di Don Alberto Fusi

In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

 

27 giugno - V Domenica dopo Pentecoste



1. La quinta domenica “dopo Pentecoste”


    La liturgia odierna propone Abramo come padre e modello di tutti coloro che, nella fede, accedono alla “salvezza” frutto della Pasqua. Il Lezionario prevede le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Genesi 18,1-2a.16-33; Salmo 27; Epistola: Romani 4,16-25; Vangelo: Luca 13,23-29. Nella Messa vespertina del sabato viene proclamato: Giovanni 20,1-8, come Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XIII Domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.


2. Vangelo secondo Luca 13,23-29

     In quel tempo. 23Un tale chiese al Signore Gesù: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio».

3. Commento liturgico-pastorale

     Al centro del brano evangelico, con la domanda rivolta a Gesù da un anonimo interlocutore: «Sono pochi quelli che si salvano?» (v 23), è posta la questione della “salvezza”. La risposta di Gesù non concerne il “numero” dei salvati ma rilancia con più forza il problema della “salvezza” qui indicata nella “casa” (v 25) la cui porta d’accesso, però, è angusta, è stretta (v 24). Di qui il pressante invito: “sforzatevi di entrare” ossia fate di tutto, pur di entrare nella “casa” e, dunque, avere accesso alla salvezza finale.

    L’imperativo “sforzatevi” usato da Gesù va compreso come un richiamo a una pronta decisione nei suoi riguardi, quella di seguirlo come discepoli nella via della croce, del rinnegamento di sé, della conversione, della condotta irreprensibile, del compimento della volontà di Dio. Per questo, non c’è tempo! Il “padrone di casa” può da un momento all’altro chiudere la porta. Allusione questa alla parusia del Signore, alla sua venuta che segnerà l’ammissione e l’esclusione dalla “salvezza” (v 25).

    Il v 26 mette in luce che non basterà vantare una certa familiarità con Gesù: «abbiamo mangiato e bevuto dinanzi a te, e hai insegnato nelle nostre piazze». A nulla gioverà l’aver “mangiato e bevuto” con Gesù se non ci si immedesimerà nella realtà di cui il “pasto” è figura, vale a dire la partecipazione al sacrificio del Signore inteso come “consegna” di sé al volere del Padre. Allo stesso modo a nulla gioverà l’aver ascoltato l’insegnamento di Gesù, essere stati alla sua scuola se essa non avrà operato una conversione di fondo nella concezione di vita e nella condotta pratica.

    Anzi, sarà proprio l’“aver mangiato e bevuto con lui” e aver “ascoltato il suo insegnamento” senza una reale concreta adesione della mente, del cuore e della vita, la causa della condanna: «Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia» (v 27). Queste parole equivalgono alla definitiva esclusione della “salvezza” descritta con la nota immagine del banchetto, della mensa allestita nel “regno di Dio”.

    A quella mensa sarà sorprendentemente ammessa, con i “giusti” della prima alleanza, una moltitudine di gente proveniente da ogni dove (v 29) e che, evidentemente, è stata pronta all’ascolto e alla conversione.

    In questo tempo liturgico “dopo Pentecoste”, lo Spirito del Risorto ci fa ripercorrere, dal suo esordio, l’intera storia della salvezza, evidenziandone le tappe e le svolte fondamentali e decisive in vista del suo pieno compimento nella Pasqua di morte e risurrezione del Signore. Tra di esse occupa un posto essenziale la figura di Abramo il quale è stato costituito da Dio “padre di tutti i popoli” (Epistola: Romani 4,17), ovvero capostipite di tutti coloro che, fino alla consumazione dei tempi, e proveniente da Occidente e da Oriente ovvero da ogni popolo, da ogni condizione e situazione, apriranno il loro cuore a Dio, credendo in lui, aderendo in tutto alla sua divina Parola, vale a dire al suo Figlio Gesù.

    Essi sono coloro che nell’”osservare la via del Signore” e nell’”agire con giustizia e diritto” (Lettura: Genesi 18,19) sono, di fatto, “figli” di Abramo, il quale crede di poterne trovare persino in Sodoma e Gomorra (v 23), emblema stesso dell’empietà e del peccato. Per Abramo e per i suoi “figli” l’osservanza della via del Signore traduce, in realtà e concretamente, la loro ferma fede in Dio senza mai vacillare. Fede che i credenti in Cristo ripongono in lui «consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Romani 4,25).

    La fede, pertanto, è quello stretto unico passaggio, di cui abbiamo sentito nel Vangelo, per il quale si accede alla gioia del Regno e dunque alla salvezza. Abramo è a tutti modello nello “sforzo” richiesto ossia nel rimanere fermo nella sua adesione di fede nonostante le innumerevoli e gravi prove a cui dovette sottostare: egli davvero «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Romani 4,18.) e per questo, pur non avendo “materialmente mangiato e bevuto” alla mensa di Gesù, né aver ascoltato i suoi insegnamenti, egli di fatto lo ascoltò e lo seguì nella via della fede e dell’obbedienza alla volontà di Dio. In tal modo divenne “operatore di giustizia” per la quale poté già entrare in quel Regno inaugurato nel mondo dalla venuta del Figlio di Dio e manifestato a tutti nella sua croce e nella sua risurrezione.

    L’esempio di Abramo ci spinge a verificare con tutta sincerità la nostra attuale condizione in ordine alla “salvezza”. Nella celebrazione eucaristica possiamo dire di “mangiare e bere” alla presenza del Signore e di ascoltare il suo “insegnamento”. Ma perché tutto ciò giovi alla nostra “salvezza” è indispensabile essere già entrati “per la porta stretta”, essere cioè passati dall’incredulità alla fede concretamente vissuta nell’”osservare la via del Signore” e nel compiere le “opere di giustizia”: in una parola nel seguire Gesù sulla via dell’obbedienza al Padre e dell’amore per i fratelli.

    Non sarà allora impossibile essere chiamati con «Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti» a partecipare alla “mensa nel regno di Dio”, realmente anticipata in quella eucaristica: «Mi hai preparato una mensa, o Dio d’amore, il mio calice trabocca di dolcezza» (Canto Allo spezzare del Pane). Per questo così preghiamo: «O Dio, che nutri e rinnovi i credenti alla mensa della parola e del pane di vita, per questi doni di Cristo Signore dà ai tuoi figli di crescere nella fede e di partecipare per sempre alla gioiosa esistenza del cielo» (orazione Dopo la Comunione).

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20 giugno - IV Domenica dopo Pentecoste



1. La quarta domenica dopo Pentecoste


    Mette in luce la funzione “legislativa” di colui che è venuto nel mondo per inaugurare il “regno di Dio”. Le lezioni bibliche sono: Lettura: Genesi 4,1-16; Salmo 49; Epistola: Ebrei 11,1-6; Vangelo: Matteo 5,21-24. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella Messa vespertina del sabato è preso da: Luca 24,9-12. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XII Domenica del Tempo “per annum”.

2. Vangelo secondo Matteo 5,21-24

    In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 21«Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. 23Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono».


3. Commento liturgico-pastorale

    Il brano evangelico inaugura la serie di antitesi: “Avete inteso che fu detto agli antichi… Ma io vi dico” che caratterizza il capitolo quinto del grande “discorso sul monte” (Matteo 5-7). Esso rappresenta, in pratica, la “legge” promulgata da Gesù e la cui osservanza mantiene il popolo da lui acquistato, nell’”alleanza nuova ed eterna” con Dio. In particolare i vv 21-22 presentano l’antitesi tra ciò che prescrive la Legge e, più precisamente, il quinto comandamento del Decalogo: “Non uccidere” con la conseguente sanzione data dal tribunale terreno, e ciò che afferma Gesù con tre specifici enunciati di tipo giuridico che prima riferiscono il “reato” e quindi, la rispettiva punizione. Il primo dei reati è il sentimento dell’”ira” covato contro il “proprio fratello”, un membro cioè della comunità. Di tale sentimento si dovrà rendere conto in “tribunale”, quello divino s’intende! Il secondo e il terzo reato sono manifesti e riguardano gli insulti e le ingiurie rivolte al “fratello” puniti rispettivamente nel tribunale della comunità e nel “fuoco della Geénna” luogo deputato nella concezione apocalittica giudaica al giudizio degli empi.

