenti e piatti ci converrà assumere e quali no. È importante mangiare lentamente e masticare a lungo: dà la sensazione di una maggiore sazietà.
Si raccomanda di evitare pasti ricchi, cercando di  mangiare poco ma spesso, almeno cinque spuntini al giorno. È consigliabile diminuire il consumo di carboidrati mangiando un po’ meno pasta e pane; sostituire i cibi ricchi di grassi con alimenti più magri, come legumi, frutta e verdura.
Bere, inoltre, tanta acqua, almeno due litri al giorno, magari frazionandoli bevendo un bicchiere ogni ora della giornata. Mangiare ogni giorno almeno cinque porzioni di frutta fresca e verdura di stagione. Piano con i formaggi e i latticini; evitare bevande zuccherate, meglio l’acqua di rubinetto; ridurre al minimo il consumo di alcol; praticare almeno un’ora di palestra, con esercizi di tipo aerobico, come la cyclette o il tapis roulant o la camminata continuativa di circa un’ora, tre volte alla settimana per tonificare e rassodare il corpo. È sufficiente ridurre di un terzo le calorie che si è soliti assumere per riprendere forma.

Pubblicato il 12 gennaio 2011 - Commenti (0)
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Abbuffate a Natale un po’ di tutto non fa male

Detto da un dietologo potrebbe sembrare un controsenso, ma a Natale una volta tanto è giusto far festa, accantonando i dettami dietetici, tranne che per coloro i quali hanno delle controindicazioni mediche. Un’unica raccomandazione riguarda le quantità: assaggiare  tutto, senza abbuffarsi, per poter arrivare fino al dessert. A Natale sono irrinunciabili alcuni piatti caratteristici, come il cappone, il tacchino, la gallinella o altro e, soprattutto, il  panettone, il pandoro, gli struffoli, il torrone... Resto sempre un dietologo, quindi  raccomando almeno di non strafare col numero delle portate.
Antipasti, massimo uno o  due, magari a base di verdure calde, ben aromatizzate. I classici primi piatti sono in  genere paste ripiene come agnolotti, ravioli, tortellini in brodo oppure conditi con burro o salse tipiche regionali o locali. Meglio solamente un primo, ma se la tradizione ne vuole  almeno due, per esempio anche un risotto, magari al tartufo,  occorrono piccole porzioni sia dell’uno sia dell’altro. Se il secondo piatto è a base di pesce o di carne bianca, come il  cappone, non c’è problema, perché fritture a parte, sono in genere abbastanza digeribili. Si arriva, così, al dessert e qui i buoni propositi vanno veramente a farsi benedire, perché  non è possibile rinunciare ad alcunché; altrimenti che Natale sarebbe senza almeno una  buona fetta di panettone o pandoro, o di torrone che ci fa ritornare bambini, e poi ancora cannoli, babà, pastiera, frutta secca e così via? Già solo a descriverli, si ingrassa! Il tutto naturalmente associato a del buon vino, rosso o bianco, e alla fine non possono mancare un moscato o uno spumante italiano.
L’indomani, se non fosse Santo Stefano, però, sarebbe obbligatorio seguire un menù di “scarico”, quindi ricco di minestroni e passati di verdura, oltre che di frutta fresca di  stagione, in modo da riequilibrare l’eccesso delle  calorie introdotte prima.

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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Il caffè fa dimagrire ma meglio non esagerare

