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“No hate speech movement” (nohatespeechmovement.org) è il nome di una campagna promossa dal Consiglio d’Europa per stimolare i giovani stessi a combattere razzismo e discriminazioni all’interno del web.
L’ “hate speech”, ovvero il linguaggio offensivo, comprende secondo la definizione data dal Consiglio d’Europa «forme di espressione che incitano, promuovono, incitano o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o altre forme di odio basate sull'intolleranza».
Di questo fenomeno se n’è parlato anche alla Camera in occasione del seminario "Parole libere o parole d'odio? Prevenzione della violenza on-line" organizzato dalla presidente Luisa Boldrini per il 10 giugno scorso. L’evento è stato trasmesso, oltre che sul canale satellitare, anche in streaming sulla web tv della Camera catalizzando poco più di una trentina di utenti connessi contemporaneamente nei momenti di picco. Pochi anche i tweet sull’argomento identificabili con l’hastag della campagna europea #nohatespeech. La sintesi, ben riassunta dall'intervento di Rodotà: il problema non è la Rete ma siamo noi, gli utenti. Nulla di nuovo. L’avevamo intuito da tempo ma probabilmente ci mancano strumenti formativi efficaci.
Il segnale istituzionale è stato dato, si tratta di primo passo significativo. Probabilmente, però, una tematica così importante, in un momento in cui sembra acuirsi la violenza verbale in Rete e le tragiche conseguenze che abbiamo visto emergere negli ultimi mesi, merita più attenzione.
Non sono pochi gli adolescenti che portano nella psiche e nell’anima ferite inferte tramite il web. Che dire loro se non che forse stiamo facendo troppo poco per educarli, aiutarli e sostenerli nell’abitare questo ambiente digitale che pervade tutta la loro giornata? È probabile che, oggi, la strategia migliore per contrastare questi fenomeni sia quella di mettere in campo giovani educatori in favore di altri giovani, dato che spesso le generazioni precedenti si sentono inadeguate a gestire il problema. Questa è la strategia di “No hate speech movement”. Agenzie educative che avete risorse per agire in questo ambito, non siate timide. Se guardate fuori dalla Penisola intuite che è già tardi.
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11 giugno 2013 - Commenti
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