    Con ciò il Signore vuole far capire che si dovrà rendere conto a Dio dei sentimenti e degli atteggiamenti gli uni verso gli altri. Egli vuole che la sua Chiesa risplenda già da ora, in questo mondo dominato dagli istinti feroci che contrappongono gli uomini come nemici, come un segno del raduno celeste di tutti nell’unica casa di Dio. Per questo egli dà ai suoi la “legge” dell’amore che non annulla certo i Comandamenti, ma li porta al loro esito finale già previsto nel volere di Dio. In questa luce va perciò compreso anche il “detto” originale di Gesù relativo al vero culto da rendere a Dio (vv 23-24).

    L’Epistola, al riguardo, afferma che esso va compiuto “per fede” sull’esempio di Abele che «offri a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino» e ottenne così di essere dichiarato “giusto” (Ebrei 11,4). Per Gesù il “sacrificio migliore” che Dio mostra di gradire è quello offerto da chi è in pace con tutti i suoi “fratelli” o almeno è disponibile a fare gesti concreti di “riconciliazione”.

    È ciò che abbiamo ripetuto nel ritornello al Salmo 49: «Sacrificio gradito al Signore è l’amore per il fratello» ed è quanto viene autorevolmente ricordato e richiesto a chi partecipa al sacrificio eucaristico nel rito liturgico dello scambio di pace «prima di presentare i nostri doni all’altare».

    Il brano evangelico, proclamato nel tempo “dopo la Pentecoste” che, alla luce della Pasqua, ci fa rileggere e rivivere gradatamente l’intera storia della salvezza, mostra come nella legge del Signore Gesù che esige il consapevole “sacrificio” di sé per vivere nel perdono e nella carità verso tutti, viene neutralizzato il tentativo del male di stravolgere il disegno di Dio sull’uomo e sull’intero creato.

    La Lettura ci presenta la pagina drammatica dell’uccisione di Abele da parte di suo fratello Caino, intesa come tragico epilogo di sentimenti malvagi nutriti da questi nei confronti di Abele e che la Scrittura descrive efficacemente, quasi personalizzando il “peccato”, come un intruso “accovacciato alla tua porta” (Genesi 4,7).

    Il racconto biblico dell’uccisione del “fratello” diviene così il paradigma nel quale va letta e interpretata ogni uccisione, ogni violenza, ogni crudeltà, malvagità, ingiustizia dell’uomo contro un altro uomo. Si uccide, dunque, la propria “carne” e il “proprio sangue” qual è l’uomo, ogni uomo, nei confronti di un altro uomo, chiunque egli sia.

    Si tocca così con mano l’opera devastante del male che si insinua nel mondo, nel cuore dell’uomo e lo perverte fino al punto da alzare la mano contro il proprio “fratello” magari “minore”, ovvero più debole, umile e indifeso.

    Nell’ora della sua passione, facendosi inghiottire dal potere tenebroso del male e del peccato, Gesù lo ha come spezzato, e ha promulgato nel dono di sé, la Legge che porta a compimento ogni Legge: quella dell’amore. Una Legge promulgata non solo e non tanto con le parole “sul monte” ma nel suo sangue, nel dare cioè la sua vita per i suoi “fratelli”, vale a dire tutti gli uomini, e che, se osservata, è in grado di vanificare l’opera mortifera del male e del peccato.

    Questo il Signore chiede a quanti, nel mistero eucaristico partecipano al sacrificio che ha ottenuto ogni dono di grazia sul mondo, sulla storia, sull’umanità. Mangiare il “pane” della mensa eucaristica comporta disporsi a vivere concretamente ciò che esso significa. Per questo preghiamo umilmente il Padre che «tanta pietà ha provato per noi da mandare il suo Unigenito come redentore» (Prefazio) di «infondere nei nostri cuori il disgusto per ogni forma di male» (orazione All’inizio dell’Assemblea Liturgica), di liberare «il nostro cuore da ogni nascosta ombra di colpa» e di difenderci «dalle insidie di ogni avverso potere» (orazione Dopo la Comunione).

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13 giugno 2010 - Terza dopo Pentecoste

1. La terza domenica dopo Pentecoste

    La liturgia odierna propone in Gesù “generato in Maria” lo snodo decisivo dell’intera storia della salvezza che ha il suo compimento nella Pasqua. Il Lezionario ambrosiano, per questo, presenta i seguenti brani biblici: Lettura: Genesi 3,1-20; Salmo 129; Epistola: Romani 5,18-21; Vangelo: Matteo 1,20b-24b. Alla Messa vespertina del sabato viene proclamato: Marco 16,1-8a come Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti per la Messa sono quelli della XI domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.

2. Vangelo secondo Matteo 1,20b-24b

    In quel tempo. 20Apparve in sogno a Giuseppe un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». 22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23«Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: / a lui sarà dato il nome di Emmanuele, / che significa Dio con noi». 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.

3. Commento liturgico-pastorale

    I versetti, oggi proclamati, vanno inseriti nel più ampio contesto di Matteo 1,18-25 che sviluppa il tema della “nascita di Cristo”. I vv 20-23 riguardano l’intervento divino nei confronti di Giuseppe turbato per l’inattesa gravidanza di Maria, la sua fidanzata (cfr. v 19) e il v 24 pone in luce la pronta obbedienza di Giuseppe alle parole dell’”angelo del Signore”.

    In particolare il v 20 dopo aver ambientato nel “sogno” l’intervento divino, la cui provenienza celeste è assicurata dal ruolo dell’”angelo”, riferisce il contenuto del messaggio celeste che occupa anche i vv 21-23. Esso consiste anzitutto nel rivelare a Giuseppe indicato con l’appellativo “figlio di Davide”, evocativo dunque della promessa messianica, la “modalità” di quella gravidanza e, dunque, di quella nascita: “da Spirito Santo”.

    A lui, Giuseppe dovrà “imporre il nome” (v 21) inserendolo così nel suo casato, nella discendenza davidica dalla quale, secondo la promessa di Dio, sarebbe venuto il Messia salvatore del “popolo”. Il nome “Gesù” che verrà dato al bambino e che letteralmente significa “Dio è salvezza” mette in luce esattamente il ruolo e la missione messianica di lui, ulteriormente così precisata: «egli salverà il suo popolo dai suoi peccati».

    Al v 22 sono riportate le parole con le quali l’angelo mette in luce come gli accadimenti così straordinari e che, di conseguenza, creano “turbamento” in Giuseppe, rientrano in realtà in un preciso disegno rivelato da Dio tramite il profeta Isaia 7,14: «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emanuele».

    Lo stesso evangelista Matteo, che si premura di dire il significato del nome: “Dio con noi”, e dietro a lui, la tradizione cristiana, hanno interpretato il testo profetico come annunzio del “parto verginale” di Maria! Con ciò evidenziando l’origine celeste “dallo Spirito” di colui che la Vergine porta nel grembo.

    Non deve apparire “fuori tempo” la proclamazione della nascita prodigiosa del Signore Gesù in questi giorni immediatamente seguenti la solennità di Pentecoste, corona della Pasqua. Il tempo “dopo la Pentecoste” è infatti dedicato, nella tradizione liturgica ambrosiana, a ripercorrere le grandi tappe della storia della salvezza che ha il suo culmine proprio nel mistero pasquale del Signore.

    Lo scopo è duplice: far salire dalla Chiesa il canto di lode, di adorazione e di ringraziamento alla Trinità Santissima da cui ha origine il progetto divino di salvezza e, aiutare i fedeli a sentirsi personalmente inseriti in questa “storia” mediante l’adesione di fede al Vangelo e la successiva immersione nei sacramenti pasquali del Battesimo, Cresima ed Eucaristia.

    In questa seconda tappa della storia della salvezza i testi biblici, dunque, pongono al centro la missione essenziale di Gesù che proprio nella sua nascita, e nel suo stesso nome è proclamata: «salvare il suo popolo dai suoi peccati».