Il caffè può influenzare la digestione dei carboidrati? Pare proprio di sì! Da parecchio  tempo, infatti, noi nutrizionisti abbiamo evidenziato il potere protettivo del caffè nei   confronti del diabete di tipo 2. Ma quali sono i meccanismi che consentono di prevenire
questa patologia? Secondo una ricerca dell’Inran, il caffè pare sia proprio in grado di inibire uno degli enzimi intestinali deputati alla digestione dei carboidrati. Questa azione  potrebbe determinare un rallentamento nell’assorbimento del glucosio e attenuare così
il picco glicemico che si osserva dopo il consumo di un pasto, contribuendo alla riduzione
del rischio di diabete di tipo 2.
Lo studio si è svolto con l’utilizzo di due approcci sperimentali: uno bioinformatico e uno in vitro. Mediante tecniche di simulazione al  computer, è stata valutata la capacità dei composti fenolici presenti nel caffè di legare, e quindi, inibire, gli enzimi coinvolti nel metabolismo dei carboidrati. Le simulazioni sono state poi confermate dallo studio in vitro che però ha lasciato qualche dubbio nello studio sull’uomo, tant’è che la dottoressa Fausta Natella, ricercatrice Inran responsabile del  progetto, ha dichiarato che, nonostante gli studi dimostrino che un consumo abituale e  moderato di caffè riduca il rischio di diabete di tipo 2, non è ancora noto con quale  meccanismo la bevanda possa agire.
Si è ipotizzato che il caffè interferisca con il processo di digestione dei carboidrati, ipotesi che è stata confermata dai dati sperimentali ottenuti in vitro, e vanno confermati da uno studio in vivo condotto sull’uomo. Se questo fosse il meccanismo con cui il caffè agisce, si dovrebbe consigliare di bere una tazzina subito dopo i pasti. Facendo attenzione, però, a non abusarne e a non superare le 4-5 tazzine al  giorno.

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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La colazione italiana non ingrassa

Siamo cresciuti in Italia con la certezza che la prima colazione del mattino debba essere  molto equilibrata. Però oggi dobbiamo fare i conti con un’americanizzazione della  colazione, tanto che ora la chiamiamo breakfast! Facciamo allora un paragone calorico e  nutrizionale per capire quali differenze ci sono e soprattutto chi sbaglia o indovina di più per la nostra salute.
Da sempre la nostra colazione vince il confronto con tutti gli altri tipi di colazione mondiali, a cominciare da quella tradizionale anglosassone composta da: un uovo con bacon (30 grammi), due fette di pancarrè tostato, un succo d’arancia non  zuccherato (200 centilitri), un caffè, un cucchiaino di zucchero; e fornisce 382 Kcalorie con 17 grammi di grassi. Come si può intuire subito, questo tipo di menù fornisce purtroppo  troppe proteine animali e acidi grassi saturi, ma anche poche fibre vegetali e poche  vitamine. Quali sono le possibili conseguenze? Quelle di mettere su dei chili e, a lungo  andare, anche un possibile  aumento dei livelli di colesterolo e dei trigliceridi. Una classica colazione italiana composta da: una tazza di latte parzialmente scremato (200 centilitri); biscotti secchi (50 grammi), un cucchiaino di zucchero e una spremuta di arancia; fornisce 375 Kcalorie con 8 grammi di grassi di cui pochi di origine animale e molta energia pronta.

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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Evita i diverticoli: più fibre e movimento

I diverticoli sono delle piccole ernie che assomigliano a dei palloncini e si formano lungo tutto il tratto dell’intestino crasso (o grosso intestino). Prediligono, soprattutto, il colon
discendente e poi la flessura del sigma, che rappresentano l’ultima parte dell’intestino, prima di arrivare al retto. La loro sintomatologia è classica: dolori addominali, specie a
sinistra dell’addome, stitichezza e molto meteorismo.
Questa malattia è più diffusa nei Paesi connotati da benessere e sviluppo economico, dove è possibile un’alimentazione troppo raffinata. Come prevenirla, oppure curarla? Utilizzando un regime dietetico moltoricco di buona fibra vegetale. Infatti, i diverticoli si formano per un’eccessiva pressione all’interno dell’intestino, causata da feci troppo secche e dure. Una dieta ricca in fibra, quindi, aiuta a renderle molto più morbide. Combattendo la stitichezza, si previene,  indirettamente, anche la formazione di diverticoli intestinali. La fibra, infatti, si divide in solubile e insolubile; la solubile ha la capacità nell’intestino di assorbire acqua; quella  insolubile, invece, a contatto con l’acqua intestinale si trasforma in una specie di gel e non ha un’azione lassativa diretta ma favorisce la flora batterica e aiuta l’intestino a regolare le sue funzioni.
Al riguardo c’è una triade salutista da tenere presente: oltre alla fibra, va assunta tanta acqua e occorre fare tanto movimento. Bisogna muoversi almeno mezz’ora al giorno di seguito (con una camminata lenta, ma costante) e non a scatti, come pulendo la casa o facendo pesi in palestra.

