“Se non ora, quando?”. Questo, lo slogan che il 13 febbraio dello scorso anno è risuonato in molte piazze d’Italia, gremite di donne (e non solo) che finalmente riprendevano coscienza del loro ruolo e delle loro potenzialità e manifestavano per riappropriarsi di quella loro identità e dignità così vilipesa e calpestata, specialmente dai mezzi di comunicazione. Era tempo di prendere atto di ciò che stava capitando in tanti modi e forme nel nostro Paese e di dire “basta” alla strumentalizzazione e allo sfruttamento della donna.
Questa manifestazione era stata organizzata in un momento in cui la donna veniva sempre più svuotata dai nostri media e dai nostri stili di vita dei suoi valori intrisici e dal suo ruolo di persona, chiamata a costruire con le sue peculiarità e talenti una società più umana e umanizzante, attraverso rapporti veri e sinceri e non strumentali e mercantili.
In una di quelle piazze, quella di Roma, c’ero anch’io, religiosa e missionaria, ma pur sempre donna, per condividere con tante altre donne di diverse posizioni e schieramenti lo stesso sdegno contro la mercificazione del corpo femminile, ma soprattutto per lanciare un grido e un appello a nome e a favore di tante giovani, soprattutto immigrate, che non avevano diritto di parola. Ero lì anche in rappresentanza di tante altre religiose, che ogni giorno devono confrontarsi con le conseguenze causate dalle discriminazioni di genere, dalla violenza fisica e psicologica che si scatena in tantissimi modi contro le donne, dall’oppressione e dallo sfruttamento derivanti dall’orribile traffico di esseri umani per lo sfruttamento sessuale…
In quell’occasione avevo lanciato un forte un appello per dire “basta” all’indegno mercato del corpo della donna e ricordare a tutti gli enti, istituzioni e persone coinvolte che ciascuno di noi ha una grande responsabilità ma anche un dovere: eliminare tutte le forme di compravendita del corpo della donna mascherati sotto diversi camuffamenti: prostituzione, pornografia, pubblicità, trasmissioni televisive, carriera, ecc…
Numerosissimi sono stati i messaggi ricevuti, soprattutto di approvazione ma anche di biasimo. Come se le suore - e tanto più le missionarie - dovessero rimanere richiuse nei conventi o impegnarsi contro le numerose povertà di cui si occupano, possibilmente senza parlare pubblicamente. A un anno di distanza, e di fronte ai molti messaggi che continuo a ricevere, vorrei ringraziare le tante persone che hanno avuto parole di sostegno per il coraggio di presentarmi come donna e religiosa sul quel palco e soprattutto per aver toccare una piaga che sta logorando e distruggendo le nostre stesse famiglie e il nostro tessuto sociale. Mi sento però di dire a quanti hanno trovato fuori posto la mia presenza in quella piazza che sono stata spinta solo dal desiderio di difendere e dar voce pubblicamente a tutte quelle donne e quei bambini, che continuano ad essere vittime di una società dove tutto si può vendere e comprare, persino il corpo di una minorenne indifesa, povera, immigrata e in cerca di un futuro dignitoso.
A un anno da quella manifestazione che cosa è cambiato nella politica, nella società, nella Chiesa e soprattutto nel mondo femminile? È difficile fare un vero bilancio in termini di risultati visibili ed eclatanti, che forse non si notano ancora. Tuttavia da quel giorno si scorgono alcuni segnali importanti, piccole luci che indicano un cammino nuovo specialmente per le future generazioni. In questi ultimi mesi, abbiamo avuto tre donne Premio Nobel per la pace, due africane e una yemenita, altre sono elette come Capi di Stato o di governo, altre ancora sono responsabili di importanti ministeri. Soprattutto, però, riscontro più consapevolezza e desiderio di riflessione tra le donne comuni, che in mille modi e luoghi ogni giorno svolgono la loro missione nella famiglia, nella società, nel mondo del lavoro e della politica, e anche negli ambienti religiosi o di volontariato, mettendo a disposizione i loro talenti e valori, le loro intuizioni e la loro formazione umana, cristiana e professionale per far crescere il nostro Paese. Ed è proprio nel quotidiano che la donna deve essere presente e può fare la differenza. Questa è la nostra responsabilità di donne che vogliono e devono costruire una società non più basata solo sul consumo e su uno sviluppo squilibrato, bensì sulla dignità, la grandezza e la bellezza interiore di ogni persona a servizio del bene comune.
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15 febbraio 2012 - Commenti
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