    La Lettura ci riporta all’origine del “peccato” da cui vengono “i peccati” (Genesi 3,1-20). Il racconto della “caduta” di Adamo e di Eva, considerati come portatori in sé dell’intera umanità, enumera le tragiche conseguenze del loro peccato quali la “paura” di Dio (v 10) unica fonte di vita, la spaccatura nell’uomo stesso che lo fa nemico della sua stessa “carne” (v 12) e del creato (vv 17-18) nel quale Dio lo aveva posto come sua “icona”. In una parola, il peccato “regna nella morte” (Epistola: Romani 5,21) su tutto e su tutti.

    Il “bambino” che nasce dalla Vergine, viene nel mondo come nostro nuovo progenitore. Con la sua “obbedienza”, chiaro riferimento alla sua passione e morte, ribalta la condanna, frutto del “peccato” di Adamo, riversando «su tutti gli uomini la giustificazione», ossia la dichiarazione del tutto gratuita, da parte di Dio, di assoluzione dal peccato (Romani 5,19).

    Nella Pasqua del Signore, perciò, l’annunzio salvifico rappresentato nel “nome” dato da Giuseppe a colui che nasce dallo Spirito, giunge a sua concreta attuazione come instaurazione nel mondo del “regno della grazia” che sempre sperimentiamo nella celebrazione dei “divini misteri” e che ci fa dire con tutto il cuore: «annunzierò, o Dio, le tue gesta mirabili, gioisco in te ed esulto, canto inni al tuo nome, o Altissimo» (Canto Allo Spezzare del Pane).

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6 Giugno 2010 - II domenica dopo Pentecoste

1. La seconda domenica dopo Pentecoste

    La liturgia odierna ci presenta la “creazione” come primo momento dell’effettivo dispiegarsi, nel tempo, del disegno divino di salvezza, concepito nel cuore della Trinità e che culmina nella Pasqua del Signore. I testi biblici oggi proposti sono: Lettura: Siracide 18,1-2.4-9a.10-13; Salmo 135; Epistola: Romani 8,18-25; Vangelo: Matteo 6,25-33. Nella Messa vespertina del sabato si proclama: Luca 24,1-8, quale Vangelo della Risurrezione. I canti e le preghiere per la Messa sono quelli della X domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.

2. Vangelo secondo Matteo 6,25-33

    In quel tempo. Il Signore Gesù ammaestrava le folle dicendo: 25«Io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete e berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non sèminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».

3. Commento liturgico-pastorale

    Il brano è preso dal più ampio “discorso sul monte” che occupa i capitoli 5-6 e 7 del Vangelo secondo Matteo. In particolare i versetti oggi proposti riportano le parole di Gesù che, dopo aver insegnato ai suoi discepoli a rivolgersi a Dio invocato come Padre, li esorta ad abbandonarsi con fiducia alla sua premura paterna.

    Di qui l’ammonimento a non lasciarsi soffocare dalle preoccupazioni puramente materiali (v 25), convalidato da due immagini destinate ad alimentare nei discepoli la fiducia in Dio, Padre provvidente: gli “uccelli del cielo” per il cui sostentamento provvede Dio stesso (vv 26-27) e i “gigli del campo” che Dio riveste in maniera splendida (vv 28-30).

    Segue, infine, la rinnovata esortazione a evitare ogni eccessivo affanno (vv 31-32) e soprattutto l’invito a ricercare sopra ogni cosa “il regno di Dio e la sua giustizia” (v 33).

    La tradizione liturgica ambrosiana, nel proclamare il presente testo evangelico, intende avviare nel tempo dopo Pentecoste, alla luce perciò del compimento della Pasqua, la rivisitazione della progressiva rivelazione e attuazione del disegno divino di salvezza che, partendo dal seno della Trinità, intende tutto a essa ricondurre proprio nel Signore crocifisso, risorto, salito al Padre per l’effusione dello Spirito Santo.

    La “creazione” è, pertanto, qui compresa come primo momento del disvelarsi di quel disegno e, dunque, come iniziale autentica manifestazione di Dio e del suo mistero di per sé inaccessibile all’uomo: «A nessuno è possibile svelare le sue opere e chi può esplorare le sue grandezze? La potenza della sua maestà chi potrà misurarla? Chi riuscirà a narrare le sue misericordie? Non c’è nulla da togliere e nulla da aggiungere, non è possibile scoprire le meraviglie del Signore» (Lettura: Siracide 18,4-6).

    Dio stesso, però, rivela le sue meraviglie: «Ha creato i cieli con sapienza… ha disteso la terra sulle acque… ha fatto le grandi luci… il sole per governare il giorno… La luna e le stelle per governare la notte» (Salmo 135).

    Ma, in maniera del tutto inaspettata e sorprendente, nelle meraviglie del creato egli ha rivelato la sua “misericordia”, anzi, il suo “amore”, che riguarda “ogni essere vivente” come ha ben capito l’antica sapienza orante del popolo della prima Alleanza e come Gesù stesso ha ribadito nelle stupende immagini degli “uccelli del cielo” e dei “gigli del campo”.

    “Misericordia e amore” che Dio riserva specialmente all’uomo creato come sua “immagine” e posto al centro del cosmo ma di cui ben conosce la nativa fragilità e provvisorietà: «Come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia, così questi pochi anni in un giorno dell’eternità» (Siracide 18,10). Eppure proprio all’uomo Dio ha «affidato le meraviglie dell’universo perché, fedele interprete dei tuoi disegni, esercitasse il dominio su ogni creatura e nelle tue opere glorificasse te, Creatore e Padre» (Prefazio).

    Sappiamo, però, come l’uomo non ha corrisposto alle attese di Dio. Con il peccato non solo è caduto nella “corruzione”, e perciò inevitabilmente nella morte, ma ha trascinato, nella sua caduta, l’intera creazione a lui legata. Essa, perciò, “geme e soffre” con l’uomo, nella “speranza” di essere «liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Epistola: Romani 8,21-22).

    Il Dio, che nutre gli “uccelli del cielo” e veste magnificamente i “gigli del campo”, ascolta il gemito e la sofferenza del creato. Il suo cuore è aperto nell’accogliere il grido dell’uomo. A tutti viene incontro con la sua provvidenza che non si limita a un soccorso momentaneo ma, nel suo Figlio crocifisso e risorto, ha effuso lo Spirito per far passare l’uomo, e dunque il cosmo, dalla “corruzione” alla condizione gloriosa propria dei figli di Dio (v 21).

    Della provvidenza paterna di Dio tutti facciamo esperienza quando nei santi misteri ci “riveste” del suo Figlio Gesù e ci “nutre” con un cibo che ci libera «da ogni male che insidia il nostro cuore e la nostra vita» (Orazione Dopo la Comunione) e ci dà un saggio di quella “gloria” a cui l’intera opera delle sue mani è destinata.

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30 Maggio 2010 - Santissima Trinità

30 Maggio 2010  - Santissima Trinità – Anno C    

1. La domenica della Santissima Trinità

Occupa il posto della prima domenica dopo Pentecoste e, nell’adorazione della Trinità Santissima, proclama l’opera della salvezza compiuta “storicamente” dal Figlio di Dio fatto uomo e prolungata nei secoli dallo Spirito Santo donato dal Signore al compimento della sua Pasqua. Salvezza che discende dal progetto ideato e deciso nel cuore della Trinità. Le lezioni bibliche si desumono dal primo volume, quello festivo, del Libro III del Lezionario Ambrosiano: Il Mistero della Pentecoste: Lettura: Genesi 18,1-10a; Salmo 104; Epistola: 1Corinzi 12,2-6; Vangelo: Giovanni 14,21-26. Alla Messa vespertina del sabato viene proclamato: Marco 16,9-16 quale Vangelo della Risurrezione.    