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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Troppi zuccheri favoriscono l’acne

L’acne è una dermatosi che colpisce soprattutto i giovani e in molti casi tende a scomparire da sola dopo un certo numero di anni; se non è curata, può lasciare profonde cicatrici sulla pelle e può anche provocare disturbi psicologici, in particolare nei giovani.
Uno studio  condotto all’Università di Oslo ha dimostrato che esiste una certa associazione tra  un’alimentazione ricca di zuccheri e l’insorgenza dell’acne nella pubertà, soprattutto per  quanto riguarda l’indice glicemico dei cibi. Sicuramente la pelle sta bene quando l’intestino funziona bene e la flora intestinale è al meglio, perciò un’alimentazione ben equilibrata e ricca di cibi o bevande vegetali non può far altro che aiutare tutto  l’organismo, pelle compresa. Nelle persone geneticamente predisposte, dice il dottor Vincenzo Bettoli,  dell’Ambulatorio acne dell’Ospedale di Ferrara, un eccessivo consumo di cibi con alto indice glicemico, come pane bianco, patate, miele e ovviamente zucchero, può essere fattore di peggioramento dell’acne e bisogna tener conto anche della  contemporanea presenza di proteine e grassi che fanno variare la velocità di assorbimento intestinale.
Tutto è legato alla presenza di una sostanza (Igf1) che ha recettori in tutto l’organismo che spesso  scambia con l’insulina, prodotta proprio in risposta al cibo ingerito. La Igf1 nella pelle  stimola la proliferazione di sebociti cheratinoici e genera grassi nonché alcuni ormoni  androgeni. In particolare si è visto che la concentrazione di Igf1 è più alta nelle donne con l’acne. Per cui bisogna mangiare più cibi integrali, una giusta dose di proteine animali, ma soprattutto vegetali, e come condimento, meglio l’olio extravergine di oliva.

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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Insonnia, la tisana fa male?

Un italiano su cinque soffre d’insonnia. Noi medici abbiamo sempre consigliato un cambio di abitudini, ma spesso abbiamo prescritto farmaci ipnotici che favoriscono il sonno. Da  qualche anno, però, c’è un’alternativa che all’apparenza è più naturale e quindi meno  dannosa dei farmaci, ma i risultati e le complicanze collaterali non danno ragione a chi sostiene questa teoria.
L’Agenzia del farmaco francese ha autorizzato 19 piante che   combattono l’insonnia, riferendosi più che a una valutazione scientifica testata, a un uso “tradizionale”. Vista la mancanza di ricerca scientifica approfondita, in Italia il servizio di  Farmaco vigilanza ha messo sotto controllo queste sostanze e non si è trovato molto  d’accordo con l’agenzia francese.
È stata definita, ad esempio, l’esclusione della pianta Ballora nigra perché sospettata di danneggiare il fegato per la presenza di alcuni alcaloidi che si trovano, con la stessa azione epatotossica, in un’altra pianta: il Camedrio. Un altro prodotto molto utilizzato nel passato e che è stato proibito è l’Euphytose, che al tempo conteneva anche la pianta Ballora e poi Biancospino, Guaraná, Valeriana e Cola. Un’altra pianta sotto controllo è l’Anemone pulsatilla che contenendo protoanemonina, un  composto notoriamente tossico a livello neurologico e nefrologico, presenta un rischio alto che ne fa escludere l’uso per addormentarsi. Nelle altre 16 erbe rimanenti non ci sono rischi anche se resta dubbia l’azione ipnotica delle stesse. Non ci sono controindicazioni per Melissa, Fiori d’arancio, Tiglio e Verbena; mentre per Passiflora, Luppolo e Valeriana si riferisce che l’azione è quasi nulla o quantomeno molto discutibile.

