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Quei migranti li conoscevo bene

Uno dei barconi di migranti in arrivo a Lampedusa.
Uno dei barconi di migranti in arrivo a Lampedusa.

Sentendo nei giorni scorsi la notizia terribile del naufragio di un’imbarcazione di migranti partita dalla Libia, con oltre duecento morti nelle acque del nostro Mediterraneo, non ho potuto che provare sconcerto e cordoglio. Mi ha colpito molto sapere che tra di loro c’era anche una donna somala incinta di otto mesi che si è salvata miracolosamente.

     Donne, uomini, ragazzi come questi, che hanno perso la vita mentre ne cercavano una migliore, li avevo conosciuti, poco più di un anno fa, proprio in Libia. E in particolare nelle prigioni di questo Paese, dove ha incontrato molti migranti subsahariani. Quando hanno sentito parlare dell’Italia si sono illuminati. Per loro il nostro Paese, o l’Europa più in generale, rappresentano la terra promessa, un sogno di libertà, emancipazione, progresso. Il sogno di una vita diversa.

     È un grande miraggio: non si rendono conto esattamente dei contorni e del caro prezzo che devono pagare. E che stanno già pagando. Spesso sono i trafficanti di esseri umani o altri migranti che, tornando in patria, esibiscono soldi, potere, ricchezza e contribuiscono ad alimentare questo sogno. Un sogno che coltivano anche all’interno di quelle prigioni, nonostante le orribili condizioni in cui sono costretti a vivere. Ma forse è proprio quel sogno che li aiuta a non lasciarsi andare e a non perdere la speranza in una vita diversa. La nostra rete di religiose che è presente anche in Libia, sta cercando offrire assistenza e accompagnamento specialmente alle donne che arrivano in questo Paese attraverso il deserto del Sahara, molte delle quali in stato di gravidanza e bisognose di tutto, dall’alloggio all’assistenza sanitaria, o per aiutarle, in alcuni casi, a tornare indietro, a casa loro.

     Ma anche qui in Italia dobbiamo ancora lavorare molto per una cultura dell’accoglienza. E ancor prima per cambiare lo sguardo rispetto a queste persone: affinché non siano guardate e giudicate in prima istanza come “invasori”, clandestini, criminali o peggio ancora. Ma, appunto, come persone, esseri umani con la loro dignità.    

Pubblicato il 13 aprile 2011 - Commenti (0)

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Autore del blog

Noi donne oggi

Suor Eugenia Bonetti

Missionaria della Consolata, è stata per 24 anni in Kenya. Al ritorno comincia a lavorare in un Centro d’ascolto e accoglienza della Caritas di Torino, con donne immigrate, molte delle quali nigeriane, vittime di tratta. Dal 2000 è responsabile dell’Ufficio tratta dell’Unione superiori maggiori italiane (Usmi). Coordina una rete di 250 suore di 70 diverse congregazioni, che operano in più di cento case di accoglienza. Il presidente Ciampi l’ha nominata nel 2004 Commendatore della Repubblica italiana.
Ha scritto con Anna Pozzi il libro "Schiave" (Edizioni San Paolo).

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