2. Vangelo secondo Giovanni 14,21-26

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: 21«Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
 22Gli disse Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?». 23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
 25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi.  26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

3. Commento liturgico-pastorale

Il canto Alla Comunione, proposto per l’odierna solennità nel Messale ambrosiano, ci fa così pregare mentre ci accostiamo all’altare per ricevere il Corpo del Signore: «O Trinità beata, a te cantiamo, alla tua maestà ci prostriamo adoranti, in te fermamente crediamo: accresci la nostra fede».
La preghiera liturgica pare voglia dirci che nell’esperienza eucaristica, vale a dire nel contatto sacramentale con il Signore, è possibile risalire al mistero stesso di Dio, della sua vita divina, che Gesù è venuto a rivelarci e a donarci realizzando, in tal modo, i divini progetti che riguardano tutti gli uomini chiamati a credere in lui e ad accogliere la sua parola mediante lo Spirito.
Ed è proprio lo Spirito, quello che il Padre non cessa di mandare “nel nome” di Gesù (Giovanni 14,26) nella celebrazione dei sacramenti che attivano la sua Pasqua, a rendere possibile e perseverante in noi l’adesione di fede e di amore in lui. È, infatti, “nello” Spirito e grazie allo Spirito che ancora oggi e fino alla consumazione dei tempi, le generazioni dei credenti possono dire in tutta verità: «Gesù è il Signore» (Epistola: 1Corinzi 12,3), riconoscendo così che lui è il Figlio venuto nel mondo, è il Crocifisso, il Risorto dai morti, colui che siede alla destra di Dio  e al quale è stato dato ogni potere in cielo e in terra.
È lo Spirito, dunque, a rendere viva per noi la Parola proclamata, ascoltata e letta nelle Sacre Scritture e ad orientare  così i nostri cuori a credere in Gesù quale rivelatore unico e definitivo e a comprendere che essa, la rivelazione da lui portata nel mondo, ha come sua origine  e fine l’amore di Dio per noi. Questo è ciò che grazie allo Spirito “ricordiamo” (v 26) e comprendiamo accogliendo oggi la Parola e guardando ai gesti altrettanto “rivelativi” compiuti da Gesù segnatamente nella sua morte e risurrezione. Con le sue parole e le sue opere egli ci ha rivelato che Dio è amore, amore per noi reso visibile, appunto, nel dono della vita fatto da Gesù per noi.
 Lo Spirito Paràclito che abita in noi ci dona di capire che il gesto d’amore di Gesù, inteso come rivelazione suprema di Dio e del suo amore per noi, sollecita tutti coloro che credono a diventare a loro volta capaci di donarsi nell’amore, prova concreta, questa, di aver “accolto” e “osservato” i suoi “comandamenti”, tutti riassunti, come ben sappiamo, nel precetto della carità (v 21). L’”accoglienza” e l’”osservanza”, segno autentico dell’amore per Gesù, facilita la più profonda “conoscenza” di lui. “Conoscenza” che, in realtà, si fa “esperienza” dell’amore di Gesù e del Padre.
Ha così origine  una misteriosa ma reale circolazione d’amore: il Padre che ama il Figlio, ama tutti coloro che “amano” il Figlio e li lega a sé e al Figlio in un vincolo permanente d’amore reso nel testo evangelico dall’immagine della “dimora” (v 23). Chi “osserva” la parola di Gesù, di fatto, diviene “casa” di Dio, luogo dove lui continua a manifestarsi e a rivelarsi.
 È l’esperienza profeticamente annunciata nella Scrittura nei fatti accaduti presso le “Querce di Mamre” (Lettura: Genesi 18,1-5), allorché Abramo accolse Dio, nei tre misteriosi viandanti, onorandoli con squisita ospitalità, da essi accolta e ricambiata con l’annuncio della nascita del “figlio” (v 10), destinata a imprimere una svolta decisiva nella storia della salvezza.
 È l’esperienza che la comunità dei credenti, di quelli cioè che amano Gesù osservando il suo precetto, fa sommamente nella celebrazione eucaristica, nella quale lo Spirito fa ardere la fiamma viva d’amore che unisce il Padre e il Figlio, fiamma che avvolge quanti ne accolgono la “luce” e il “calore”! 



3 Giugno 2010  - Santissimo Corpo e Sangue del Signore – Anno C
 
1.  La solennità del Corpo e del Sangue del Signore

Il Calendario liturgico della nostra Chiesa ambrosiana la fa celebrare nella sua data tradizionale, vale a dire il giovedì successivo alla prima domenica dopo Pentecoste. L’odierna solennità intende celebrare il mistero della perdurante “presenza vera, reale e sostanziale” del Signore Gesù nei segni del pane e del vino dell’Eucaristia. Una “presenza” da recare anzitutto ai malati, ai morenti come indispensabile viatico nel cammino ultimo verso il Cielo. Una “presenza” che nell’adorazione comunitaria e del singolo vuole aprire il cuore dei fedeli alle meraviglie e al tesoro inesauribile di grazia racchiusa nella santa Messa, “memoriale della Passione” del Signore, “sacrificio di salvezza”, “convito di grazia”.    

2. Il Lezionario

Propone le seguenti lezioni scritturistiche: Lettura: Genesi 14,18-20. Riporta l’incontro di Abramo con Melchìsedek, re di Salem che gli andò incontro offrendogli “pane e vino” e che la tradizione della Chiesa antica interpretò come annunzio e figura dell’Eucaristia. L’Epistola: 1Corinzi 11,23-26 tramanda alle generazioni cristiane ciò che il Signore fece e comandò di fare “in sua memoria” nella cena “nella notte in cui veniva tradito”. Il Vangelo è preso da Luca 9,11b-17 che riporta la prodigiosa moltiplicazione “dei cinque pani e due pesci” con i quali vengono saziati, con sovrabbondanza “circa cinquemila uomini”.    

Vangelo secondo Luca 9,11b-17

In quel tempo. Il Signore Gesù 11prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.    
12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a compare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi avanzati: dodici ceste.        

3. La preghiera liturgica

Riportiamo qui il Prefazio della Messa che esprime il “ringraziamento” della Chiesa a Dio per il suo Figlio Gesù e per quanto egli fece “nell’ultima cena” in cui volle “perpetuare nei secoli il memoriale alla sua passione”. Proponiamo inoltre l’Antifona Alla Comunione come preghiera da recitare anche nella “adorazione” e nella “visita” al Santissimo Sacramento.  

Prefazio
 
È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre, qui e in ogni luogo, a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.     Cristo tuo Figlio, nell’ultima cena tra i suoi apostoli, volle perpetuare nei secoli il memoriale della sua passione e si offrì a te come agnello senza macchia, come lode perfetta e sacrificio gradito. In questo grande mistero tu nutri e santifichi i tuoi fedeli perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra. Noi ci accostiamo con gioia, o Padre, alla tua mensa, e l’effusione del tuo Spirito ci trasforma a immagine della tua gloria.     Per questo prodigio d’immenso amore tutte le creature si uniscono in un cantico nuovo, e noi con gli angeli e coi santi eleviamo l’inno di adorazione e di lode.  

Alla Comunione
 
Ti lodiamo, Signore onnipotente, glorioso re di tutto l’universo. Ti benedicono gli angeli e gli arcangeli, ti lodano i profeti con gli apostoli. Noi ti lodiamo, o Cristo, a te prostrati, che venisti a redimere i peccati. Noi ti invochiamo, o grande Redentore, che il Padre ci mandò come pastore. Tu sei il Figlio di Dio, tu il Messia che nacque dalla Vergine Maria. Dal tuo prezioso sangue inebriati, fa’ che siam da ogni colpa liberàti.    

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23 Maggio 2010 - Domenica di Pentecoste

La solennità di Pentecoste segna il coronamento della Pasqua del Signore. In essa, infatti, si compie, con il dono dello Spirito Santo, il mistero dell’universale salvezza nella morte e nella risurrezione del Signore Gesù. La peculiare solennità, che l’odierna celebrazione riveste nella tradizione liturgica ambrosiana, è evidenziata dalla liturgia vigiliare vespertina del sabato, dai due schemi di lezioni bibliche presenti nel Lezionario per accompagnare la Messa “nel giorno” e quella “per i battezzati”, obbligatoria nel caso si celebri in essa il sacramento del Battesimo.

1. La Liturgia vigiliare vespertina e la Messa della “Vigilia”

Il Lezionario

    Come avviene nella vigilia di Natale e dell’Epifania è vivamente raccomandata la solenne liturgia vigiliare vespertina che prevede la proclamazione delle seguenti letture vetero-testamentarie: Genesi 11,1-9 con il racconto della dispersione dei popoli alla torre di Babele; Esodo 19,3-8.16-19 evoca l’alleanza di Dio con il suo popolo al Sinai; Ezechiele 37,1-14 con la profezia relativa al dono dello Spirito che rianima “le ossa inaridite”; Gioele 3,1-5 annunzia l’universale effusione dello Spirito su ogni uomo. Le letture previste per la Messa della Vigilia sono: l’Epistola: 1Corinzi 2,9-15a nella quale l’Apostolo esalta il ruolo dello Spirito nel portare a conoscenza “ciò che Dio ci ha donato”; e il Vangelo: Giovanni 16,5-14 contenente la promessa di Gesù di mandare sulla sua comunità lo Spirito Paràclito una volta ritornato al Padre.