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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Integratori alimentari da usare con cautela

Alla fine qualche guru ci convincerà che la spesa dovremmo farla nei negozi di dietetica o nelle parafarmacie, per sostituire i gustosi alimenti di ogni giorno con pillole e polverine di integratori alimentari, per appagare i desideri dei produttori. È giusto, quindi, chiedersi se si tratta di elementi utili alla salute o se sono solo smarts di moda che incrementano i  bilanci economici delle multinazionali produttrici.
Che cosa si intende per integratori  alimentari? Sono prodotti composti da varie fonti concentrate di nutrienti, addizionati ad altri ingredienti, e vengono commercializzati con un dosaggio più o meno equilibrato. Tra i vari componenti possiamo trovare vitamine, sali minerali, amminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre vegetali, vari tipi di estratti vegetali e altro ancora. Gli integratori si  comprano ovunque per cui, vista la facilità di approvvigionamento, nessuno riflette sugli effetti dannosi alla salute. È necessario, infatti, fissare i livelli massimi di assunzione delle singole unità di prodotto, per questo l’etichettatura diventa elemento importante per  consentire di assumere dosi corrette. Non si può permettere ai consumatori di autogestirsi
e di acquistare gli integratori come normale cibo da supermercato. Bisogna considerarli alla stregua di medicine, per cui è necessaria la prescrizione con ricetta e inoltre la vendita deve essere riservata solo alle farmacie, dove il farmacista può almeno consigliare. Troppo spesso si compra attratti da notizie assemblate qua e là, per cui ci si convince che gli  integratori funzionano meglio se introdotti a dosaggio molto alto; niente di più errato!  Facciamo un esempio: l’esagerata introduzione di pillole contenenti Vitamina A può portare a un apparente stato di ittero (pelle molto gialla). Sono quindi proprio essenziali questi integratori? Forse in alcuni casi, per il resto meglio il cibo, che dà più soddisfazione.

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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Pesce d’acqua dolce può nascondere parassiti

Ci occupiamo stavolta di un caso poco usuale di intossicazione alimentare da pesce  d’acqua dolce, cioè di lago o di fiume. In genere siamo abituati a pensare ai problemi del pesce di mare causati, per esempio da metalli pesanti reperiti in mare aperto e accumulati nel tempo, soprattutto dai pesci di grossa taglia. Un altro problema è causato da microrganismi che contaminano il pesce e passano nell’uomo specie se mangiato crudo.
Questa volta un problema simile è toccato a un pesce d’acqua dolce come la tinca. Infatti poco tempo fa, durante un evento enogastronomico, sono rimasti intossicati da un raro verme parassita di pesci di acqua dolce, alcuni politici della Valle d’Aosta, tra cui  l’assessore al Turismo, oltre a due sindaci, e 20 persone sono finite in ospedale per una parassitosi delle vie biliari. mentre altre 80 sono state a rischio contagio. L’infezione è stata provocata da una sfiziosa quanto micidiale tartare di tinca marinata al profumo d’arancia, pepe rosa e aneto su misto di verdurine. Ricordiamo che la marinatura non disinfetta.
Causa dell’infezione è stato il Clonorchis sinensis, un parassita che si sviluppa nei pesci d’acqua dolce (in particolare nei Ciprinidi come carpe e tinche). In genere a essere infettati sono cani, gatti e topi, ma può capitare anche all’uomo. Il parassita entra nel fegato e nelle vie biliari provocando lesioni difficilmente diagnosticabili. I sintomi  possono essere l’ingrossamento del fegato, la colicistite, ittero e febbre. Per scongiurare pericoli nella somministrazione “a crudo”, le tinche, come tutti gli altri pesci, devono essere congelate a –20 gradi per almeno 24 ore oppure scottate a 65 gradi per un minuto.

