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Inconscio connettivo? È un’ipotesi sostenuta da tempo dal noto massmediologo canadese Derrick De Kerckhove in relazione ai moderni mezzi elettronici, probabilmente ricalcando la teoria proposta dallo psichiatra svizzero Jung secondo la quale esiste un inconscio collettivo che genera gli archetipi di ogni cultura.
Per dirla in termini comprensibili, esistono nelle varie culture e popoli del mondo alcune immagini psichiche innate che incontriamo indipendentemente dalla collocazione geografica e dalla storia specifica di quella etnia: l’idea del “vecchio saggio”, ad esempio, o dell’anima.
In maniera analoga, sostiene De Kerckhove, comunicare attraverso i social media genera una sorta di inconscio che connette gli utenti della Rete. Una risorsa straordinaria ma anche una potenziale fonte di rischi molto seri.
È quanto si evince anche dal messaggio del Papa per la 47ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, dal titolo “Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione” (leggi il messaggio).
Ancora prima di essere spazio per evangelizzare le reti sociali sono un tessuto che aiuta a sviluppare la relazione tra uomini e questa non può perdere le caratteristiche di autenticità e di rispetto della verità che ciascuno porta con sé, come sottolinea anche Benedetto XVI nel suo messaggio. È importante essere consapevoli che oggi anche i web contribuisce a formare la personalità e l’inconscio delle nuove generazioni.
De Kerckhove ha provato a spiegare nel passato questa esigenza di autenticità e di umanizzazione con la storia di Pinocchio. Ai tempi di Collodi vi era un esodo consistente di lavoratori che dalla Toscana si spostavano nel Nord Italia per andare a lavorare in fabbrica dove, spesso, si disumanizzavano.
Una volta tornati a casa faticavano a ricuperare la loro identità. Ma a questo punto entrava in gioco la trasformazione, la metafora del ventre delle balena, e l’uomo tornava ad essere pienamente uomo superando l’influenza della macchina. Oggi il rapporto non è solo con le macchine ma con l’intera Rete che spesso dà alle persone la percezione di esistere solo quando si sentono connesse.
Pubblicato il
28 gennaio 2013 - Commenti
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Janell Burley Hofmann con suo figlio Gregory.
Un contratto per l’uso del cellulare? Non ci sarebbe nulla di strano se ad averlo stipulato non fosse stata una madre, nota blogger statunitense, con il figlio di 13 anni.
Janell Burley Hofmann, collaboratrice dell’Huffington Post, ha fatto trovare al figlio Gregory sotto l’albero di Natale un prezioso cellulare corredato da 18 regole d’uso.
L’originale proposta, com’era prevedibile, ha scatenato in rete un vivace dibattito sull’età più opportuna per possedere un cellulare e sul tipo di accordo messo in atto dalla madre nei confronti del figlio.
Da un lato c’è da sottolineare lo sforzo positivo nel consegnare regole ben precise nell’utilizzo del dispositivo e nelle responsabilità che ne derivano.
Il fatto che siano codificate precisamente, scritte e sottoscritte aiuta ad avere un quadro di riferimento stabile al quale rifarsi ogniqualvolta possa sorgere un problema.
Se il preadolescente sta ancora esplorando l’ambiente intorno a sé in cerca di confini l’adulto lo può aiutare segnalando chiaramente dei limiti da non oltrepassare o sui quali, almeno, discutere.
Come sottolinea Janell «molte delle regole elencate non si applicano solo al cellulare ma alla vita».
Mi permetto, però, di fare qualche rilievo sull’intera operazione.
Janell vive a Cape Code, nel Massachusetts, con il marito e altri quattro figli oltre a Greg. Perché l’altro genitore non ha stipulato il contratto ma viene solo nominato come riferimento in alcune regole?
E il resto della famiglia dov’è? Gregory, nel patto, figura come figlio unico. È importante che in questo tipo di accordi il mondo adulto si dimostri compatto e solido, dando vita a quella potente risorsa che chiamiamo “alleanza educativa” e che il contesto di rifermento sia sempre comunitario, altrimenti il contratto rischia di legare un rapporto personale basato sul dare-avere.
Perché consegnare ad un tredicenne, come primo smartphone, un iPhone, terminale di un certo valore commerciale che solitamente è utilizzato dal mondo adulto?
Non sarebbe stato più educativo partire da un apparato meno blasonato e performante anche per dare un’idea di progressione nell’accesso alla tecnologia e agli strumenti tipici del mondo adulto?
In ogni caso il tentativo è lodevole. Visto che nei dispositivi di ultima generazione non esiste più il libretto delle istruzioni ci auguriamo che qualcuno inizi a consegnare ai figli un foglietto con le istruzioni per l’uso consapevole e ragionato.
Le 18 regole nel blog di Janell Burley Hofman
Le regole tradotte in Italiano
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08 gennaio 2013 - Commenti
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