La preghiera liturgica

Prefazio

    È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, renderti grazie, Dio onnipotente. A coloro che nella comunione di vita col Signore risorto hai prescelto a diventare tuoi figli, tu concedi, o Padre, con l’effusione dello Spirito Santo i tuoi doni di grazia, portando a compimento il mistero pasquale e anticipando al popolo dei credenti le primizie dell’eredità eterna, che sono chiamati a condividere con Cristo redentore. Così diviene tanto più certa la loro fiducia di incontrarsi con lui nella gloria, quanto più chiara è per essi la coscienza del loro riscatto, e l’esperienza dello Spirito è più inebriante e più viva. Riconoscenti e ammirati per questo disegno d’amore, uniti agli angeli e ai santi, eleviamo a te, o Padre, l’inno di lode.

2. La Messa “nel giorno”

Il Lezionario

    Viene proclamata come Lettura: Atti degli Apostoli 2,1-11 che riporta la narrazione “storica” dell’evento della venuta dello Spirito sui discepoli riuniti “nello stesso luogo”; Salmo 103; l’Epistola è presa da 1Corinzi 12,1-11 nella quale l’Apostolo evidenzia il ruolo dello Spirito Santo nella crescita della fede e del “bene comune” con la varietà dei doni “carismatici”. Il Vangelo è preso da Giovanni 14,15-20:

    In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: 15«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi».


Commento liturgico-pastorale

    Risalta, nel testo evangelico, la promessa fatta da Gesù che sta per lasciare questo mondo e tornare al Padre, di ottenere da lui l’invio di “un altro Paràclito” (v 16), allusione allo Spirito Santo effuso dal Signore crocifisso e risorto come “il dono” della sua Pasqua. Come dice il termine Paràclito, lo Spirito viene donato con il compito di stare per sempre con la comunità dei discepoli (v 16) e, dunque, di assisterla e di proteggerla. Essendo inoltre lo “Spirito della verità” (v 17) ha pure il compito di tenere viva la Parola di rivelazione e di attualizzare l’opera salvifica compiuta da Gesù nella sua Pasqua. Il Signore, però, sembra legare l’invio dello Spirito Paràclito all’effettiva testimonianza di amore che egli si attende dalla sua comunità e che consiste nell’osservanza dei suoi comandamenti (v 15) tutti riassunti, come sappiamo, nel precetto dell’amore vicendevole. La Chiesa, la comunità del Signore, unita nella carità è il luogo dove dimora e agisce lo Spirito dono del Signore risorto.

La preghiera liturgica

Prefazio

    È veramente cosa buona e giusta renderti grazie, o Dio di infinita potenza, e allietarci in questo giorno solenne, che, nel numero sacro e profetico, ricorda arcanamente la raggiunta pienezza del mistero pasquale. Oggi la confusione che la superbia aveva portato agli uomini è ricomposta in unità dallo Spirito Santo. Oggi gli apostoli, al fragore improvviso che viene dal cielo, accolgono la professione di un’unica fede e, con diversi linguaggi, a tutte le genti annunziano la gloria del tuo Vangelo di salvezza. Per questa effusione dello Spirito esulta la Chiesa, ardente di riconoscenza e d’amore, e, unendo la sua voce di sposa al coro senza fine del cielo, eleva a te, o Padre, con tutte le creature felici il suo inno di lode.

3. La Messa “per i battezzati”

    Sono previsti, nel Messale ambrosiano, due formulari a scelta per tale celebrazione utilizzabili anche fuori del tempo pasquale, mentre il Lezionario propone un unico schema di lezioni bibliche.

Il Lezionario

    La Lettura è presa dal libro degli Atti degli Apostoli 3,1-8 e narra la guarigione dello storpio compiuta, da Pietro e Giovanni nel Tempio, con l’invocazione del “nome” di Gesù Cristo; Salmo 67; nell’Epistola: 1Corinzi 2,9-16 l’Apostolo afferma che lo Spirito conoscendo “anche la profondità di Dio” ci rivela i doni destinati a noi da Dio; Vangelo: Giovanni 3,1-13 riporta il dialogo tra Gesù e Nicodemo “uno dei capi dei Giudei”, con al centro le parole di rivelazione: «se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio».

La preghiera liturgica

Prefazio

    È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre, qui e in ogni luogo, a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno. Oggi celebriamo l’effusione dello Spirito che agli esordi della Chiesa portò l’intelligenza dei misteri divini e la parola di verità per tutte le genti. Egli elargisce agli uomini doni diversi, ma con la varietà delle grazie serba il tuo popolo nell’unità dell’amore. Egli ispira ai predicatori del Vangelo di Cristo la molteplicità di linguaggi ed è la fonte dell’unico annuncio e dell’unica fede. Rinnovata da questo tuo Spirito, esulta di gioia ineffabile tutta la terra e gli angeli inneggiano in cielo, senza fine cantando la tua gloria. (Secondo formulario della Messa “per i battezzati”).

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16 Maggio 2010, Domenica dopo l'Ascensione

La settima domenica “di Pasqua”  

Fa come da ponte tra la solennità dell’Ascensione e quella della Pentecoste nella quale “culmina” il mistero della Pasqua. Il Lezionario prevede: Lettura: Atti degli Apostoli 7,48-57; Salmo 26; Epistola: Efesini 1,17-23; Vangelo: Giovanni 17,1b.20-26. Il Vangelo della Risurrezione, da proclamare nella Messa vespertina del sabato, è preso da Giovanni 20,1-8. (Oggi, nella Chiesa, si celebra la giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali).    


Vangelo secondo Giovanni 17,1b.20-26

In quel tempo. Il Signore Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: 20«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: 21perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. 22E la gioia che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. 23Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. 24Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove io sono, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. 25Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. 26E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

Commento liturgico-pastorale

Il brano di questa domenica è preso dall’ultimo colloquio di Gesù con il Padre pronunciato nel contesto della cena pasquale, terminati i discorsi di “addio” proposti nei precedenti quattro capitoli. Il v 1b in particolare si incarica, con la precisazione «alzando gli occhi al cielo», di far capire che Gesù intende vivere l’ora del suo “passaggio” da questo mondo in diretto filiale dialogo con il Padre. Nei vv 20-23 la richiesta di Gesù al Padre riguarda l’”unità” di amore nella quale devono essere conservati i suoi discepoli e, tutti coloro che, lungo i tempi attraverso di essi, perverranno alla fede in lui. I vv 24-26 contengono le “ultime volontà” di Gesù riguardanti la destinazione finale dei suoi discepoli: «siano anch’essi con me dove sono io». Proclamato nei giorni immediatamente seguenti la solennità dell’Ascensione il brano evangelico ci fa capire come quell’evento pasquale riguardi da vicino tutti i credenti destinati, secondo il volere di Gesù, a essere «anch’essi con me dove sono io» (v 24). Perciò, a quanti aderendo a Gesù con fede, entrano a far parte della sua comunità, la parola evangelica indica, nella definitiva partecipazione alla comunione di vita celeste, la destinazione ultima, quella, cioè, di essere «anch’essi con me dove sono io»: nel cuore del Padre! Con altre parole l’Apostolo afferma che Dio, quando risuscitò il suo Figlio Gesù dai morti «e lo fece sedere alla sua destra nei cieli», manifestò in realtà tutta la sua “potenza”, la sua “forza” e il suo “vigore” verso di noi (Epistola: Efesini 1,19) per darci «la speranza di entrare nel regno dei cieli» (Prefazio). «Essere dove è Gesù», «sedere alla destra di Dio», «entrare nel regno dei cieli» è, pertanto, la prospettiva e l’orizzonte che la Pasqua del Signore apre ai credenti e che mai essi devono smarrire. Si comprende, perciò,  come l’Apostolo supplichi perché “il Padre della gloria” «illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi» (Efesini 1,18). Non è facile per nessuno conservare, tra le vicende di questo momento, l’anelito alla “gloria” a cui siamo chiamati. Per questo è per noi indispensabile, fin da ora, avere come un’anticipazione dello stare dove ora è il Risorto, quella che sostenne Stefano nell’ora del martirio: egli «pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio» (Lettura: Atti degli Apostoli 7,55). Occorre, in una parola, sperimentare da ora, in qualche misura, l’amore con il quale il Padre ama il Figlio (cfr. Giovanni 17,26). Tale esperienza è a nostra portata, come si sa, nella celebrazione eucaristica in cui si avvera la Pasqua della nostra salvezza. In essa la compagine dei credenti, trasformata “in una sola cosa” (v 21) dall’amore incandescente del Signore, avverte di essere amata di quello stesso amore con il quale il Padre “ama” il Figlio (vv 23.25). Resa così “perfetta nell’unità” (v 23) la Chiesa è in grado di calamitare la fede in Gesù del mondo intero (v 23), ma è soprattutto il luogo visibile e riconoscibile nel quale già qui, si sperimenta l’efficacia della richiesta di Gesù: «voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io» (v 24).     L’esperienza eucaristica, dunque, come anticipazione reale e certa della comunione del Cielo. Perciò, la sapienza orante della nostra tradizione liturgica ambrosiana così prega nel cuore della Messa: «Tu che ora ci raduni col vincolo di un amore sincero nell’unità della Chiesa cattolica, serbaci per il banchetto del cielo» (Preghiera Eucaristica V). Il “banchetto”, s’intende, come immagine della comunione d’amore piena e definitiva del cielo, alla quale il Risorto tutti attira.