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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Meno aggressivi con gli Omega-3

Si è sempre sospettato che la violenza e l’aggressività umana dipendessero anche  dall’alimentazione squilibrata, infatti, si è visto come la mancanza di grassi essenziali, tipo gli Omega-3, possa causare depressione, stress, aggressività. Questi acidi grassi  polinsaturi sono molto particolari al punto da permettere una giusta connessione nervosa. Per questo una carenza può provocare problemi cerebrali, che diventano reversibili se si reintroduce la giusta dose di Omega-3 necessario per il buon funzionamento della  trasmissione nervosa. Abbiamo visto che la carenza di Epa (acido eicosopentanoico) e di Omega-3 durante la gestazione e nei primi anni di vita può provocare una riduzione nei livelli di serotonina del cervello nei momenti più importanti della formazione e dello  sviluppo neurologico, causando un funzionamento inadeguato del sistema limbico e della corteccia frontale del cervello.
Si può allora affermare che molti casi di violenza,  aggressività, depressione, e talvolta persino il suicidio, possono essere causati dalla  inadeguata dieta della popolazione occidentale, che si caratterizza con un deficit di molti nutrienti, cioè una dieta inadeguata e poco equilibrata, ricca in carboidrati semplici  (zucchero, dolci...) e cibi da fast food. Si è evidenziato inoltre che i ragazzi con diete ricche di zuccheri e merendine sono più disobbedienti, aggressivi e depressi. Il tipo di   alimentazione occidentale moderno è carente di nutrienti essenziali per il nostro  organismo, e come risultato porta tanto problemi fisici quanto psicologici.
Nel caso di  bambini o adulti con problemi di depressione, violenza e aggressività, oltre all’appoggio  psicologico è necessario l’apporto nutrizionale, il cambio di alimentazione, l’assunzione di vitamine e minerali come lo zinco, e quella di Omega-3, con il fine di migliorare i sintomi,  sempre sotto controllo medico.

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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Non tagliate i carboidrati

Quest’articolo vuole essere una risposta a coloro che consigliano erroneamente di seguire una dieta iperproteica, con pochissimi carboidrati; infatti, eliminare pasta e pane dalla  dieta può esporre a seri problemi cardiovascolari. Lo dimostra uno studio di Anthony  Rosenzweig, coordinatore della ricerca americana, pubblicato sulla rivista internazionale Pnas, che ha messo in evidenza come i regimi alimentari poveri di carboidrati aumentino in maniera significativa il rischio di gravi patologie cardiovascolari, quali aterosclerosi, ictus e infarto. Un gruppo di animali è stato nutrito con diete ricche di carboidrati, un secondo con quantità moderate di questi alimenti e, infine, per un terzo gruppo i carboidrati sono stati completamente sostituiti con proteine. Dopo 6 e 12 settimane di trattamento, i topolini  dell’ultimo gruppo con la dieta priva di carboidrati in effetti dimagrivano velocemente ma,  allo stesso tempo, presentavano chiari e netti sintomi di aterosclerosi, repertabili con  esami del sangue e con mezzi diagnostici eco-radiologici.
Secondo gli autori della ricerca, un’alimentazione povera di carboidrati, pur determinando un dimagrimento con un calo  rapido e significativo del peso corporeo, ostacola sicuramente la regolare nuova   formazione di vasi sanguigni. In caso d’infarto cardiaco, quindi, ciò interferisce con i  meccanismi di recupero del corpo stesso, che sopperisce al limitato afflusso di sangue,  dove esso manca a causa dell’occlusione vascolare. Emerge, quindi, l’indicazione che una dieta moderata e bilanciata con la giusta presenza di carboidrati e abbinata a un esercizio regolare, è la migliore per molte persone.

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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I miracoli del tè verde

Ormai si tratta di una certezza scientifica: Il tè verde ha la capacità di ridurre l’ipertensione arteriosa e aiuta nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Nei grandi bevitori di tè verde è stato infatti osservato un rischio di morte per infarto miocardico e altri accidenti vascolari più basso rispetto ai non bevitori. I meccanismi molecolari di queste azioni del tè
verde sono poco conosciuti e sono stati finora attribuiti alla sua azione antiossidante. Il professor Andrea Semplicini dell’Università di Padova ha studiato gli effetti del tè verde in ratti ipertesi, dimostrando che le sostanze antiossidanti del tè concorrono al mantenimento di un buono stato di salute e bloccano alcune tappe chiave dei complessi meccanismi che  regolano la crescita delle cellule del cuore e lo sviluppo dell’ingrossamento cardiaco, noto  come ipertrofia del ventricolo sinistro, una frequente complicazione dell’ipertensione arteriosa.

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L’olio extravergine meglio di una medicina

L’olio extravergine di oliva è un condimento, un alimento o un farmaco? È una domanda molto stimolante, perché ormai tutti, o quasi, pensano all’olio extravergine di oliva come a una specie di farmaco. Si tratta di un alimento che contiene molti elementi che ci permettono di prevenire l’insorgenza di malattie di tipo metabolico, come il diabete e l’infarto.
Ogni olio, di qualunque derivazione, fornisce 9,1 calorie per grammo, ma si  differenzia per la qualità dei grassi e delle vitamine contenute. Negli oli di semi mentre è notevole la quantità di vitamina E, è scarsa la vitamina A e quasi nulla la D.
L’olio extravergine contiene vitamina E, acido  oleico, grasso monoinsaturo che ci protegge dalle malattie cardiovascolari e tumorali. Ha un effetto benefico contro il colesterolo. Aiuta il fegato nelle sue funzioni di disintossicazione, ma senza esagerare nelle quantità. Per sfruttare gli effetti “terapeutici”, la dose ideale e di 2-3 cucchiai al giorno superando i quali si può avere un aumento dei trigliceridi.

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Le etichette sui cibi ci raccontano

Per mettere in vendita un alimento oggi è necessario far conoscere i singoli ingredienti e la loro composizione nutrizionale, comprese le calorie fornite. Il Parlamento europeo  recentemente si è espresso sulle etichette e ha dato l’ok ai profili nutrizionali con l’obbligo dell’indicazione delle quantità di grassi, acidi grassi saturi, zuccheri e sale e si richiedono però anche indicazioni su proteine, carboidrati, fibre, grassi trans-naturali e artificiali. Tali informazioni devono essere indicate su 100 grammi o milligrammi e, per assicurarne la  leggibilità, devono avere caratteri di dimensione e stile precisi.
I vari deputati hanno  proposto anche l’estensione dell’etichettatura obbligatoria sul Paese d’origine, oggi in  vigore solo per alcuni alimenti, a tutti i tipi di carne, pollame, prodotti lattiero-caseari, e  altri composti da un unico ingrediente. Per carne, pollame e pesce, l’etichettatura sul  Paese d’origine deve essere disposta anche quando sono utilizzati come ingrediente in  cibi trasformati.


CARNE E POLLAME, CONTA IL LUOGO DI ORIGINE

Per la carne e il pollame, l’indicazione di origine può essere fornita in rapporto a un unico luogo solo nel caso in cui gli animali siano nati, allevati e macellati nello stesso Paese. Per le carni e gli alimenti contenenti carne, il Paese di origine è definito come il luogo nel quale l’animale è nato, è stato allevato per la maggior parte della sua vita ed è stato macellato.

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)


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Cibo e Salute

Giorgio Calabrese

Giorgio Calabrese è un nutrizionista dell'Università Cattolica

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