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9 Maggio 2010 - Domenica VI di Pasqua

A cura di don Alberto Fusi

9 Maggio 2010  - Domenica VI di Pasqua – Anno C

1. La sesta domenica “di Pasqua” I testi biblici proclamati in questa domenica e quelli della preghiera liturgica contenuti nel Messale Ambrosiano orientano l’attenzione orante della Chiesa al mistero dell’Ascensione del Signore che prelude al compimento della Pasqua contrassegnato dal dono dello Spirito. Il Lezionario propone: Lettura: Atti degli Apostoli 21,40b-22,1-22; Salmo 66; Epistola: Ebrei 7,17-26; Vangelo: Giovanni 16,12-22. Nella Messa vespertina del sabato, il Vangelo della Risurrezione è preso da: Giovanni 21,1-14.

2. Vangelo secondo Giovanni 16,12-22

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: 12«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da sé stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.
16«Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». 17Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». 18Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuole dire».
19Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? 20In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
21La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. 22Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia».

3. Commento liturgico-pastorale

Il brano evangelico, preso dal lungo discorso di congedo rivolto da Gesù ai suoi discepoli nel Cenacolo prima di “consegnarsi” alla morte, appare suddiviso in due parti.
Nella prima (vv 12-15) Gesù rivela ai suoi la venuta dello Spirito con il compito essenziale di condurli a “tutta la verità” che è pienamente e definitivamente racchiusa nella “rivelazione” da Lui portata nel mondo. Nella sua attività lo “Spirito della verità” non agirà autonomamente da Gesù. Egli, di fatto, non ha altra “rivelazione” da portare se non quella di Gesù: le sue parole e le sue azioni salvifiche.Nella seconda parte (vv 16-22) Gesù preannunzia, nella sua morte, l’ora di pianto e di tristezza per i suoi e simultaneamente, l’ora della “gioia” portata nel cuore dei discepoli dalla vista del Signore risorto. Una “gioia” che dura nel tempo grazie al permanere del Risorto tra i discepoli.
Tutti noi che ascoltiamo la Parola evangelica dopo gli eventi pasquali possiamo riconoscere e constatare come essa sia stata pronunziata da Gesù, in quell’ora solenne, anche per noi e come si sia avverata e continuamente si avveri nella comunità dei credenti. Se oggi noi ascoltiamo come “vive” le sue parole è grazie allo Spirito Santo da lui donato nella sua Pasqua.
Lo Spirito, infatti, interprete autentico delle Parole di Gesù, ha il compito di guidare i discepoli del Signore, alla “verità tutta intera”, ossia alla piena comprensione di ciò che lui ha detto e compiuto in vista della loro partecipazione alla comunione di vita con lui e, di conseguenza, con il Padre.
L’azione dello Spirito, in sintesi, è quella di “insegnare” ciò che ha “udito” da Gesù e in tal modo di tenere vivi, nella comunità dei credenti, la Parola e i gesti di Gesù. Lo Spirito, pertanto, porta a noi, ancora oggi ciò che “prende” da Gesù, vale a dire la Parola di rivelazione e l’immenso tesoro di grazia da lui accumulato nella sua Pasqua nella quale, come “sacerdote per sempre” salva “perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio” (Epistola: Ebrei 7,25).     Lo Spirito, inoltre rende “testimonianza” al Signore Gesù e dona così ai credenti la forza di “testimoniarlo” lungo i tempi anche a costo di incomprensione e di persecuzione. La Lettura, al riguardo, offre un chiaro esempio nell’apostolo Paolo che, in circostanze drammatiche, rende “testimonianza” di quanto il Signore Gesù ha compiuto in lui sulla via di Damasco (Atti degli Apostoli 22,1-22).
Ed è, infine, lo Spirito a garantire, non certo a livello fisico, ma a livello “misterico-sacramentale”, la permanente presenza del Signore nella sua comunità. Si realizza in tal modo, anche per i credenti e lungo i secoli, la misteriosa affermazione di Gesù: “un poco ancora e mi vedrete” (Giovanni 16,16). Una volta tornato al Padre, Gesù rimane per sempre tra i suoi nei santi misteri e segnatamente nell’Eucaristia nella quale egli continua a esercitare a nostro “favore” quel “sacerdozio che non tramonta” (Ebrei 7,24).
Per questo la preghiera liturgica del Prefazio può dire, in tutta verità, che nella celebrazione rituale della sua “immolazione pasquale”, Gesù «ancora si offre e come nostro avvocato intercede per noi; sacrificato sulla croce, più non muore, ma con i segni della sua passione vive immortale».
Questa costante presenza del Signore “nello Spirito” reca effettivamente nel cuore della Chiesa il dono singolare della “gioia” che niente e nessuno le potrà mai togliere (cfr. Giovanni 16,22). Su di essa, infatti, risplende per sempre il volto di Dio (cfr. Salmo 66): il suo Figlio Gesù, il risorto da morte, che riempie di gioia e di esultanza la terra e il cielo.



13 Maggio 2010  - ASCENSIONE DEL SIGNORE

Nella liturgia di rito ambrosiano la solennità pasquale dell’Ascensione del Signore viene celebrata nel giorno quarantesimo successivo a quello della Risurrezione.

Il Lezionario

Prevede ogni anno le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Atti degli Apostoli 1,6-13a che riporta il racconto dell’ascensione del Crocifisso/Risorto al cielo; Salmo 46; Epistola: Efesini 4,7-13 nella quale l’Apostolo evidenzia come dal cielo, il Signore distribuisce doni agli uomini perché arrivino “a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”. Il Vangelo è preso da Luca 24,36b-53.
Alla Messa vigiliare vespertina della sera precedente si legge, come Lettura vigiliare: Atti degli Apostoli 1,1-11.

Vangelo secondo Luca 24,36b-53

In quel tempo. 36Il Signore Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi». 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. 38Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». 40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
44Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte  le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi».45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
50Poi li condusse fuori verso Bètania e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Commento liturgico-pastorale

Il brano, conclusivo del Vangelo secondo Luca, narra l’ultimo incontro del Signore risorto con i suoi discepoli, teso a rinsaldare la loro fede in lui, il Maestro che hanno visto morto sulla croce, sepolto e che, ora, sta “in mezzo a loro”, dona la pace e mangia “davanti a loro” (vv 36-42).
Seguono le ultime parole di Gesù, volte ad aprire la mente degli apostoli, ossia a far loro comprendere come tutto ciò che lo riguarda: la sua vita, la sua morte e risurrezione, rientra nel disegno divino di salvezza annunciato nelle Scritture e del quale essi saranno i “testimoni” qualificati grazie allo Spirito Santo che, una volta tornato al Padre, Gesù manderà su di loro (vv 44-49).
I vv 50-53, infine, riportano l’evento dell’Ascensione del Signore, il suo ritorno, cioè, al Padre motivo di gioia e di lode perenne della comunità dei suoi discepoli.

La preghiera liturgica

Il Messale Ambrosiano riporta due distinti formulari; per la “Messa della vigilia” e per la “Messa nel giorno”.
Dal primo formulario viene qui riportata l’orazione “All’inizio dell’Assemblea liturgica”: «Concedi a noi, Padre onnipotente, di tendere con tutte le nostre forze alle altezze del cielo, dove il tuo Figlio oggi è entrato glorioso, e donaci di pervenire con l’integrità della vita là dove si dirige il cammino della fede».
Del formulario per la “Messa nel giorno”, si propone il Prefazio: «È veramente cosa buona e giusta che tutte le creature si uniscano nella tua lode, o Dio di infinita potenza. Gesù tuo Figlio, re dell’universo, vincitore del peccato e della morte, oggi è salito al di sopra dei cieli tra il coro festoso degli angeli.  Mediatore tra Dio e gli uomini, giudice del mondo e Signore dell’universo, non ci ha abbandonato nella povertà della nostra condizione umana, ma ci ha preceduto nella dimora eterna per darci la sicura speranza che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria. Per questo mistero, nella pienezza della gioia pasquale, l’umanità esulta su tutta la terra e con l’assemblea degli angeli e dei santi canta in coro l’inno perenne: Santo…».

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2 Maggio 2010 - Domenica V di Pasqua

2 Maggio 2010  - Domenica V di Pasqua – Anno C


1. La quinta domenica “di” Pasqua

Le lezioni bibliche offerte dal Lezionario sono: Lettura: Atti degli Apostoli 4,32-37; Salmo 132; Epistola: 1Corinzi 12,31-13,8a; Vangelo: Giovanni 13,31b-35. Alla Messa vespertina del Sabato si proclama: Matteo 28,8-10 come Vangelo della risurrezione.

2. Vangelo secondo Giovanni 13,31b-35

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 31«Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».  3. Commento liturgico-pastoraleIl brano evangelico riporta le parole di addio pronunciate da Gesù subito dopo aver intimato a Giuda: «Quello che vuoi fare, fallo presto» (v 27). Gesù ha così volontariamente messo in moto gli eventi ultimi della sua esistenza terrena, vale a dire la sua morte, che l’evangelista Giovanni ama designare con i termini di esaltazione e, qui, di “glorificazione”. Nei vv. 31-33 infatti Gesù parla della sua morte come già avvenuta e la descrive  come una “glorificazione” che egli riceve da Dio e nella quale, in realtà, Dio stesso è “glorificato” e “glorificherà” ulteriormente il Figlio perché nell’ora della sua morte assocerà a lui tutti gli uomini.     I vv. 34-35 riportano la “consegna” del Figlio “glorificato” ai suoi discepoli, che consiste nel mettere in pratica il comandamento nuovo: vale a dire la carità fraterna (v 34), quale segno distintivo dei “suoi”.     La celebrazione pasquale ripropone alla Chiesa l’ora della “glorificazione” di Gesù, rappresentata, in modo paradossale, nella sua morte. In essa, il “glorificato” rivela al mondo la “gloria” di Dio, il mistero stesso di Dio, che è amore. Nel Figlio innalzato sulla croce per attirare tutti a sé è, infatti, svelato il disegno d’amore del cuore di Dio: quello cioè di riunire tutti gli uomini, dispersi come un gregge sbandato, nel suo unico Figlio perché anch’essi partecipino alla sua condizione filiale, quella che è a lui propria.     Nella Pasqua brilla perciò la grandezza dell’amore di Dio per l’intera umanità che lui vuole vedere tutta raccolta nel suo Figlio unico, il glorificato! Egli consegna tramite i discepoli del cenacolo alla futura comunità dei credenti, e dunque, alla Chiesa, la missione di far brillare fino alla consumazione dei secoli il frutto della sua glorificazione, ovvero della sua Pasqua: dare “gloria” a Dio realizzando, nella donazione di sé, l’opera di universale salvezza.     La Chiesa, perciò, eredita dai “figlioli” di Gesù, ossia dai discepoli, il suo lascito testamentario che, se osservato, “glorifica” Dio, ovvero, realizza nel suo tempo l’opera da lui compiuta nel Figlio. Esso consiste nel comandamento che Gesù stesso definisce come “nuovo” e che si osserva quando i suoi discepoli si “amano” di quello stesso amore generato in essi dall’amore di Gesù.     È in realtà, l’amore di Gesù, ossia la donazione di sé, della sua vita, che genera nel cuore dei credenti lo stesso amore reciproco. La carità fraterna, vissuta anzitutto all’interno della comunità dei credenti, è dunque, propriamente il peculiare modo di esistere della comunità stessa.     La Lettura riferisce l’effettiva traduzione in pratica, nella Chiesa delle origini, del precetto del Signore la cui osservanza trasformava la “moltitudine” di quanti pervenivano alla fede in “un cuore solo e un’anima sola”, cosa questa, che dava più forza alla testimonianza che gli Apostoli rendevano alla “risurrezione del Signore Gesù” (Atti degli Apostoli 4,32-33).     La carità, però, è bene precisare, prima di essere un nostro impegno, è in realtà un dono ricevuto. Nella celebrazione liturgica della Pasqua, viene infatti effuso in noi l’amore del Signore che,  tutti ci riunisce “in un solo corpo” reso vivo, appunto, dal suo amore! La celebrazione eucaristica, pertanto, nella quale ci raggiunge il dono della carità del Signore, ci impegna di conseguenza a esprimerlo visibilmente nell’amore e nella reciproca carità con quella consapevolezza con cui l’apostolo Paolo l’additava quale “via più sublime” da desiderare e da perseguire prima di ogni altra (Epistola: 1Corinzi 12,31).    Questo ci qualifica davanti a tutti gli uomini come “discepoli” del Signore “glorificato”, gente cioè che vive la comunione d’amore con lui, resa comprensibile e riconoscibile proprio nella carità vicendevole. Essa, in definitiva, contribuirà più di ogni altra cosa, ad attirare gli uomini al Signore Gesù, a credere in lui, nel suo Vangelo, fino a condividere con noi “il mistero della passione” che ci ha redenti e ad allietarsi «dell’eterno destino di gloria che ci è stato donato nel Signore risorto» (Prefazio) di vivere, già da ora, quella comunione d’amore con il Padre, propria del Figlio.

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25 Aprile 2010 Domenica IV di Pasqua

1. La quarta domenica “di Pasqua”
Le lezioni bibliche offerte, per questa domenica, dal Lezionario sono: Lettura: Atti degli Apostoli 21,8b-14; Salmo 15; Epistola: Filippesi 1,8-14; Vangelo: Giovanni 15,9-17. Alla Messa vespertina del Sabato viene proclamato Luca 24,9-12 quale Vangelo della Risurrezione. In questa domenica si celebra, in tutta la Chiesa, la Giornata mondiale delle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa.

2. Vangelo secondo Giovanni 15,9-17
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: 9«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. 12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma io vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

3. Commento liturgico-pastorale
Il brano segue immediatamente quello che, nel simbolismo della “vigna”, del “vignaiolo” e dei “tralci”, riporta le parole di rivelazione sul rapporto che lega Gesù al Padre, i discepoli a Gesù e, dunque, al Padre (15,1-8). Nei versetti oggi proclamati il Signore indica, a partire dall’unione stabile di amore con lui, l’identità più vera e più piena del “discepolo”. Possiamo dire di trovarci di fronte a un canto d’amore. Anzitutto l’amore alla sua fonte: quello di Dio Padre per il suo unico Figlio (v 9). Amore per noi inimmaginabile e che il Figlio, venuto in questo nostro mondo, ci ha rivelato. La rivelazione di Dio “amore” è motivo di gioia e di “gioia piena” per noi uomini, in quanto da quell’amore procede l’amore di Gesù per noi (v 11). Quindi l’amore con cui il Padre ama il Figlio è lo stesso amore con cui il Figlio Gesù ama noi! Il v 13 con l’espressione “dare la vita” evoca la morte del Signore come manifestazione concreta e riconoscibile del suo amore. Egli ci ama di un amore assoluto, insuperabile e la prova è la sua effettiva disponibilità a “dare la sua vita” sulla croce. Disponibilità che il Prefazio si incarica di sviluppare dal suo misterioso esordio nel cuore della Trinità: «Mosso a compassione per l’umanità che si era smarrita, egli si degnò di nascere dalla Vergine Maria; morendo ci liberò dalla morte e risorgendo ci comunicò la vita immortale». In questo “amore” di Gesù per noi, che, alla fine, ci lega all’amore del Padre, occorre “rimanere” (v 9) e si “rimane” uniti a Gesù se “custodiamo” i suoi comandamenti ovvero se si obbedisce a quanto lui ordina (v 12), proprio come lui, il Figlio, in tutta verità può affermare di amare il Padre, in quanto obbedisce al suo volere (v 10). Di qui la solenne dichiarazione con cui Gesù promulga i suoi “comandamenti” che si riassumono in uno solo: «che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato» (v 12 e v 17) e che, è evidente, si concretizza nella disponibilità a “dare la nostra vita”. Niente di più. Niente di meno. Tale “osservanza” è la condizione che garantisce la nostra unione e la nostra “amicizia” con lui e, di conseguenza, la fruttuosità della missione della Chiesa tra gli uomini (v 16): quella di rendere al vivo in Gesù, il Crocifisso/Risorto, l’amore di Dio. La Lettura ci presenta nell’apostolo Paolo pronto a «morire a Gerusalemme per il nome del Signore» (Atti degli Apostoli 21,13) cosa comporti “rimanere” nell’amore del Signore per essere da lui riconosciuti come “amici”, “scelti”, “costituiti”, resi perciò idonei alla missione, la più “fruttuosa” capace cioè di chiamare gli uomini al Vangelo. Missione fruttuosa che l’Apostolo può compiere addirittura “in catene”, come prigioniero, ma “per il Signore” registrando il “progresso del Vangelo” addirittura nel “palazzo del pretorio e dovunque” (Epistola: Filippesi 1,12-13). L’annuale solenne celebrazione della Pasqua del Signore ci riporta alla sorgente del suo amore per noi, donandoci di comprendere sempre di più di quale amore egli ci ha amato e di come la sua unica “consegna” per noi consista nel mettere in pratica, a nostra volta, la sua concreta donazione di amore! Tutto ciò deve farci molto riflettere perché si è tutti tentati di “aggirare” il “precetto” del Signore per noi “impossibile” da “osservare”! La “consegna” d’amore esigita dal Signore è, in realtà, un dono che viene dall’alto, è il suo Spirito che porta nei nostri cuori l’amore del Signore Gesù, sorgente del nostro amore “gli uni per gli altri”. Ciò avviene, di fatto, ogni volta che ci raduniamo per “annunziare” la morte del Signore e “proclamare” la sua risurrezione. Nella celebrazione infatti, lo Spirito Santo attualizza, nel pane e nel vino, la “donazione” che il Signore ha fatto di sé nella sua Pasqua e facendoci partecipi di quel “pane” e di quel “vino” ci riempie dell’amore, quello con cui Gesù ci ha amati e ci abilita a fare altrettanto.

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18 Aprile 2010 Domenica III di Pasqua

1. La terza domenica “di” Pasqua

Con la serie delle altre domeniche, fino alla Pentecoste, anche questa domenica intende sviluppare la ricchezza contenuta nel mistero pasquale del Signore, il “mistero” cioè culmine della nostra salvezza. Le lezioni bibliche, proposte nel Lezionario, sono: Lettura: Atti degli Apostoli 28,16-28; Salmo 96; Epistola: Romani 1,1-16b; Vangelo: Giovanni 8,12-19. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella messa vespertina del Sabato è preso da Marco 16,1-8a. 

2. Vangelo secondo Giovanni 8,12-19

In quel tempo. 12Il Signore Gesù parlò agli scribi e ai farisei e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». 13Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». 14Gesù rispose loro: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. 15Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. 16E anche se io giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. 17E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. 18Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me». 19Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio».

3. Commento liturgico-pastorale
Il brano si presenta con le parole di rivelazione che Gesù fa di sé come “Luce del mondo” (v 12) proclamate, come apprendiamo dal v 20, nel Tempio di Gerusalemme, luogo dell’incontro di Dio con il suo popolo. A esse fa seguito il dialogo con i “farisei” (vv 13-19) che ritengono non valida la “testimonianza” che Gesù dà di sé stesso, manifestando in tal modo la loro incapacità di “conoscere” ovvero di credere in Gesù non solo come l’inviato per “illuminare il mondo” mediante la rivelazione del volere salvifico di Dio nei confronti dell’uomo, ma come “Figlio”! Letto nel tempo di Pasqua e, più precisamente nei primi quaranta giorni colmati dalla letizia della “presenza” del Risorto tra i “suoi”, il nostro brano ci offre la “testimonianza” che, nella sua Pasqua e, segnatamente, nella sua risurrezione e nella sua “salita” al Padre, si manifesta in tutta la sua portata la parola di rivelazione che Gesù dà di sé: «Io sono la luce del mondo» (v 12). Nella Pasqua infatti Gesù adempie l’antica aspettativa della definitiva salvezza promessa da Dio non solo al suo popolo, ma a tutti i popoli della Terra! Egli davvero “illumina il mondo” perché nella sua vicenda di morte e di risurrezione fa brillare in tutta evidenza il volere divino di universale salvezza così sintetizzato nel Prefazio: «Da quando l’autore della morte è stato sconfitto per l’azione redentrice di Cristo, l’uomo ha conseguito il dono di un’esistenza immortale e, dispersa la nebbia dell’errore, ha ritrovato la via della verità». Via che dona, a chi “segue” Gesù, la possibilità di fare il suo stesso percorso fino al Padre. Presso di lui, infatti, la promessa di Gesù di donare “la luce della vita” (v 12) si avvera in tutto il suo splendore. Si tratta, nientemeno, della partecipazione al legame di vita e di amore che unisce il Padre al Figlio. È questo il Vangelo che l’apostolo Paolo sente di dover predicare a tutti i popoli perché tutti siano “illuminati” ovvero perché “credano” che i disegni concepiti da Dio per amore degli uomini, si sono concretizzati in Gesù «il Figlio suo, nato dal seme di Davide, secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti» (Romani 1,3-4). Appare, perciò, incomprensibile la chiusura di scribi e di farisei a “conoscere” (v 19) ossia ad aderire con fede a Gesù e, dunque, a Dio Padre! Tale atteggiamento preannunzia l’incredibile chiusura, anche ostile, alla predicazione del Vangelo, che lungo i secoli dovrà affrontare la Chiesa. È ciò che affronta lo stesso Paolo che, nella sua prima prigionia a Roma, si sforza di “dare testimonianza” e “cercava di convincere”, invano, quelli della sua stirpe “riguardo a Gesù” rileggendo con essi Mosè e i Profeti (Lettura: Atti degli Apostoli 28,23). Del resto l’umanità, oggi come allora e come sempre, vive come immersa nelle tenebre di questo mondo e ha bisogno dell’annuncio che squarci il buio opprimente dell’incertezza, della paura, del male. La Chiesa, perciò, perennemente illuminata dalla grazia propria della Pasqua, riflette in questo mondo la “luce” che è il Crocifisso/Risorto nel quale ogni uomo “conosce” finalmente il destino a cui è chiamato! Per questo la Chiesa chiede incessantemente nell’esperienza liturgica della Pasqua, qual è la celebrazione eucaristica, di essere “confermata” nella gioia pasquale per essere testimone «nelle opere della verità che mirabilmente ci ha illuminato» (Orazione Sui doni) vale a dire che: “nell’umiliazione” del Figlio il mondo è stato come “risollevato” in vista della sua partecipazione alla “gloria” eterna di Cristo risorto (cfr. Orazione A conclusione della liturgia della Parola) nella comunione di vita, cioè, con lui e con il Padre.

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